Il Miserere di Allegri e W.A. Mozart. Il cervello di Mozart costruito per la musica, di Armando Torno
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Riprendiamo dal Corriere della Sera del 30/1/2007 un articolo scritto da Armando Torno. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Musica.
Il Centro culturale Gli scritti (25/3/2012)
Il mercoledì santo nel 1770 cadeva l'11 aprile e pioveva. Wolfgang Amadeus Mozart e papà Leopold erano a stomaco vuoto - un digiuno favorito dai giorni della Passione, interrotto soltanto da uova e broccoli conditi con molte lamentele - ma questo non impedì loro di raggiungere Roma.
Poterono così assistere a una messa nella Cappella Sistina, riuscendo ad ascoltare il celebre Miserere di Allegri, un brano secretato che era eseguito due volte l' anno, considerato talmente prezioso che ai musicisti fu vietato, pena la scomunica, far uscire dalle sacre mura la benché minima parte, copiarlo o trasmetterlo a chiunque.
In una lettera che tre giorni dopo Leopold scriverà alla moglie, si legge tra le abituali informazioni: «Ebbene, noi ce l' abbiamo. Wolfgang l' ha trascritto a memoria...».
Cosa è successo? Semplice: il giovane compositore di appena 14 anni, dopo aver sentito l'opera dell'Allegri per la prima volta, fu in grado di ricopiarla sui fogli di musica come se qualcuno gliela avesse dettata. Un fatto che lascia allibiti e che richiama alla mente quello che le biografie narrano di Pico della Mirandola (aveva imparato la Divina Commedia al contrario) o taluni particolari della vita di Napoleone, quando dettava cinque lettere simultaneamente senza perdere il filo con nessun segretario.
A partire dall'episodio del mercoledì santo del 1770, Bernard Lechevalier ha avviato un'indagine sui meccanismi della memoria musicale che ha intitolato Il cervello di Mozart (è uscita la traduzione italiana presso Bollati Boringhieri, pp. 286, euro 32). In questo saggio il neurologo e musicista (oltre che scienziato è organista titolare della chiesa di Saint-Pierre di Caen) cerca di capire come sia umanamente spiegabile la memorizzazione di un pezzo di quindici minuti composto da voci distinte in due cori. Che ascolto aveva Mozart? Tecnico? Emozionale? E soprattutto quali operazioni mentali sottendono la memoria musicale?
Per rispondere utilizziamo le parole di Lechevalier cominciando dall' impresa del Miserere: «È difficilmente spiegabile nei termini della neuropsicologia classica. In quell'episodio si sono succedute tre operazioni mentali: una codificazione "fuori norma" di informazioni musicali, che oltrepassa di molto la semplice percezione; l'immagazzinamento di tali informazioni sotto forma di rappresentazione per alcune ore; infine, la loro restituzione, si potrebbe dire, ad integrum, fase preliminare per l'esecuzione».
Tre operazioni, va sottolineato, che sono le stesse per chiunque desideri imparare una canzonetta e trascriverla a memoria; l'unica differenza è nella complessità della materia. In particolare Lechevalier tira conclusioni generali sul fenomeno. Se volessimo sintetizzarle, dopo l' analisi dell'accaduto con Mozart, basterà dire che la memoria musicale si avvale di tre evidenti funzioni: percepire i suoni, analizzarli e ricordarli identificando l'insieme che formano.
Questo genere di memoria è qualcosa di particolare, costruito sul modello modulare: è insomma una memoria specificamente tonale indipendente da quella verbale. Lechevalier nota inoltre che l'emisfero cerebrale destro ha un ruolo preponderante per esprimere questa facoltà. Poi di pagina in pagina, l'odissea della musica che scolpisce il tempo porta a riconoscere la difficoltà di ricordare i timbri, si accerta il fatto che la codificazione dipenda dalla struttura dell' opera e che il cervello di Wolfgang Amadeus fu un prodigio offertoci dal cielo. Magari con l'ipertrofia dei lobi temporali e del corpo calloso, delle aree associative parieto-occipito-temporali (come il giro angolare) e della corteccia frontale. Ma, nota Lechevalier, «non è tutto». Mozart, insomma, fu un'eccezione tra le eccezioni.