«Il clero comprese subito la solennità dell’ora, e, trascurando ogni umano miraggio di fronte al supremo interesse delle anime, accettò ed amò i sacrifici più amari, i pericoli più gravi, i distacchi più dolorosi e si diede interamente (specialmente i cappellani del fronte) e senza riserva alle anime». I cappellani militari nella grande guerra (da Giovanni Semeria)
Presentiamo on-line sul nostro sito un breve testo di padre Giovanni Semeria (1867-1931), barnabita. L’autore che volle mantenere celata la propria identità, ma che si firmava “P. S.” (è facile comunque riconoscere, anche dal tenore dello scritto, il P. Semeria), descriveva, a guerra inoltrata, lo status del Cappellano militare (P. S., Ieri - oggi - domani, in «Il prete al campo», Anno III, n° 17, 1° settembre 1917, rubrica Note apologetiche, pp. 235-236). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (5/2/2012)
Siamo ormai all’epilogo — speriamo — di questo triste dramma di guerra, e si può incominciare a tirar le somme e a fare i confronti… senza intendere di fare degli affronti a nessuno. I cappellani militari sono stati più o meno apostoli improvvisati. Giovani usciti appena di seminario, preti che conducevano forse vita esclusivamente di studio, timidi scagnozzetti (mi si scusi il termine, che non vuol essere offensivo) abituati soltanto alle tradizionali funzioncine o funzioncione di chiesa, fraticelli inesperti della vita del mondo, uomini avvezzi alle piccole… e grandi comodità di una vita tutta tranquilla. Qualcuno ha mosso qualche lamento perché non sono stati scelti all’ufficio di cappellano militare esclusivamente quelli che avevano già una preparazione pratica di ministero fra i giovani, o erano abituati a trattare un po’ con il mondo ed a conoscerne le malizie ed i bisogni. Ma chi ha un po’ di comprendonio deve capire che la mancata scelta è conseguenza proprio della guerra: infatti furono chiamate prima le classi più giovani, e perciò i preti più giovani e perciò i cappellani più giovani; e fu necessario approntare in pochi giorni circa ottocento cappellani per i combattenti, e poi affrettare la nomina degli altri man mano che ce n’era bisogno. Manchevolezze, errori involontari, non saranno mancati, ma al principio si è dovuto provvedere d’urgenza, e i provvedimenti d’urgenza hanno inevitabilmente qualche difetto. Ma è doveroso e consolante constatare come, nonostante questa improvvisazione di giovani preti a cappellani militari, il risultato sia stato superiore ad ogni previsione, tanto che gli stessi avversari han dovuto riconoscere privatamente e pubblicamente, ed elogiare nei discorsi e sulla stampa, l’opera dei cappellani del nostro glorioso esercito. La gran massa di questi cappellani si sono conquistati il cuore dei soldati e perciò della nazione, e, toltene alcune assai rare eccezioni, han mostrato di saper comprendere ed assolvere il difficile compito loro affidato dalla Chiesa e dalla Patria. Non è ora nostra intenzione tessere un elogio, che potrebbe sembrare inopportuno. Vogliamo soltanto constatare un fatto che torna a lode di tutto il giovane clero italiano, e trarne qualche pratica conseguenza. Quali sono le ragioni di questa bella riuscita? Quali furono i mezzi per ottenerla? Le ragioni sono semplicissime. Il clero comprese subito la solennità dell’ora, e, trascurando ogni umano miraggio di fronte al supremo interesse delle anime, accettò ed amò i sacrifici più amari, i pericoli più gravi, i distacchi più dolorosi e si diede interamente (specialmente i cappellani del fronte) e senza riserva alle anime. Le comodità, le comode tradizioni, gli affetti domestici, gli interessi materiali, la vita propria, tutto passò in seconda linea, e trionfò soltanto la sublime carità di Cristo. I sacerdoti non furono più soltanto sacrificatori all’altare, ma furono anche sacrificati: ecco la ragione per tanta efficacia di bene. E i mezzi quali furono? I mezzi furono anzitutto la perfetta disciplina, poi l’essersi accomunati coi giovani, aver vissuto con loro, aver pianto e gioito realmente con loro, averli amati ed essersi fatti amare. Se così è, o confratelli sacerdoti, rendiamo a Dio le grazie più sincere, perché la sua Misericordia ci ha aiutato; rallegriamocene con noi stessi, perché la sua Provvidenza ci ha mostrato che possiamo far molto più di quanto forse non avevamo fatto finora. Finirà la guerra, e, se a Dio piacerà, riprenderemo tutti i nostri posti di prima. Ma come li riprenderemo? Per ritrovare i comodi, gli affetti, i lucri, gli onori, le tristi tradizioni? … No, non mai. La guerra ci ha insegnato quali siano i mezzi per operare il bene, e noi nel dopo-guerra li attueremo con lo stesso slancio di questi mesi memorandi, dimenticheremo completamente noi stessi, e con l’aiuto di Dio condurremo le anime alla conquista della Patria eterna.