L'Areopago
Quando S.Francesco venne a Trastevere, a Ripa, e perché?
Intanto dobbiamo specificare. Non tanto venne a Ripa, ma piuttosto venne a Roma, perché il vescovo di Assisi sollecitò S.Francesco - visto il grande dono che era per la Chiesa e per il mondo - lo sollecitò perché venisse a Roma perché doveva farsi conoscere dal Papa e soprattutto consegnare al Papa la Regola che il Signore gli aveva ispirato e quindi avere l'autorizzazione ad andare nel mondo portando il Vangelo, come era suo desiderio, ma con il permesso del Papa. Non poteva essere un capriccio personale! Ecco perché venne a Roma, esattamente non a Ripa, ma prima a S.Giovanni in Laterano.
Com'era la zona di Ripa in quegli anni? Quale il ruolo di Jacopa dei Settesoli?
La zona di Ripa in quegli anni era ridottissima, molto diversa da ora.
Intanto si chiamava Ripa perché era il Porto di Ripa grande, dove attraccavano i
mercantili che portavano la merce per i romani da Ostia. In seguito all'editto di Costantino
con il quale fu proclamato il culto cristiano in modo libero, cominciarono a sorgere le varie
chiese, i vari monasteri e qui a Trastevere nacque il monastero di S.Cosimato (dove attualmente
si trova l'ospedale Nuovo Regina Margherita) dedicato naturalmente ai SS. Cosma e Damiano e di
proprietà dei benedettini, i quali però si allargarono ed ebbero come loro
proprietà tutto un grande spazio presso le rive del Tevere, detto oggi Lungotevere Ripa
Grande. Allora era il porto di cui ho parlato poc'anzi. Cosa c'era in questo spazio dei
benedettini? C'era una piccola cappella dedicata a S.Biagio, con un sacerdote cappellano, ed un
ospedale dove erano accolti i lebbrosi in fase terminale e poi una casa del pellegrino. Qui
alloggiò S.Francesco, secondo la tradizione, e qui curò i malati che vi si
trovavano.
Frate Jacopa dei Settesoli apparteneva ad una delle famiglie aristocratiche della zona di
Trastevere ed entrò in amicizia con S.Francesco quando lui arrivò in questa zona.
In seguito all'approvazione che Papa Innocenzo III diede alla Regola di S.Francesco, Papa
Gregorio IX disse ai benedettini di cedere ai francescani questo spazio che si trovava presso
la riva del Tevere, dove il Santo aveva soggiornato, in modo che potesse sorgere un centro di
spiritualità francescana. I benedettini regalarono questo spazio e allora frate Iacopa,
così la chiamava S.Francesco - era una laica che fece questa promessa al Signore di
vivere il Vangelo seguendo l'esempio di S.Francesco, in quello che da allora si chiamerà
il Terzo ordine francescano - allora questa donna, dopo la morte di S.Francesco, si diede da
fare perché il santuario, cioè il luogo dove S.Francesco, con la prima
comunità francescana, dodici giovani frati, avevano soggiornato, presso questa riva del
Tevere, potesse diventare un santuario. Quindi lei si dedicò alla costruzione e alla
manutenzione di questo piccolo luogo che noi oggi chiamiamo la Porziuncola romana, per quanto
è piccola.
Quali ricordi significativi della vita di S.Francesco sono legati a questo santuario?
Bisogna dire innanzi tutto che, dopo che S.Francesco fu ricevuto dal Papa ed
ottenne l'approvazione del suo modo di vivere, per lui e per i suoi frati, da qui partì
il primitivo francescanesimo. La Regola del resto era molto semplice, perché S.Francesco
seguiva il Vangelo. E, come Gesù chiede in esso di mandare gli Apostoli a due a due in
giro per i paesi della Palestina a predicare, così volle fare pure S.Francesco, mandando
i compagni a due a due. Bisogna dire che Francesco aspettava dal Papa questa approvazione,
perché per lui la volontà del Papa era come la volontà di Dio. Francesco
fu felice di sentire dalla voce del Papa che poteva associarsi questi suoi compagni,
poiché all'inizio non sapeva neanche lui cosa fare, se mandarli indietro e mettersi da
solo nella vita religiosa - S.Francesco ha cominciato come eremita. Da S.Francesco a Ripa parte
allora il primitivo francescanesimo. Il Papa, quando diede l'approvazione, si trovò un
po' in difficoltà, perché questi frati chiedevano di andare in giro a predicare
il Vangelo e molti di loro non erano neanche sacerdoti. In quei tempi, per andare a predicare
il Vangelo, i sacerdoti dovevano sostenere un esame e dopo averlo superato potevano andare in
giro con l'autorizzazione dei vescovi. Invece S.Francesco e molti suoi compagni non erano
sacerdoti. Quindi veniva chiesto al Papa qualcosa di eccezionale, per quei tempi impensabile,
così come non esisteva il fatto che una congregazione religiosa potesse non avere una
sede fissa, una sede stabile, poiché dovevano essere inquadrati dal punto di vista del
diritto canonico. Allora il Papa si trovò un po' in difficoltà; all'inizio diede
un'approvazione orale, non scritta, del modo di vivere francescano. L'approvazione della regola
in forma scritta verrà molto più tardi, negli ultimi anni di vita di
Francesco.
Da Roma parte il francescanesimo primitivo e lo stesso S.Francesco restò molto
affezionato alla nostra chiesa di S.Francesco a Ripa.
Lasciò qui dei frati fissi perché voleva una sede dove stare, quando tornava a
Roma. Anche se c'erano ancora dei benedettini, lui ugualmente lasciò qui dei frati. Poi
quando nel 1229 tutto il complesso, con la bolla di Papa Gregorio IX, passò dai
Benedettini ai francescani perché il complesso era cadente, fatiscente, allora i
francescani si insediarono ufficialmente qui. E' per questo che S.Francesco a Ripa è il
santuario francescano più antico di Roma. Lo stesso S.Francesco ci è tornato
diverse volte, almeno 4 o 5 volte. S.Francesco è venuto qua con poche persone e dopo
pochi anni erano già diventati migliaia. Questo manifestava che veramente la Grazia del
Signore assisteva questo movimento che nasceva.
Quali reliquie ed oggetti conserva la cappella di S.Francesco?
La cappella di S.Francesco è lo spazio conservato dai frati dove,
secondo la tradizione, ha dormito e ha pregato S.Francesco. Chiaramente poi nel '600 - il
movimento francescano aveva allora una grande scuola di scultori del legno, specialmente per i
crocifissi; nella nostra chiesa ce ne sono due molto importanti - costruiscono l'altare in
radica di noce che noi abbiamo nella cappella di S.Francesco. E siccome a quei tempi c'era
molta superstizione e si rubavano le reliquie, fu inventato questo meccanismo, una ruota
meccanica attraverso la quale si aprono delle porticine, nelle quali sono le teche d'argento
costruite su misura, donate dalla famiglia de' Medici.
In ogni teca i frati hanno raccolto le reliquie dei più grandi santi francescani.
Quindi possiamo dire che c'è qui tutto l'albero dei santi francescani. Alcune reliquie
di santi già le avevano qua, altre le fecero arrivare da ogni parte del mondo proprio
per completare questo albero dei santi francescani. Ci sono tutti i più grandi:
S.Francesco, S.Chiara, S.Antonio, S.Giovanni da Capestrano, S.Bernardino e così via. Il
meccanismo naturalmente è nascosto per cui se un pellegrino visita senza guida la
cappella e nessuno aziona per lui il meccanismo, non può vedere queste reliquie. Questo
meccanismo è una cosa unica. Io non ho mai visto in nessun'altra chiesa un meccanismo
del genere. Sempre nella cappella di S.Francesco è conservato il sasso dove ha poggiato
la testa S.Francesco. Perché il santo di Assisi per penitenza, fin dai primi tempi,
volle dormire su un sasso. Naturalmente poggiava un cuscino sul sasso e ci dormiva sopra. In
tutti i grandi santuari francescani si trova il sasso che S.Francesco usò per appoggiare
la testa.
E' rimasta anche l'urna dove una volta si custodivano i resti, le ossa di S.Carlo da Sezze.
Poi quando fu fatto il corpo in cera del santo, le sue ossa furono messe in una cassettina
deposta poi nel torace della statua di cera che noi conserviamo nella nostra chiesa.
Chi dipinse le icone della cappella e quando furono dipinte? Cosa hanno di significativo?
Quella più famosa è di Margaritone di Arezzo, un dipinto su
tavola di legno che raffigura S.Francesco secondo l'iconografia tradizionale, già con le
stimmate. Quindi Margaritone lo ha dipinto con il cappuccio, con la croce ed il Vangelo.
Considerando che Margaritone è morto poche decine di anni dopo S.Francesco, questo
dipinto è uno dei ritratti più antichi di S.Francesco. Alla sua scuola
appartengono gli altri due dipinti che raffigurano rispettivamente S.Antonio da Padova e
S.Ludovico, vescovo di Tolosa. Sono stati scelti questi due santi perché probabilmente
anche S.Antonio è stato qui nel nostro santuario, anche se noi non abbiamo dei documenti
che possono provare la presenza del santo di Padova. Però sappiamo che S.Antonio
è venuto a Roma nel 1230, per un congresso di teologi e anche per questioni che
riguardavano l'ordine francescano. Ora, siccome a quei tempi il nostro era l'unico convento
francescano a Roma e siccome i frati che si spostavano da una città all'altra si
appoggiavano quasi sempre ai loro conventi, è probabile che per tutto il tempo in cui
è stato a Roma, S.Antonio sia stato qui a mangiare e dormire mentre si svolgeva il
congresso teologico.
L'altro santo raffigurato, Ludovico, è il patrono del terzo ordine francescano. Figlio
del re di Francia, rinunciò al trono per abbracciare la vita francescana e poi divenne
vescovo di Tolosa. E' stato raffigurato qui per rappresentare la presenza del Terzo ordine.
L'altra patrona è stata S.Elisabetta, regina di Ungheria. Il Terzo ordine francescano ha
avuto, nel corso dei secoli, grandi personaggi: grandi artisti, letterati, ecc.
Che cos'altro è importante raccontare per far comprendere tutto il significato del santuario?
Dopo il francescanesimo delle origini, nel '500 e nel '600 abbiamo il grande movimento dei frati riformati. S.Francesco a Ripa fu la sede principale dei frati riformati nella provincia romana. Questi frati si chiamano riformati perché vollero vivere una vita di maggiore penitenza, di maggiore preghiera. Si voleva procedere ad una riforma della primitiva regola. In quell'epoca sono passati a S.Francesco a Ripa grandi santi. D'altra parte a quei tempi c'erano già conventi di ritiro, uno era proprio a Roma, S.Bonaventura al Palatino. S.Bonaventura al Palatino è famoso perché ci è passato S.Leonardo qualche secolo più tardi. Da S.Bonaventura è partito quel movimento di Riforma che si è esteso nel Lazio e in Italia e si è avuto un periodo fecondo per il francescanesimo.
Raccontateci della beata Ludovica Albertoni che è qui sepolta.
In chiesa noi abbiamo il capolavoro di Gian Lorenzo Bernini che rappresenta
l'estasi della Beata Ludovica Albertoni. Non tutti sanno però chi era. Apparteneva ad
una famiglia nobile di Roma, rimase vedova in giovane età e si dedicò ad opere di
assistenza e di beneficenza. Si è santificata così fino a diventare un
personaggio molto conosciuto, specialmente in questo quartiere. Erano tanti i poveri che ogni
mattina bussavano alla sua porta e la casa della Albertoni era diventata il centro principale
dove andare. Lei era la persona a cui rivolgersi per tutti quelli che avevano bisogno, i
barboni di allora, le famiglie disagiate. Ludovica Albertoni fu una grazia del Signore mandata
alla città di Roma. Per questo motivo la Albertoni è compatrona della
città di Roma. In Campidoglio, nell'ufficio del Sindaco, c'è un suo grande
ritratto. Noi abbiamo ripristinato da poco un'antica tradizione per la quale nella festa della
Albertoni, il sindaco di Roma viene a portare un omaggio floreale qui alla sua tomba. Oggi il
sindaco, anche se non viene personalmente, come nei secoli passati, manda una rappresentanza a
portare dei fiori a Ludovica Albertoni. La statua è una dei capolavori della
maturità del Bernini per cui sono tanti i visitatori che vengono per vederla. E'
interessante il confronto tra questa scultura e quella che raffigura S.Teresa, sempre del
Bernini, che si trova a via XX settembre.
Quella che c'è in S.Francesco a Ripa è anche inserita in una cornice bella.
Dietro c'è un quadro famoso che raffigura S.Anna e la Madonna e inoltre ai lati ci sono
raffigurate S.Francesca Romana e S.Chiara.
Qual è il legame di S. Carlo da Sezze con il santuario?
S.Carlo da Sezze è un santo francescano. E' il primo santo
canonizzato da Giovanni XXIII nel 1959, è del Lazio. Sezze è in provincia di
Latina. Entrò nell'ordine francescano, nonostante i tentativi di suo zio, monsignore di
Sezze. Rimase colpito dalla semplicità dei frati minori. Era un piccolo pastore, ogni
giorno andava dietro al suo gregge. Lasciò gli studi perché una volta,
comportandosi male a scuola, ricevette una sberla dal maestro. Fuggì via e non volle
più sentir parlare di studiare. La sua vita era quella dell'agricoltore e del pastore,
fino a che - siccome lui aveva questa “debolezza” della preghiera, era un
appassionato della preghiera, si fermava in tutte le chiese che incontrava accompagnando il suo
gregge - venne la vocazione per l'ordine francescano, dietro l'esempio dei frati minori. Come
succede nell'ordine francescano, i frati vengono trasferiti da un convento all'altro e
così quello in cui lui dimorò per più anni finì per essere proprio
quello di S.Francesco a Ripa che oggi custodisce le sue spoglie, nella cappella accanto a
quella che contiene la statua di Ludovica Albertoni.
Sull'altare in cui si trovano le spoglie di S.Carlo c'è un bellissimo quadro di
S.Michele Arcangelo. Nonostante S.Carlo non sia mai divenuto sacerdote, aveva una grande
passione per Gesù Eucaristia. Un giorno, passando per Roma per chiedere l'elemosina
(è una delle cose che competono ai fratelli non sacerdoti) per dare poi da mangiare ai
frati, a S.Giuseppe a via Capo le Case, entrò durante la messa e, nel momento della
consacrazione, mentre il sacerdote levava con le sue mani il corpo di Cristo, si sentì
un forte dolore al petto, mise una mano nel punto in cui sentiva il dolore e si accorse che
sanguinava e questa ferita nel costato, dalla parte del cuore, se la portò fino alla
fine della sua vita, il 6 gennaio 1670. Dopo cento anni, quando fecero la riesumazione del
corpo per procedere alla beatificazione, la grande meraviglia dei frati fu di trovare intatto
il cuore. Lo custodirono nel reliquiario fino a quando fu portato via da ignoti. S.Carlo ebbe
questa vita semplice ma arricchita da Dio, uno dei suoi doni era la “scienza
infusa”. Lui, pur non avendo studiato teologia, era un teologo! Molti della Curia romana,
Cardinali e Vescovi, andavano spesso da lui per chiedere consigli sia sulla vita spirituale che
sulla teologia. E' una bella figura del '600.
Come mai Giorgio De Chirico è sepolto qui a S.Francesco a Ripa?
E' presto detto: c'era un forte legame con la famiglia francescana e in
particolare con S.Francesco a Ripa. Sua moglie era legata ad un francescano di questa
parrocchia. Ci fu un avvicinamento ad una dimensione cristiana, prima ancora che francescana,
al punto che si vide una conversione in lui, poco prima della morte. La vedova chiese se era
possibile la sepoltura nella chiesa e la Santa Sede l'ha concesso, dietro l'intervento di
questo padre francescano, molto vicino alla famiglia De Chirico. il maestro è sepolto in
una cappella che si trova dietro alla cappella dedicata all'Immacolata Concezione, affrescata
da vari artisti, anche della scuola del Caravaggio.
Dietro questa cappella c'è attualmente il sarcofago con le spoglie di De Chirico e
stiamo preparando, d'accordo con la famiglia, la sistemazione di tutta la cappella,
perché poi possa essere visitata. De Chirico non è mai stato un grande credente,
ma è stato un grande ammiratore di S.Francesco. Un quadro che ha regalato a noi - e
sarà poi messo vicino alla tomba - rappresenta una Crocifissione. E' una grande tela; ai
piedi del Crocifisso, De Chirico ha dipinto S.Francesco (solo la testa e il busto). De Chirico
considerava S.Francesco come l'alter Christus, il secondo Cristo - il primo santo con le
stimmate della storia - ed era uno dei santi per i quali aveva simpatia, per il fatto della
poesia francescana, cioè dell'amore di S.Francesco per tutto il Creato.
N.B. I brani che seguono sono tratti da F.Uribe, Itinerari francescani,
Edizioni Messaggero Padova, Padova, 1997.
Siamo pronti per la loro immediata rimozione se la messa a disposizione on-line non fosse
gradita a qualcuno degli aventi diritto
Eugenio III (1145-1153) fece costruire sul fianco settentrionale della basilica il “palatium novum”, come residenza pontificia. Tale palazzo venne ampliato dal papa Innocenzo III (1198-1216), che varie volte dovette lasciare il palazzo del Laterano per rifugiarsi nel settore leonino, a causa delle frequenti rivolte del popolo romano. Francesco non poté quindi vedere tutta la mole di costruzioni che vediamo oggi. Il loro sviluppo si registrò infatti dopo il ritorno dei papi da Avignone (1377), quando stabilirono la curia pontificia sul colle Vaticano, abbandonando definitivamente i palazzi del Laterano, che non erano in condizione di essere abitati, pur seguitando la basilica di San Giovanni a essere sede della cattedra del papa come vescovo di Roma.
La basilica di San Giovanni in Laterano con i suoi dintorni è stata probabilmente il luogo di Roma più frequentato da Francesco. Si trova oggi, com'è naturale, notevolmente trasformata in rapporto a ciò che esisteva nel secolo XIII. In quel periodo il centro di Roma gravitava praticamente intorno a questa basilica, sede del vescovo di Roma, al suo battistero, dove venivano battezzati tutti i romani, e al palazzo del Laterano, sede della curia pontificia. Nelle sue adiacenze si trovava la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, la residenza del cardinale Ugolino che era vicinissima alla chiesa dei Santi Pietro e Marcellino, e, secondo alcuni, l'ospizio di Sant'Antonio abate, anch'esso vicino alla stessa chiesa (“tra l'acquedotto e la chiesa dei Santi Pietro e Marcellino”), dove alloggiò Francesco nel 1209. Un ospizio (od ospedale) era il luogo dove venivano accolti i pellegrini poveri e gli infermi. Il suaccennato ospizio di Sant'Antonio era sotto la direzione dei frati ospedalieri di sant'Antonio, che accompagnavano la corte pontificia nei suoi spostamenti. Portavano cucito sull'abito una grande T greca (la “tau”) e il loro bastone terminava in forma di T. I Trinitari affermano che nel secolo XIII non c'era alcun ospedale vicino a San Giovanni in Laterano e che Francesco dovette cercare alloggio nell'ospizio, da loro diretto, di san Tommaso in Formis (vicino a Santo Stefano Rotondo).
Il cardinale Brancaleone, grande ammiratore di Francesco, era dal 1202 il titolare di Santa Croce in Gerusalemme, vicino alla quale aveva il proprio palazzo. Quest'ultimo confinava con le mura aureliane e l'anfiteatro castrense (“castrum”, nel secolo IV, è la residenza imperiale). Sulle mura c'erano torri di guardia e di difesa. Nel medioevo esistevano ancora alcune di queste torri. Una di esse venne data a Francesco per potervisi dedicare alla preghiera.
Il «Septizonium» era uno splendido palazzo fatto costruire
dall'imperatore Settimio Severo nel 203, ai piedi del Palatino. Misurava cento metri di
lunghezza e trentotto di altezza. Le sue proporzioni e la sua bellezza impressionavano tutti i
viaggiatori che giungevano a Roma dalla via Appia. Nel secolo XIII esisteva ancora parte di
questo palazzo, accanto al quale uno dei rami della famiglia Frangipani aveva la propria
residenza. Divenne nota col nome del luogo: vicino al «Septizonium»
(“Septemsolis”) = Settesoli. Questa residenza fu distrutta nel 1589 e di essa non
rimane altro che una piccola torre, la torre «Moletta», sul fianco sud del Circo
Massimo, così chiamata perché vicinissimo ad essa c'era un mulino (la
moletta).
Un secondo ramo della famiglia Frangipani abitava vicino all'arco di Tito, il terzo ramo (De
Gradellis) in Trastevere. Le origini di questa famiglia risalgono al secolo X, ma fu durante i
secoli XII e XIII che arrivò a essere più potente e influente nella vita romana.
La famiglia Frangipani dei Settesoli si estinse nel secolo XVI (Frangipane «frangere
panem»: dividere o spartire il pane; molte famiglie ricche avevano l'abitudine di
distribuire il pane ai poveri).
Uno dei membri della famiglia Frangipani, Graziano Frangipani dei Settesoli, aveva sposato una
nobildonna romana che si chiamava Jacopa de' Normanni. Nel 1217 Graziano morì, lasciando
due figli che restarono sotto la tutela della giovane vedova Jacopa. Jacopa dei Settesoli fu
un'amica intima di san Francesco, che ospitò varie volte nella propria casa. Dopo la
morte di questi, «frate Jacopa», come la chiamava il santo, si trasferì ad
Assisi dove morì nonagenaria. Fu sepolta nella basilica di San Francesco in Assisi.
Dove oggi s'innalza la chiesa di San Francesco a Ripa, esisteva, agli inizi
del secolo XIII, una modesta chiesa dedicata a san Biagio, a fianco della quale si trovavano le
abitazioni di quelli che servivano nell'attiguo ospizio di San Biagio. L'ospizio accoglieva
poveri e pellegrini. Sia questo istituto che la chiesa appartenevano al vicino monastero
benedettino di San Cosimato. Una tradizione, di cui non si ha verifica, assicura che Francesco
alloggiò in tale ospizio e che pagava la sua permanenza servendo i malati. Si tratta di
una notizia riportata da Mariano di Firenze nel secolo XVI (cfr. Itinerarium urbis Romae).
Con una bolla del 23 luglio 1229, papa Gregorio IX ordinò che la chiesa di San Biagio e
l'ospizio annesso passassero in mano ai frati minori. In tal modo si stabilì la prima
residenza ufficiale dei frati minori in Roma. La bolla indica chiaramente che i frati dovevano
essere semplici ospiti delle abitazioni contigue alla chiesa. Ben presto la chiesa di San
Biagio cedette il posto a un'altra chiesa più ampia costruita in onore di san Francesco.
Col passare del tempo questa chiesa subì varie trasformazioni. Su un fianco della
chiesa, sopra la sacrestia, si trova quella che si è creduto essere la cella abitata da
san Francesco. Oggi è trasformata in cappella, dominata da un altare di legno addossato
a un immenso e sofisticato reliquiario costruito nel secolo XVII dal francescano Bernardino
Jesi Al centro della pala d'altare c'è un quadro di san Francesco attribuito a
Margaritone d'Arezzo (1262-1305).
Questa basilica romana, dove in antico (e di nuovo al giorno d'oggi) avevano inizio le stazioni quaresimali, venne assegnata al nascente Ordine dei predicatori fin dai tempi del loro fondatore san Domenico. Al suo fianco v'è un convento che risale al secolo XIII e che, secondo la tradizione, fu fatto costruire dallo stesso san Domenico. Nel piano elevato di questo convento c'è una stanza che ricorda l'incontro di san Francesco col fondatore dei predicatori, come attesta la scritta che figura sulla porta d'ingresso: “Attende advena. Hic olim sanctissimi viri Dominicus Franciscus Angelus Carmelita in divinis colloquiis vigiles pernoctaverunt”. La cella, di aspetto modesto, è preceduta da una piccola cappella riccamente decorata nel secolo XVII sotto la direzione del Borromini.
Per altri articoli e studi su Roma presenti su questo sito, vedi la pagina Roma (itinerari artistici, archeologici, di storia della chiesa e di pellegrinaggio) nella sezione Percorsi tematici
I pochi dati biografici su Jacopa de'Settesoli, riguardano principalmente la
grande riforma spirituale francescana e le immense ricchezze feudali di suo marito, il nobile
romano Graziano Frangipane del ramo de'Settesoli. Questa progenie – ben distinta dai
Frangipane de Chartularia (nei pressi del Colosseo) e da quelli dei De Gradellis (in
Trastevere) - traeva il curioso appellativo - Settesoli o Sette zone - dalla sua
dimora fortificata, all'estremità meridionale del Palatino, nota nell'antichità
come il Settizonio, monumento di sette piani, fatto erigere dall'Imperatore Settimio
Severo per celebrare le sue vittorie in Oriente.
Jacopa de'Normanni nacque a Roma intorno al 1190 [1] da una egualmente illustre famiglia residente a Trastevere. Il casato,
d'origine normanna, vantava tra i suoi membri quel cardinal Stefano che aveva indotto gli
eremiti di S. Maria di Palazzolo sul Lago Albano ad abbracciare un Ordine monastico vero e
proprio concordando con l'Abate delle Tre Fontane alle Aquae Salviae l'incorporazione
della chiesa di Palazzolo all'abbazia romana e l'accettazione da parte dei suoi frati della
Regola di S. Bernardo. Tornando a Jacopa, da un documento del 1210, risulta che aveva
già sposato Graziano Frangipane e che dal loro matrimonio erano nati due figli, Giacomo
e Giovanni. Graziano morì prematuramente nel 1217, affidando alla propria vedova
l'amministrazione dei numerosi castelli e dei possedimenti sparsi per tutta Roma e nella
campagna romana come Cisterna, Ninfa, Terracina, Torre Astura ecc. Era, com'è
noto, di sua proprietà, anche Marino, alla cui comunità, la nobildonna e
suo figlio Giovanni, con un atto del 31 maggio1237 – probabilmente uno degli ultimi atti
pubblici firmati da Jacopa prima di ritirarsi ad Assisi - concesse un particolare statuto
[2] .
Jacopa aveva incontrato Francesco a Roma, nel 1219, durante una predicazione. Ella, donna
fatta e vedova di sì illustre casato, aveva guidato con ferma mano il frate d'Assisi per
le vie dell'Urbe, come se fosse un figlio, appena maggiore dei suoi. Da allora, Jacopa de'
Settesoli era diventata la più valida collaboratrice del neonato movimento francescano
nella città dei Papi. Fu lei ad ottenere dai Benedettini di S.Cosimato in Trastevere la
cessione dell'ospedale di San Biagio, che divenne il primo luogo romano dei Minori. Nel 1231,
immediatamente dopo la canonizzazione di Francesco, l'ospedale fu trasformato nel convento di
S. Francesco a Ripa per iniziativa della stessa Jacopa de' Settesoli – secondo altre
fonti dagli Anguillara - e di Papa Gregorio IX. L'attuale cappella di San Francesco che ricalca
grossomodo la cella dove dimorò il Santo contiene una pietra che il Poverello usava come
cuscino ed un paio di sue immagini (XIII Secolo) attribuite al pittore Margaritone D'Arezzo
volute, secondo la tradizione, sempre dalla pia Jacopa.
Attiva e risoluta, pur essendo devota e premurosa, Jacopa si poteva quasi dire un uomo, e,
infatti, mentre Francesco chiamava sempre Chiara con il nome di sorella, appellò Jacopa,
per la sua forza d'animo e la sua integrità - considerate all'epoca qualità
prettamente virili - affettuosamente con il nome di fratello: Frate Jacopa.
Ella gli dimostrò grande dedizione e rimase sua carissima amica per tutta la vita.
Secondo San Bonaventura, un giorno Francesco le regalò un agnellino, figura del
Salvatore, che la seguiva fedelmente dappertutto e belava ogni mattina per svegliarla. Jacopa
lo allevò, lo tosò, e con la sua lana tessé una tunica a Francesco. Era
questo il carattere di Jacopa, che da ogni cosa sapeva trarre profitto e utilità.
Nonostante avesse l'opportunità di vivere lussuosamente, ella seguì il modello
di perfezione suggerito da Francesco, conducendo una vita austera e mettendo a sua disposizione
i suoi beni ed il suo potere. Sarebbe voluta entrare nel Secondo Ordine, ossia quello di
Chiara, ma doveva ancora prendersi cura dei figli.
Nel 1221 Francesco, probabilmente ispirato da lei, fondò l'Ordine dei
“Fratelli e Sorelle della Penitenza”, o “Terzo Ordine”,
per i laici che desideravano condurre una vita santa, pur rimanendo a vivere nel mondo.
Su richiesta di Jacopa, fu eseguito un ritratto di Francesco, ancora
vivente, quando il Poverello dopo il grande miracolo della Verna s'era recato a Rieti per
ritentare presso i medici della corte pontificia la cura del suo mal d'occhi, che minacciava di
condannarlo ad una cecità completa. L'immagine - sicuramente una copia cinquecentesca in
tela su tavola - è tuttora conservata nell'eremo di Greccio, il paese dove il Santo
inaugurò la popolare tradizione del Presepe.
In questa immagine, il Poverello si asciuga le lagrime con un pannolino bianco che tiene nella
destra, mentre mostra la sinistra nella cui palma, come sul dorso del piede sinistro, nereggia,
il Sigillo di Cristo (la Stimmata). La figura del Santo è piccola, macilenta,
disegnata in piedi, ma un po' curva, commoventissima, piena di misticismo.
Un'iscrizione informa: “Vero ritratto del Serafico Patriarca San Francesco d'Assisi,
fatto eseguire dalla pia donna romana Giacoma de' Settesoli, vivente lo stesso Patriarca, che
si venera nella di lui Cappella del S. Ritiro di Greccio”
Quando Francesco sentì avvicinarsi la sua ultima ora, disse ad un frate di scrivere una lettera per Jacopa, per informarla della sua morte imminente e chiedendole di raggiungerlo alla Porziuncola, recandogli una veste per la sepoltura e candele per il funerale:
“A donna Jacopa, serva dell'Altissimo, frate Francesco, poverello
di Cristo, augura salute nel Signore e comunione nello Spirito Santo.
Sappi, carissima, che il Signore benedetto mi ha fatto la grazia di rivelarmi che è
ormai prossima la fine della mia vita. Perciò, se vuoi trovarmi ancora vivo, appena
ricevuta questa lettera, affrettati a venire a santa Maria degli Angeli. Poiché se
giungerai più tardi di sabato, non mi potrai vedere vivo. E porta con te un panno di
colore cenerino per avvolgere il mio corpo e i ceri per la sepoltura ”.
Alla fine della lettera, poi, esprimeva un desiderio:
“Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma”.
Proprio mentre i frati stavano cercando qualcuno che portasse la lettera a
Roma, Francesco presentì che Jacopa stava già recandosi da lui. Immediatamente
dopo, si udì bussare alla porta della minuscola capanna adiacente la cappella, che
fungeva da infermeria... Ella era arrivata con i suoi figli. Per lei, alla Porziuncola, fu
tolta la clausura, che non era mai stata soppressa nemmanco per Chiara.
Jacopa aveva portato tutto ciò che Francesco desiderava, inclusi i dolci, fatti con
mandorle, zucchero ed altri ingredienti, noti allora a Roma e nel circondario, col nome di
mortarioli [3] e che qualcuno ha voluto
individuare, come una variante - ma forse più per l'assonanza del nome - con i nostrani
“mostaccioli” [4] .
Gli recò anche una veste da lei stessa tessuta e che poi servì come veste
mortuaria, un cuscino di seta rossa con ricamati i leoni di casa Frangipane e le aquile
imperiali ed il suo velo nuziale di seta bianca lavorato a rombi e gigli su cui erano ricamate
con lettere in seta e oro le parole: “ ama, ama, ama”.
Jacopa gli rivelò che, mentre stava pregando a Roma, una voce divina l'aveva avvertita
che presto lui sarebbe passato ad altra vita, e che le avrebbe chiesto di portargli le cose che
ella gli aveva appena recato. Dopo il transito del Santo, quando il corpo di Francesco
restò nudo sulla nuda terra, Frate Jacopa deterse con quel lino il sudore della morte
dal suo volto. Né parve strano che per quel gesto ella usasse un ricordo del suo terreno
amore.
Partecipando così al funerale, come raccontano I Fioretti, fu la stessa Jacopa a
sostenere le spese di sepoltura di Francesco. Dopo il funerale di Francesco, Jacopa
tornò a Roma, dove visse per più di dieci anni dedicandosi a opere di
pietà, e di carità.
In seguito, decise di fare testamento, lasciando tutte le sue proprietà al figlio
Giovanni, essendogli l'altro, Giacomo, morto nel 1230, e chiedendo di essere sepolta ad Assisi
ove un paio d'anni prima della morte si trasferì ed ove morì nel 1239
[5] . Seguì nel sepolcro il suo Maestro
nella chiesa inferiore della “Basilica di San Francesco”, sotto il pulpito, vicino
all'altare che sovrasta la tomba di Francesco.
Nel 1932, i suoi resti furono trasferiti nella Cripta del Santo, di fronte all'altare fra le
due scalinate, in un'urna, protetta da una griglia metallica nera, con un'iscrizione sopra:
“fr. jacopa de septemsoli”,
ed un'altra al di sotto di essa:
“hic requiescit iacopa sancta nobilisque romana”
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[Nota 1] (Nota dell'Areopago) Ci permettiamo di far notare come gli studiosi moderni non concordino sulla data di nascita di Jacopa. Se è da prendere per vera la data proposta dal Crielesi e da altri studiosi, cioé l'anno 1190, Jacopa era allora più giovane di Francesco di otto anni, essendo Francesco nato nel 1182, ed i suoi figli erano certamente molto più piccoli del santo. Se l'incontro di Jacopa con Francesco d'Assisi avvenne nel 1219, come sostiene il Crielesi, ella aveva allora 29 anni circa, era certamente già vedova, ma “donna fatta” solo per sapienza e scelte di vita, non certo per età. Nel 1226, anno della morte di Francesco, Jacopa avrebbe avuto 36 anni. La grande enciclopedia di Roma, a cura di C.Rendina, Newton and Compton editori, Roma, 2000, propone, invece,come data di nascita l'anno 1165. Secondo questa data, Jacopa sarebbe invece più anziana di Francesco d'Assisi.
[Nota 2] E' lo stesso castello che suo figlio Giovanni, non avendo discendenti, avrebbe destinato in testamento nel 1253 ai monasteri dei SS. Andrea e Saba di Roma e Santa Maria di Grottaferrata ed ai poveri di Marino e che gli esecutori testamentari, il Cardinale Giovanni Orsini e Fra Tommaso, Priore di Santa Sabina, vendettero per la somma di 13 mila libre di provisini romani al Cardinale Matteo Rosso Orsini; procuratore dei poveri di Marino fu un certo Pietro da Vicovario (Vicovaro).
[Nota 3] “Illam autem comestionem vocant romani mortariolum quae fit de amygdalis et zucario et de aliis rebus”, da Frate Leone, Specchio di perfezione, trad. F.Pennacchi, Sancasciano 1925, p.112.
[Nota 4] I “mortarioli”, dagli ingredienti (mandorle e zucchero ecc.), fanno pensare a dei dolci simili alla pasta di mandorle ottenuta lavorando con un mortaio (mortarium)...
[Nota 5] Nonostante il rinvenimento di testamenti, riportati dal Sabatier nello Specchio di Perfezione pp. 273-277 dove si parla di Jacoba de Roma, che vanno dal 1258 al 1288, gli storici stanno piuttosto con il Wadding il quale asserisce aver letto in antichi manoscritti mostratigli ad Assisi, esser morta Jacopa de' Settesoli nel 1239. Alcuni presunti documenti, inerenti l'amministrazione di Marino, che la citano insieme al figlio Giovanni verso il 1273, sono da scartare in quanto a quella data il castello era già degli Orsini e Giovanni Frangipane morto.