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Qumran: una delle cisterne d'acqua

LA SPIRITUALITÀ DELLA COMUNITÀ DI QUMRAN

«È un popolo unico nel suo genere e ammirevole nel mondo intero più degli altri: non ha donne, ha rinunziato interamente all’amore, è senza denaro, vive nel deserto. Di giorno in giorno rinasce in gran numero, grazie alla folla dei nuovi venuti. Affluiscono infatti in gran numero coloro che, stanchi delle vicissitudini della fortuna, la vita indirizza all’adozione dei loro costumi; talmente fecondo è per essi il pentimento della vita passata!» (Plinio il Vecchio).

La comunità di Qumran era un movimento di natura escatologica; gli adepti si sentivano il «Resto d’Israele» che Dio si era riservato per gli ultimi tempi. L’ideale di vita era accentrato attorno ai tre amori fondamentali:

L’amore verso Dio, che si esprimeva in una rigorosissima osservanza della Legge. Norme di purità e studio della Legge (un terzo della notte, vale a dire 4 ore al giorno). Forte insistenza sulla santità rituale.

L’amore verso il prossimo, intendendo come prossimo tutti gli appartenenti alla loro comunità. Esso si esprimeva nel riconoscimento della perfetta uguaglianza fra di loro, per cui era proibita, nella comunità, qualsiasi forma di schiavitù e coloro che erano chiamati a rivestire cariche direttive dovevano prestare giuramento di assoluto rispetto verso i sudditi. L’amore del prossimo si esprimeva soprattutto con i vecchi e gli ammalati, trattati con cure amorose e assistenza particolare.
Vi era però un separatismo oltranzista ed intransigenza assoluta verso gli altri ebrei e soprattutto verso i pagani. Filone scrive che si ritirano nel deserto «fuggendo dalle città a motivo delle empietà che normalmente si commettono in esse dagli abitanti».

Infine, l’amore verso la virtù, spingeva alla fuga da qualsiasi forma di piacere, mediante una rigorosissima vita ascetica.
I nuovi aspiranti venivano ammessi dopo un anno di severo noviziato durante il quale dovevano raggiungere una perfetta conoscenza soprattutto delle leggi di purità e dar prova di capacità per una fedele osservanza. L’ammissione avveniva con una solenne cerimonia durante la quale il novizio prometteva riverenza a Dio, ubbidienza alle regole ed alle autorità, ed il segreto sugli usi e la dottrina della comunità; al nuovo ammesso veniva consegnata la veste bianca.
Tutta la comunità era ispirata ad un rigido ascetismo che si esprimeva nella povertà, nell’ubbidienza assoluta e nella castità.
«Ma si ritengono straordinariamente ricchi perché ritengono che la frugalità, con la gioia, sia, come in realtà è, un sovrabbondante benessere» (Filone).
Non esisteva proprietà privata, il ricavato del lavoro era tutto consegnato al superiore che provvedeva alle necessità della comunità, ed ognuno era chiamato a vivere nella più assoluta povertà personale; gli stessi abiti che la comunità forniva dovevano essere portati fin che inservibili.
L’ubbidienza alle regole ed alle autorità era un altro caposaldo della vita religiosa, con l’impegno ad una perfetta castità. Non è improbabile che attorno al «monastero» vivessero anche delle famiglie che si dedicavano allo stesso ideale religioso pur nella vita coniugale. Infatti nel cimitero della comunità furono rinvenuti anche scheletri di donne.
La vita era tutta organizzata in forma comunitaria e si svolgeva fra lavoro e preghiera. La giornata di lavoro, iniziata prima del levar del sole, era dedicata, in genere, all’artigianato, all’agricoltura ed allo studio. Ogni attività veniva sospesa verso mezzogiorno per compiere complessi riti di purificazione in preparazione al pranzo.
Il cibo, preparato da sacerdoti in stato di purità legale, consisteva per lo più in pane e vino dolce (mosto) che venivano presi solo in quantità sufficiente al sostentamento e con particolari preghiere; più che un pranzo era un vero e proprio pasto rituale. Veniva poi ripreso il lavoro fino al crepuscolo, quando, dopo il rituale di purificazione, con la preghiera in comune seguiva il rito della cena. Il giorno del sabato era dedicato ad un rigorosissimo riposo, tutto consacrato alla lettura ed alla interpretazione dei testi sacri, alla preghiera ed alla meditazione.
Nella spiritualità degli Esseni era forte la febbrile attesa escatologica: «la venuta del Messia è ormai prossima e con essa la vittoria dei figli della luce sui figli delle tenebre». Su questo punto è sorprendente la affinità di linguaggio con Giovanni il Battista. Il linguaggio è molto dualista: il mondo è diviso in due campi, il partito di Dio e quello di Beliar.
In campo escatologico: fede nell’aldilà ed in particolare nella Geenna (Abbadon) e nel Paradiso. Sono i primi a parlare di punizione eterna e credono nelle presenze angeliche e diaboliche (il principe delle tenebre, Belial).

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