Se il relativismo teme la verità, di Claudio Magris

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /02 /2012 - 22:24 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal Corriere della sera del 23/2/2012 un articolo scritto da Claudio Magris. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (27/2/2012)

Uno spettro si aggira per l'Europa. Non è, come scriveva Marx nel 1848, il comunismo, che ormai solo qualche imbroglione tenta di estrarre dal ripostiglio del passato e agita come uno spauracchio per i bambini. Oggi i fantasmi che saltano fuori dalle tenebre, come nel tunnel dell'orrore dei luna park, per spaventare i visitatori e gratificarli col brivido dello spavento, sono i nemici del relativismo, tutti coloro che hanno la sfrontatezza di usare ancora la parola «verità». Relativismo, parola malleabile e adattabile a piacere come un chewing gum, appare il sinonimo di libertà, tolleranza, civiltà; un distintivo che ogni benpensante deve portare all'occhiello, a scanso di equivoci.

Nel coro retorico e mediatico, il relativismo - al pari dei concetti a esso contigui o opposti, quali tolleranza e verità - viene spesso radicalmente svisato nel suo significato più alto e profondo. Il relativismo, correttamente inteso, non è la negazione della verità e men che meno del significato e della necessità della sua ricerca. Esso è un indispensabile sale, non una pietanza; è un correttivo irrinunciabile nella ricerca della verità, che impedisce di credersene possessori definitivi, pervenuti a una piena e indiscutibile conoscenza della verità e autorizzati a imporla agli altri. Questo relativismo - rivolto a tutti i dogmatismi, a tutte le parole d'ordine e a tutte le opinioni dominanti del momento, soprattutto alle proprie convinzioni - è la base della tolleranza e della libertà.

Ma c'è un altro relativismo che oggi detta legge come un dogma pacchiano, rinunciando a priori a cercare - certo a tentoni, perché nell'esistenza umana non è possibile altrimenti - una qualsiasi verità; rinunciando ad affermare qualsiasi valore, ponendo tutte le scelte morali sullo stesso piano, come in un menu in cui ognuno sceglie secondo i suoi gusti e le reazioni delle sue papille gustative. Chi si rifiuta di considerare l'etica come un supermarket è bollato, con intolleranza, quale retrogrado e reazionario. Tale relativismo è l'opposto di quel dubbio critico rivendicato, nella «Lettura» del 5 febbraio da Giulio Giorello quale elemento costitutivo della libertà e della ricerca.

È giusto e doveroso invece contestare il relativismo quale optional universale applicato alle scelte morali. Non occorre pensare a Benedetto XVI, bersaglio obbligato nel baraccone di tiro a segno del Circo mediatico. Sono alcuni filosofi del tutto estranei alla Chiesa e ad ogni Chiesa ad aver smascherato questo falso, pappagallesco e intollerante relativismo, vero lupo camuffato da agnello; ad esempio (ma non è certo il solo) Tito Perlini, figura di rilievo della sinistra minoritaria e critica italiana, una delle teste pensanti della nostra cultura che hanno capito più a fondo le trasformazioni epocali degli ultimi decenni. Ogni pensiero, religioso o no, che pretenda di essersi impossessato della verità come ci si impossessa di un oggetto o della formula di un esperimento è una retorica menzognera che facilmente degenera in dogmatismo persecutorio, come l'Inquisizione e tutti i fondamentalismi d'ogni genere. Ma ogni filosofia che rinuncia a essere ricerca della verità e del significato della vita si riduce a un mero protocollo di un bilancio societario, magari - in nome del rifiuto della verità - truffaldinamente falsificato.

Non possiamo vivere senza distinguere tra ciò che - almeno per noi - è relativo e ciò che - almeno per noi - è un assoluto. Pratiche religiose, morali sessuali, consuetudini del più vario genere, tradizioni anche profondamente sentite e radicate sono relative e relativi sono i doveri e i divieti che esse proclamano. Uccidere un bambino o schiavizzarlo in un lavoro bestiale, mandare gli ebrei ad Auschwitz non sono scelte relative, giustificabili o no a seconda del contesto sociale e culturale, ma sono - o almeno dobbiamo considerarli - un male assoluto. Probabilmente per la natura, per la forza di gravità e il moto degli astri, i Lager e i Gulag non contano più dell'estinzione dei dinosauri, ma per noi sì.

La crescente mescolanza di culture, costumi, religioni e civiltà, con i loro valori diversi, devono indurci a fare il massimo sforzo possibile per mettere in discussione noi stessi e i nostri valori, pronti ad abbandonarli se altri si rivelano più credibili; pronti a considerare relativo ciò che eravamo abituati a considerare e a sentire come immutabile, proprio perché, come è stato detto, ci saranno sempre purtroppo eschimesi pronti a rimproverare i neri del Congo di andare in giro poco vestiti.

Ma - afferma Todorov, altro pensatore illuminista che non ha nulla da spartire con le Chiese - dobbiamo stabilire alcuni, pochissimi, valori non più discutibili, ad esempio l'uguaglianza di diritti e la pari dignità di ogni persona indipendentemente dalla sua identità politica, etnica, religiosa, sessuale. Questo valore, ad esempio, per noi non è «relativo», lo viviamo come una verità esistenziale e morale. Poco importa se alcuni lo ritengono dato da un Dio su un monte o elaborato dalla coscienza umana come i due postulati fondamentali dell'etica di Kant, non meno universali dei dieci comandamenti.

Senza questa consapevolezza, il relativismo si degrada a indifferenza e ad arbitrio che, col pretesto di rispettare ogni opinione, può autorizzare la più atroce barbarie: io penso che non sia lecito sterminare gli ebrei, linciare i neri, mettere in manicomio i dissidenti politici o decapitare gli omosessuali, tu pensi invece di sì, ognuno ha diritto alla propria opinione e siamo tutti persone rispettabili. E invece va detto che chi pensa sia lecito trafficare con gli organi strappati a bambini o eliminare i disabili non è una persona rispettabile; è un porco o, nella migliore delle ipotesi, un imbecille condizionato da coatti pregiudizi sociali o razziali.

Ogni vero liberale crede, criticamente e senza presunzione, in un criterio di verità. In un incisivo articolo sul «Sole 24 Ore» del 15 gennaio Massimo Teodori, polemizzando giustamente contro tante prepotenze clericali, si richiama in generale al relativismo. Ma quando cita, con un profondo consenso che condivido pienamente, il divieto - vigente in Gran Bretagna - della clonazione umana considerata «eticamente inaccettabile», egli proclama un valore che non considera relativo come tanti altri.

Naturalmente è difficile individuare i valori da giudicare non più negoziabili, ma è in questo cammino e in questa ricerca che si gioca la più alta avventura della coscienza umana. Il relativista, per il quale tutto è interscambiabile, è invece - scrive Perlini - intollerante verso ogni ricerca di verità, in cui vede un pericolo per la propria piatta sicurezza, che egli si convince sia l'esercizio della ragione, così come scambia l'indifferenza etica per democrazia.

Un liberale a 24 carati quale Dario Antiseri ha sottolineato come l'autentica fede, proprio perché afferma di credere nella verità e non di sapere cosa sia la verità, si offre al dialogo senza la pretesa di possedere la chiave dell'assoluto. La fede, peraltro, a differenza di tante ideologie aiuta a non innalzare ad assoluto qualsiasi realtà umana, storica, sociale, politica, religiosa, ecclesiastica; può essere una difesa contro ogni idolatria e dunque contro ogni totalitarismo, che si presenta sempre come un falso assoluto che esige cieca obbedienza. I fondamentalismi di ogni genere - soprattutto, ma non soltanto quelli religiosi - hanno perseguitato anche sanguinosamente questa libertà e questa verità.

Il buon relativismo impedisce che la ricerca della verità si snaturi in tirannide spirituale e materiale. L'autentico illuminismo, fondamento della nostra civiltà inviso ai fondamentalisti clericali e anticlericali, è quello espresso da un genio della laicità quale Lessing, quando scriveva di non pretendere di possedere la verità, che spetta solo a Dio, e rivendicava per l'uomo la ricerca della verità - che non la raggiunge mai definitivamente ma è pur sempre ricerca di verità.

Certo, anche l'affermazione di una verità può essere strumento della volontà di potenza, come Nietzsche ha visto genialmente, e ciò accade quando si presume di «avere» la verità come presumono i fondamentalismi di ogni genere, trionfalmente bigotti o trionfalmente atei, aggressivamente e pateticamente impari alla vita. Non si può essere fanatici della verità, che può essere talora crudele e devastante; talvolta può essere umanamente doveroso tacerla o smussarla a chi può esserne dolorosamente ferito, ma ciò ha a che vedere con l'amore o almeno col rispetto degli altri e non con la sicumera relativista per la quale non esistono il vero e il falso. È giusto rimproverare ad esempio alla Chiesa cattolica tanti no da essa pronunciati, come dice il libro di Sergio e Beda Romano, ma in certi casi, insegna Camus, è con un no, con una posizione «contro» qualcosa che cominciano la libertà e la dignità. Troppe brave persone sono convinte, come ho sentito dire una volta a una signora al caffè, che Einstein sostenesse che tutto è relativo...

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