Diciassette secoli fa l’Editto di Milano cambiò la storia del mondo, di Franco Cardini
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Riprendiamo da Avvenire del 13/11/2011 un articolo scritto da Franco Cardini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sulla figura di Costantino vedi su questo stesso sito Costantino e la libertà dei cristiani, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (13/11/2011)
Fra due anni, celebreremo – presumibilmente con cerimonie, mostre e congressi – il diciassettesimo centenario di quell’Editto di Milano emanato nel 313 da Costantino e Licinio, i due imperatori vincitori della guerra civile scoppiata dopo il fallimento del pur generoso e intelligente tentativo del grande Diocleziano di riconferire stabilità all’impero attraverso un complesso sistema di successione al trono (la cosiddetta “tetrarchia”).
Ebbene, non tutti sanno che Costantino e Licinio, vinto il rivale Massenzio e avviandosi anche a battere il superstite contendente Massimino Daia (un autentico, crudele, convinto persecutore dei cristiani: cosa che Diocleziano non era stato mai), altro non fecero se non confermare un Editto che il defunto imperatore Galerio, ormai in punto di morte dopo un’atroce e disperata malattia, aveva emanato nel 311 a Nicomedia.
Esso annullava il precedente Editto del 303 che Galerio stesso (allora Cesare, cioè imperatore subordinato, in Oriente) aveva quasi estorto al suo superiore, l’Augusto Diocleziano che ne avrebbe fatto volentieri a meno, e che aveva aperto il triste periodo detto “Era dei Martiri”, costato ai cristiani migliaia di vittime.
In effetti, quella tragica scelta persecutoria era giunta dopo alcuni anni di pace e di tolleranza. La compagine imperiale era da tempo preda di una seria crisi demografica, socioeconomica e istituzionale, ma non si può dire che l’impero fosse “in decadenza”: a parte le ricorrenti solenni batoste militari che i romani buscavano ormai dai persiani. Le comunità cristiane, passabilmente libere di agire e di esprimersi, erano cresciute in numero e in importanza, e stavano diventando forti soprattutto nell’amministrazione pubblica e nell’esercito.
Gli adepti della nuova fede – che pur si presentavano come buoni e onesti cittadini, fedeli all’impero – avevano in più occasioni contestato e umiliato anche in pubblici dibattiti i fautori dei vecchi culti, dimostrando fra l’altro qualcosa che quelli non erano mai riusciti a esprimere: una buona capacità di esercitare l’assistenza, il che procurava loro nuovi adepti. Ma, più che dagli ormai patetici collegi sacerdotali del paganesimo, i cristiani erano malvisti dai “pagani d’élite”, neoplatonici e mithraisti, che pur avevano tanti elementi di prossimità filosofica con loro.
Appunto ciò aggravava la situazione: si trattava di concorrenza. Galerio, appoggiato da fior di filosofi e non da fanatici pagani, ebbe buon gioco nel suggerire all’Augusto che i seguaci di Gesù fossero in realtà un pericolo per la stabilità dello Stato, con quella loro ostinata pretesa di rifiutare all’imperatore e alla Dea Roma gli onori dovuti alla divinità: su quel che concerneva la lesa maestà, vera o presunta, Diocleziano non ammetteva deroghe.
Ma la prosecuzione non sortì gli effetti sperati. Nel 305 Diocleziano, stanco e deluso, abdicò e nel 310, il crudele e violento Galerio si ammalò di una misteriosa malattia, una sorta di cancrena purulenta: la sua fine descritta da Lattanzio nel De mortibus persecutorum come esito della giustizia divina. A sua volta convinto che quegli stregoni dei cristiani si fossero vendicati su di lui lanciandogli un incantesimo, egli promulgò superstiziosamente impaurito, nel tentativo di placarne l’ira, quell’Editto di Nicomedia del 311 in cui il cristianesimo viene riconosciuto quale religio licita.
Non tutti i suoi colleghi tetrarchi ne seguirono l’esempio: ma due anni dopo Costantino e Licinio, vincitori della guerra civile contro Massenzio e Massimino Daia ed entrambi peraltro pagani (la conversione di Costantino fu una scelta posteriore), lo accettarono come modello nell’Editto di Milano, esteso a tutto l’impero. Ma sarebbero dovuti passare un’ottantina d’anni prima che un imperatore cristiano, Teodosio, proclamasse che la sua religione avrebbe dovuto diventar quella di tutto lo Stato e gli altri culti scomparire. Cosa questa che, del resto, non si verificò mai del tutto.