Le ruote del Conte, di Luca Dominici (ricordando Marco Sandri)
Riprendiamo dalla rivista Ombre e luci un articolo scritto da Luca Dominici. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Vedi la Gallery I dipinti di Marco Sandri.
Il Centro culturale Gli scritti (26/10/2011)
Io e Marco Sandri, al secolo Il Conte, ci siamo conosciuti in un autunno di quasi venti anni fa. Lui seduto sulle sue ruote, io sulle mie idee confuse, ci siamo trovati subito, abbiamo costruito una relazione e fatto chilometri e chilometri insieme, come quella volta a Gardaland, insieme ad una pattuglia di pazzi.
Marco ti imponeva il suo tempo: se vuoi suonare con me impara ad andare a tempo; un tempo ben più rilassato rispetto alla follia quotidiana a cui ci sottoponiamo abitualmente. È questo tempo largo, non lento, la chiave di volta di qualsiasi rapporto profondo che tanti amici hanno avuto con lui.
In opposizione a questo tempo largo, era un uomo mentalmente vulcanico, eruttava idee come il Vesuvio in età Imperiale. Ogni volta che lo incontravo aveva qualcosa da propormi, dei progetti nuovi, delle cose da fare insieme.
Anche negli ultimi suoi giorni era proiettato sul futuro, lo sguardo fisso in avanti era una sua costante; cosa che, nella sostanza, fa di un uomo un Leader.
Marco ha vissuto con me la nascita della comunità di Santa Melania, ne è stato da subito uno dei perni. Tutta la famiglia Sandri è stata da subito un asse portante e non per quel protagonismo che a volte annebbia anche le persone migliori, ma perché i Sandri sono i Sandri. Roba tosta. Non riesco a pensare a loro se non in termini di mia famiglia, io che sono un figlio e un amico infedele, ma loro sono sempre stati generosi elargitori di abbracci benedicenti.
Sul letto dei piccoli c’è un cuscino con la federa dipinta da Marco, i suoi colori accompagnano le notti dei miei bambini, fanno da sfondo ai loro sogni; a pensarci bene, tutta l’arte espressa dal Conte aveva un che di onirico e luminescente, nei colori o nei tagli di pennello, ma di quei sogni belli, che ti svegli felice.
In occasione della dipartita di mio papà, un caro amico mio e di Marco mi disse che mio padre non era morto ma, in qualche modo, mi camminava davanti, mi apriva la strada. Se adesso penso alla mia storia personale con il Conte mi ritornano alla mente tutti quei chilometri fatti insieme con io che spingevo e lui davanti sulle sue ruote.
Marco in questi ultimi venti anni mi ha sempre indicato la strada con quel suo mento sfuggente, con i suoi occhi che avevano gambe e braccia e interi vocabolari di sguardi. Marco ancora oggi, mesi dopo la sua morte corporale, continua imperterrito a camminarmi davanti. Ciao Conte.