«Educare un bambino è un lavoro duro che richiede costanza. Ma è un santo lavoro». La testimonianza di un papà, di Carlo Ancona
Nella riflessione sul rinnovamento dell’iniziazione cristiana in una prospettiva educativa è preziosa la testimonianza dei genitori che vivono sul campo l’esperienza diretta dell’amore per i loro bambini. Presentiamo in questo spirito la testimonianza di un papà romano, scritta in maniera non sistematica, testimonianza che gli è stata richiesta proprio nell’ambito della riflessione sulla catechesi dei primi anni di vita dei figli dopo il Battesimo. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (1/3/2012)
Io penso che il problema grande, almeno quello che sperimento sulla mia pelle, è che noi siamo portati a pensare che le cose crescano da sole: facciamo così nel matrimonio (che è una creatura come tutte le altre e va curata) e facciamo così con i figli: siamo portati a pensare che basta assicurare il cibo ed una casa e poi i bambini cresceranno con il tempo, magicamente.
Non capiamo, o non vogliamo capire, che la crescita del bambino è un lavoro, anche duro, ma soprattutto costante, continuo. È un lavoro vero, e come tale necessita che noi tagliamo altre cose per fare spazio a questo impegno.
Io vedo in questo dinamismo un punto critico: noi vogliamo tenere tutto (impegni, carriere, hobby, cura della persona, sport, beauty farm) e vogliamo poi allo stesso tempo che la famiglia ci sostenga sempre. Alla fine della giornata, quando torniamo a casa, vogliamo solo rilassarci e non avere altri problemi ulteriori rispetto a quelli che il lavoro ci ha già messo innanzi.
Invece il ritorno a casa per un papà deve essere il momento di iniziare il lavoro, quando bisogna essere svegli, attivi... Se il lavoro ti massacra ed arrivi la sera a casa che sei una larva c'è un problema! Di solito i bisogni dei figli sono messi in secondo piano: "il lavoro è importante, non ci posso fare niente se poi arrivo stanco a casa... c'è da capirmi". Ma forse bisognerebbe rivedere la scala delle priorità e se il lavoro è troppo faticoso cambiare il modo di lavorare, non fare troppe battaglie, ridurre l'impegno fuori casa se possibile.
Il problema non è secondario perché il grande nocciolo della questione riguardo ai limiti imposti ai figli è che oltre un certo grado siamo noi che arriviamo al punto di rottura, quando viene fuori il mostro che alberghiamo, quando diventiamo violenti ed irascibili, quando perdiamo il controllo. Questo punto di rottura in un soggetto stanco avviene molto prima rispetto ad un soggetto che non torna a casa come una larva dopo la giornata di lavoro.
I bambini che fanno capricci e i cosiddetti bambini "viziati" spesso perdono il controllo (in vario modo ma specialmente con pianti, lagne, opposizioni varie al cibo, ad andare a letto, ad interrompere un gioco ecc.), ma questo è, in fondo, una cosa normale per tutti i bambini: il fatto è che siamo noi che dovremmo insegnargli a gestire tutte queste emozioni/frustrazioni. Siamo noi che in quei momenti non dovremmo perdere il controllo, fermare i nostri piccoli (anche fisicamente se ce ne è bisogno, abbracciandoli).
Siamo noi a dover dire al bambino con serenità che non possiamo permettere che lui si comporti così e che glielo impediamo ed impediremo anche in futuro se sarà necessario, finché non sarà capace di farlo da solo. Dirgli che sappiamo che è un traguardo che raggiungerà presto e che noi siamo lì per aiutarlo in questo cammino.
Lo ripeto: noi siamo alleati dei figli, non ulteriori nemici. Il bambino spesso nei confronti delle proprie crisi ha lui stesso paura ed è colpito da tali esplosioni di rabbia/agitazione che vive ed è ben contento di scoprire che accanto a lui ha una mamma ed un papà che sanno fermarlo, finché non ci riuscirà da solo.
Oggi molti problemi li viviamo sul piano affettivo: so di mamme che svegliano i figli già a letto la sera per giocarci insieme perché non li hanno visti per tutto il giorno, di figli che dormono perennemente in stanza con i genitori, di figli che finiscono nel lettone tutte le volte che il papà è fuori per lavoro (con l’aberrazione di sperare che la notte papà lavori per poter dormire con la mamma)... tutti questi sono problemi dei genitori! Siamo noi che usiamo i figli come dispensatori di vita e di affetto, quando invece dovrebbe essere esattamente il contrario. Ma, in un secondo momento, questi diventano chiaramente poi problemi dei figli (ho amici il cui figlio non si addormenta, a 14 anni!, senza la mamma che gli sta accanto, oramai non più a leggere le fiabe, ma deve stare nella stanza...)
Altro problema ampiamente diffuso è la mancanza di verità con i figli, la mancanza di coerenza in ciò che diciamo loro (minacce o promesse che poi non si verificano mai). Spesso si dicono bugie ai figli (affermazioni che poi regolarmente non si realizzano mostrandosi chiaramente anche a loro per quel che sono). Si dicono bugie anche a fin di bene (il bene “nostro” in genere!). Ma sempre bugie sono: e dicendo bugie non si rispetta l'intelligenza dei figli ed il loro essere persone.
Ma, forse, ancora più grave è la nostra mancanza di costanza: per uscire da una situazione difficile papà e mamma possono promettere delle cose o preavvisare il figlio dell'arrivo di una punizione se non cambierà atteggiamento. Ebbene queste promesse o avvertimenti vanno sempre rispettati - sembra una banalità ma non lo è. Le minacce si possono pure fare, ma stando bene attenti a minacciare qualcosa di fattibile, che poi dovrà puntualmente avvenire nel caso non fosse rispettato l'accordo. Altrimenti avranno semplicemente l'effetto di innalzare il livello della minaccia dichiarata, pena la mancanza di presa sul bambino, fino a raggiungere la completa indifferenza del figlio nei confronti delle stesse.
Perdonatemi, ma non riesco a fare un elenco di cose pratiche che esemplifichino ciò che voglio dire, perché in realtà tutta la vita con i figli sottostà a dinamiche di questo tipo, dal momento in cui andare a dormire all'ora in cui mangiare ed in cui astenersi dal cibo, dall'ora in cui finire di giocare o guardare la TV fino a quando vestirsi la mattina e spogliarsi la sera, da come comportarsi con fratelli ed amici e come con gli adulti. Veramente tutto rientra in questo particolare tipo di rapporto che è la relazione educativa, dalla scelta delle scarpe a quella delle mollette.
Il problema è che l'educazione ha a che fare con tutto il rapporto che abbiamo con nostro figlio: non è semplicemente il fare alcune cose con lui o per lui. È un modo di essere, un habitus, che dobbiamo avere costantemente.
E non è una cosa che viene spontanea, ma anzi va pensata, programmata, decisa con la moglie e condivisa... È un lavoro, un santo lavoro, un lavoro che farà crescere degli uomini e delle donne, degli adulti... dei cristiani. Ed è forse la cosa di cui c'è più bisogno oggi.