Un’intervista a Jean-Robert Armogathe su René Descartes. Nessun dubbio, ecco il vero Cartesio, di Daniele Zappalà
Riprendiamo da Avvenire del 16/9/2011 un’intervista di Daniele Zappalà a Jean-Robert Armogathe. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Vedi anche la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (16/9/2011)
«La spiegazione del mondo della teologia cristiana e quelle della scienza contemporanea esprimono i presupposti fondamentali e comuni di un ordine del mondo e di una singolarità dell’essere umano nell’insieme dell’universo. In fondo, è una conseguenza di quanto aveva già intuito Cartesio».
Anche per questo, sostiene il noto teologo e storico francese Jean-Robert Armogathe, rileggere oggi le opere di René Descartes, e in particolare le sue Meditazioni metafisiche, non è di certo un’avventura oziosa. Con il declino dei più chiusi razionalismi e scientismi del secolo scorso, il XXI secolo torna sensibile alla lezione cartesiana.
Armogathe, specialista di Cartesio e direttore di ricerche all’Ecole pratique des hautes études di Parigi, oltre che sacerdote con importanti missioni pastorali, ne discuterà oggi a Sassuolo in piazza Avanzini alle ore 11,30, nel quadro del Festival Filosofia di Modena, dedicato quest’anno alla Natura.
Padre Armogathe, Cartesio è spesso ricordato per aver postulato il dubbio iperbolico, in particolare nelle «Meditazioni metafisiche». Dove risiede l’originalità di quest’approccio?
«Il dubbio radicale di Cartesio si distingue chiaramente dalla tradizione scettica. Almeno in due modi. Innanzitutto, è un dubbio metodologico, necessario per compiere un percorso. Cartesio non dubita per dubitare, ma per ricercare la verità. È un dubbio provvisorio. In secondo luogo, è molto più radicale del dubbio degli scettici. Solo il pensiero, trovandosi al di là del dubbio, può in tal modo fondare l’esistenza permettendo di uscire dallo stesso dubbio».
Nelle «Meditazioni», le dimostrazioni razionali restano in simbiosi con una sorta di ascesi quasi religiosa. Un paradosso?
«Si tratta di un testo probabilmente unico nella storia del pensiero occidentale. A parte certi dialoghi di Platone, non abbiamo altri esempi di testi filosofici che in così poche pagine contengono uno sviluppo tanto profondo e radicale. È un testo nervoso e alla prima persona, ma il paradosso fra ragione e meditazione è solo apparente. Quando si qualifica Cartesio come padre della razionalità moderna, non bisogna pensare al razionalismo, come fanno molti, ma alla ragione come insieme complesso dove convergono nella ricerca della verità pure le passioni dell’anima, le circostanze e l’insieme della personalità umana. L’evidenza e la chiarezza sono ingredienti del percorso filosofico così come le passioni. L’uomo non è una terza sostanza, ma l’unione sostanziale del corpo e dell’anima».
Come altre grandi figure del suo tempo, Cartesio si preoccupa al contempo di scienza e teologia…
«Cartesio non era un ecclesiastico, né un professore di filosofia, ma un gentiluomo con trascorsi giuridici e funzioni nell’esercito. Così fiero della sua geometria e della sua matematica, Cartesio ha cercato di fondare un mondo meccanico, ma ha provato al contempo il bisogno d’indagare sulle radici metafisiche del mondo. Sarà così in parte ancora per Newton, il quale tuttavia nasconderà la sua importante produzione teologica ed esegetica. Nel frattempo, è infatti avvenuta una sorta di cesura fra scienza e religione. Per Cartesio, invece, la cesura non esiste. L’esempio più eloquente della sua fisica consiste in una riflessione sulla transustanziazione eucaristica».
In molte ricerche dedicate al Seicento, lei ha evidenziato i legami fra scienza e modelli teologici. Può parlarcene?
«Fino al Seicento, è rimasta vitale una corrente scientifica spesso definita come fisica mosaica. La Bibbia veniva di fatto utilizzata come un libro di scienza. Ma al contempo, già nello stesso secolo, si è osservato il processo inverso. Si è cercato d’interpretare la Bibbia a partire dalla scienza, ad esempio per mostrare Mosé come un atomista. Oltre che da parte del Newton rimasto segreto, questi sforzi proseguiranno in modo minoritario anche nel Settecento. Lo stesso Hegel sarà un erede di questa tradizione».
Si potrà parlare anche in seguito di un certo substrato teologico nella scienza occidentale?
«Si può evocare il concetto di matrice dell’origine delle idee scientifiche. Ebbene, in tale matrice, c’è una dimensione teologica. Il mondo occidentale ha creduto in una creazione ordinata ed ha così potuto cercare delle leggi nel mondo. Il mondo occidentale ha creduto nell’incarnazione di Dio ed ha così potuto costruire un’antropologia specifica. Il discorso scientifico corrente sul mondo e sull’uomo ha ancora nella propria matrice forti componenti teologiche cristiane ».
Ciò fu vero anche per figure come Galileo?
«Già attento lettore di Dante, Galileo rimase a lungo sotto l’influenza dei padri gesuiti del Collegio romano. Le ricerche tanto di Galileo quanto del suo contemporaneo Keplero furono profondamente segnate dal quadro religioso del tempo. Si pensi alla lettera a Cristina di Lorena in cui Galileo sottolinea la differenza fra la Bibbia e la scienza. Si può sottolineare questa differenza perché si è all’interno di un sistema religioso».
Riflessioni dal sapore talora religioso sono riemerse nel Novecento con scienziati come Einstein. L’eterno ritorno dello spirito cartesiano?
«In un certo senso, sì. In proposito, è importante ricordare pure la fecondità dell’influenza contraria, quella della scienza sulla teologia. Oggi, dopo gli scontri ideologici del XX secolo, siamo alla ricerca di una nuova logica capace di schivare tanto il dogmatismo, quanto il relativismo. Cartesio può aiutarci. Penso in particolare alla sua sesta meditazione, che segna un ritorno alla natura e alla scoperta del mondo esteriore».