Athos. Il Sacro Monte della Grecia, di Franco Cardini
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Riprendiamo da Avvenire del 26/2/2011 un articolo scritto da Franco Cardini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sul Monte Athos, vedi su questo stesso sito Appunti sul monte Athos e sulla sua rilevanza nello sviluppo della Chiesa ortodossa, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (27/2/2012)
All’attracco del porticciolo di Dafnì, l’unico accesso marittimo della 'repubblica monastica' dell’Athos – le strade sono praticamente inesistenti –, il visitatore è accolto dall’orgoglioso garrire dell’antica bandiera imperiale bizantina, il vessillo dorato con al centro l’aquila nera bicipite più tardi rivendicata tanto dagli Asburgo quanto dagli czar di Russia. È il segno dell’indipendenza di un territorio che, a livello civile, resta pur parte della Grecia, ma che si autogoverna: circa duemila monaci distribuiti in 20 lavrai (monasteri) e un certo numero di skiti (celle), oltre a qualche centinaio di laici che vivono nell’àmbito delle molte attività gestite dai monasteri – dalla lavorazione del legno alla produzione dell’ottimo vino –, compreso un piccolo corpo di polizia.
Questo, per l’Athos, è un anno speciale: si celebra il 1040° anniversario del Typikon, il documento nel quale il basileus Giovanni Zimisce, imperatore romano d’Oriente (o 'bizantino', come siamo ormai abituati a dire noialtri), regolava definitivamente nel 972 la vita monastica dell’area, prescrivendo come l’attività dei grandi e ricchi conventi fondati dall’eremita Atanasio e influenzati dalla tradizione del monastero di Studion a Costantinopoli dovesse convivere con la vita e l’esperienza dei semplici anacoreti che fin da un secolo precedente, e forse ancora da prima, avevano cercato asilo in quel luogo remoto dal mondo.
Lo Hagion Oros («Monte Santo») dell’Athos, che corrisponde alla più nordorientale delle tre lunghe penisole che prolungano in direzione sud la Calcide culminando nella vetta dell’Athos vero e proprio (oltre 2000 metri, quasi sempre innevato), si raggiunge da Salonicco percorrendo la strada verso sud-est che giunge sino a Metochion, da dove si prosegue via mare appunto fino a Dafnì.
L’indipendenza della sua popolazione di monaci, riconosciuta dall’impero ottomano, venne rispettata anche dai vari governi greci: e perfino durante l’occupazione tedesca essa si mantenne salvandosi – sembra per diretto intervento di Hitler, sollecitato dai monaci – dall’annessione da parte della Bulgaria, alleata del Reich. Il governo della 'repubblica' è garantito da un sistema elettorale rigoroso e da una correttissima pratica di rotazione tra gli igoumenoi (abati) dei monasteri principali.
Nonostante alla penisola monastica sia interdetto l’accesso alle donne, un’archetipica sacralità femminile sembra regnarvi. Durante l’antichità qui sorgeva un tempio dedicato ad Artemide, centro di un culto molto intenso. Ma la penisola si andò spopolando nel corso del VI secolo e rimase un luogo selvaggio e impraticabile fino all’VIII-IX, quando alcuni eremiti cominciarono a impiantarvisi per vivere una vita il più possibile lontana dal mondo.
Ma la fama della loro santità e saggezza dovette diffondersi presto nell’impero: vediamo nell’843 alcuni monaci athoniti partecipare a Costantinopoli alla solenne cerimonia di restaurazione del culto delle immagini dopo la violenta parentesi iconoclasta; fu comunque l’imperatore Basilio I a riconoscere ufficialmente gli insediamenti anacoretici della penisola e ad accordar loro alcuni privilegi.
La «svolta cenobitica» si profilò più tardi, a metà del secolo X, quando il monaco Atanasio fondò la «grande Lavrà» di cui fu igumeno e che, con le ricchezze concesse dalla casa imperiale, parve mettere in pericolo il frugale e austero ritmo di vita degli anacoreti: l’accordo fu raggiunto appunto grazie al Typikon di Zimisce.
Più tardi giunsero monaci un po’ da ogni parte dell’impero e delle aree limitrofe: tessali, valacchi, georgiani, amalfitani, bulgari, serbi, russi; e il centro direzionale del complesso monastico, ripartito in grandi monasteri, i koinòbia nei quali si seguiva appunto la regola della vita cenobitica – cioè comune – e piccole celle anacoretiche, venne stabilito a Karyes, proprio dove a quanto pare era sorto nei tempi antichi il tempio sacro ad Artemide.
La quarta crociata, con l’effimera fondazione tra 1204 e 1261 di un impero latino di Costantinopoli, provocò nella vita dell’Athos un certo scompiglio: i 'franchi', cioè gli occidentali, dettero segni di voler obbligare i monaci athoniti a ricongiungersi con la Chiesa latina, superando lo scisma d’Oriente del 1054: e i re 'crociati' di Tessalonica, discendenti di Bonifacio marchese del Monferrato, ottennero in quest’àmbito qualche passeggero consenso.
Nonostante il Trecento fosse un secolo difficile, caratterizzato dalla decadenza dell’impero rifondato dopo la tempesta crociata e da guerre ed epidemie (come la 'peste nera' del 1347-52), fu allora che l’Athos conobbe un nuovo periodo di fioritura grazie a Gregorio Palamas, che tra 1316 e 1318 fu monaco al Monte e difese, sviluppò e infine – divenuto nel 1347 metropolita di Tessalonica, l’odierna Salonicco – impose la dottrina dell’esicasmo (termine greco derivante dalla parola hesykia, «pace, quiete, raccoglimento») che – a partire dalla Philokalìa o «Preghiera del Cuore», sosteneva una tecnica fondata sulla ripetizione del nome di Gesù accompagnata da un particolare ritmo respiratorio che avrebbe provocato la contemplazione radiosa di Dio e la gioia spirituale.
Pur attaccate e vilipese da molti, che – ad esempio Barlaam il Calabro – le deridevano come «contemplazione del proprio ombelico», le tecniche ascetiche dell’esicasmo si affermarono proprio sull’Athos grazie soprattutto all’opera di Niceforo l’Esicasta, autore del trattato Sulla semplicità e la custodia del cuore. La Chiesa ortodossa finì con l’adottarlo ufficialmente facendone fin dal concilio del 1351, grazie al Palamas, uno dei fondamenti della propria teologia; il che fu causa non ultima del suo ulteriore allontanarsi da quella cattolica, per quanto molti occidentali si sentissero attratti da questo tipo di pratica e di spiritualità: specie dopo che l’ebbero conosciuta grazie a un’opera anonima, i Racconti di un pellegrino russo, editi nel 1870 a Kazan e ammirati da personaggi come Gogol’ e Dostoevskij.
Oggi, molti europei e americani vanno ogni anno sul Monte Athos, ponendo soprattutto in estate qualche problema di ospitalità ai buoni monaci: tanto che per accedere al Santo Monte è ormai necessario un 'visto' simile a quello consolare, che viene concesso con una certa parsimonia. Pare che i cattolici e gli studiosi, che qui convergono attirati dalla ricchezza di biblioteche, archivi e opere d’arte, siano ben accetti: posso testimoniarlo per aver ricevuto, nel gennaio scorso, un’ospitalità cordiale e generosa.
Tutto ciò fa ben sperare per le prospettive, sia pur ancora piuttosto remote, di unificazione cattolico-ortodossa. I protestanti sono guardati con maggior sospetto; e chi facesse professione di simpatie new age farà bene a non palesarle. Il che mi pare buon segno.