Risorgimento e religione. Il nuovo volume di Carlo Cardia
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Presentiamo alcune osservazioni sul Risorgimento italiano dal bellissimo volume di Carlo Cardia, Risorgimento e religione, Giappichelli, Torino, 2011, pp. V-VIII. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sul Risorgimento, vedi la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (3/12/2011)
Il fatto che l’Italia non abbia una festa consolidata per celebrare la sua Unità – l’istituzione del 17 marzo è recentissima - è una conseguenza della peculiarità e della grandezza del Risorgimento italiano. Lo sottolinea Carlo Cardia nel suo ultimo lavoro, affermando:
Il Risorgimento ha delle caratteristiche sulle quali ci si sofferma poco, e che provocano ancora oggi imbarazzo e qualche reazione liquidatoria. Se guardiamo alla cronologia convenzionale, esso è giunto a compimento in poco più di un ventennio, dal 1848 al 1870, si è realizzato mediante guerre e battaglie non tutte gloriose, o fatti di sangue di entità abbastanza limitata.
Di qui il bisogno d'inventarsi eroi sovrumani che diano lustro alla nostra storia, o l'esigenza opposta di svilire eventi e persone facendone risaltare la relativa modestia storica o politica. Il corto circuito tra le due esagerazioni porta all'ingiusto svilimento della storia risorgimentale che forse tornerà nell'ombra non appena le celebrazioni dell'anniversario si saranno spente.
E sottovaluta l'idealità e l'eroismo profusi ovunque nella Penisola dai giovani, dai volontari, da persone di ogni classe sociale, per raggiungere l'obiettivo unitario.
Di un altro fatto si parla poco, o se ne parla in modo distorto. Il Risorgimento non forma una nazione, con relativa cultura, religione, memoria storica, ma unifica in Stato una nazione che esiste da secoli, con una storia grande di respiro universale, che conosce e celebra imperatori e condottieri, filosofi e scienziati, papi, teologi e santi, che hanno parlato al mondo, agli uomini di tutta la terra, che il mondo ci riconosce e ammira più di quanto riusciamo a fare noi stessi.
Questo onore, ed onere, della nazione italiana dovrebbe essere vanto del Risorgimento, ma c'è chi lo tace e lo nasconde, perché crede che se fosse conclamato farebbe risaltare in controluce limiti e modestia dell'epopea risorgimentale. In realtà è il contrario. Disconoscendo l'elemento nazionale che per ogni italiano preesiste allo Stato unitario si commette un peccato d'orgoglio che priva il Risorgimento della sua grandezza: il processo unitario è stato breve e nobile perché la nazione italiana ha una lunga storia, nessuno può negare la sua identità conosciuta in tutto il mondo, essendo la più universale.
D'altra parte qualunque studente, anche fra i tanti che ignorano quando l'Italia s'è unita, interrogato di quale sia la nazionalità di Giulio Cesare o San Benedetto, Giotto o Raffaello, ancora di Dante, Petrarca, Savonarola, Leopardi, Beccaria, e mille altri, non esiterebbe a dire che sono italiani ovunque essi siano nati. Questa peculiarità è ancora oggi sottostimata, impedisce di dare la giusta collocazione all'unificazione politica dell'Ottocento, evento eccezionale ma che non oscura il patrimonio di eredità di cui siamo custodi da secoli.
Cardia sottolinea come le tensioni fra Stato e Chiesa al tempo dell'unificazione politica del paese avevano delle ragioni obiettive in entrambi i contendenti – ragioni che oggi possono essere riconosciute con equilibrio, senza demonizzare l'altra parte in maniera moralistica ed astorica. Nonostante questo - sottolinea però - il conflitto fu vissuto con grande serenità da entrambe le parti, proprio perché esse erano ben consapevoli dell'ineluttabilità del connubio che stava nascendo e perché, al fondo, condividevano un identico amore per lo Stato Italiano e per la Chiesa. Così Cardia:
Si può utilmente tornare a riflettere sulla «questione romana». Se è indiscusso l'approdo di Roma capitale, su un punto però il papa ha ragione ad insistere, a non accettare il fatto compiuto, perché una sovranità vera, sia pure lillipuziana, è necessaria alla libertà sua e della Chiesa per svolgere la propria missione universale. Il papa non è un vescovo qualsiasi, cui spettino alcune guarentigie pur speciali, ma il capo di una Chiesa ramificata in tutti i popoli, che parla e agisce in modo universale.
Sfugge ai liberali che non c'è simmetria tra il papa e il re, l'uno governa spiritualmente il mondo, l'altro regna su uno Stato. E sfugge al papa che l'universalismo della Chiesa non si identifica con il principato avuto in consegna dalla storia, perché questo può rimpicciolirsi facendo ingigantire la sua figura.
I liberali quasi temono che la Santa Sede svolga un vero ruolo internazionale, pensano che il Vaticano possa offuscare il Quirinale, vogliono declassare l’uno perché risalti l’altro. Invece è il contrario, il Vaticano aggiunge luce al Quirinale, lo illumina della sua universalità, il Quirinale assicura al Vaticano una amicizia che lo garantisce agli occhi del mondo. Lo si comprende quando i grandi pontefici del secolo XX agiscono a livello planetario, in amicizia con l’Italia democratica, e Roma diviene il crocevia di una storia politica, diplomatica, spirituale, unica nel suo genere.
Solo questa visione condivisa, ben oltre le differenze reali ed apparenti, spiega la natura “moderata” del Risorgimento italiano rispetto ad analoghi processi ben più conflittuali che si registrarono in diverse nazioni europee. Così Cardia:
Oltre questo nodo storico, si può tornare a riflettere, con obiettività, sul carattere moderato con il quale il Risorgimento ha gestito il conflitto con la Chiesa. Lo si può fare tenendo presente ciò che è avvenuto, in analoghe circostanze, in altri Paesi dove lo scontro è diventato guerra di religione, aspra, senza confini e spazi di mediazione, ha portato ad esiti sanguinari sconosciuti alla nostra storia. Nel Risorgimento, il rapporto conosce fasi positive e negative, ma entrambe le parti non superano mai la soglia dell’irreversibile.
La Destra storica, per propria lungimiranza e per saggezza degli artefici del Risorgimento, ammoderna il Piemonte e l’Italia, introduce la libertà e l’eguaglianza religiosa, la laicità dello Stato, cede a qualche asprezza, ma non spezza mai il cordone ombelicale con la tradizione cattolica: quando abolisce gli ordini religiosi lascia che questi si ricostituiscano fruendo di intelligenti tolleranze; non cancella l’insegnamento cattolico nelle scuole elementari, dimodoché quasi tutti i bambini in Italia dall’Ottocento ad oggi sono stati educati ricevendo almeno i rudimenti di quella religione che addolcisce, eleva, deposita nell’animo semi che germogliano nella coscienza; non attenta mai all’autonomia della Chiesa né pensa come la Francia rivoluzionaria di realizzare quella reformatio ecclesiae che costituisce l’incubo della Chiesa nell’epoca dei totalitarismi.
L’Italia non conosce la paura che si creino chiese fittizie, asservite allo Stato, strutturate con falso democraticismo, anche perché liberali e cattolici su un punto sono d’accordo, che compito della Chiesa è quello di essere spirituale, non democratica. Sembra poco, invece è moltissimo. D’altra parte, i cattolici colpiti dalla legislazione eversiva, protestano ma obbediscono, obbediscono alle leggi, si impegnano per cambiarle, non negano mai il riconoscimento di legittimità al nuovo ordine nazionale. Vi sono momenti del Risorgimento nei quali un inchiostro simpatico quasi scrive dei sottili, ma formidabili, compromessi utili alle due sponde del Tevere per non farsi la guerra e intessere nuove relazioni nei tempi storici giusti.
Infine, e soprattutto, il conflitto con la Chiesa esiste ma è limitato alla sfera istituzionale, senza mai investire quella dottrinale e della fede. I cattolici partecipano sin dall’inizio al movimento per l’indipendenza nazionale con grandi personalità della cultura e della politica, combattono nelle guerre patriottiche, progettano, si impegnano per un’Italia unita e solidale. Dai neo-guelfi ai cattolici liberali, dal clero che cura e assiste combattenti e prigionieri, ai religiosi che soffrono ma proseguono nel servizio per i più poveri e gli ultimi della società, il cattolicesimo italiano è parte integrante della storia d’Italia dell’Ottocento che trasforma la nazione in uno Stato unitario, aperto ai diritti di libertà.
Se si guarda all’Ottocento italiano con sguardo positivo si ha una visione più gratificante e obiettiva del Risorgimento. Possiamo leggerlo come naturale approdo di una storia nazionale plurisecolare, comprendere che lo Stato unitario ha fruito di una eredità religiosa e culturale che altri Stati hanno impiegato secoli a costruire. Chiunque di noi sa, con ogni rispetto, che se Carducci e Pascoli, Collodi o De Amicis, anche D’Annunzio, hanno contribuito a cementare l’unità culturale italiana, in realtà la nostra identità preesiste al Risorgimento ed insieme alla lingua, all’arte, alla religione, essa ha potuto riempire con orgoglio il nuovo Stato, altrimenti debole, che si andava costruendo.
Il Risorgimento dona unità politica ad un popolo che è nazione da sempre, lo introduce nella modernità consentita dai tempi. Parla molte lingue, vive molti contrasti, ma li supera senza estremismi, senza umiliare nessuno, seguendo il filo rosso di quella storia nobile che è propria delle popolazioni italiane. In una lettura non retorica possiamo scoprire anche le nostre virtù, l’inclinazione ad essere moderati, a rifiutare la violenza sistematica, a farci carico delle ragioni degli altri, virtù che ci distinguono da popoli e Stati che hanno realizzato magari grandi rivoluzioni ma portano il peso di una violenza e aggressività che hanno fatto la storia al negativo. Nella nostra storia più dolce, è la radice di un cammino che ci ha condotti ad un sistema di diritti di libertà, di laicità positiva e accogliente verso tutte le religioni, che resta ancora oggi il nostro vanto in Europa e in Occidente.