Perché Ekaterinburg è entrata nella storia del ventesimo secolo? Ma quel massacro del 1918 negli Urali preannuncia il gulag, di Vittorio Strada
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Riprendiamo da Avvenire del 18/3/2012 un articolo scritto da Vittorio Strada. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Sul martirio dei Romanov vedi anche su questo stesso sito I nuovi martiri del XX secolo della Chiesa Russa, uccisi durante il comunismo: l’icona della cattedrale del Santissimo Salvatore a Mosca e la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (18/3/2012)
Importante è la sua posizione geografica presso le propaggini occidentali degli Urali, al confine tra la parte europea e la parte asiatica dell’impero zarista prima, dell’Urss poi e ora della Federazione russa: a pochi chilometri dalla città un cippo segna il limite tra i due continenti. Situata in una ricca zona mineraria, Ekaterinburg è un grande centro industriale e un importante snodo ferroviario della Transiberiana.
Dal 1991 ha riacquistato il suo nome originario, con cui fu fondata nel 1723, nome che nel 1924, per la mania sovietica di ribattezzare le città coi nomi di capi comunisti, era stato mutato in Sverdlovsk in onore di un dirigente bolscevico. Nelle guide prerivoluzionarie Ekaterinburg è definita «una delle migliori e più popolose città provinciali della Russia europea» e, oltre alle sue fiorenti industrie, si enumerano le sue chiese: undici ortodosse (oltre i monasteri), una luterana, una cattolica, una dei «vecchi credenti» (ortodossi scismatici), più centri di culto maomettano ed ebraico. Tutto ciò, naturalmente, durante il periodo sovietico scomparve, ma ora la rinascita religiosa ha ripreso i suoi diritti.
Oggi la città è fuori dagli itinerari turistici, ma è meta di pellegrinaggio per l’episodio che l’ha fatto entrare nella storia non solo russa dello scorso secolo: nella notte fra il 16 e il 17 luglio del 1918 a Ekaterinburg avvenne uno dei più efferati delitti politici: lo sterminio della famiglia imperiale russa, i Romanov.
Quando si parla del colpo di stato bolscevico noto come «rivoluzione d’ottobre», si pensa per lo più alla cosiddetta «presa del Palazzo d’inverno» a Pietroburgo, nota nell’immaginario comune per le inquadrature di un film di Ejzenštejn raffiguranti una folla che prende d’assalto i cancelli di quella sede del potere. Si tratta di immagini del tutto false, per quanto propagandisticamente efficaci, rispetto al tutt’altro che eroico e spettacolare reale svolgimento dei fatti.
Nell’ombra, quasi fosse qualcosa di trascurabile, ed in effetti volutamente trascurato dagli inventori dell’icona che il comunismo ha voluto e saputo dare a lungo di sé, resta l’episodio simbolicamente fondatore del nuovo regime: l’eccidio compiuto a Ekaterinburg non solo di tutta la famiglia imperiale, che in quella città era tenuta prigioniera, ma anche degli sventurati che facevano parte del seguito: selvaggiamente trucidati furono Nicola II e la consorte Aleksandra, le quattro figlie: Olga, Maria, Tatjana e Anastasia (tra i 22 e i 17 anni di età), il quattordicenne infermo figlio Aleksej e i quattro aiutanti rimasi fedeli: il dottor Botkin, il valletto Trupp, il cuoco Charitonov e la cameriera Demidova.
Il modo in cui quell’assassinio fu compiuto per ordine dei capi del Cremlino da una banda di rivoluzionari fu così atroce e così abietto poi fu il modo usato per annientarne i cadaveri e occultare il massacro che ancor oggi a leggerne il resoconto fatto dagli stessi assassini si prova orrore.
Registi impegnati e organici (rispetto al regime comunista) come Ejzenštejn col loro innegabile talento artistico avrebbero dovuto rievocare quel crimine, anziché inscenare la fantasiosa «presa del Palazzo d’inverno», come la vera base della «rivoluzione d’ottobre» e del movimento comunista internazionale, accanto a quell’altro episodio criminoso iniziale del regime che fu lo scioglimento forzato (gennaio 1918) dell’appena eletta Assemblea costituente, culla della democrazia repubblicana russa, dove i comunisti erano in minoranza.
Quanto all’eccidio di Ekaterinburg il raffronto, talora fatto per trovare un precedente storico, con l’esecuzione di Luigi XVI, dopo un processo, nella rivoluzione francese, è, evidentemente, del tutto incongruo. Il massacro commesso nella città degli Urali preannuncia il Gulag. Oggi al tempio eretto sul luogo del delitto molti russi si recano a pregare per espiare una colpa nazionale di cui la Russia stessa pagò il fio.