Quattro canzoni sui padri... da Fabio Concato, Jovanotti e Francesco Guccini
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito il collegamento a tre video da You Tube con le canzoni Gigi, di Fabio Concato, Van Loon e E un giorno, di Francesco Guccini e Mario, di Jovanotti. Sulla paternità, cfr. la sotto-sezione Educazione e famiglia nella sezione Catechesi, scuola e famiglia.
Il Centro culturale Gli scritti (5/2/2015)
Gigi, di Fabio Concato
E un giorno, di Francesco Guccini
Mario, di Jovanotti
Mi ricordo da bambino che mio padre era spesso arrabbiato con me
e non sapevo perché.
Ritornavo dalla scuola verso l'una e quaranta
e la fame era tanta,
con mia madre che diceva che c'è?
Lorenzo dimmi che c'è?
Come è andata come mai non mi dici mai niente?
Ma che razza di gente, questi figli che ho.
Certe volte non so
cosa ho fatto per vedervi dire sempre di no,
non lo so.
Non lo so ma ti droghi? Fai vedere le braccia,
ma che razza di faccia.
Non mi piace per niente
quella razza di gente
con la quale ti vedi.
Ma che cosa ti credi
che tuo padre ed io non ti vogliamo bene?
Sempre le stesse scene
ogni giorno ogni sera
quella stessa atmosfera.
Mentre mio padre mi vedeva crescere
lui mi sembrava non potesse invecchiare
mentre crescevo tre centimetri l'anno
lui era sempre uguale.
Mi ricordo a dodici anni un pomeriggio di sole mi portò a un funerale,
ma era uno speciale,
che non c'era neanche un morto parente,
neanche un conoscente,
solo un sacco di gente
seria molto composta
una specie di festa al contrario.
E mio padre Mario
mi diceva: quando avrai un po' più anni
potrai dire io c'ero
ai funerali degli agenti della scorta di Moro.
Questa sera quasi ventisette anni sto leggendo il giornale
e di quel funerale
mi risale l'immagine in mente
e ho chiarissimo in testa quel concetto di festa al contrario
e di mio padre Mario
che per come era sempre severo
mi appariva sincero
nel dolore del restare impotente
insieme a molta altra gente
che sostava di fronte al potere di pochi
sulla vita di molti
e a quei volti sconvolti
delle madri delle mogli dei parenti e dei figli degli agenti della scorta di Moro
e mio padre Mario era così serio.
E mi teneva sulla testa una mano.
Quel pomeriggio è lontano quasi venti anni fa,
i negozi che chiudevano in tutta la città,
ogni cosa era strana.
Nella mia fantasia non capivo
perché in giro c'era tutta quella polizia,
le sirene spiegate,
le serrande abbassate.
Sono più grande ma le cose non sono cambiate.
La mia mano è più grande e mio padre più anziano,
la mia mamma si preoccupa perché sono lontano.
Questa storia che ho detto con la rima baciata
non so forse neanche io perché ve l'ho raccontata,
forse il centro di tutto è quella mano che mio padre mi appoggiò sulla testa,
questo è quanto mi resta.
Un ricordo profondo
grande come il mondo,
questo gesto che mio padre ebbe il cuore di fare,
questo gesto d'amore mille volte più potente di un pugno
in questa notte di giugno
in cui scrivo
mi fa essere vivo,
pronto ad essere padre a mia volta e a spiegare a mio figlio bambino
come ogni destino
si unisce si confonde e si intreccia in comune con le altre persone.
Gli dirò che ogni schiaffo ed ogni pugno che è dato,
ogni piccolo diritto che nel mondo è violato,
è una ferita per tutti gli esseri della terra
e finché non c'è giustizia ci sarà sempre guerra.
Van Loon, di Francesco Guccini
N.B. Così spiega lo stesso Guccini il significato del titolo (da Wikipedia; non è stato possibile confrontare la fonte delle citazioni)
Van Loon è dedicata a mio padre, che leggeva le opere di questo Piero Angela dei suoi tempi, cioè gli anni '30. Van Loon era un olandese (o un fiammingo, non ricordo bene) divulgatore di storia, geografia e umanità varia, i cui scritti si trovavano di frequente nelle case di chi, come mio padre, aveva molti interessi ma non aveva avuto l'occasione e i soldi per studiare. Una canzone molto intensa che ho provato più volte a inserire nella scaletta dei miei concerti. La provo e poi sono costretto a rimetterla via. Non riesco a farla senza star male e piangere, perché, nel frattempo, mio padre è morto.
Un autore dunque degli anni Trenta, Quaranta, uno scrittore della generazione dei nostri padri: io l'ho identificato con quella generazione che da giovane pensi fatta di perdenti. Ma crescendo ti accorgi che tuo padre non era un perdente, era semplicemente uno costretto a vivere così. Da giovani si pensa che mai si scenderà a compromessi, che nessuno potrà costringerci. Col tempo si cambia idea. (...) Più l'età si allunga e più capisci quei padri che anni prima avevi rifiutato o combattuto, soprattutto perché le loro sconfitte sono diventate poi anche le tue e così le piccole, tempo prima non riconoscibili, vittorie.