Un povero per patrono. Monsignor Placido Nicolini e l’affidamento della Nazione a san Francesco, di Francesco Santucci
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 3-4/10/2011 un articolo scritto da Francesco Santucci. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi su questo stesso sito la sezione San Francesco d'Assisi.
Il Centro culturale Gli scritti (26/10/2011)
L’eco delle celebrazioni del VII centenario della morte di san Francesco, celebratosi nel 1926, era ancora viva in Assisi e in tutta la Penisola allorché, due anni dopo (l’11 novembre 1928) il benedettino monsignor Giuseppe Placido Nicolini faceva ingresso nella diocesi serafica quale nuovo pastore.
Nicolini non tardò a rendersi conto che «la cronaca dell’anno di grazia francescano» era destinata a rimanere «la storia spirituale d’un anno senza chiusura e d’una città senza confine, perché svela(va) sentimenti e fissa(va), nei loro caratteri vivi, situazioni interiori che si sarebbero trasmesse di generazione in generazione, come una ininterrotta e sempre aperta esperienza universale». Così lo stesso Nicolini ricorderà l’evento del 1926 indirizzando al Papa un voto affinché il Santo venisse proclamato Patrono d’Italia. I tempi erano ormai maturi per un passo del genere. Nicolini lo aveva bene intuito fin dai primi anni (non facili, per la verità) del suo episcopato.
Avvertiva anche che il mondo della cultura, sia laica che cattolica, avrebbe accolto con attenzione una proposta del genere. Gli studi francescani, infatti, che vedevano ormai coinvolti studiosi di rango di ogni parte del mondo - soprattutto dopo la nuova impostazione storiografica impressa dal protestante francese Paul Sabatier, autore della celebre Vie de Saint François d’Assise e fondatore nel 1902 della Società internazionale di studi francescani con sede in Assisi - avevano contribuito al superamento dei pregiudizi da parte dei non cattolici nei riguardi del santo e della visione quasi meramente agiografica di Francesco da parte dei cattolici.
In tanti, sempre più numerosi, si accostavano a Francesco e, sempre più affascinati, vedevano in lui il vero seguace di Cristo. Si pensi a letterati come Antonio Fogazzaro, Giulio Salvadori, Giovanni Papini, Federigo Tozzi, Domenico Giuliotti e al convertito danese Johannes Joergensen, autore di un’altra celebre biografia dell’Assisiate. Perfino il mondo politico e civile italiano guardava con crescente interesse a san Francesco.
Casa Savoia era legata a rete doppia ad Assisi soprattutto tramite il podestà Arnaldo Fortini. La Regina Margherita ai primi del secolo era stata eletta protettrice della menzionata Società internazionale di studi francescani, grazie ai suoi buoni rapporti con Paul Sabatier. Al «Principe di Napoli» era stata dedicata prima una via (via Superba, oggi via San Francesco) e poi il Convitto per orfani dei maestri e anche una piazza.
Vittorio Emanuele III era stato ad Assisi per il VII centenario francescano, mentre la figlia Giovanna aveva voluto unirsi in matrimonio con Boris, re di Bulgaria, proprio nella città di san Francesco nell’anno 1930. Lo stesso Mussolini aveva indirizzato agli italiani un famoso messaggio nel quale esaltava Francesco come «il più italiano dei Santi e il più santo degli Italiani».
Tutte queste cose erano ben note a monsignor Nicolini. Così come non doveva sfuggirgli il fatto che (ancora una volta grazie al VII centenario) lo Stato italiano e la Chiesa avevano interrotto il silenzio dei loro rapporti che durava da oltre cinquant’anni proprio in quella circostanza assisana. Queste situazioni favorevoli - almeno per quanto riguarda i movimenti di opinione nazionali - incoraggiavano Nicolini al passo che stava per fare. Semmai, alcuni ostacoli potevano venire (come avverrà) proprio da alcuni settori del mondo cattolico.
Ma, determinato com’era, il vescovo di Assisi, dopo lunga riflessione, fa pervenire il seguente «voto proposto agli eccellentissimi ordinari d’Italia affinché vogliano inviare supplica al beatissimo Papa nostro Pio XI gloriosamente regnante, perché si degni riconoscere e dichiarare San Francesco d’Assisi Patrono d’Italia».
«L’Italia nostra si appresta a tributare solenni onoranze al più grande pittore di San Francesco di Assisi, a Giotto. Ma lo spirito di Giotto non può contentarsi di questa sola ammirazione. Egli, da buon discepolo di San Francesco, vuol dire a ogni italiano che il grande Santo di Assisi, da lui esaltato, fu l’autore principale dell’arte sua; tanto eloquente e viva gli apparve la sua figura, tanto dolce e soave gli risonò nell’anima il poema francescano. Il più grande onore, adunque, che si possa rendere a Giotto, la migliore efficacia che si possa attribuire alle sue pitture, consiste nel cogliere e seguire il richiamo, datoci da lui ad esaltare il Santo di Assisi con la cristiana contemplazione della sua vita, e con l’implorazione più assidua e più estesa della sua intercessione. Sette secoli di storia hanno confermato la perenne vitale bellezza dell’ideale francescano, sempre più splendente di luce confortatrice e ammonitrice. Gli studi hanno messo in rilievo il contenuto profondamente umano ma soprattutto cristiano e spirituale del francescanesimo. Assisi, per lo spirito di distacco e di universale amore che si sprigiona dalla tomba gloriosa del Serafico Santo, brilla anche oggi quale “oriente”, come lo vide Dante. Il soffio vitale, che ci viene dal Subasio Serafico, lungi dall’essere un puro sentimentalismo evanescente, è invece soffio di piena e genuina spiritualità. Ce lo dicono le torme di pellegrini, che mai non restano, nemmeno in tempi di crisi. Ce lo dicono tante anime sitibonde di bene, che, in Assisi, attratte dal Serafico Santo, chiedono il battesimo o la riconciliazione.
Gli scritti lasciati dal santo, e soprattutto il Cantico delle Creature, mettono San Francesco tra i più autorevoli rappresentanti della letteratura delle Origini, al principio del secolo XIII. Proprio in vista di questo, e attesa la mirabile ispirazione religiosa del Trovatore di Dio, l’associazione Les amis de Saint François, nel settembre scorso umiliava ai piedi del Sommo Pontefice il voto che San Francesco fosse costituito Patrono di tutti i poeti cattolici. Nel VII centenario l’Italia dette luminosa prova di un vero plebiscito di amore verso il Santo con partecipazione di tutte le classi: dalle sfere governative alle masse; dai militari ai civili; dalle classi colte ai nostri buoni popolani. Notevole, tra gl’innumerevoli pellegrinaggi venuti da ogni parte d’Italia, quello dei ciechi di guerra. Omaggio poi realmente di tutto il popolo italiano, e omaggio duraturo nei secoli, è la Campana delle Laudi, che porta in rilievo riprodotto il Cantico delle creature, donata alla Città Serafica da tutti i Comuni d’Italia. Anche nella grande opera della Conciliazione, San Francesco ha pur la sua parte di merito. L’inizio delle trattative del Capo del Governo con la Santa Sede porta la data del 4 ottobre 1926, festa e centenario del Santo».
Alla luce di tutto ciò, dunque, «ci sembra ormai giunto il momento in cui sia soddisfatto un voto ardente di tutti i devoti del Santo di Assisi. Il voto è giusto, degno e appassionato: che San Francesco di Assisi, da Benedetto XV proclamato Patrono dell’Azione Cattolica Italiana, da Pio XI proposto per una più larga imitazione e venerazione come il più perfetto esemplare evangelico per tutte le età della storia, sia onorato in una forma perenne, viva e salutare col venire dichiarato e costituito Patrono d’Italia. La patria soddisferebbe così a un debito e a un bisogno verso San Francesco, riconoscendolo plebiscitariamente “Santo della stirpe Italica”, senza che ciò possa recare il minimo pregiudizio alla sua indiscussa universalità di Santo eminentemente cattolico, cioè mondiale, in quanto che egli fu il più adeguato interprete del Vangelo, dettato per tutti gli uomini. Osiamo quindi rivolgere calda preghiera agli Eccellentissimi Ordinari d’Italia, perché vogliano indirizzare al Beatissimo Papa lettere postulatorie per ottenere che Egli si degni di dichiarare San Francesco Patrono d’Italia».
All’appello risposero entusiasticamente ben 166 tra vescovi, arcivescovi e superiori religiosi. Dal convento di San Damiano padre Ambrogio Acciari salutava il voto come «un grido di speranza e di amore, in un momento in cui l’Italia (...) sentiva il bisogno di un nuovo apporto di vita spirituale». Tra i pochi contrari, l’abate benedettino di Monte Oliveto Maggiore (Siena): «La proposta di Vostra Eccellenza va e non va, perché mi ricordo che a Siena ed a Firenze, già si era ventilato di domandare alla Santa Sede che proclamasse Patrona d’Italia la grande Santa Caterina».
Sull’onda del successo imprevisto e lusinghiero Nicolini preparò («con l’aiuto del cappuccino padre Ilarino da Milano») la petizione da presentare al Papa, fatta prima pervenire a quanti avevano risposto favorevolmente all’appello per aggiunte e correzioni. «Si desidera fervidamente e si chiede umilmente che Vostra Santità si compiaccia di proclamare San Francesco Patrono d’Italia. La protezione di San Francesco stringerà ancor più i vincoli dell’Italia con la Chiesa, nel nome e nella significazione di quel santo, che in tempi di moti ereticali e di ribellioni all’autorità ecclesiastica mise a base di tutta la ricostruzione spirituale da lui propugnata il Vangelo e la sottomissione filiale e incondizionata alla Sede Apostolica. In questa nostra età, turbata da gravi apostasie di varie nazioni dallo spirito cristiano e sconvolta nelle coscienze dal ripudio pratico della divina ed eminente autorità civile» sarebbe «come un monito solenne ed un richiamo reale ad una totale e indefettibile fedeltà, ufficialmente espressa, a quello spirito religioso della stirpe italiana, di cui San Francesco è il più luminoso e sarà l’autorizzato e consacrato rappresentante. Di tutti i santi italiani, è il più universalmente amato. E non solamente da parte del popolo sinceramente cristiano, ma anche da parte dei cattolici tiepidi e non praticanti, dei protestanti e degli stessi increduli. È un santo bene accetto ad ogni classe di persone; al popolo minuto e lavoratore, come agli uomini della politica e della cultura intellettuale, della scienza e delle arti».
Finalmente, il 2 maggio 1939, da Roma il Ministro generale dei frati minori conventuali padre Beda Hess scriveva a Nicolini che «con vivissimo piacere e soddisfazione immensa ho appreso oggi che il nostro Serafico Padre è stato dichiarato Patrono d’Italia». E il 20 giugno 1939 «L’Osservatore Romano» pubblicava in prima pagina il Breve Apostolico che «costituisce Patroni Primari d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena».
Si trattava, quindi, di un compromesso? Bisognerebbe consultare le carte dell’Archivio vaticano, per meglio capire ciò che era effettivamente avvenuto. Possiamo, però, ricordare quanto, il giorno prima, il cardinale Carlo Salotti aveva comunicato, con una lettera manoscritta informale, a Nicolini: «Sono proprio felice di essere stato, nelle mani della Provvidenza, l’umile strumento per perorare dinanzi a Pio XII il riconoscimento e la proclamazione di Francesco d’Assisi e di Caterina da Siena a Patroni principali d’Italia. Se la patria nostra gioisce per questo solenne atto pontificio, Assisi deve esultare in maniera particolare perché il suo Santo, come ha fatto palpitare il cuore del mondo, oggi nel cuore degli italiani suscita un palpito nuovo e più possente».
Grande fu l’esultanza di Nicolini, come risulta anche da un suo appunto manoscritto: «La portata dell’avvenimento non può sfuggire a nessuno (...). Nel centenario francescano, che tanta eco lasciò nella storia, correva un motto che diceva: “Torna San Francesco”, perché pareva aleggiasse col suo spirito su tutti i paesi e città della Patria che facevano a gara per festeggiarlo. Ebbene, oggi possiamo dire con più ragione che “Torna ” perché invocato dalla suprema autorità della Chiesa a proteggere la Patria».