Il caso Heidegger. E i cattolici liberali processarono Martin. Si chiamavano Lampe, Ritter, von Dietze, Eucken, di Dario Antiseri
Riprendiamo da Avvenire del 30/9/2011 un articolo scritto da Dario Antiseri. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (1/10/2011)
Ludwig Erhard, il cancelliere che fu uno dei principali artefici della rinascita della Germania, dirà nel 1961: «Se esiste una teoria in grado di interpretare in modo corretto i segni del tempo e di offrire un nuovo slancio simultaneamente a una economia di concorrenza e a una economia sociale, questa è la teoria proposta da coloro che vengono chiamati neoliberali o ordoliberali». E va a merito di intellettuali come il compianto Massimo Baldini, Flavio Felice e Francesco Forte che, anche in Italia - pur se a fatica - si sta prendendo atto della forza teorica, della praticabilità politica e del valore morale delle idee della Scuola di Friburgo.
Ed è proprio sul valore morale di queste idee e sul coraggio di quei 'resistenti' che le sostennero nell’inferno del nazismo che getta maggiore luce il volume Wirtschaft, Politik und Freiheit (Economia, politica e libertà) curato da N. Goldschmidt con prefazione di Viktor Vanberg, direttore del Walter Eucken Institut. 'Resistenti' in un mare di intellettuali genuflessi davanti ad Hitler e intenti quali altrettanti 'clarinetti' - per usare un’espressione di Orwell - a tesserne gli elogi e a magnificarne «il destino redentivo».
E siamo con ciò, ancora una volta, al 'caso Heidegger'. Indubbiamente, se ci sono ragioni che militano contro la tesi di quei detrattori di Heidegger per i quali la sua filosofia sarebbe puro e semplice nazismo, non può però non suscitare le più serie perplessità il fatto che le sue idee non gli furono di ostacolo all’accettazione della concezione nazionalsocialista della vita e dello Stato.
«Come è possibile che un ignorante come Hitler possa governare la Germania?», questo chiedeva, angosciato, Karl Jaspers ad Heidegger nel giugno del 1933. Ed ecco quale fu la risposta di Heidegger: «La cultura è del tutto indifferente. [...] Basta guardare le sue meravigliose mani!».
E che non si tratti di una semplice battuta da passatempo lo si può constatare leggendo quel che Heidegger, in occasione del referendum popolare per l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni - scrisse nel suo Appello agli studenti tedeschi:
«Studenti tedeschi! La rivoluzione nazionalsocialista comporta il completo sconvolgimento del nostro Esserci (Dasein) tedesco [...] Che le regole del vostro essere non siano né formule dottrinali né 'idee'. Il Führer stesso, e lui solo, è la realtà tedesca di oggi, ma è anche la realtà del domani e la sua legge [...]. Heil Hitler! Martin Heidegger, Rettore».
Per le vacanze natalizie del 1933 Heidegger invia un messaggio di ammonizione ai docenti, in cui dice che «il fondamento determinante e il fine da raggiungere», sin dal primo giorno del suo rettorato, è «la radicale trasformazione dell’educazione scientifica a partire dalle forze e dalle esigenze dello Stato nazionalsocialista. [...] Il singolo, quale che sia la sua posizione, non vale niente. Il destino del nostro popolo nel suo Stato vale tutto». È chiaro che non ci può essere una prospettiva più anticristiana e più antiliberale di questa.
Ma il destino volle che, a guerra finita, furono proprio intellettuali cristiani liberali a processare Heidegger. In realtà, tra i membri più influenti del periodo post-bellico nel Baden furono esattamente gli esponenti della Scuola di Friburgo, e cioè gli economisti Walter Eucken, Constantin von Dietze, Adolf Lampe e il giurista Franz Böhm. E con loro lo storico Gerhard Ritter. Ritter, von Dietze e Lampe - legati a Dietrich Bonhoeffer - erano stati imprigionati a Berlino in seguito all’attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler.
Liberati dall’Armata rossa, e rientrati a Friburgo, costituirono il nucleo centrale della 'Commissione di epurazione' voluta dall’amministrazione occupante francese. Per lungo tempo si protrasse il processo ad Heidegger. In ogni caso, già subito, il 23 luglio del 1945, egli dovette rispondere per la prima volta davanti alla Commissione.
E l’avversario più temibile per lui fu Adolf Lampe, al quale Heidegger nel 1934 aveva negato, per motivi di inaffidabilità politica, il prolungamento della supplenza dell’insegnamento di economia politica. Lampe smonta, punto su punto, l’autodifesa di Heidegger. Gli rimprovera di aver indottrinato gli studenti a favore del nazionalsocialismo, e di aver applicato il Führerprinzip all’Università in modo così deciso da annullare del tutto l’autonomia amministrativa e accademica dell’Università.
Böhm si schiera dalla parte di Lampe. Ricorda che Heidegger aveva imposto i suoi ordini «con fanatica e terroristica intolleranza»; richiama alla memoria il saccheggio della sede dell’Associazione studentesca ebraica e il manifesto affisso sulle pareti dell’Università che invitava a denunciare gli studenti comunisti.
E quel che in Lampe provocò profondo sdegno morale fu l’assenza da parte di Heidegger di qualsiasi senso di colpa. Un atteggiamento, questo, che Heidegger non mutò, sostanzialmente, sino alla fine.
Ecco un ricordo di Rudolf Bultmann, con il quale Heidegger si reincontra a guerra finita: «'Ora - disse Bultmann ad Heidegger - devi ritrattare per iscritto come fece sant’Agostino, non come ultima risorsa, ma per amore della verità del tuo pensiero'. A quel punto il volto di Heidegger divenne come pietra. Si allontanò senza dire una parola». Come Bultmann, anche Jaspers aveva cercato e sperato di ottenere una ritrattazione da parte di Heidegger, ma alla fine dovette arrendersi: «Non riesce a cogliere la profondità del suo errore di un tempo: per questo non c’è in lui autentica trasformazione, ma piuttosto un gioco di proiezioni e di occultamenti». Ad Heidegger fu interdetto sia l’insegnamento che la possibilità di partecipare alle attività universitarie.
Come sentenziò Lord Acton, «il potere tende a corrompere, e il potere assoluto corrompe assolutamente». E la forma peggiore di corruzione è il 'tradimento dei chierici', i quali, piuttosto che ergersi a 'sentinelle' a servizio dell’umanità, trasformano le loro idee in strofinacci della cucina del potere. Questo fu il rimprovero di Croce a Gentile - lo stesso degli economisti di Friburgo nei confronti di Heidegger. Il potere, anche se non assoluto, tende a corrompere. La corruzione dell’intellettuale si chiama servilismo, zerbinaggio. [...].