Ritiro di Natale 2011. Attraverso i personaggi del Presepe incontro al Bambino Gesù (file audio di una meditazione di Andrea Lonardo)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /12 /2011 - 23:32 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo ad experimentum in vista della futura messa a disposizione di file audio la registrazione di una meditazione tenuta da Andrea Lonardo il 4/12/2011 presso la parrocchia di S. Giustino in Roma.

Il Centro culturale Gli scritti (6/12/2011) 

Ascolto

Download rit_natale11.mp3.

Riproducendo "rit natale11".



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Testi utilizzati nel ritiro

da d. Andrea Santoro
Ringrazio quanti non ho conosciuto perché mi hanno concesso di vivere accanto a loro e di amarli anche se a distanza. Sempre ho pregato per loro e sempre li ho pensati a me vicini, soprattutto la sera quando guardavo le finestre illuminate delle case e a messa quando, alzando il calice del sangue di Cristo dicevo: “questo è il calice del mio sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”. In quel “tutti” comprendevo proprio tutti, nessuno escluso. Nel mio cuore, andando via, porterò ogni persona conosciuta e non conosciuta della parrocchia: sono le pecorelle, i figli, i “pesciolini” affidati alla mia pesca e destinati alla rete del Regno di Dio.

da piccola sorella Magdeleine fondatrice delle Piccole sorelle di Gesù
«Da diversi anni sogno, come se la vedessi, una nuova immagine della Madonna. Non una Madonna che stringe teneramente fra le braccia il suo piccolo Gesù, ma che invece lo porge al mondo: e il suo piccolo Gesù ha solo qualche mese, è avvolto in fasce e così, sdraiato fra le sue mani, la Madonna lo porge con un gesto che dovrebbe essere così eloquente che tutti abbiano voglia di prenderlo».
«[Agli artisti:] che Maria vi aiuti a realizzare il più bello dei suoi gesti, il suo atteggiamento più vero, quello che dà alla sua vita tutta la ragion d'essere: quella di donare al mondo il suo piccolo Gesù. Non continuate a porglielo tra le braccia perché lo guardi con tenerezza. Quel bambino non è per lei soltanto. Non accontentatevi di farglielo presentare al mondo, ma che essa, senza rimpianti e tutta felice di offrirlo, lo tenda a tutti quelli che vorranno prenderglielo! Fatela molto bella, perché molto giovane, molto pura, molto pia, molto sorridente».

da Benedetto XVI

E che cosa si potrebbe dire e pensare di più grande sull’uomo del fatto che Dio stesso si è fatto uomo?
dall'omelia di Benedetto XVI nella messa del 29 settembre 2007

Non vogliamo credere che la verità è bella. In base alla nostra esperienza alla fine la verità il più delle volte è crudele e sporca. E quando per una volta non sembra essere così, allora ci mettiamo a scavare fino a che non vediamo confermati i nostri sospetti.
Una volta è stato detto dell’arte che è al servizio del bello, e che il bello a sua volta è splendor veritatis, splendore di verità, la sua luce interiore. Ma oggi l’arte il più delle volte ritiene che il suo compito più alto sia quello di smascherare l’uomo come essere immondo e disgustoso. Se pensiamo ai drammi di Bertolt Brecht, ci accorgiamo che anche in essi tutto il genio del poeta è teso a svelare la verità, ma non più per mostrarne la luce, bensì per dimostrare che la verità è sporca, che la sporcizia è la verità. L’incontro con la verità non nobilita più, anzi degrada. Da ciò il dileggio sul Natale, la derisione della nostra gioia. E in effetti, se Dio non esiste, non c’è alcuna luce, c’è solo terra sporca. In questo consiste la verità davvero tragica di una simile "poesia".[...]
Egli è venuto come un bambino per vincere la nostra superbia. Forse ci saremmo arresi più facilmente di fronte alla potenza, di fronte alla saggezza. Ma egli non vuole la nostra resa, vuole il nostro amore. Vuole liberarci dalla nostra superbia e renderci così veramente liberi. Lasciamo dunque che la gioia di questo giorno pervada la nostra anima. Non è un’illusione. È la verità. Perché la verità –la più alta, la più autentica- è bella. Ed è buona. Incontrarla fa bene agli uomini. La verità parla con le parole del bambino che è il figlio di Dio.
dall’omelia dell’allora cardinal J. Ratzinger per il Natale 1977, in J. Ratzinger - Benedetto XVI, Sul Natale, Lindau, 2005, pp.65-66

da J. Jeremias, Teologia del Nuovo Testamento, I, Paideia, Brescia, 1972, p. 182
Che significa ‘diventare di nuovo come un bambino’? Il tertium comparationis è forse l’umiltà (cfr. Mt 18,4)? È ben difficile, poiché l’ambiente di Gesù non offre alcun caso parallelo in cui il bambino figuri come tipo dell’umiltà. Oppure il termine di paragone è la purezza dei bambini? Anche questa idea non è familiare all’antico giudaismo palestinese. Sulla giusta pista potrebbe condurci T.W. Manson, quando osserva che Mt 18,3 par. potrebbe essere in rapporto con l’invocazione di Dio come ‘abbà’. Questa sarà in realtà la soluzione: ‘diventar di nuovo bambino’ significa imparare a dir di nuovo ‘abbà’. Abbiamo così individuato il movimento centrale di ciò che è la penitenza. Convertirsi vuol dire imparare a dire di nuovo ‘abbà, riporre tutta la propria fiducia nel Padre celeste, ritornare nella casa paterna e tra le braccia del Padre. La prova che questa interpretazione non sia del tutto errata ce la fornisce Lc 15,11-32. La penitenza del figliol prodigo consiste nel tornare a casa da suo padre. In definitiva la penitenza è nient’altro che l’abbandonarsi alla grazia divina.

da Santa Tersa di Lisieux
132 - Se il Cielo mi colmava dì grazie, non era già perché io le meritassi, ero ancora tanto imperfetta! Avevo, è vero, un gran desiderio di praticare la virtù, ma lo facevo in un buffo modo, ecco un esempio: poiché ero l’ultima, non ero avvezza a servirmi, Celina faceva la camera ove dormivamo e io non facevo nessun lavoro domestico; dopo che Maria fu entrata nel Carmelo, mi accadeva talvolta, per far piacere al buon Dio, di rifarmi il letto, oppure, in assenza dì Celina, rimettere dentro, a sera, i suoi vasi da fiorì: come ho detto, era per il buon Dio solo che facevo quelle cose, perciò non avrei dovuto attendere il grazie delle creature. Ahimé! Le cose andavano ben diversamente; se per disgrazia Celina non aveva l’aspetto felice e stupito per i miei servizietti, non ero contenta, e glielo provavo con le lacrime... Ero veramente insopportabile per la mia sensibilità eccessiva. Così, se mi accadeva di dare involontariamente un po’ di dispiacere a qualcuno cui volessi bene, invece di dominarmi e non piangere, ciò che ingrandiva il mio errore anziché attenuarlo, piangevo come una Maddalena, e quando cominciavo a consolarmi della cosa in sé, piangevo per aver pianto... Tutti i ragionamenti erano inutili e non potevo arrivare a correggermi di questo brutto difetto.

133 - Non so come io mi cullassi nel pensiero caro di entrare nel Carmelo, trovandomi ancora nelle fasce dell'infanzia! Bisognò che il buon Dio facesse un piccolo miracolo per farmi crescere in un momento, e questo miracolo lo compì nel giorno indimenticabile di Natale
(N.d.T. Notte tra il venerdì 24 e sabato 25 dicembre 1886); in quella notte luminosa che rischiara le delizie della Trinità Santa, Gesù, il Bambino piccolo e dolce di un’ora, trasformò la notte dell’anima mia in torrenti di luce... In quella notte nella quale egli si fece debole e sofferente per amor mio, mi rese forte e coraggiosa, mi rivestì delle sue armi, e da quella notte benedetta in poi, non fui vinta in alcuna battaglia, anzi, camminai di vittoria in vittoria, e cominciai, per così dire, una "corsa da gigante" (N.d.T. Sal 18, 6). La sorgente delle mie lacrime fu asciugata e non si aprì se non raramente e difficilmente, e ciò giustificò la parola che mi era stata detta: "Piangi tanto nella tua infanzia, ché più tardi non avrai più lacrime da versare!".
Fu il 25 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire dall'infanzia, in una parola la grazia della mia conversione completa. Tornavamo dalla Messa di mezzanotte durante la quale avevo avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente. Arrivando ai Buissonnets mi rallegravo di andare a prendere le mie scarpette nel camino, quest’antica usanza ci aveva dato tante gioie nella nostra infanzia, che Celina voleva continuare a trattarmi come una piccolina, essendo io la più piccola della famiglia...

A Papà piaceva vedere la mia felicità, udire i miei gridi di gioia mentre tiravo fuori sorpresa su sorpresa dalle "scarpe incantate" e la gaiezza del mio Re caro (N.d.T. con l’espressione "il mio Re" Teresa designava il suo papà) aumentava molto la mia contentezza, ma Gesù, volendomi mostrare che dovevo liberarmi dai difetti della infanzia, mi tolse anche le gioie innocenti di essa; permise che Papà, stanco dalla Messa di mezzanotte, provasse un senso di noia vedendo le mie scarpe nel camino, e dicesse delle parole che mi ferirono il cuore: "Bene, per fortuna che è l’ultimo anno!... ". lo salivo in quel momento la scala per togliermi il cappello, Celina, conoscendo la mia sensibilità, e vedendo le lacrime nei miei occhi, ebbe voglia di piangere anche lei, perché mi amava molto, e capiva il mio dispiacere. "Oh Teresa! - disse - non discendere, ti farebbe troppa pena guardare subito nelle tue scarpe". Ma Teresa non era più la stessa, Gesù le aveva cambiato il cuore! Reprimendo le lacrime, discesi rapidamente la scala, e comprimendo i battiti del cuore presi le scarpe, le posai dinanzi a Papà, e tirai fuori gioiosamente tutti gli oggetti, con l’aria beata di una regina. Papà rideva, era ridiventato gaio anche lui, e Celina credeva di sognare! Fortunatamente era una dolce realtà, la piccola Teresa aveva ritrovato la forza d’animo che aveva perduta a quattro anni e mezzo (N.d.T. al momento della morte della madre), e da ora in poi l’avrebbe conservata per sempre!

134 - In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita, più bello degli altri, più colmo di grazie del Cielo. In un istante l’opera che non avevo potuto compiere in dieci anni, Gesù la fece contentandosi della mia buona volontà che non mi mancò mai.
Come i suoi apostoli avrei potuto dirgli: "Signore, ho pescato tutta la notte senza prender nulla"; più misericordioso ancora per me che non per i suoi discepoli, Gesù prese egli stesso la rete, la gettò e la tirò su piena di pesci. Fece di me un pescatore di uomini, io sentii un desiderio grande di lavorare alla conversione dei peccatori, un desiderio che non avevo provato così vivamente... Sentii che la carità mi entrava nel cuore, col bisogno di dimenticare me stessa per far piacere agli altri, e da allora fui felice!

(dal Manoscritto autobiografico A)

Sullo stesso incontro di grazia insiste un altro testo di Teresa, una lettera inviata a p.Roulland, che completa le indicazioni, della Storia di un anima:

La notte di Natale del 1886 fu, è vero, decisiva per la mia vocazione, ma, per essere più esatta, devo chiamarla: la notte della mia conversione. In questa notte benedetta, della quale è scritto che rischiara le delizie stesse di Dio
(N.d.T. Sal 138, 10 Et nox illuminatio mea in deliciis meis), Gesù che si faceva bambino per amore mio, si degnò di farmi uscire dalle fasce e dalle imperfezioni dell’infanzia, Mi trasformò in modo tale da non riconoscermi più. Senza questo cambiamento, sarei dovuta restare ancora chi sa quanti anni nel mondo. Santa Teresa, la quale diceva alle sue figlie: "Voglio che non siate donne in nulla, ma uguali in tutto ad uomini forti" (N.d.T. S.Teresa d’Avila. Cammino di perfezione, 7, 8), santa Teresa non avrebbe voluto riconoscermi per sua Figlia, se il Signore non m’avesse rivestito della sul forza divina, se non m’avesse armata lui stesso per la guerra.
(dalla lettera a p.Roulland dell’1/11/1896)

Quale è allora il cuore del messaggio teresiano? Esso non risiede né nell’amore alle piccole cose, né nell’aspirazione alle grandi opere compiute per Dio. Esso consiste piuttosto nella totale confidenza nella misericordia che Dio ha per Teresa, desideri essa le piccole o le grandi cose. Il punto di riferimento non è interno, ma esterno. E’ la contemplazione dell’immensa misericordia di Dio. E’ questa "speranza cieca" di essere figlia del Padre il punto fermo di tutto un cammino di santità. Così lo descrive la stessa Teresa in un’altra lettera, scritta a sr. Maria del Sacro Cuore:
J. M. J. T.
17 settembre 1896
Gesù

Mia cara sorella,
Non mi trovo per nulla imbarazzata a darle una risposta... Come può chiedermi se può amare il buon Dio come me?... Se avesse capito la storia del mio uccellino
(N.d.T. allude ad un passo del Manoscritto autobiografico B), non mi farebbe una simile domanda. 1 miei desideri di martirio sono un bel nulla e non è di qui che nasce quella fiducia illimitata che sento nel cuore. A dir la verità, son proprio ricchezze spirituali che rendono ingiusti (N.d.T. Lc 16, 11), quando ci si appoggia ad esse con compiacenza e si crede che siano qualcosa di grande.
Questi desideri sono una consolazione che Gesù concede talvolta alle anime deboli come la mia (e queste anime sono numerose), ma quando non dà questa consolazione, è una grazia di privilegio. Si ricordi delle parole del padre
(N.d.T. P.Pichon, S. J., in un ritiro predicato alle Carmelitane di Lisieux, nell'ottobre 1887): "I martiri hanno sofferto con gioia e il Re dei martiri ha sofferto con tristezza".
Sì, Gesù ha detto: "Padre, allontana da me questo calice!".
Dopo tutto ciò, come può dire, sorella cara, che i miei desideri sono il segno del mio amore? Ah! sento bene che non è affatto questo che piace al buon Dio nella mia piccola anima. Quello che piace a lui, è di vedermi amare la mia piccolezza e la mia povertà, è la speranza cieca che ho nella sua misericordia. Ecco il mio solo tesoro, madrina cara. Perché questo tesoro non potrebbe essere il suo?...

Un passo teresiano, in particolare, pensiamo possa essere letto come figura di tutta la teologia spirituale di Teresa di Lisieux e servire come sintesi della sua proposta di "dottore della Chiesa".

Sono veramente lontana dall'essere una santa, solo questo ne è già la prova; invece di rallegrarmi per la mia aridità, dovrei attribuirla al mio poco fervore e fedeltà, dovrei sentirmi desolata perché dormo (da 7 anni) durante le mie orazioni e i miei ringraziamenti, ebbene, non sono desolata... penso che i bambini piccoli piacciono ai loro genitori quando dormono come quando sono svegli; penso che per fare delle operazioni, i medici addormentano i malati. Infine penso che "il Signore vede la nostra fragilità, e si ricorda che noi siamo solo polvere" (Manoscritto "A" cap.8, paragrafo 215).