Le decisioni irrevocabili nella vita cristiana: scelta di fede e scelta di uno stato di vita, orizzonte delle scelte particolari, di Klaus Demmer
Riprendiamo con un nostro titolo ed una nostra introduzione alcune pagine del capitolo VIII, intitolato “La decisione morale: un cammino” dal volume di K. Demmer, Introduzione alla teologia morale, Piemme, Casale Monferrato, 1993, pp. 84-90. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (5/2/2012)
Indice
- Nota previa de Gli scritti per facilitare la comprensione del testo
- Dal capitolo La decisione morale: un cammino dal volume di K. Demmer, Introduzione alla teologia morale
- Note al testo
Nota previa de Gli scritti per facilitare la comprensione del testo
La prospettiva morale di Klaus Demmer aiuta a percepire come la vita umana può essere armonica ed unitaria o confusa e frammentaria. Egli individua nelle scelte libere che compiamo tre livelli diversi in relazione fra loro che chiama “opzione fondamentale”, “opzione vitale” e “decisioni singole”. Potremmo chiamare questi tre tipi di scelte con una diversa terminologia: “scelte sul senso della vita”, “scelte di uno stato di vita” e “scelte particolari”.
La scelta di credere in Dio e di essere cristiani può essere presa come l’esempio più chiaro di cosa sia la “scelta sul senso della vita”. Una persona è credente e spera ed ama, anche se, dopo essersi sposato dovesse poi vivere la tragedia del lutto del coniuge: egli non smetterebbe di amare, credere e sperare, proprio perché la sua “scelta sul senso di vita” permarrebbe ed anzi lo sosterrebbe nel dolore.
Come “scelta di uno stato di vita” si può prendere ad esempio il matrimonio. La scelta di credere e di donare tutta la vita per amore si concretizza in questo caso in una decisione, quella del matrimonio - e poi nella disponibilità alla fecondità - che conferisce unità all’intera esistenza. In qualche modo, senza questa scelta di vita, la “scelta di un senso alla vita” resterebbe mancante di qualcosa – ne è prova la sofferenza e l’incertezza che crea l’assenza di questa scelta. D’altro canto la “scelta di uno stato di vita” sarebbe più povera senza la “scelta di un senso alla vita”.
Le scelte particolari sono anch’esse importanti: da un lato preparano le scelte più ampie e, d’altro canto, le sostengono. Una persona, ad esempio, che si rifiutasse di pregare o di confessarsi, avrebbe più difficoltà a vivere bene la sua “scelta sul senso della vita” e la sua “scelta di uno stato di vita”. Ma certamente sono le prospettive più ampie a conferire pienamente senso alle singole decisioni ed alle norme legate ad esse: senza un orizzonte più ampio correrebbero il rischio di restare atti isolati dal cuore dell’individuo stesso.
Questa tripartizione può aiutare, nella prospettiva di K. Demmer, a camminare nel desiderio di unificare l’esistenza dell’uomo, fermo restando che non sempre è possibile maturare pienamente tutte queste dimensioni e che la vita umana trova la sua bellezza e dignità nel servizio di Dio e dei fratelli vissuto a partire dalla condizione in cui concretamente ognuno si trova.
Il Centro culturale Gli scritti (5/2/2012)
Dal capitolo La decisione morale: un cammino dal volume di K. Demmer, Introduzione alla teologia morale
1/ Libertà all'autodeterminazione
Le norme sono date per essere trasferite nella realtà. La dinamica di questo processo merita un'attenta riflessione. Il comune modello di un prolungamento piatto e aproblematico delle norme nella materia grezza dello spazio e del tempo non rispetta la complessa verità dell'agire morale. Ma allora, da che punto partire? Sembra opportuno iniziare con una riflessione sulla comprensione della libertà, concetto non solo familiare a tutti ma anche desiderata da tutti, al di là di tutti i significati che questo termine può assumere.
Nell'uso comune la parola «libertà» assume anzitutto il senso di libertà di scelta (libertas arbitrii) ed indica la capacità di ciascuno di scegliere tra diversi oggetti. Limitarsi però solo a questo significato comporta necessariamente percepire la norma come restrizione, un «gravamen libertatis». Sorge il dubbio che questa non sia ancora la piena essenza della libertà.
La prospettiva cambia e ci permette di aderire maggiormente alla realtà se si inizia a comprendere la libertà come libertà essenziale; in altri termini come capacità di attuare il bene riconosciuto come tale e quindi di auto determinarsi. Questa visione permette di rischiare un progetto su degli ideali, su una meta di vita pienamente riuscita e sensata conferendo alla decisione morale, intesa come adempimento della norma, una sfumatura del tutto singolare.
Le norme in questo senso non restringono la libertà ma abilitano tutte le sue capacità, non sono un peso ma un dono, un gesto di solidarietà nell'ambito di una comunità fraterna. Prendere una decisione morale significa quindi non fuoriuscire da questo ambito, in cui il singolo non è abbandonato ad una norma, che forse lo impegna fino al limite delle sue forze, ma in cui la comunità lo accompagna per un tratto di strada. È in base a ciò che le norme devono essere trasparenti, altrimenti non assolvono il loro compito, non costruiscono ma schiacciano e conducono alla rassegnazione se non addirittura al cinismo[1].
2/ Opzione fondamentale e scelta di vita
Una decisione morale non è una verità unidimensionale ma raggiunge una profondità che si sottrae ad uno sguardo superficiale. La sua intima verità, il suo nucleo operativo è rappresentato dall'opzione fondamentale[2]. Con questo termine si intende la ferma decisione della libertà per Dio come fonte di salvezza e sorgente di tutti i comandamenti.
Nell'opzione fondamentale l'uomo si progetta verso Dio, in Lui trova la sua felicità e la sua pienezza; i suoi pensieri vertono verso l'infinito, conferendo alla sua prassi morale stabilità ed inequivocabile dinamicità. L'opzione fondamentale spesso rimane sullo sfondo della consapevolezza, è pre-riflessa, ma ciò non diminuisce assolutamente la sua efficacia.
In quanto libera non va capita meccanicamente, poiché può sempre essere distrutta dal peccato che lentamente ma anche inevitabilmente la disgrega e le fa perdere dinamicità. Ma quando esplica la sua efficacia, ogni singola decisione morale appare come una sua ratifica interpretativa nel tempo e nello spazio.
Nell'opzione fondamentale c'è un centro gravitazionale che producendo una specie di decisione previa da cui trae vantaggio ogni singola decisione, dà il necessario sostegno a tutto l'agire morale. Ma una pre-decisione può diventare efficace soltanto se le corrisponde una pre-comprensione. Nell'opzione fondamentale è perciò contemporaneamente presente una conoscenza previa del proprio compimento eterno. Se Tommaso d'Aquino designa la fede come una «praelibatio visionis beatificae», allora l'opzione fondamentale è il luogo ermeneutico privilegiato della sua configurazione antropologica[3].
Un secondo centro gravitazionale della prassi morale può essere identificato con una scelta di vita. Ogni uomo lega del tutto spontaneamente alla sua vita un senso di unicità che per essere tradotto nella realtà necessiterà di una vita intera. Ciò si verifica in modo molto evidente nella scelta di uno stato di vita, in cui dimensione personale ed istituzionale formano una unità indissolubile. La scelta di vita, avendo in sé l'esigenza di riempire tutta la vita, si sostituisce all'unicità dell'io, in modo tale che ognuno originariamente vi si riconosca.
Nella vita ecclesiale si incontrano i tre stati classici di vita: il matrimonio, il sacerdozio e la vita consacrata che come tali godono della pubblica protezione giuridica. Accanto a queste esistono forme private di legami che nel singolo caso possono ugualmente richiedere una scelta irrevocabile. Può accadere che qualcuno scopra nella propria professione una vocazione ed impegni tutta la vita.
È chiaro che una scelta di vita non nasce come un fungo ma è sempre preparata da una lunga antestoria, forse rimasta anche sconosciuta per un certo periodo di tempo. Ognuno, prima di dare espressione e conferma pubblica alla propria forma, vi cresce lentamente con lo stimolo dell'ambiente, il discernimento personale e le esperienze vitali. Quanto segue in fondo non è altro che il continuo tentativo di riconfermare la scelta una volta operata, maturarvi e di conquistare spiritualmente passo dopo passo la promessa di felicità e di soddisfazione contenuta, cercando di tradurla nella vita quotidiana.
Sembra semplicemente consequenziale dire che ogni concreta decisione morale è un prolungamento interpretativo della scelta di vita. Ognuno si realizza alla luce di quella forma che ricapitola ed esprime la totalità dell'io. Per una decisione di vita si adoperano le migliori forze, anzi la propria vita, e si rivela in forma pienamente personalizzata la comune chiamata alla salvezza[4].
3/ L’etica delle virtù
La teologia morale attuale è attenta alla dimensione profonda delle decisioni morali e sa che non possono essere pienamente capite se le si prende isolatamente e le si valuta come se fossero grandezze astratte. Essendo invece inserite in una lunga storia vitale con tutti i suoi alti e bassi, vanno piuttosto valutate come auto rivelazioni del loro protagonista.
Ogni decisione etica appartiene ad una storia vitale e rispecchia il grado di maturità morale che di volta in volta è stato raggiunto. In tal senso non deve meravigliare se la dottrina classica delle virtù ritorna ad essere centro di interesse. Il moralista è sempre più cosciente, quindi responsabile nella sua riflessione, del fatto che le azioni derivano da atteggiamenti, da un'attiva e costante disposizione dell'agente.
Ciò non significa assolutamente che la riflessione precisa e normativa diventi superflua. Se in un mondo pluralistico e centrifugo non si vuole che la vita morale si sgretoli e si areni completamente, devono esserci norme capaci di suscitare consenso. Ma bisogna aggiungere, a modo di correzione, che le norme non sono tutto e che neppure un'intensa riflessione normativa sarà mai capace di fare fronte alla complessità della vita. Si aggiungono sempre nuove prospettive che non erano state ancora mai considerate e si cerca perciò di cogliere le idee portanti che stanno dietro le norme; al posto della precisione si pretende la profondità.
Questo - come è stato detto - è il tempo per una rinnovata etica delle virtù, capace di accogliere le nuove sfide. San Tommaso d'Aquino offre degli aiuti irrinunciabili per la loro comprensione e il suo pensiero resta tuttora attuale. Ha diverse definizioni della virtù, che si integrano. Così una volta parla della virtù come «habitus operativus boni» (S. Th. I-II q. 55 a. 2): una disponibilità intenzionale dell'uomo a compiere «prompte, faciliter et delectabiliter» il bene riconosciuto come tale.
J. Pieper, un interprete autorevole di Tommaso, ne parla come «uno stare all'erta ad operare il bene». Grazie alla virtù penetra sicurezza nell'agire; una decisione previa diviene operativa e predetermina l'esito di ogni scelta morale.
San Tommaso aggiunge un'ulteriore prospettiva, quando caratterizza la virtù come «ultimum potentiae» (S. Th. I-II q. 55 a. 1). È il vertice dell'impegno morale. Nell'uomo virtuoso non si può parlare di tiepida mediocrità ma si raggiungono piuttosto le massime prestazioni che stimolano la propria forza fino in fondo. Ciò può riuscire in fin dei conti soltanto attraverso una testimonianza vitale, ma la propria vita è appena sufficiente per la verità morale e il virtuoso ne è ben cosciente.
Come egli è affascinato dal bene riconosciuto, così affascina anche gli altri, la cui vita è minacciata di affondare nella mediocrità. A Tommaso non è neppure sfuggito che la virtù è anche una qualità spirituale, egli parla infatti della «qualitas mentis qua recte vivitur» (S. Th. I-II q. 55 a. 4) ed intende una «connaturalitas» spirituale con il bene, una specie di affinità spirituale che produce un'istintiva sicurezza morale. Nel singolo caso sicuramente anche il migliore degli uomini può sbagliare ma vi è la fondata supposizione che un tale errore rimanga periferico e che prima o poi si lasci superare, visto che il virtuoso è sufficientemente umile per cercare ed accettare una critica franca.
San Tommaso d'Aquino, pensando da teologo, fonda di conseguenza l'edificio delle virtù morali ed intellettuali semplicemente in Dio e non sulle quattro virtù cardinali della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, perché vede come ultimo criterio della vita morale le virtù infuse teologali della fede, speranza e carità.
Il credente radica la sua vita nelle profondità della Trinità e, responsabilizzato dalla fede, progetta la sua storia di vita nelle singole decisioni morali. Ciò non significa - e la teologia morale su questo vigila - che il virtuoso può rinunciare alle norme.
L'unità del mondo vitale che ai tempi di Aristotele o di Tommaso d'Aquino appariva ancora scontata, è oggi frantumata e l'uomo moderno è caratterizzato da una rottura interna al suo rapporto con il mondo, che problematizza non appena è rimandato alla sua interiorità e alla sua autocoscienza normativa. Per questo motivo, se non avesse a disposizione della norme plausibilmente fondate, non riuscirebbe a sopravvivere in un mondo pluralistico ma sarebbe schiacciato dalla repressiva e onnipresente tolleranza, fino a perdere la propria identità.
Le norme sono gesti pubblici di solidarietà intellettuale che senza dubbio circoscrivono dei doveri, ma sarebbe un equivoco se li si volesse comprendere come pesi opprimenti o se vi si vedesse all'opera la mentalità dell'homo faber, un pensiero unicamente orientato ad una prestazione oggettiva che sorpassa i bisogni della persona.
Le norme rimandano piuttosto i loro destinatari ad uno spontaneo sovrappiù. Mettono a disposizione delle grandezze di riferimento irrinunciabili e non raramente lasciano sufficiente spazio per un giudizio personale, soprattutto nell'ambito dell'impegno soggettivo. Le norme si accontentano solo a prima vista di un'azione ordinaria mentre le opere straordinarie trovano spazio abbondante nella misura in cui il singolo si sforza di diventare una personalità morale, sviluppando una fisionomia inconfondibile che supera nel suo rapporto con la norma il semplice adempimento materiale e che è messa alla prova soprattutto nei rapporti interpersonali. Se la virtù non giunge a formare il cuore fallisce il suo scopo[5].
4/ Le strutture della singola decisione
Le singole decisioni morali sottostanno alla dinamica di questi presupposti intrinseci all'agente stesso, non vanno perciò comprese come grandezze isolate e statiche. La loro essenza non può essere scoperta da un modo di pensare orientato puramente all'oggettività. Ogni singola decisione è a sua volta ancora una realtà complessa, in cui sono presenti diverse dimensioni che formano un'unità di esecuzione in tensione.
Note al testo
[1] G. PIANA, Libertà e responsabilità, in F. COMPAGNONI et al. (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1990, pp. 658-674; P. VALORI, Il libero arbitrio, Rizzoli, Milano 1987.
[2] K. DEMMER, Opzione fondamentale, in F. COMPAGNONI et al. (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia Morale, cit., pp. 854-861; S. DIANICH, Opzione fondamentale, in L. ROSSI - A. VALSECCHI (a cura di), Dizionario enciclopedico di Teologia Morale, Edizioni Paoline, Roma 1974, pp. 694-705. Per la dimensione spirituale si veda B. HARING, Vita in Cristo: Il «Sì» riconoscente alla legge dello Spirito, in «Studia Moralia» 25 (1987), pp. 279-297.
[3] Primi tentativi dell'introduzione nella teologia morale presso J. FUCHS, Libertà fondamentale e morale, in AA.vv., Libertà - liberazione nella vita morale, Queriniana, Brescia 1968, pp. 43-64.
[4] K. DEMMER, Die Lebensentscheidung. Ihre moraltheologischen Grundlagen, Schoningh, Paderborn 1974; H. KRAMER, Scelte irrevocabili. Pretese di un'ideologia o aiuto per la formazione della propria personalità cristiana?, in T. GOFFI (a cura di), Problemi e prospettive di Teologia Morale, Queriniana, Brescia 1976, pp. 117-138; K. DEMMER, La decisione irrevocabile. Riflessioni sulla teologia della scelta di vita, in «Communio» 16 (1974), pp. 9-17; H. WATIIAUX, La fidélité, repères bibliographiques, in «Revue Théologique de Louvain» 5 (1974), pp. 211-219; 349-359.
[5] G. ABBÀ, Lex et virtus. Studi sull’evoluzione della dottrina morale di san Tommaso d’Aquino, LAS, Roma 1983; Id., L’apporto dell’etica tomista all’odierno dibattito sulle virtù, in «Salesianum» 52 (1990), pp. 799-818. Si prende in considerazione in modo particolare il dibattito nell’ambito anglo-sassone.