Nel cuore della Riforma cattolica. La parabola umana di Marcello II Cervini in una nuova e accurata biografia scritta da Chiara Quaranta, di Paolo Vian
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 22/9/2011 una recensione di Paolo Vian. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi le sezioni Roma e le sue basiliche e Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (22/9/2011)
Le parole Magis ostensus quam datus dell'iscrizione sulla tomba in San Pietro di Leone XI Medici, Papa per poco più di due settimane nell'aprile 1605, vengono spesso ripetute di fronte a brevi pontificati. Ma non andrebbero usate per quello non molto più lungo di Marcello II Cervini, Pontefice romano dal 9 aprile al 1° maggio 1555. Perché Cervini non fu solo ostensus alla Chiesa in quella ventina di giorni di un pontificato troppo breve per essere significativo.
La sua umana parabola, ricostruita in un'ampia e accurata biografia - Marcello II Cervini (1501-1555). Riforma della Chiesa, concilio, Inquisizione (Bologna, Il Mulino, 2010, collana di studi della Fondazione Michele Pellegrino, pagine 496) - di Chiara Quaranta, ci appare inserita come poche nel cuore della storia della Chiesa del primo Cinquecento, a serrato e diretto confronto con i grandi problemi che l'attraversarono e la tormentarono. Di modo che si potrebbe ben dire che se i cardinali non avessero eletto in quel conclave primaverile del 1555 il cardinale di Santa Croce nulla, proprio nulla sarebbe cambiato nella sua considerazione da parte dei posteri e della storia.
Non è un caso che, interrompendo una tradizione consolidata, Cervini volle conservare (come trent'anni prima aveva fatto Adriano VI) il suo nome di battesimo al momento dell'elezione al soglio di Pietro: per "significar al mondo - scrisse Paolo Sarpi - di non essere fatto un altro per la degnità ricevuta". Così interpretò la decisione anche Vincenzo Buoncambi scrivendo al duca di Parma Ottavio Farnese: il nuovo pontefice, "per non si havere a mutare di quel candore di vita et costumi esemplari in che è vissuto sempre, ha voluto che gli resti il suo proprio nome". Sottolineando così una continuità di vita, una linearità di comportamenti e costumi che fanno davvero pensare al "ruscello che scaturito dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume" di manzoniana memoria, a proposito del cardinale Federigo Borromeo.
Non si vuole indulgere, beninteso, a clichés encomiastici o agiografici, emersi sin dalla prima biografia, quella del fratello minore di Cervini, Alessandro, dai quali Quaranta prende anzi risolutamente le distanze. Ma non si può neppure far tacere la voce dei fatti e delle circostanze che proprio le pagine della biografia ci ripresentano.
Fra i primi gesti del nuovo Pontefice si ricordano il rifiuto di ricevere i consueti omaggi dai parenti più stretti, la rinuncia ai solenni festeggiamenti per la consacrazione, la scelta di non conferire cariche di rilievo ai familiari (in netta controtendenza col predecessore Giulio III Del Monte), l'esortazione a una più intensa vita religiosa e l'annuncio di energiche riforme curiali che avrebbero coinvolto organismi centrali del governo della Chiesa, dalla Dataria alla Segnatura, dalla Penitenzieria alla Rota. Ve ne era abbastanza per alimentare le speranze dei buoni e i timori dei malvagi, di cui scrive Angelo Massarelli.
Poi, nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio, improvvisa sopravvenne la morte: appena cinquantaquattrenne, probabilmente per le fatiche accumulate nei riti della Settimana Santa che compromisero una salute già precaria.
Ma la vita di Marcello Cervini non è in quei ventuno giorni, di cui rappresentano in qualche modo un apice non essenziale. Chiara Quaranta (attingendo largamente anche al fondo Cervini dell'Archivio di Stato di Firenze) ne ripercorre la vita in quattro densi capitoli, dalla nascita nella Marca Anconetana, a Montefano, alla formazione a Montepulciano e a Siena, al passaggio a Roma (1524), ove stabilisce relazioni e contatti con intellettuali ed eruditi (da Angelo Colocci a Carlo Gualteruzzi, da Giovanni Della Casa ad Annibal Caro e Pietro Bembo) e intraprende carriera ecclesiastica ed esperienze diplomatiche, all'ombra dei Farnese e di Paolo III.
Cardinale dal 1539, è Cervini a elaborare la strategia della Sede apostolica di fronte alla Riforma tedesca. Tramontata l'ipotesi di un accordo confessionale (che pur aveva affascinato Gasparo Contarini nel colloquio di Ratisbona del 1541), l'impegno di Cervini è tutto volto alla preparazione e poi allo svolgimento del concilio, per il quale sarà nominato da Paolo III legato, insieme a Reginald Pole e Giovanni Maria Del Monte (il futuro Giulio III).
Ma nel frattempo Cervini è anche "chiamato a gestire in prima persona le questioni più delicate che si presentavano al Pontefice, non ultimi alcuni dei processi istruiti dal Sant'Ufficio all'indomani della sua istituzione" (p. 373) nel luglio 1542.
Così, fra i diversi partiti curiali e le aspirazioni evangeliche degli "spirituali", in un progressivo irrigidimento antiasburgico, scorre la breve vita di Cervini nel quale l'impegno per la Chiesa si alimenta di interessi letterari e per le scienze sacre, nella linea di un umanesimo cristiano all'insegna della docta pietas. Con tratti di sorprendente modernità: attraverso il rapporto con Paolo Manuzio (figlio del grande Aldo) Cervini assicura il contributo della tipografia alla battaglia contro l'eresia e per l'alimentazione della fede del popolo cristiano. Le edizioni dei Padri della Chiesa in funzione antiereticale si accompagnano al gusto per i classici greci e latini. Ma per gli autori pagani e cristiani, come soprattutto per la Scrittura, Cervini cerca i testimoni manoscritti più affidabili, con una tensione filologica, che asseconda il metodo erasmiano senza condividerne gli esiti.
Sarà ancora Cervini a incoraggiare Luigi Lippomano nell'allestimento della sua collezione di vite di santi che, anche attraverso Lorenzo Surio, avrà una durevole ed estesa fortuna. La tradizione cristiana come antidoto ai mali del presente: quale migliore teatro per questo impegno della Biblioteca Vaticana e dei suoi codici? "La libraria è il maggior thesoro ch'abbia la Sede apostolica perché in essa si conserva la fede dall'heresie", scrisse nel settembre 1554 Cervini al cardinale Alessandro Farnese. Non c'è espressione più bella per rappresentare la concezione religiosa che della Biblioteca Vaticana nutrirono i filoni migliori del Cinquecento cattolico: non un museo o una Wunderkammer ma un incomparabile presidio di prove e di testimonia storici per l'ortodossia. Sarà un modello che segnerà e ispirerà il futuro, da Guglielmo Sirleto e Cesare Baronio sino a Giovanni Mercati.
Nell'ottobre 1548 Cervini diviene primo cardinale bibliotecario, nella sua stessa esistenza testimone e simbolo (come aveva giustamente colto Pio Paschini) del trapasso dalla cultura umanistico-rinascimentale a quella controriformistica.
Si potrà disquisire a lungo se sia meglio parlare di Riforma cattolica (poi assorbita dal grande movimento della Controriforma), di "disciplinamento" o di Riforma tridentina (come preferisce fare la storiografia nordamericana). Ma osservando il sarcofago paleocristiano che nelle Grotte Vaticane conserva le spoglie di Marcello II non si potrà non pensare alla coerenza di chi, nel 1550, aveva trovato "non da Christiani ma da Gentili" i disegni di Guglielmo Della Porta per la tomba di Paolo III; e che invece nella sua tomba semplice e austera, raffigurante il tema della missio per l'evangelizzazione, trova enunciata la cifra profonda della sua vita evangelica.
Attraverso il nipote, Roberto Bellarmino, e prima ancora con la straordinaria Missa papae Marcelli (1562) di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Cervini divenne esempio e prototipo per i secoli successivi di un papato spirituale e riformatore.
La ricerca della Quaranta è un invito e un'occasione per tornare a pensare a Cervini, per riscoprirne e gustarne la realtà, magari più bella anche del mito.
(©L'Osservatore Romano 22 settembre 2011)