La meditazione di Haydn su "Le sette ultime parole" di Cristo. Una musica per la Passione, di Francesco d’Alfonso
Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Zenit del 3/4/2012 un articolo di Francesco d’Alfonso, Responsabile della sezione Arte e Cultura dell’Ufficio Comunicazioni Sociali del Vicariato di Roma. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (14/4/2012)
Anno Domini 1786. Venerdì Santo. La cattedrale di Cadice, sotto la cupola risplendente di mattoncini dorati, tace. Anche il caldo sole dell’Andalusia sembra impallidire dinanzi al legno della Croce. Tutto è tenebra: Cristo sta morendo. Sofferenza. Poche parole. Solo sette.
Un solerte canonico della cattolicissima provincia spagnola ha bisogno di esaltare questo momento di funerea pietà con un ulteriore fastigio. Lo stucco necessita ancora di doratura. Manca un artista.
La persona giusta è il devoto maestro Franz Joseph Haydn - che soleva vergare i suoi manoscritti con la locuzione Laus Deo - al quale il canonico commissiona una “musica instrumentale” che avesse il potere di riempire di sonorità la scenografia preparata nella cattedrale.
È lo stesso Haydn, nell’inviare la partitura alla Breitkopf & Härtel per la pubblicazione, a raccontare quanto accadeva: «I muri, le finestre, i pilastri della chiesa erano ricoperti di drappi neri e solo una grande lampada che pendeva dal centro del soffitto rompeva quella solenne oscurità. A mezzogiorno le porte venivano chiuse e aveva inizio la cerimonia. Dopo una breve funzione il vescovo saliva sul pulpito e pronunciava la prima delle sette parole (o frasi) tenendo un discorso su di essa. Dopo di che scendeva dal pulpito e si prosternava davanti all'altare. Questo intervallo di tempo era riempito dalla musica».
Dall’incontro tra la barocca volontà di un prete di provincia e il genio musicale di Haydn nasce la “Musica instrumentale sopra le sette ultime parole del nostro Redentore in croce – o sieno Sette Sonate con un Introduzione ed al fine un Terremoto” nella versione originale per orchestra, cui seguono nel 1787, una trascrizione per quartetto d’archi ed una riduzione per pianoforte e, nel 1796, una versione in forma di oratorio, per coro e orchestra, su testo di un canonico di Passau.
Un'introduzione, Adagio e maestoso, e una conclusione, Presto e con tutta forza – il terremoto che sconvolse il Calvario, secondo il racconto del Vangelo di Matteo - incorniciano le sette parole: Pater, dimitte illis, quia nesciunt quid faciunt, Hodie mecum eris in Paradiso, Mulier, ecce filius tuus, Deus meus, Deus meus, utquid derilinquisti me?, Sitio, Consummatum est, In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.
Parole dolenti, pronunciate dal Figlio di Dio che sacrifica in modo cruento la vita per la salvezza dell’uomo; parole intime e struggenti, che Haydn trasfigura in musica, al punto da volere che fossero scritte sotto la parte del primo violino, perché gli esecutori potessero vivere più intensamente le note che stavano suonando. Note che non si concludono con la morte, ma che proseguono vorticosamente verso un finale luminoso, prefigurazione della vittoria di Cristo sulla morte, la Resurrezione.
Non a caso Haydn inizia il Terremoto in Do minore e lo conclude in tonalità maggiore, rimarcando così lo stretto legame con il testo evangelico. Vincendo la morte, Cristo ha sconfitto definitivamente le tenebre: la musica riesce a cogliere pienamente la trascendenza di questo mistero, incedendo lentamente, dolorosamente, verso la luce.
Se è vero che questa composizione è un «equivalente sonoro delle pitture e delle sculture delle chiese rococò dell’Europa cattolica, il cui scopo era quello di indurre in ugual misura al pentimento e alla pace dello spirito» (David Wyn Jones), è altrettanto vero che riesce a guardare al di là della sfera sensibile, oltre la prospettiva del visibile. Sebbene riesca a mostrare con commozione tutte le piaghe del Crocifisso, persino la sua gola arsa, Haydn non dipinge un affresco della Passione.
Attraverso la forza delle parole, non dette eppure udite, contempla l’ineffabile mistero dell’amore e lo traduce in note. Ché la passione e morte di Cristo altro non sono che un atto d’amore.
Per amore, il più bello tra figli dell’uomo diventa Colui che non ha né apparenza né bellezza. Amore, sinfonia di luce. Amore, musica che risveglia dal torpore della notte. Amore, armonia tra il cielo e la terra. Amore, canto di tutta la creazione.
Laus Deo.