Di cosa abbiamo bisogno per riscoprire la bellezza della celebrazione eucaristica? Lettera al proprio parroco di un giovane laico romano
Riprendiamo sul nostro sito una lettera scritta al parroco per la verifica pastorale da un giovane papà. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (16/3/2012)
Abbiamo bisogno di altre catechesi/incontri di formazione sull’Eucarestia o abbiamo bisogno che l’Eucarestia riprenda il suo potenziale formativo intrinseco?
Se è vero che l’Eucarestia ha addirittura dettato legge sui vangeli (alcune pagine tipo la moltiplicazione di pani e pesci, le parole sul vino nell’ultima cena sono chiaramente di stampo liturgico e addirittura diverse a seconda della liturgia celebrata nelle diverse comunità, è l’Eucarestia che ha informato tali pagine), se è vero che ha dettato legge sulla canonicità dei testi sacri, se è vero che dava forma ai primi cristiani (Ignazio di Antiochia definisce i cristiani come “coloro che vivono secondo la Domenica”), allora è l’Eucarestia che forma la comunità: l’Eucarestia stessa è formazione, è una grande continua catechesi sulla vita che nel tempo, negli anni, dà forma alla Chiesa e ha catechizzato generazioni di cristiani da quando viene celebrata.
Se lo Shabbat ha salvato gli ebrei durante l’olocausto forse ci si può azzardare a dire che l’Eucarestia domenicale ha salvato/formato (e continua a farlo) la Chiesa per 2000 anni. In essa già c’è la vita, passione, morte e risurrezione di Cristo, la Pasqua con tutto il suo significato di liberazione/redenzione, l’agnello pasquale e lo yom kippur, la nuova alleanza sponsale nel sangue… c’è già tutto su Dio e sul suo rapporto con noi (e quindi c’è tutto sulla vita in questa terra), c’è già ogni forma di preghiera, dalla supplica alla lode alla lectio, c’è soprattutto la forma della preghiera (al Padre per Cristo nello Spirito Santo)…
Tra l’altro l’Eucarestia è già un impegno fisso del cristiano una volta o più a settimana a cui vanno tutti, da anni e lo faranno per tutta la vita… Riusciamo a creare un’altra occasione così frequentata e così assidua a cui far venire i cristiani per formarli? A me personalmente piacerebbe pure, se fatta decentemente, e molto! Ma mi sembra una strada non percorribile.
Come si fa ad acquisire consapevolezza di ciò che celebriamo nell’Eucarestia, come si fa a farle riacquistare il ruolo formativo che le è proprio?… Chiaramente non sono io ad avere la risposta, ma penso che in questo depauperamento dell’Eucarestia noi abbiamo delle colpe.
Penso che il pericolo di cui parlava Giovanni Paolo II della vita cristiana a due binari, uno in Chiesa ed uno a casa o sul lavoro sia in parte dovuto ai nostri atteggiamenti, penso che durante l’Eucarestia soffriamo di una gestualità malata o forse meglio non vera – non in accordo con ciò che celebriamo.
Mi sembra che i gesti che agiamo in una chiesa e durante la liturgia mostrino spesso un rapporto schizofrenico con la Presenza del Signore… come se fossimo noi a seconda del momento che viviamo a crearne la presenza o meno… (mi riferisco alla mia esperienza di Messe negli anni, non in modo specifico alla nostra comunità): alcune volte ci inginocchiamo, stiamo in silenzio, abbiamo una sorta di rispetto reverenziale nei confronti dell’eucarestia (pensiamo a quando facciamo una adorazione eucaristica, al momento della consacrazione durante la messa ecc.). Altre volte questo sembra non essere necessario: ci permettiamo di arrivare in ritardo, non salutiamo il santissimo con un inchino ma con un gesto abortito che se un Re si vedesse rivolto da un suddito non riesco ad immaginare che reazione potrebbe/dovrebbe avere. Permettiamo tranquillamente che i ministranti vadano a prendere le ostie consacrate alle spalle del celebrante mentre si recita l’Agnello di Dio, ci sembra normale che vengano dei ministranti che non hanno partecipato all’eucarestia a dare l’ostia, ci preoccupiamo di discutere del canto da fare o di trovare la pagina degli spartiti del Santo durante la liturgia eucaristica... e si fa ancora altro.
Certo sono piccole cose, insignificanti - non fraintendermi, so che non c’è cattiva fede, né mancanza di fede - c’è solo una gestualità non in accordo con la realtà dell’evento e questo è di scandalo… a me da fastidio. Forse sono io strano, ma questo se non di scandalo è almeno un controsegno che non aiuta noi fedeli a prendere coscienza di dove siamo, davanti a Chi siamo.
Ma se la presenza è vissuta lo è perché è una realtà e lo è sempre in ogni circostanza non solo in alcuni momenti. Questa dualità è di scandalo, nel senso che non educa anzi diseduca nei confronti della presenza di Cristo, figuriamoci se educa alla adorazione! Se fosse possibile i foglietti dovrebbero sparire, le preghiere non dovrebbero essere lette per facilitare la comprensione nei fedeli che non si leggono preghiere, lodi, ringraziamenti, suppliche, glorificazioni storie, ma si loda, ringrazia, glorifica, chiede, prega e supplica Dio Padre.
C’è una bella testimonianza del Gen. Lyautey a proposito di una celebrazione nel deserto con Charles de Foucalud: “La domenica alle sette assistiamo alla messa nell’eremo. Una capanna quell’eremo! La sua cappella, un miserabile corridoio a colonne coperto di canne! Per altare, un’asse! Per decorazione una immagine del Cristo su un fondo di percalle; candelabri in ferro bianco. Avevamo i piedi nella sabbia. Ebbene! non ho mai visto celebrare la messa come la celebrava il padre de Foucauld. Mi credevo in una Tebaide. E’ una delle più grandi impressioni della mia vita” … penso che parte fondamentale di questa impressionante esperienza fosse una gestualità liturgica sana!
Mi ha molto colpito leggere quello che scriveva Bonhoeffer dal carcere: “mi accorgo sempre di più di quanto io pensi e senta in maniera veterotestamentaria… solo quando si riconosce l’impronunciabilità del nome di Dio si può anche pronunciare finalmente il nome di Gesù Cristo; solo quando si ama a tal punto la vita e la terra, che sembra che con esse tutto sia perduto o finito, si può credere alla resurrezione dei morti e ad un mondo nuovo; solo quando ci si riconosce sottomessi alla legge di Dio, si può finalmente parlare anche della grazia, e solo se l’ira e la vendetta di Dio contro i suoi nemici restano realtà valide, qualcosa del perdono e dell’amore verso i nemici può toccare il nostro cuore. Chi vuole essere e sentire troppo frettolosamente in modo neotestamentario, secondo me non è un cristiano.”(5/12/1943 II Dom. di Avvento)”.
Questo secondo me è illuminante! Arrivare tardi alla messa - dobbiamo dire ad alta voce - è peccato mortale (nel senso che porta alla morte. San Paolo è chiaro su questo punto della mancanza di rispetto riguardo alla eucarestia!) Dovremmo chiudere le porte all’iniziare del canto di ingresso, non permettere più di entrare dopo l’inizio (… si fa a teatro perché non a Messa?).
Questo sarebbe coerente con la dignità della liturgia! Questo sarebbe giusto! Dobbiamo proclamarlo con coraggio. Poi le apriamo lo stesso queste porte e facciamo entrare tutti a qualsiasi ora (grazie al cielo!), poi ci ricordiamo della misericordia del Padre che è sempre inclusiva, ci ricordiamo che “mangiatene tutti” è detto alla presenza di Giuda… è giusto così.
Ma se lo facciamo, facciamolo almeno con tremore, facciamolo con sofferenza, facciamolo sapendo che stiamo riducendo la nostra compartecipazione come corpo di Cristo (che è sempre un corpo comunitario alla faccia dei tempi moderni autonomisti) al mistero che celebriamo, facciamolo sapendo che tenere fuori qualcuno sarebbe ancora peggio, visto che renderebbe il corpo di Cristo menomato (con alcune membra mancanti/non funzionanti) ma anche sapendo che quando arriviamo tardi non permettiamo la comunione del corpo di Cristo, non ci lasciamo convocare da Dio, non ci facciamo perdonare da Lui. Dobbiamo sapere che facciamo del male a noi stessi ma anche agli altri (il corpo è uno!). Facciamolo sapendo che non è gratis, non è senza conseguenza, facciamolo sapendo che ne porteremo il peso gli uni gli altri per tutta la liturgia e per la settimana!
Noi dovremmo entrare in chiesa, alla presenza del Santissimo, con un certo timore reverenziale, come quello di un suddito che entra in una sala in cui sul trono è assiso il Re, il suo Signore. Per dirla tutta dovremmo entrare in Chiesa sempre un poco con questa riverenza. C’è il tuo Re su quel trono: si o no? Il resto viene da solo! Per dirla tutta se avessimo questa consapevolezza dovremmo uscire dalla chiesa camminando all’indietro per non dare le spalle al santissimo!
Poi ci ricordiamo anche che quella è la casa del Padre e quale è la dignità che ci è stata regalata di essere chiamati figli di Dio, che quella è casa nostra! Poi sappiamo che in chiesa, davanti al Signore, è il solo posto dove possiamo veramente lasciarci andare, dove siamo accolti come siamo, dove è possibile il riposo!
Ma la nostra fede è la fede del “già e non ancora”, della coesistenza di timore ed insieme dell’abbandono sconfinato, del terribile giorno del giudizio del Signore che si abbatterà come un laccio su tutti e della incredibile, preveniente completamente gratuita misericordia di Dio, della onniscienza di Dio e dello stupore meravigliato di Dio e del cielo tutto di fronte a qualunque nuovo gesto d’amore noi facciamo.
C’è la libertà di Cristo eppure neanche uno iota della Legge cadrà, non c’è il Nuovo Testamento senza il Vecchio. La nostra fede vive spesso di contrasti di realtà che sembrano elidersi a vicenda eppure sono vere entrambe ed anzi si illuminano vicendevolmente solo le lasciamo vivere entrambe: due realtà contrarie eppure compresenti... questa è la nostra fede… ma che ci siano entrambe! “Pensare troppo frettolosamente in termini neotestamentari” rischia di portarci fuori della verità, di non farcela assaporare appieno.
Forse una gestualità liturgica sana ci educherebbe a cogliere la presenza del mistero, forse aiuterebbe a capire che il ritardo è un problema, che ci sono dei momenti per muoversi e cercare posto a sedere, ed altri (quando si prega o si ascolta la parola proclamata, ecc) nei quali te ne stai fermo all’entrata e partecipi del momento liturgico aspettando la prima pausa per muoverti… Forse questi gesti di rispetto aiuterebbero la comprensione molto più di tante catechesi formative, ma tutto questo nasce (soprattutto la gestualità) da processi imitativi, forse dovremmo in primis rivedere il nostro stare a messa (noi collaboratori pastorali, sacerdoti, diaconi, ecc.).
Scusa la lungaggine. Se dico stupidaggini dimmelo con franchezza (sei il mio parroco, ne hai l’autorità!). In ogni caso sono sicuramente il primo a non avere una gestualità adeguata - me lo ripeto, tutte le volte che mi inchino al Santissimo dopo la messa ricordando quella parola dei padri della Chiesa, sconvolgente, secondo la quale la presenza di Cristo nel fratello che ha appena fatto la comunione è “vera” (sicuramente i padri non usavano questo vocabolo ma non ho ritrovato la citazione reale…) tanto quanto quella dell’ostia consacrata, e mi dico: “Ma lo sai che dovresti inchinarti davanti a tutti questi fratelli oltre che al tabernacolo?”… Disarmante!
(dicembre 2009)