Magdala, la città di Maria Magdalena. I nuovi scavi e la sinagoga del I secolo d.C. (dal sito del Magdala Project)
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Riprendiamo sul nostro sito cinque testi dal sito del Magdala project. I primi due articoli presentano in forma divulgativa i primi risultati degli scavi. Il terzo testo, invece, è una presentazione sintetica di carattere scientifico dei risultati delle ricerche, da parte di p. Stefano De Luca ofm, attuale responsabile degli scavi. Segue poi un testo di p. Marco Adinolfi che allarga la riflessione alle diverse località del Lago di Tiberiade note dalle fonti pagane. Infine, un breve testo di Andrea Lonardo presenta la figura di Maria Maddalena a partire dagli affreschi di Giotto nella basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi.
Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione degli articoli e delle foto se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Sulla figura di Maria Maddalena e sul lago di Tiberiade, vedi, su questo stesso sito, le sezioni Sacra Scrittura e I luoghi della Bibbia, in particolare
- Maddalena: gli equivoci da sfatare, di Gianfranco Ravasi
- Maria Maddalena, dai vangeli canonici agli apocrifi alla tradizione della chiesa: una santa calunniata e glorificata, di Gianfranco Ravasi
- Maria Maddalena, colei che ha compreso l’amore, di Andrea Lonardo
ed, infine, come complemento sulle false interpretazioni del Cenacolo di Leonardo, Dal Codice da Vinci di Dan Brown ad una più rispettosa lettura iconografica del Cenacolo di Leonardo, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (10/7/2011)
Indice
- 1/ Una delle più antiche sinagoghe del mondo è stata portata alla luce a Magdala (fonte Israel Antiquities Authority con adattamento di A. Lena, Magdala Project)
- 2/ Magdala. Il profumo della Buona Notizia, di Giuseppe Caffulli (rivista Terrasanta del bimestre Gennaio/Febbraio 2009)
- 3/ La città ellenistico-romana di Magdala/Taricheae. Gli scavi del Magdala Project 2007 e 2008: relazione preliminare e prospettive di indagine. Conclusioni, di Stefano De Luca (Liber Annuus 2009, pp 436-453)
- 4/ Il Lago di Tiberiade e le sue città nella letteratura greco-romana, di Marco Adinolfi (Liber Annuus 44 (1994) 375-380)
- 5/ Giotto, San Francesco e la Maddalena, di Andrea Lonardo (dal sito de Gli scritti)
- 5.1. La cena in casa del fariseo
- 5.2. La resurrezione di Lazzaro
- 5.3. Noli me tangere
- 5.4. Viaggio a Marsiglia e miracolo della famiglia del governatore
- 5.5. La Maddalena eremita nella grotta detta Sainte Baume
- 5.6. La Maddalena elevata ogni giorno dalla Sainte Baume a pregare con gli angeli
- 5.7. La Maddalena portata dagli angeli a ricevere la comunione da san Massimino
- 5.8. Il vescovo Pontano e la Maddalena
- Note al testo
1/ Una delle più antiche sinagoghe del mondo è stata portata alla luce a Magdala (fonte Israel Antiquities Authority con adattamento di A. Lena, Magdala Project)
Foto aerea della sinagoga di Magdala. Photograph:
Skyview Company, courtesy of the Israel Antiquities Authority.
Una sinagoga del periodo del Secondo Tempio (50 a.C.-100 d.C.) è stata scoperta durante lo scavo di emergenza condotto da IAA [N.d.R. Israel Antiquities Authority] in un’area destinata alla costruzione di un albergo nel terreno di proprietà della Compagnia Ark New Gate (Legionari di Cristo). Al centro della sinagoga vi è una pietra su cui è scolpito un candelabro a sette bracci, una menorah, di un tipo mai visto sino ad ora. Gli scavi sono stati diretti dagli archeologi Dina Avshalom-Gorni e Arfan Najar, dell’Israel Antiquities Authority.
L’aula principale della sinagoga misura circa 120 mq. ed era provvista di banchine in pietra che correvano contro i muri e che fungevano da sedute per i fedeli. Il pavimento era mosaicato e i muri erano affrescati. In questo ambiente è stato rinvenuto un blocco di pietra squadrata, la cui faccia superiore e i quattro lati erano ornati con rilievi. Sulla pietra è raffigurata una menorah con sette bracci, appoggiata su una base triangolare, fiancheggiata su entrambi i lati da anfore.
La direttrice dello scavo Dina Avshalom-Gorni dell’IAA afferma: “siamo di fronte ad una scoperta unica ed eccezionale. È la prima volta che viene ritrovata la rappresentazione di una menorah risalente ai giorni del Secondo Tempio, cioè quando il tempio (erodiano) era ancora in piedi. Questa è, la più antica lampada in contesto giudaico, databile al periodo del Secondo Tempio, vale a dire all’inizio del periodo Romano Antico. Si può supporre che il bassorilievo che compare sul blocco di pietra rinvenuto da IAA, sia stato scolpito da un artista che doveva avere visto con i suoi occhi la menorah a sette bracci nel tempio a Gerusalemme”.
Secondo il Ministro della Cultura e dello Sport, MK Limor Livnat, “questa importante scoperta attesta l’esistenza di un esteso insediamento ebraico nella regione settentrionale al tempo del Secondo Tempio. Sono sicuro che il sito costituirà un polo di attrazione per i turisti dal tutto il mondo e per il turismo interno e getterà luce sulla vita di un insediamento ebraico al tempo del Secondo Tempio”.
Jose Miguel Abat, legale rappresentante della compagnia “Ark New Gate”, ha espresso la sua soddisfazione per il ritrovamento e ha affermato che questo rafforza l’intenzione della compagnia di stabilire un centro per il dialogo e il rispetto tra le diverse religioni e culture. Abat ha inoltre aggiunto: “siamo sicuri che i ritrovamenti archeologici e il centro (per il dialogo interreligioso) attireranno visitatori e turisti da Israele e da tutto il mondo”.
La sinagoga è ubicata in Migdal (Magdala in aramaico) che si trova menzionata nelle fonti giudaiche. Migdal ebbe un ruolo importante durante la grande rivolta e fu sede del quartier generale di Yosef Ben Matityahu (Flavio Giuseppe) che guidò la resistenza contro i romani in Galilea. Magdala continuò a resistere ai romani anche dopo che Tiberiade e il resto della Galilea si erano arrese.
“Magdala” è menzionata nelle fonti cristiane come luogo di origine di Maria Maddalena, una delle donne che accompagnavano di Gesù e gli apostoli e che la tradizione cristiana ha elevato a rango di santa.
Dopo la conquista da parte dei romani, la città fu distrutta e molti dei suoi abitanti uccisi.
Alla fine del periodo del secondo tempio Magdala era un centro amministrativo del bacino occidentale del Lago di Galilea. Fino alla fondazione di Tiberiade nel 19 d.C., Magdala fu l’unico insediamento importante lungo le coste del lago. Il sito è attualmente chiuso al pubblico ma in futuro si prevede la sua apertura.
2/ Magdala. Il profumo della Buona Notizia, di Giuseppe Caffulli (rivista Terrasanta del bimestre Gennaio/Febbraio 2009)
Foto della pietra della sinagoga di Magdala con la rappresentazione della menorah.
Photographic credit: Moshe Hartal, Israel Antiquities Authority.
La fronte è imperlata di sudore e le mani imbrattate di fango. Ma il sorriso è quello dei grandi eventi. Il professor Stefano De Luca, giovane archeologo francescano, responsabile dei siti archeologici di Cafarnao e Magdala, mi guida nell’area archeologica dell’antica Migdal pregustando già la mia sorpresa.
Il passo è quello svelto di chi è abituato a muoversi tra le rovine archeologiche, un ambiente che richiede perizia e attenzione per non incorrere in qualche infortunio, e, soprattutto, per non danneggiare i preziosi resti architettonici che stanno emergendo dagli scavi. Davanti ad un arco perfettamente conservato si ferma e mi indica quella che, all’occhio di un neofita, appare come una fossa. «Ecco – mi dice – proprio qui abbiamo trovato gli aryballoi per i profumi».
Giusto il tempo di osservare la mia espressione stupita, e padre Stefano spiega: «Qui, in quello che è il complesso termale compreso nella più vasta area archeologica di Magdala, dove da diversi anni sono impegnati nei lavori di scavo gli archeologi francescani dello Studium Biblicum di Gerusalemme, abbiamo rinvenuto un ninfeo del I secolo che ha restituito materiale di grandissima importanza. In questa piscina, intatta fino alle coperture del tetto, abbiamo trovato manufatti che rimandano alla vita quotidiana nella città di Maria Maddalena di epoca evangelica.
Grazie ai due metri di fango che li ricoprivano, si sono conservati persino oggetti di legno: l’incannicciato della controsoffittatura, rivestito di intonaci policromi, piatti e coppe, oltre che anfore, pentole e tegami e altro materiale risalente al più tardi al 70 d.C. Piatti e tazze di legno, il cui ritrovamento è eccezionale visto l’ambiente umido della città, erano forse parte dell’equipaggiamento dei soldati romani… Sembra che il ninfeo sia stato distrutto proprio durante la campagna militare di Tito e Vespasiano del 66-67 d.C., minuziosamente descritta nelle pagine di Flavio Giuseppe. Successive ristrutturazioni dell’ambiente, con i rifacimenti dei pavimenti ad una quota più alta, hanno finito col sigillare il livello di distruzione e abbandono».
Il ritrovamento non è solo straordinario per le suppellettili recuperate. Gli scavi della campagna condotta dall’archeologo francescano, coadiuvato dalla dottoressa Anna Lena e dal team del Magdala Project, hanno portato alla luce qualcosa di davvero unico. «Sul fondo delle piscine termali frequentate dalle donne, con scalini e banchi intonacati lungo i muri, vi era una quantità di oggetti femminili: per le acconciature dei capelli, come aghi crinali lavorati in osso e pettini di legno; per il trucco, come cucchiaini e specilli di bronzo; oltre a spilloni e gioielli: anellini, vaghi in pasta vitrea e un orecchino d’oro. Le particolari condizioni delle vasche, interamente colmate dalla melma, ci hanno inoltre permesso la repertazione di alcuni manufatti peculiari: tra i moltissimi unguentari frammentari, ne abbiamo ritrovati alcuni ancora intatti e sigillati, contenenti all’interno della materia grassa.
Noi pensiamo che si tratti di contenitori per balsami e profumi, o prodotti cosmetici del tipo di quelli menzionati ripetutamente nel Vangelo, per esempio nell’episodio riportato da Luca: “Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato”» (Lc 7,36-50).
Questa peccatrice senza nome, di quella innominata città, a partire da papa Gregorio Magno (in un sermone del 591) fu identificata con Maria di Magdala e come tale la ritroviamo nelle innumerevoli rappresentazioni artistiche, e nell’immaginario comune fino ai nostri giorni. Il motivo è da ricondursi a quanto riportato subito dopo, nella pagina successiva della narrazione di Luca, in cui la Maddalena fa la sua prima comparsa: «C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e infermità: Maria di Magdala dalla quale erano usciti i sette demoni, Giovanna moglie di Cusa…, Susanna e molte altre…» (Lc 8,2). La Maddalena appartiene, dunque, al gruppo delle discepole itineranti che seguivano Gesù, assistendolo con i loro beni. Nel racconto giovanneo la ritroviamo menzionata sotto la croce (Gv 19,25) ed è la prima a recarsi al Sepolcro «con Maria madre di Giacomo e Salome» (Mc 6,1-2) per ungere il corpo del Maestro con olî e profumi. Chiamata per nome dal Risorto, Maria di Magdala è la prima testimone della Pasqua, della quale diviene annunciatrice.
«È possibile – continua padre De Luca – che le caratteristiche organolettiche degli unguenti che qui abbiamo ritrovato, siano analoghe a quelle degli oli profumati di Maria di Magdala. Le indagini preliminari condotte da un importante laboratorio sui primi campioni, hanno già evidenziato la presenza di una componente lipidica non riconducibile ad olio di oliva, ma ad altro tipo di olio vegetale assieme a tracce di tridecanolo, un composto alcoolico dal caratteristico odore di rosa. Tutto ciò corrisponde a quanto sappiamo delle misture usate nella cosmesi dell’antichità… Se le analisi chimiche sugli altri campioni lo confermeranno, un giorno sarà forse possibile riprodurre le essenze del tempo di Gesù».
Ma le novità affiorate dalle rovine di Magdala non finiscono qui. E per mostrarmi quali altre meraviglie stanno emergendo sulle rive del Mar di Galilea, l’archeologo mi indica cinque monoliti di basalto forati e inseriti a distanza, perpendicolarmente, ad un imponente muraglione che si addossa al perimetro orientale della grande piazza a quadriportico. Con fare misterioso, annuncia: «Qui, duemila anni fa, saremmo stati nel bel mezzo di un grande via vai di uomini e merci».
È difficile, per chi non è abituato a leggere il libro della storia scolpito nelle pietre, cogliere subito di cosa si tratti. Padre Stefano mi guarda comprensivo ed esclama: «Questi sono gli attracchi di una banchina del porto. Si tratta di una notizia che va confermata con l’allargamento dello scavo, perché potrebbe anche trattarsi del bacino interno di un arsenale. Sappiamo che a Magdala si costruivano barche, perciò questo potrebbe anche essere un bacino di carenaggio… Al tempo in cui questo molo era in uso, cioè nel I secolo, Madgala contava almeno 230 imbarcazioni che, secondo quanto riportato dallo storico Flavio Giuseppe, presero parte alla prima rivolta giudaica: al tempo di Gesù, l’acqua del lago arrivava fin qui. Questa quota, potrei dire, sarà il riferimento da cui partire per la ricerca delle strutture portuali della altre città antiche affacciate sul lago. L’imponenza della flotta ricordata da Flavio Giuseppe, la qualità dei reperti, tra cui le molte monete rinvenute negli scavi, testimoniano una vivacità di scambi commerciali ed un elevato livello economico.
La florida economia di Magdala si interrompe nel IV secolo con il terremoto del 363, che segna il declino della città e il trasferimento del baricentro commerciale, e probabilmente della redditizia attività di pesca, per la quale Magdala era famosa, nella vicina Cafarnao. Solo nel periodo bizantino la vita riprende, la città viene ricostruita a macchia di leopardo e i monaci edificano il santuario, citato dai pellegrini antichi, in memoria della Maddalena, oltre che il monastero con strutture di accoglienza, di cui abbiamo trovato il pavimento mosaicato».
Il ritrovamento del porto di Madgala aiuta a chiarire tutta una serie di episodi narrati nei Vangeli e offrirà indicazioni indispensabili per individuare luoghi finora di dubbia ubicazione. «Vedi questa fondazione a poca distanza da quello che doveva essere il pontile? Ci aiuta a capire anche l’episodio della tempesta sedata. Doveva trattarsi, infatti, di un muro molto alto, che aveva lo scopo di riparare le imbarcazioni dal vento e di non farle sbattere sulla banchina. Qui sul lago la tempesta è un fenomeno tutt’altro che raro. Anzi, nella stagione più calda si verifica quasi ogni giorno nel primo pomeriggio, quando l’aria calda del lago attira le correnti fresche della Galilea occidentale che si incanalano, acquistando velocità, nella strettoia del Wadi Hamam e sbucano in questa direzione. Il primo spazio aperto che trovano è Magdala e i venti sfogano qui con violenza, e in maniera del tutto improvvisa, la loro forza. Non possiamo allora non pensare all’episodio raccontato dai Vangeli e alla paura degli apostoli di fronte alla furia degli elementi: “Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena (Mc 4, 35-41)”. Del resto, questa caratteristica climatica, specie nelle torride estati sul lago, doveva rendere la città particolarmente ricercata come luogo di refrigerio».
La scoperta del porto di Magdala – gli archeologi del Magdala Project ne sono convinti – si rivelerà importante anche per risolvere altri enigmi: «Dalle fonti sembrano essere esistite due distinte Betsaida: Betsaida in Galilea e Betsaida Iulia. La Betsaida evangelica è stata recentemente identificata con et-Tell, una località collinare con resti principalmente dall’età del Bronzo e del Ferro, a circa 10 metri sul livello del lago. Oggi siamo in grado di fornire una quota di riferimento per identificare la Betsaida di cui erano originari Pietro, Andrea, Giacomo e Filippo, secondo il vangelo di Giovanni».
Accanto all’entusiasmo per i recenti ritrovamenti archeologici che fanno di Madgala uno dei siti più interessanti della Galilea, se non di tutta la Terra Santa, Stefano De Luca non nasconde le sue preoccupazioni per alcuni progetti che rischiano di deturpare per sempre queste rive del lago e di cancellare dai libri di storia una delle città più importanti per l’intero Medio Oriente.
Me ne aveva parlato due anni fa, in occasione di una precedente visita agli scavi (cfr Terrasanta, marzo-aprile 2007, pp. 46-50). Ora mi indica con la fronte corrucciata un grande cartellone stradale, con la pubblicità di un imponente centro commerciale che sta per sorgere sulle rovine, parte di una serie di interventi volti a creare strutture ricettive per lo sfruttamento turistico. La recinzione del cantiere edilizio è già stata effettuata: primo passo di una massiccia cementificazione che avrà un impatto devastante sia sull’ambiente naturale che sulle testimonianze archeologiche.
«Quello che abbiamo scavato e che conosciamo fino ad oggi di Magdala, che secondo le fonti contava fino a 40 mila abitanti – dice infervorandosi – è forse l’un per cento della città.
Il porto, probabilmente, aveva uno sviluppo superiore al chilometro di lunghezza. Gli studiosi, con le ricognizioni di superficie, hanno calcolato che la città si estendeva per molti chilometri quadrati. Quando getteranno le fondamenta degli alberghi, ristoranti, parcheggi e centri commerciali, è sicuro che troveranno le rovine di Magdala…pensa che un parcheggio è previsto proprio dove abbiamo rinvenuto uno dei decumani fiancheggiato dalle ricche abitazioni di un quartiere residenziale. I colleghi israeliani stanno facendo il possibile, ma sembra che gli interessi commerciali in gioco siano troppo forti».
L’idea è di trasformare questa parte di lago in una località balneare e sportiva. Ma a Magdala sta emergendo il reticolo di una città completa, con ville, palazzi, quartieri residenziali, sinagoghe, mosaici, strade romane perfettamente conservate, un complesso termale, ed ora il porto antico con gli attracchi delle barche usate dalla flotta del tempo. Insomma, un patrimonio di storia e di cultura che certamente ha molto da dire a noi cristiani, ma riguarda in prima battuta la storia di Israele e dell’intero Medio Oriente. Come è noto, i 600 cavalieri di Tito, mentre i 2000 arcieri di Vespasiano schierati sul Monte Arbel distraevano i rivoltosi, entrarono nella città proprio dal lago e il porto dovette essere lo scenario della sanguinosa battaglia del 66-67 d.C. nella quale perirono 6.500 rivoltosi.
3/ La città ellenistico-romana di Magdala/Taricheae. Gli scavi del Magdala Project 2007 e 2008: relazione preliminare e prospettive di indagine. Conclusioni, di Stefano De Luca (Liber Annuus 2009, pp 436-453)
Il complesso delle risultanze delle indagini archeologiche del sito di Magdala/Taricheae – o Migdal Sebaya o Migdal Nunya, come compare nella tradizione onomastica giudaica (Manns 1976), comprese quelle sin qui presentate in maniera preliminare, si rivelano determinanti nella contemporanea ricerca storica sulla Galilea del periodo tardoellenistico-anticoromano (fine sec. II a.C.-metà del sec. I d.C.), in ordine a differenti questioni ancora sul tavolo del dibattimento degli studiosi (Freyne 2006; Crossan 1999, 209-236; Crossan – Reed 2001; Levine 1992).
Queste questioni coinvolgono i molteplici aspetti della vita quotidiana – religiosa, sociale ed economica – degli abitanti della città di Migdal/Taricheae che per diverso tempo fu capitale di una toparchia e importante centro amministrativo della bassa Galilea orientale (Horsley 2002, 94). Dopo uno sguardo d’insieme sulle acquisizioni conseguite con gli scavi, lette sullo sfondo della storia del sito (1), seguiranno alcuni spunti di riflessione ad esse inerenti (2).
3.1. Sommario
Dal punto di vista delle attestazioni archeologiche, con maggiore chiarezza è emerso che lo stesso assetto pubblico della città nel suo impianto complessivo, con l’impostazione delle strade (cardo V1-V2 e decumani V3 e USM 5), la pianificazione nella rete idrica dei canali di adduzione o di scarico (es. E20, USM 60-61-116), la costruzione della “piazza” a quadriportico F, del molo con gli attracchi (FC-USM 328) e della “torre a casematte” (E32-33-35), si debba far risalire al periodo asmoneo (De Luca 2009).
Il sito risulta intensamente frequentato dal finire del II sec. a.C. al I sec. d.C., vale a dire sotto gli ultimi principi asmonei e la dinastia erodiana. Dal punto di vista urbano sembra esservi un potenziamento nell’edilizia sia pubblica che privata sotto Agrippa II, al cui regno, nel 54 d.C., Nerone aveva annesso Taricheae e il suo distretto amministrativo (Flavio Giuseppe, Bellum Iudaicum II,252; Antiquitates Iudaicae XX,159).
Nei reperti datanti del sito e particolarmente dal circolante monetario (Callegher 2009), si riscontra poi un declino insediativo da connettere certamente alla violenta conquista romana di Vespasiano e Tito, cui fece seguito la deportazione in massa degli abitanti/ribelli (Flavio Giuseppe, Bellum Iudaicum III,540) nel primo anno della Grande Rivolta (66-67 d.C.). Diversi contesti stratigrafici sopra descritti, come ad esempio il deposito sul fondo della piscina/nymphaeum E22, attestano una distruzione e un conseguente abbandono, situabile con sufficiente precisione attorno al 70 d.C.
Il periodo romano medio (70-270 d.C.), che segna una ripresa insediativa – all’inizio forse connessa ad una permanenza militare romana (Flavio Giuseppe, Bellum Iudaicum III,532) –, è ben rappresentato da alcune tipologie ceramiche (Leibner 2009, 27, 234; Loffreda 1976, 344) solo a partire dalla seconda metà del sec. II e poi per tutto il sec. III, con un gap abbastanza significativo tra la prima e la seconda Rivolta (70-135 d.C.), come si evince anche dal catalogo dei rinvenimenti numismatici.
Si assiste poi a una importante ripresa economico-sociale dall’epoca severiana (fine del sec. II-prima metà del sec. III d.C.) alla fine del sec. III d.C., vale a dire a cavallo tra il periodo romano medio (70-270 d.C.) e il periodo romano tardivo (270-350 d.C.). Ciò è attestato da una serie di trasformazioni monumentali che coinvolsero alcuni edifici urbani (ad esempio le strutture termali) e anche dalla maggior parte dei materiali ceramici e numismatici provenienti dagli scavi.
In quest’ultima classe di materiali (Callegher 2009; Meshorer 1976; Syon 2002) si registra “un picco di presenza di antoniniani (moneta in lega d’argento) in corrispondenza del regno di Massimiano Erculeo (286-305 d.C.) e Diocleziano (284305 d.C.)”, un fenomeno che B. Callegher suggerisce debba essere connesso alla fortificazione del Limes Arabicus Palestinensis, dove probabilmente Magdala “in modo analogo a Cafarnao, svolse una funzione logistica di appoggio alle legioni stanziate nel deserto” (Callegher 2009).
In ogni caso, dalle forme ceramiche repertate nei livelli d’uso sotto i crolli (ad esempio US 73 in H3) e da quelle rinvenute negli scarichi (si veda E11), la città sembrerebbe essere stata abitata continuativamente almeno fino alla metà del IV sec. d.C., anche se, come s’è già osservato, il materiale numismatico ad esse associato non data oltre la fine del sec. III d.C.
La definitiva distruzione della città e il suo conseguente abbandono sarebbero così da far risalire al terremoto che il lunedì 18 maggio del 363 d.C. (Nur -Burgess 2008, 210-214; Russel 1980) sconvolse l’intera regione e che a Magdala/Taricheae lasciò tracce evidenti (De Luca 2008, 10).
Nei testi rabbinici e particolarmente nella tradizione palestinese codificata nel Talmud di Gerusalemme, redatto nella vicina Tiberiade attorno al sec. IV d.C., Migdal Nunya e Migdal Sebaya compaiono in diversi interventi relativi alla osservanza della legge ebraica (a riguardo si veda l’ottimo studio di F. Manns 1976, 307-337, cui qui si fa esplicito riferimento).
I due toponimi sembrerebbero indicare due distinti quartieri, rispettivamente di Nord e di Sud, della medesima località di Magdala nel tardo periodo romano (Neubauer 1868, 219). Nelle tradizioni più antiche riportate da F. Manns, gli abitanti di Migdal appaiono in buoni e frequenti rapporti con quelli della vicina Tiberiade (Tosephta Erubin 6,13; Talmud di Gerusalemme, Erubin 5,22). In altri documenti tali rapporti sembrano invece essere ostili, secondo U. Leibner “come riflesso delle radici asmonee (= ebraiche) di Magdala e dei suoi abitanti”, in opposizione “all’insediamento erodiano, e in certo modo pro-romano di Tiberiade” (Leibner 2009, 229-230).
La ricorrente menzione dello scriba Nikai o Minkai (Eicha Rabba 3,8,3; Ma’aser Scheni 5,2) lascia supporre l’esistenza di un’antica beth midrash, oltre che della sinagoga di cui si fa esplicito ricordo (anche Pesiqta de Rav Kahana 10; Qohelet Rabbah 10,8).
La sinagoga è citata anche nelle tradizioni sul noto Rabbi Simon ben Yochai (metà sec. II) che aveva preso parte ai rituali di purificazione di Tiberiade e che, durante la persecuzione di Adriano, aveva trovato rifugio per tredici anni entro una caverna di Migdal Sebaya (Bereshit Rabbah 79,6; Pesiqta de Rav Kahana 10; Talmud di Gerusalemme, Shevi‘it 9,38, etc.). Per il tenore aggadico di queste antiche tradizioni, Leibner (Leibner 2009, 229) ritiene di dover diffidare di una tale informazione; tuttavia il recente ritrovamento nell’area dell’ex Hawaii Beach di un edificio sinagogale datato dagli scavatori dell’IAA al primo periodo romano (Avshalom 2009b), sembrerebbe riabilitarne la storicità.
L’identificazione dell’edificio a pianta quadrata (mq. 120), circondato da bancate di pietra su ogni lato, con lacerti musivi pavimentali e resti di affrescatura parietale policroma, è avvalorata dal rinvenimento (sul battuto) di un singolare blocco di pietra ornato con rilievi raffiguranti motivi geometrici (rosette, rombi), vegetali (alberi, foglie di edera), architettonici (archi, e colonne) e anche una menorah su piedistallo tra due kantharoi.
Nel III sec. d.C., a seguito di un diverbio col presidente del Sinedrio di Tiberiade Yehuda Nesi’ah, si rifugiò a Magdala il Rabbi Shimon ben Lakish, soprannominato anche Resh Lakish (Talmud di Gerusalemme, Sanhedrin 2,19e; Horayot 3,47a). In questa occasione dagli abitanti gli fu chiesto se fosse consentito dalla legge reimpiegare le pietre di una distrutta sinagoga per costruirne una nuova (Talmud di Gerusalemme, Megyllah 3,1-73d).
L’argomentazione che ne segue è interessante anzitutto perché permette di stabilire nella metà del sec. III d.C. una distruzione di un edificio sinagogale. Il divieto è poi esplicitato da Rabbi Ami (c. 290-320 d.C.) per il reimpiego di pietre, sia da una città all’altra sia dall’Est all’Ovest della stessa città; una precisazione che se riferita a Magdala potrebbe contenere indicazioni topografiche preziose (Leibner 2009, 230-231).
Si conoscono inoltre i nomi di altri celebri rabbini “originari di Magdala” e, secondo F. Manns, probabilmente formatisi alla locale scuola sinagogale, come Rabbi Isaac (Baba Metzia 25a) e Rabbi Judan (Talmud di Gerusalemme, Berakoth 9,14a; Ta’anit 1,64b) del 320-350 circa, che appartiene alla quarta generazione di amoraim palestinesi (Leibner 2009, 231).
Numerosi altri testi midrashici si riferiscono a Migdal Nunya, considerandone l’opulenza in rapporto alle tasse per il Tempio inviate a Gerusalemme su carri trainati da buoi (Talmud di Gerusalemme, Ta’anit 4,69c; Eicha Rabbah 2,2,4) o alla rilassatezza di costumi considerata causa della distruzione della città, o perlomeno del quartiere di Sebaya (Lamentazioni Rabbah 2,2; Talmud di Gerusalemme, Ta’anit 4,8,69a).
Nel racconto sulle cause di distruzione, Migdal Sebaya è associata a Shihin, caduta in rovina perché i suoi abitanti praticavano la magia (Lamentazioni Rabbah 2,2; Talmud di Gerusalemme, Ta’anit 4,8,69a).
Entrambe le denunce – immoralità e magia –, costituiscono i capi di accusa tradizionali rivolti dalla comunità ebraica osservante ai Minim, ossia agli eretici cristiani di ceppo ebraico. Quindi indirettamente, secondo B. Bagatti, le fonti giudaiche attesterebbero l’esistenza in loco di un cristianesimo molto precoce, già prima del 275, anno della morte di Rabbi Resh Lakish (Bagatti 2001, 68-69).
Il fatto che nell’ Onomasticon, né Eusebio (265-340 d.C.), né Girolamo (347-420 d.C.), appaiano conoscere tali tradizioni cristiane, è stato visto come la prova che nel sec. IV inoltrato la città fosse effettivamente distrutta (Leibner 2009, 229). Si noti, però, che per Chorazin lo stato di abbandono è riferito espressamente (Onomasticon, 174). Proprio l’assenza di informazioni corrette (Onomasticon, 134), potrebbe invece essere, a nostro avviso, una prova ex-silentio della sopravvivenza in loco di una tradizione cristiana non del tutto ortodossa, non in linea con quella ufficiale, e con la quale essi non avevano molta familiarità, come del resto si può dire per Bethsaida (Onomasticon, 58) o per i santuari del Battesimo di Cristo (Piccirillo 1999).
Dopo il traumatico evento sismico del 363 d.C. la ripresa delle tracce monetarie e gli scarsi materiali di epoca bizantina antica (350-450 d.C.) sono collegati alla fondazione del monastero (Area M) e al ripristino dell’acquedotto. L’insediamento monastico fu certamente favorito e sostenuto dall’intensificarsi del pellegrinaggio cristiano nella regione (Arslan 2003) e perdurò a lungo, come è attestato dalle testimonianze letterarie (Baldi 1982, 260-264, n. 364-379) e stratigrafiche (Abu’Uqsa 2001, 17), fino al periodo arabo antico I (650-800 d.C.) e forse arabo antico II (800-1000 d.C.).
Con l’insediamento monastico fortificato si assiste anche al riuso di qualche ambiente urbano, come alcuni settori del quadriportico, la vasca M31, il pavimento E34, i livelli superiori di E11, l’edificio appena intercettato in H4 e nell’angolo Sud orientale di H3, etc.
La chiesa, secondo la testimonianza di Teodosio nel 530 d.C. (Baldi 1982, n. 364), era consacrata alla memoria del “luogo natale” e, in alcune fonti successive – ad esempio il monaco Epifanio (sec. IX d.C., Baldi 1982, n. 366), l’autore della leggendaria Sancti Helenae et Constantini Vita (sec. IX-X d.C., Baldi 1982, n. 367), l’abate russo Daniele (1106 d.C., Baldi 1982, n. 369) e Burcardo di Monte Sion (1283 d.C., Baldi 1982, n. 374) –, si precisa che vi si venerava “la casa” di Maria Maddalena (Bagatti 2001, 69).
Il santuario fu ininterrottamente visitato dai pellegrini fino all’epoca di Ricoldo di Monte Croce, il quale nel 1294 annota: “venimus ad Magdalum, castellum Marie Magdalene, iuxta stagnum Genesareth. Ubi flentes et eiulantes pro eo, quod invenimus ecclesiam pulchram et non destructam, sed tabulatam, etibicantavimus et predicavimus evangelium Magdalene” (Baldi 1982, n. 376). Nel codice G del medesimo documento, al posto dell’espressione “fortificata” (“tabulatam”) si trova la variante “trasformata in stalla”(“stabulatam”), una locuzione con cui usualmente si indica la perdita e l’abbandono di un luogo cristiano.
I pellegrini del sec. XIV continuarono a tramandare la memoria del luogo semplicemente indicandolo da lontano, forse mentre attraversavano il lago (fr. Giovanni Fedançola nel 1330, Nicolini -Nelli -De Sandoli -Alliata 2003, X,36; fr. Giacomo da Verona nel 1335 e fr. Nicolò da Poggibonsi nel 1347: Baldi 1982, n. 377-378) e in epoca ottomana, nel 1626 fr. F. Quaresmi redige la seguente preziosa descrizione delle rovine di Magdala che: “deve il suo nome alle torri e alle fortificazioni di cui era magnificamente munita. Ivi è nata Maria Maddalena che fu guarita da Cristo. Alcuni hanno affermato di aver veduto la sua casa… Mi furono mostrati il luogo e le rovine che gli arabi chiamano Magdalia” (Baldi 1982, n. 379). Qualche anno dopo, al dire di M. Nau, alcuni ruderi della chiesa sarebbero stati ancora visitabili (Nau 1678, 593).
Sulle rovine si era installato il villaggio arabo di el-Mejdel (Guérin 1880, I, 203-206) dai cui abitanti, prima della distruzione nel 1948, S. Saller e B. Bagatti avevano raccolto informazioni per tracciare un piano delle antichità allora visibili (La Terra Santa 1967 = Bagatti 2001, 70-71). Essi descrivono mosaici con motivi geometrici “di IV-VII secolo”, un ambiente absidato e voltato, ritenuto una torre (Guérin 1880, I, 204; Bagatti 2001, 70), connesso a ciò che gli scavi di V. Corbo e S. Loffreda hanno poi identificato come le mura del monastero (Area M) a Est dell’ambiente M22(Corbo 1974, 8).
La chiesa, la cui abside, stando a documenti d’archivio dell’architetto R. Lendle che vendette il terreno alla Custodia di Terra Santa, doveva essere ubicata presso la torre A1, rimane ancora da identificare. Nei pressi sarebbe stata anche rinvenuta una lapide con iscrizione ebraica e un’altra con croce e data 1389 (Bagatti 2001, 70; Pringle 1998, 28). Tra gli elementi architettonici conservati a Magdala, oltre a quelli descritti da Corbo come appartenenti all’arredo liturgico (frammenti di transenne e pilastrini della cancellata, etc.), abbiamo rinvenuto un frammento di lastra marmorea (spessa circa cm. 7) con incisione a rilievo poco profondo di una croce greca, leggermente patente e iscritta in un circolo, affiancata da una motivo a rosetta di dimensioni inferiori (Mbl 21).
3.2. Osservazioni
In conclusione sembra opportuno ritornare su alcuni aspetti che riguardano la città antica e sono implicati nella ricerca storica contemporanea, particolarmente nell’ambito della Third Quest (Freyne 2006). Gi spunti di riflessione offerti di seguito sono da considerarsi preliminari e soggetti alle necessarie verifiche con i dati che deriveranno dallo studio completo di tutti i materiali.
L’excursus verterà sull’estensione della città, il suo grado di urbanizzazione, l’epoca di fondazione, gli elementi caratterizzati in senso “ebraico” e “non ebraico” dei suoi abitanti, alcuni aspetti economici e le testimonianze materiali connesse alla Rivolta antiromana.
3.2.a. Estensione
Migdal/Taricheae è considerato il più ampio insediamento urbano del Mare di Galilea prima della fondazione di Tiberiade (Safrai 1985, 83; Horsley 1995, 81), anche se, in rapporto, la parte scavata è minima. Tenendo conto dei ritrovamenti di strutture murarie nei diversi scavi di emergenza condotti dall’IAA a Ovest, a Sud e presentemente a Nord del nostro settore [...], ed escludendo l’area cimiteriale extraurbana ai piedi del monte a Sud, dove si preservano diversi esemplari di sarcofagi tardoantichi (Tefilinski 1965, 14; Bagatti 2001, fig. 33), ma computando i dati delle ricognizioni di superficie, si calcola che l’area dell’insediamento urbano non fosse inferiore ai 9 ettari (Leibner 2009, 214) o ai 10 ettari (De Luca 2009).
Se poi si tengono in conto anche alcuni altri ritrovamenti, come quello della barca 1,5 km a Nord sulla costa presso lo sbocco del wadi Zalmon (... Migdal boat), e i reperti erratici rinvenuti in aree private nell’attuale moshav Migdal, come il tesoro di 188 monete databili tra il 74 e il 222 d.C. (Meshorer 1976, 54-71) e altri elementi architettonici visibili o nascosti nell’area, – comprendenti anche un miliario romano inedito –, la superficie di estensione del sito dovrebbe aumentare di molto. Così Magdala avrebbe dovuto comprendere anche un suburbio rurale a Nord, nella fertilissima piana alluvionale verso Genesareth – dove, probabilmente, venivano coltivate le acacie (Miller 2006, 152-154) –, oltre a diversi altri approdi costieri minori, come si è visto, ad esempio per il villaggio di Cafarnao, nel tratto di costa tra questo e la zona delle sorgenti di Tabgha (vedi sopra).
Nelle tradizioni midrashiche di epoca amoraitica (III-IV sec.) studiate da F. Manns (Bereshit Rabbah 94,3; Talmud di Gerusalemme, Pesahim 41,30d e Schir Rabbah 1,12,1: Manns 1976, n. 54), Migdal Sebaya è indicata come luogo di coltivazione dell’acacia, legno trattato con rispetto perché utilizzato nella realizzazione dell’Arca dell’Alleanza. Va osservato che il legno della pianta di acacia è da sempre considerato particolarmente adatto e ricercato per la carpenteria navale, un’attività che a Magdala/Taricheae doveva certamente essere molto fiorente. Non è un caso che al tempo di Flavio Giuseppe la città disponesse di una flotta di pescherecci di 230 unità – o 330 secondo alcune tradizioni testuali (Hoehner 1980, 67-68; Pritchard 1987, 162) –, che furono coinvolte nella battaglia (Flavio Giuseppe, Bellum Iudaicum II,635-637) contro le tre legioni romane (Smallwood 2001, 308-310). Sembra che il motivo iconografico della victoria navalis sui conii di Vespasiano abbia voluto celebrare proprio il trionfo su Taricheae (Schürer 1973, 495 n. 45).
In generale gli storici tendono a sminuire il dato demografico di 40000 abitanti fornito da Flavio (Flavio Giuseppe, Vita 126-129; 142; Bellum Iudaicum II,608-21,4), ritenendolo esagerato (Horsley 1995, 90) o, comunque, non riferibile direttamente ai taricheesi. La cifra, in realtà, comprende anche i rivoltosi pervenuti dai sobborghi e dalle aree rurali circostanti e unitisi nell’ideale antiromano sotto Joseph ben Mattathias che, all’età di 29 anni, aveva ricevuto la difficile missione di guidare i rivoltosi della Galilea a deporre le armi (Vita 29 e 84), oppure di capeggiarli per difendere le due Galilee contro i Romani, secondo l’altra versione della storia da lui fornita (Bellum Iudaicum II,568).
Peraltro lo stesso discredito è riservato alla stima del numero di abitanti di Gerusalemme (Charlesworth 2006, 11-63) che secondo lo stesso storico sarebbero stati 120.000 ma che gli autori moderni quantificano tra le 25.000/35.000 (Jeremias 1969, 69, 83-84; Wilkinson 1974, 33-51), e le 40.000 unità (Broshi 2001, 110-120). Decisamente troppo riduttiva ci sembra la conclusione di Z. Safrai (Safrai 1994, 36), secondo cui Taricheae avrebbe avuto circa 200/300 abitazioni per un totale approssimativo di 1000 persone.
R. Horsley (1995, 81) e M.A. Chancey (2002, 100) fanno notare come Flavio Giuseppe stesso, nella narrazione degli eventi, operi una distinzione chiara tra i “residenti” effettivi di Taricheae, alcuni dei quali non avrebbero voluto prendere parte alla battaglia, e gli abitanti del “contado” o i “rifugiati” provenienti da altre città (Traconitide, Gaulanitide, Ippos, Gadara) e ivi radunatisi (Flavio Giuseppe, Bellum Iudaicum III, 500; 532).
Tra gli abitanti figurano anche personaggi altolocati – come Ianneo e Dassione – che potevano vantare l’amicizia di Agrippa II (Flavio Giuseppe, Vita 131; Bellum Iudaicum II, 597) e che ottennero di poter ritornare a Taricheae; gli altri, sopravvissuti all’eccidio dei 6700 caduti in battaglia (Bellum Iudaicum III, 531), furono invece uccisi nello stadio di Tiberiade in numero di 1200, mentre i giovani e robusti vennero mandati a Nerone ai lavori forzati per la costruzione dell’istmo di Corinto. 30400 furono i ridotti in schiavitù, eccetto quelli mandati in dono ad Agrippa che li vendette a sua volta (Bellum Iudaicum III, 539-542).
3.2.b. Assetto urbano
Stupisce che alcuni studiosi ancora sminuiscano – quando non lo ignorano del tutto –, il carattere urbano di Magdala/Taricheae (Freyne 1980, 133; Goodman 1983, 27; Safrai 1994, 36). Se ci si attiene ai criteri solitamente impiegati per definire il grado di urbanizzazione di un dato insediamento, vale a dire: “la gestione degli affari pubblici da parte di una autorità organizzata, la presenza di edifici pubblici e strutture per lo svago, l’esistenza di un sistema di distribuzione delle acque, un hinterland rurale controllato dalla città e il riconoscimento di uno status particolare da parte del governo centrale” (Garnsey -Saller 1987, 27-34 citati da Leibner 1999, 221, n. 87), bisogna concludere che Magdala/Taricheae nel periodo romano possedeva senza dubbio un carattere eminentemente urbano.
Ovviamente non aveva lo status giuridico di πόλις , quantunque Flavio Giuseppe utilizzi tale termine per riferirvisi. A riguardo è stato osservato come lo storico ebreo riserva il termine πόλις generalmente per le capitali di toparchia (Sherwin -White 1963, 130; Freyne 1994, 896). Ad esempio, nella lista delle località che egli dice di aver fortificato (Vita 188) si specificano i villaggi (Grotte di Arbela, Yotapata, Beer Subae e Selame, etc.), distinguendoli chiaramente dalle città (Sefforis, Tiberiade e Tarichea), utilizzando nella costruzione della frase le particelle correlative μέν…δέ (Leibner 2009, 222, n. 90).
In un precedente intervento dal titolo Urban Development of the city of Magdala-Tarichaeae in the light of the new excavations: remains, problems and perspectives (De Luca 2009) abbiamo avuto modo di trattare diffusamente l’argomento. In questa sede, molto brevemente, ne richiamiamo gli aspetti salienti. Sebbene l’area archeologica in oggetto non sia il centro della città – che andrà piuttosto ricercato qualche centinaio di metri più a Nord-Ovest – in essa sono state riportate in luce diverse strutture a carattere pubblico che denotano una pianificazione urbanistica omogenea, organica e razionale a fronte disoluzioni tecnico-ingegneristiche complesse quanto efficaci.
Innanzitutto le publicae viae costituite da strade basolate, tra loro ortogonali e con crepidini laterali, in pendenza da Ovest verso Est e da Nord verso Sud. Sia sotto la via maggiore, il cardo (V1-V2 con il canale verso E5-E20), che sotto le minori (V3 con i canali C14 e D8, USM 5 in H2 con il canale USM 60-61-116) sono stati rintracciati elaborati sistemi di condotti per la distribuzione delle acque sorgive e il deflusso delle acque reflue [...]. Alcune di queste condutture, come ad esempio il canale in H2 e il condotto di prim’ordine E20, sono spaziosi, molto profondi e costruiti con coperture basaltiche poggianti su mensole a profilo obliquo aggettanti dalle spallette. Altre condutture secondarie definiscono un’intricatissima rete di canali sia di adduzione che di scarico, ad esempio quelli che riforniscono e svuotano le strutture termali come le vasche a gradini C3, D3, E11, la vasca con colonne D1, la vasca/nymphaeum con coperture su arco e fontana E22, i collettori E12, E21, i serbatoi E13, E23, E24, etc.
La complessità di questa rete, che comprende anche ambienti e sistemi di miscelazione, filtraggio, smistamento, troppo-pieno, e pressurizzazione delle acque per caduta o per condotta forzata, è dettata qui dalla necessità di controllare i livelli e la qualità dell’acqua nelle vasche e le temperature in queste e nei diversi ambienti delle publicae thermae: apodyterium, sudatorium, districtarium, caldarium, tepidarium, frigidarium, praefurnium, hypocaustum, latrinae (Pasquinucci 1987; Nielsen 1990). Confidiamo che proprio lo studio dettagliato di questo sistema potrà aiutarci a definire con maggiore precisione la funzione dei singoli vani appartenenti al complesso, che solo in pochi casi abbiamo, al momento, potuto riconoscere.
In un caso sopravvive un sifone rovescio costituito da una porzione di fistula plumbea coperta da un pavimento in sectile (E28) nei pressi di un aquarium (E27). In epoca successiva la torre idrica A1 divenne parte di un castellum aquae (E2-E3-E5) collegato all’acquedotto su arcationes che ridusse la carreggiata del cardo V2. Gli edifici di epoca asmoneo-erodiana (F13, F14, G2, G3, D1, USM 15-16-44 in H1, etc.), sia pubblici che privati, come anche quelli successivi che insistono sui medesimi allineamenti murari, sono ordinati in un piano urbanistico di tipo ippodameo lungo gli assi viari.
Se l’edificio D1 non può più essere riconosciuto come una sinagoga, conserva comunque il suo carattere pubblico in quanto parte del complesso termale insieme a molti degli ambienti del blocco C-D-E. Nel sopra citato contributo avevamo avanzato l’ipotesi che la piazza a quadriporticus F avesse fatto parte delle medesime thermae con la funzione di palaestra. Ci riserviamo di ritornare sull’argomento dopo aver effettuato ulteriori sondaggi mirati a verificare la connessione strutturale tra i due blocchi. Anticipiamo solamente che al centro della piazza, nello spazio en plein air che doveva essere circondato da una fuga di colonne su basi attiche a plinto a reggere le coperture del porticato continuo, è stata individuata una nuova vasca quadrata (F20), forse una fontana, con tracce di utilizzo che arrivano fino al periodo arabo I e II. Infine, presso la porticus orientale di F si trova una doppia serie di strutture portuali (FC, E32-33-35, USM 328, USM 317) che abbiamo preliminarmente ritenuto più antiche di quelle già note dal 1960.
La struttura portuale con gli ancoraggi, comprendente le fondazioni di una torre a casematte (USM 355-365-366), una muratura asmonea a bozze prominenti (USM 328), rampe per l’alaggio delle barche (UM 331), gradini per salire, un bacino intonacato e sei blocchi da ormeggio con foro passante in situ, costituisce il più integro esempio di porto antico fino ad oggi individuato sulle rive del Lago di Galilea.
Il porto e le attività ad esso legate ebbero per Magdala/Taricheae un’importanza straordinaria che, in qualche modo, si riflette anche nelle fonti classiche che la menzionano (Adinolfi 1994).
Nell’epoca romana e poi bizantina, le strade che interessavano il lago furono potenziate con arterie Nord-Sud ed Est-Ovest (per es. Tolemaide/Acco-Bethsaida Julias; Legio-Diocesarea-Tiberiade; etc.), anche se rimane difficile stabilirne con esattezza l’epoca. In base ai miliari finora rinvenuti (per es.: 2 tra Bethsaida e Paneas; 1 tra Cafarnao e Bethsaida; 1 tra Magdala e Genezareth; 2 tra Tiberiade e Sefforis; 9 tra Filotheria e Betshan, etc.) è comunque possibile ricostruire un tracciato completo dell’assetto viario romano (Roll 1999) ed ellenistico-romano-bizantino (TIR, mappa Iudaea-Palaestina Nord, con indicazione dei miliari).
Il passaggio presso la città della via Maris [...], la principale arteria di comunicazione dell’antichità, e più precisamente del ramo definito da U. Leibner (2009, 17) The Western Sea of Galilee Road, contribuì a rimarcarne ulteriormente il carattere urbano così come inevitabilmente ne aveva segnato la fortuna. Certamente la strada favoriva il trasporto veloce del pesce conservato e delle salse di pesce (vedi sotto), per essere imbarcato a Tolemaide/Acco (Hanson 1997, 21). Il tratto di comunicazione tra Taricheae e Tiberiade è menzionato due volte da Flavio Giuseppe (Bellum Iudaicum III, 537; Vita 276).
Restano da scoprire l’ubicazione dell’ippodromo (Vita 132; Bellum Iudaicum II,589) e i resti delle mura di cinta fatte costruire – o meglio rinforzare (Aviam 2004, 18; Leibner 2009, 225-226; Shatzman 1991, 266) – dallo stesso Flavio Giuseppe nell’imminenza della battaglia del 66-67 (Vita 156; Bellum Iudaicum III,10,1). Non è escluso che i blocchi di roccia tagliata visibili in qualche punto a mezza costa sulle pendici orientali dell’Arbel, anche all’interno delle gole, ne costituiscano le vestigia.
3.2.c. Epoca di fondazione
Si è sopra affermato come la fondazione della città, con i suoi principali elementi urbici (porto, piazza, assetto stradale, edifici abitativi in asse col decumano, etc.), risalga al regno degli asmonei, per essere poi ampliata in epoca erodiana. Vanno qui aggiunte due diverse considerazioni, l’una di ordine archeologico e l’altra di ordine storico.
Si constata che il 60% di tutto il materiale numismatico leggibile dagli scavi dello SBF a Magdala, su un totale di quasi 1500 esemplari, è di epoca asmonea o erodiana. Ciò significa che “durate il I sec. a.C.”, come scrive B. Callegher, “il sito ebbe un’intensa attività economica, sostenuta da un’economia già del tutto monetaria in quanto le centinaia di piccoli nominali (credo perfino svalutati nel corso dei decenni) indicherebbero scambi sostenuti, con prezzi onorabili mediante spiccioli” (Callegher 2009).
Dal punto di vista delle vicende storiche giova notare come, in connessione con la prima menzione della conquista militare romana di Taricheae nel 53 a.C. (Shatzman 1991, 135), essa appaia già essere un’importante città, tanto che, secondo la fonte, in quella occasione furono fatti prigionieri 30.000 uomini (Antiquitates Iudaicae XIV,120; Bellum Iudaicum I,180).
Motivando la repressione romana contro la città come conseguenza della sua alleanza con i Parti in favore di Aristobulo, Leibner (2009, 219) argomenta che Taricheae avesse perseguito sin dalla sua fondazione una politica pro asmonea e successivamente anti romana, distinguendosi così per il carattere prevalentemente giudaico dei suoi abitanti.
La lettera indirizzata a Marco Tullio Cicerone da Cassio Longino, procuratore della Provincia di Siria, e datata all’anno 43 a.C. il “die Nonis Martiis ex castris Taricheis” (Cicerone, Ad familiares 12,11), conferma uno stanziamento militare permanente in loco. La presenza di questo accampamento potrebbe avere una relazione con gli imponenti resti di fortificazioni sul monte Nitai a Nord Ovest di Magdala/Taricheae, con vestigia di torri di epoca asmonea da dove si domina lo spazio all’intorno per molti chilometri (Leibner 2009, 220, n. 86, 205-212).
Similmente, seguendola storia ricostruita da Flavio Giuseppe, anche la vicenda della donazione di Taricheae col suo distretto amministrativo da parte di Nerone ad Agrippa II, denota che la città continuava ancora ad essere a capo di una toparchia – cioè il centro amministrativo regionale (Horsley 1995, 71) –, anche dopo la fondazione di Tiberiade e la sua elezione a capitale della Galilea (Bellum Iudaicum II,252; Antiquitates Iudaicae XX,159).
3.2.d. Profilo economico
In quanto centro amministrativo e capitale di una toparchia indubbiamente Magdala/Taricheae era una città ricca. Ai dati statistici monetari riportati poco sopra si deve aggiungere solo qualche piccola riflessione. Discutendo con B. Callegher sul livello di monetarizzazione dell’economia di Magdala/Taricheae tra la fine del II e il I sec. a.C., egli sottolineava come questo fosse apparentemente assai più elevato che “in ogni altra parte del Mediterraneo, certo molto più che in tutta la penisola italica, la Gallia, l’Hispania” (comunicazione personale, settembre 2007).
Per spiegare l’enorme quantità di moneta spicciola (prutoth) persa in ogni dove a Magdala/Taricheae, bisognerebbe, secondo lui, “stabilire un confronto con quanto si riscontra nel vicino centro peschiero di Cafarnao dove le attestazioni di una contemporanea economia su base monetaria sono quasi nulle”. Questa comparazione farebbe dunque pensare che a Cafarnao “si lavorasse, per vendere e commerciare poi a Magdala” e che tutto l’indotto peschiero dei villaggi o delle borgate limitrofe fosse, per così dire, egemonizzato dal mercato di Taricheae.
In proposito è molto utile segnalare lo schema messo a punto e descritto da K.C. Hanson, il quale ricostruisce l’intera filiera del pescato e le molteplici imprese economiche ed artigiane che ruotano attorno ad essa (Hanson 1997). Nell’opinione di questo autore è possibile che i più importanti porti della Galilea trasportassero una parte del loro pescato quotidiano a Taricheae per essere lavorato negli stabilimenti locali. Il prodotto finito da Taricheae seguiva le principali rotte commerciali dell’impero, forse fino a centri lontani come la stessa Roma (Freyne 1994, 110).
Diversi elementi e reperti emersi dagli scavi e descritti nel resoconto – veri e propri oggetti di lusso, come quelli da toiletta e da cosmesi –, sottolineano il gusto e l’agiatezza degli abitanti, richiamata anche dalle fonti letterarie sopra riportate, come quelle sulla raccolta delle tasse per il Tempio e sulle cause della distruzione del sec. III [...]. Un consistente numero di indizi, come il peso ponderale con iconografia di Tanit (Callegher 2008) e una preponderante percentuale di conii battuti a Tiro dai nostri scavi (Callegher 2009) ma anche dal tesoro di Migdal con 74 pezzi su un totale di 188 (Meshorer 1976; 1980), indicano fiorentissime relazioni con la costa della Fenicia (Freyne 1994, 114-115).
La moneta è apportata poi anche dalle vicine zecche provinciali di Tiberiade, Cesarea, Antiochia ad Hippum, Bostra, etc.(Callegher 2009). Se è vera l’ipotesi di D. Adan Bayewitz(Adan-Bayewitz 1993) il quale colloca a Sefforis il principale emporio della ceramica di Kefar Hanania, che a Magdala/Taricheae costituisce circa l’80% delle tipologie ceramiche rinvenute, intense relazioni commerciali dovevano necessariamente intercorrere tra le due città.
Sul peso ponderale in piombo trovato nello scavo dell’Area H3 (Callegher 2008) si è già detto sopra. L’altro peso ponderale trovato a Magdala in superficie e finito nel collezionismo privato, riveste una notevole importanza sotto molti aspetti connessi alle informazioni, non univoche, ricavabili dalle sue due iscrizioni(Qe-dar 1986-1987; Stein 2002). Chi se ne è occupato concorda sul fatto che l’esemplare fu emesso a Tiberiade da dove provengono altri oggetti simili. S. Qedar legge: lato a) “Anno 43 del grande re Agrippa (nostro) signore”; lato b) “(con l’incarico di) agoranomoi Iaesaias (figlio di) Mathias e Aianimos[oppure Animos] (figlio di) Monimos”. A. Kushnir Steinlegge: lato a)“Anno 23 del grande re Agrippa (nostro) signore”; lato b) “(essendo) agoranomoi Iasoaiu (figlio di) Mathias e Animos (figlio di) Monimos”. A seconda dei parametri di riferimento sottintesi (dalla fondazione della città o di regno) e dalla lettura del primo numero (43 o 23) il peso è databile al tempo di Agrippa II: il 61/62 d.C. (Qedar) o il 71/72 – secondo l’era del 49 d.C. – o l’82/83 – secondo l’era del 60 d.C. (Stein).
L’onomastica dei personaggi nominati nel greco della dicitura, denota un’appartenenza etnica inequivoca per il primo che è certamente un ebreo; e generalmente semitica, non ebraica – forse siriana –, per il secondo (Sigismund 2007). Un Erode Monimos è ricordato nell’epigrafe dedicatoria su una colonna della sinagoga del sec. V-VI d.C. a Cafarnao.
L’ufficio di agoranomos svolto dai due funzionari significa che a Magdala/Taricheae era attivo un mercato con un giro d’affari talmente ampio da richiedere la presenza di funzionari imperiali – o più probabilmente reali – per supervisionare le transazioni e la corretta riscossione delle tasse. Com’è noto gli agoranomoi stabilivano i prezzi di alcuni beni, certificavano i pesi e le scale di misura e controllavano il cambio monetario.
Il settore trainante del mercato e dell’economia di Magdala doveva certamente essere l’industria ittica (Safrai -Stern 1976, 683; Negev -Gibson 2005, 236-237) come anche lo stesso toponimo greco suggerisce ampiamente, toponimo che si vuole trovi corrispondenza nel semitico Migdal Nunya, “torre dei pesci” (Freyne 1994, 110-111; McDaniel 2002, 338-342).
Nelle fonti in lingua greca il nome dell’insediamento è sempre riportato in forma plurale, come in Strabone di Amaseia e nelle molteplici occorrenze di Flavio Giuseppe (ad esempio Vita 188; Strabone, Geographia XVI,2,45: μέν…δέ “ἐν δὲ ταῖς καλουμέναις Ταριχέαις ἡ λίμνη μὲν ταριχέιας ἱκθύων ἀστείας παρέχει” ). Anche negli scritti latini di Svetonio e Cassio Longino il nome è in forma plurale, evidentemente ricalcato sull’originale greco (Svetonio, De Vita Caesarum: Titus 4, 3: “Taricheas et Gamalam urbes Iudaeae validissimas in potestatem redegit, equo quadam acie sub feminibus amisso alteroque inscenso, cuius rector circa se dimicans occubuerat”. Cicerone, Ad familiares XII,11: “D. Nonis Martiis ex castris Taricheis C. Cassius procos. S. D. M. Ciceroni. S. v. b. e. e. q. v. In Syriam me profectum esse scito ad L. Murcum et Q. Crispum imp. Viri fortes optimique cives, postea quam audierunt quae Romae gererentur, exercitus mihi tradiderunt ipsique mecum una fortissimo animo rem p. administrant. Item legionem quam Q. Caecilius Bassus habuit ad me venisse scito, quattuorque legiones quas A. Allienus ex Aegypto eduxit traditas ab eo mihi esse scito. Nunc te cohortatione non puto indigere ut nos absentis remque p. quantum est in te, defendas. Scire te volo firma praesidia vobis senatuique non deesse, ut optima spe et maximo animo rem p. defendas. Reliqua tecum aget L. Carteius, familiaris meus. Vale”).
Solo Plinio utilizza il singolare in una descrizione topograficamente alquanto confusa (Naturalis Historia V,71: “Iordanes amnis oritur a fonte Paneade, qui cognomen dedit Caesareae, de qua dicemus. Amnis amoenus et, quatenuslocorum situs patitur, ambitiosus accolisque se praebens velut invitus Asphaltiten lacum dirum natura petit, a quo postremo ebibitur aquasquelaudatas perdit, pestilentibus mixtas. Ergo ubi prima convallium fuit occasio, in lacum se fundit, quem plures Genesaram vocant, XVI p. longitudinis, VI latitudinis, amoenis circumsaeptum oppidis, ab oriente Iuliade et Hippo, a meridie Tarichea, quo nomine aliqui et lacum appellant, ab occidente Tiberiade, aquis calidis salubri. Asphaltites nihil praeter bitumen gignit, unde et nomen. Nullum corpus animalium recipit, tauri cameliquefiuitant;indefama nihilin eo mergi. Longitudine excedit C. p.latitudine maxima LXXV implet, minima VI. Prospicit eum ab oriente Arabia Nomadum, a meridie Machaerus, secunda quondam arx Iudaeae ab Hierosolymis”).
La forma verbale più vicina al nome è ταριχὲυω che esprime l’azione dell’essiccazione, della salatura della carne o del pesce. Così il sostantivo plurale ταριχείαι / ταριχήϊαι indica il singolo “stabilimento per la salatura del pesce” e più precisamente il complesso di vasche utilizzate a questo scopo, le peschiere, dette in latino cetariae e note localmente come bybryn o pskyn (Safrai1994,163-165). Nel nostro toponimo si nota l’assenza della seconda iota, come nell’ hapax ταριχᾶς-ᾶ (Studien zur Palaeographie und Papyruskunde II, 10.113, IIp) col senso di “commerciante di pesci salati”, un significato, questo, reso più comunemente con ταριχέμπορος , “salsamentario, colui che vende il τάριχος o il τάριχον ”. Il τάριχος era, appunto, “il salsamento, il pesce salato”, mentre la forma neutra τάριχον era usata con una accezione più ampia che intendeva “salsamento, salume, carne salata, affumicata, disseccata, pesce salato, in salamoia”. Oltre che del nostro sito, il toponimo era identificativo anche di una borgata sul delta del Nilo, di un insediamento in Sicilia e di un gruppo di isolette in Tripolitania (Stefano di Bisanzio, Ethnika, 603).
“Gli stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce ( ταριχείαι , cetariae)… curavano la confezione del pesce salato e del tonno ( τάριχος ), che si distingueva per il grado di salatura, il modo di presentazione, la natura del pesce e le diverse parti, che spesso trovano riscontro nelle suddivisioni ancor oggi note. Esistevano almeno tre gradi di salatura. Il salato poteva essere consumato così come era o dissalato in acqua dolce o di mare (Plutarco, Quaestiones convivales I,9,1; Besnier 1969) e veniva distinto dagli antichi in grasso e magro. La presentazione era assai varia: in fette, pezzi triangolari, quadrangolari o cubici” (Purpura 1982). È ampiamente documentato, inoltre, che in questi medesimi stabilimenti veniva preparato anche il garum. In Palestina si hanno evidenze archeologiche del commercio, in epoca erodiana (Berdowski 2006), e evidenze letterarie dell’uso in epoca talmudica (Broshi 2001, 134-135) di questo prodotto che è uno degli alimenti base della dieta romana (Hanson 1997, 20), come si evince anche dalle molte ricette di Apicio (ad esempio De re Coquinaria XII,427; l’editore del testo, alla nota 2 scrive: “Tarichea, town of Galilee, on the sea of Galilee. Salt mullet as prepared at Tarichea was known as Tarichus”).
La maggioranza degli esegeti del Nuovo Testamento (Manns 1976, 330-331) identifica Magdala con la “regione di Magadàn” ricordata nel vangelo di Matteo (15,39) e che è corrispondente al toponimo Dalmanoutha nel passo parallelo di Marco (8,10). È stato suggerito che l’altrimenti anonima località di Δαλμανουθά riportata dal testo marciano, – che, peraltro, è quello che mostra maggiore conoscenza topografica della regione –, sia o la corruzione del nome Migdal Nunya (Leibner 2009, 28), oppure la traduzione di “muro del marinaio”, con un nome composto dall’aramaico “muro” e dal greco ναύτες “navigante, marinaio”, che compare anche nell’arabo come nutiyy/nawwât, “marinaio sul mare”(McDaniel 2002, 346; 353). Μαγαδάν , invece, potrebbe significare “territorio montuoso” dalla radice , “essere evidente”, e l’aggiunta del prefisso locativo , con la sfumatura dell’affine termine arabo najd, “territorio alto e elevato” (McDaniel 2002, 346).
Anche l’altro nome semitico, Migdal Sebaya, essendo esso nelle fonti rabbiniche identificativo di un quartiere secondo una ripartizione tipica all’interno di una città, starebbe a indicare il settore dove operavano gli artigiani dediti alla tintoria. Il toponimo viene infatti inteso, ad esempio da Safrai (Safrai -Stern 1976, 682), come “la torre dei tintori” (Adam 2006, 68). In questo quartiere, inoltre, avrebbero anche operato i tessitori di seta, “secondo un’antica tradizione trasmessa nel sec. III d.C. da Rabbi Yohanan riferita ad un periodo precedente il 70 d.C.” (Safrai – Stern 1976, 682).
3.2.e. Ethnos giudaico e pagano
Ci sembra un approccio errato, nell’interpretazione di un insediamento antico, voler isolare distinguendoli – o, peggio, contrapponendoli –, gli elementi caratteristici di un ethnos giudaico da quelli giudicabili intrusivi, ellenistici o pagani (Freyne 2007). A Taricheae si nota piuttosto una commistione, una compresenza, una sintesi di indizi, un po’ come, per così dire, nell’idea espressa dalla scelta tematica sulle due facce di una moneta asmonea. La prutah, a partire da quella emessa da Alessandro Ianneo, reca scritte bilingui in greco ed ebraico e elementi iconografici mutuati dall’immaginario del circostante mondo ellenistico, fatta accurata eccezione per le raffigurazioni di esseri viventi (Levine 1998, 42-45). L’archeologia tardo romana nella regione, peraltro, mostra come nei centri abitati quali Cafarnao, Tiberiade, Hippos la compresenza di elementi etnici cristiani e giudaici sia un dato acquisito, data la prossimità spaziale tra i rispettivi luoghi comunitari di culto.
Contrariamente a quanto affermato da Ben-Sasson, la popolazione diMagdala/Taricheae non era interamente ebraica (Ben-Sasson 1976, 263). D’altra parte il suo carattere giudaico in base alle fonti rabbiniche dal sec. II al IV d.C. è indubitabile. In aggiunta occorre ricordarebla scoperta a Cesarea Marittima (Avi-Yonah 1962) di una iscrizione frammentaria che riporta una lista sacerdotale con i turni del servizio al Tempio, dove la riga contenente è completata dall’editore con : Migdal Nunya. Siccome non è unanimemente accettata la datazione paleografica al sec. III-IV d.C. piuttosto che al VI-VII d.C., l’iscrizione non apporta alcun elemento storico per stabilire la presenza a Magdala/Taricheae di famiglie di stirpe sacerdotale (Leibner 2009, 231-231).
Per valutare l’ebraicità di un insediamento a partire dai suoi reperti archeologici, si usa osservare la presenza dei seguenti indicatori: i bagni rituali, le sepolture secondarie in ossuari entro tombe a loculo (kokhim), la mancanza di ossa di maiale (Reed 1999, 98), le lucerne erodiane a olio, i vasi in pietra tenera, le monete paleo-ebraiche, l’assenza di elementi figurativi a parete, ma possibilmente anche sulle monete e sulle lucerne, e l’assenza di ceramica importata (Aviam 2004, 19-20,23; Strange 1997, 47).
Diversi frammenti di vasi in pietra tenera sia del tipo sfaccettato a mano, come il boccale cilindrico con manico forato quadrotto (altrimenti detti misure), sia del tipo a coppa globulare tornito (e pitturato), sia di hydriae di grandi dimensioni intagliate su ruota, sono stati repertati negli scavi. Ugualmente si contano molti frammenti di lucernette a ruota con beccuccio spatolato, prevalentemente del tipo Luc2.1, ma anche del tipo Luc2.2. Pochi sono i frammenti di Luc2.5, più rari i tipi Luc2.3 e Luc2.4. La maggioranza è comunque costituita dalle lucernette a disco ribassato su matrice del tipo Luc3 con, in qualche esemplare, lettere greche incise sul fondo. Le decorazioni stampigliate sui lyknaria del tipo Luc2.3 recano in maggioranza motivi geometrici e vegetali e solo in pochissimi casi anche figurativi (delfino).
Le prutoth paleo-ebraiche tra gli asmonei e Erode il Grande, da sole costituiscono la parte più consistente del materiale numismatico repertato.
Ad esclusione di pochi sarcofagi quasi aniconici e di blocchi di roccia con serie di formae parallele, non sono noti i costumi funerari dei taricheesi (cf. Figure 134-135).
Per quanto riguarda un ipotizzabile uso delle numerose piscine di Taricheae come miqwaot, da escludere per il contesto termale in cui si trovano, si deve anche constatare che nei siti giudaici sulla costa del Lago – valga per tutti il caso di Cafarnao che è il più estensivamente indagato (Orfali1922; Corbo 1975;1976a;1977; 1982; Spijkerman 1975; Testa 1972; Loffreda -Avi-Yonah 1973; Loffreda 1974; 1981; 1984; 1993; 2005; 2008a; 2008b; 2008c; Callegher 2007; Tzaferis 1989; Tsafrir 1995; Lancellotti 1983; Bloedhorn 1993; Chen 1990; Rough 1989; Adinolfi -Kaswalder 1997) –, tali installazioni rituali per la purificazione non sono mai state rinvenute (Reed 1999, 101). Tutt’al più si trovano vasi di pietra calcarea, più raramente in basalto, a forma troncoconica di grandi dimensioni e talora con un foro laterale per lo scarico (Orfali 1922, 64, fig. 115).
Y. Adler, esperto di bagni rituali del periodo del secondo Tempio (Adler 2006; 2008; 2009) – e che qui ringraziamo per la consulenza –, ci ha gentilmente segnalato due casi di possibili miqwe a Tiberiade (Berman 1988; Hirschfeld 2004) che anche lui ritiene, però, abbiano un valore probatorio molto basso.
Con Adler concordiamo sul fatto che allo scopo della purificazione rituale possa essere stato usato il Lago, in quanto “the Kinnert has the ability to purify, as do all natural bodies of water: spings, rivers, lakes, the sea etc.”. Il fatto che al suo interno l’acqua sia in effetti circolante, dal Giordano superiore al Giordano inferiore, non è a suo giudizio un attributo richiesto o necessario come credevamo. Per salvaguardare la privacy dei praticanti durante l’immersione nelle acque del Lago, secondo noi dovevano esservi delle strutture di protezione in muratura, ma, giustamente, Adler suggerisce che più semplicemente, “it may be possiblethat some kind of structures made of wood and cloth were used” (comunicazione personale, Ottobre 2009).
Il recente ritrovamento della sinagoga nell’area dell’ex Hawaii Beach si rivela sotto diversi aspetti molto importante, essendo l’unico esempio di un edificio simile nella Galilea del tempo di Gesù, un primato questo fino ad ora attribuito da non pochi studiosi all’edificio a colonne D1 (ad es. Sawicki2000, 25, criticata da Aviam 2004, 24, n. 1). Nei pressi del suo probabile ingresso sono stati segnalati vasi cilindrici in pietra, probabilmente usati per le abluzioni rituali dei frequentatori.
Tra gli edifici noti dalle fonti fa problema ad alcuni studiosi la menzione a Taricheae di un hippodromum che “like all other similar public buildings… was an offense to pious Jews and most of the cities referred to above had a primarily hellenistic population. Only Tharichaeae had a Jewish population, though the upper class was Hellenized” (Negev -Gibson 2005, 230). Nell’opinione accettata da Leibner (2009, 226) non si sarebbe trattato di una struttura in muratura, ma di uno spazio aperto non pavimentato. In alcune foto aeree riprese con un particolare angolo d’inquadratura e in una stagione propizia, si riconosce uno spazio di forma ellittica.
Nel gruppo dei reperti faunistici trovati negli scavi, abbiamo un certo quantitativo di ossa animali – tutte archiviate ma non ancora studiate –, in maggioranza mandibole con denti di erbivori (equini), ruminanti (bovini e ovini), ma anche onnivori (suini?). Vi sono, inoltre, frammenti di carapaci, valve di molluschi(ostriche?) e lische di pesci-gatto, che non sembrano rispondere ai requisiti di casherut.
Tra i ritrovamenti di Magdala, infine, ricordiamo una serie di elementi iconografici su differenti supporti, che ritraggono esseri viventi: il pesce(frammentario), della specie dei tilapia (Sarotherodon galilaeus galilaeus) nell’emblema del mosaico termale di C6; il citato peso ponderale plumbeo con la figura stilizzata della divinità fenicia Tanit; un’aquila imperiale rampante su festone nel cameo di un anello ferreo; l’immagine del delfino su un frammento di lucernetta del tipo Luc3; e una testa di soldato con cappello frigio (tipo pileus) su una cornice arcuata (elemento dell’arco di base di un timpano?), reimpiegato insieme ad altri due elementi simili – ugualmente recanti fregi con motivi a meandri, fiori e rosette –, nel muretto posticcio di un ambiente che in epoca bizantina inoltrata invase il portico meridionale di F (cf. Figura 136).
3.2.f. Prima guerra giudaica
A Gamla (Syon 2002a) e a Yotaphata (Aviam 2002) sono documentate testimonianze materiali dell’anno 66-67 d.C. connesse alle vicende della prima Rivolta giudaica narrata da Flavio Giuseppe.
Adesso anche a Taricheae abbiamo una serie di livelli di distruzione riferibili al torno di anni anteriore al 70 d.C. In particolare richiamiamo qui i contesti con livelli di distruzione che possiamo far risalire tra la fine del periodo ellenistico e la prima metà del sec. I d.C., cioè il crollo dell’edificio G8, le strutture obliterate sotto G2-G3, la prima fase dell’edificio C con i livelli d’uso sul mosaico della barca (C6). Inoltre, documentati con lo scavo del quartiere occidentale H, sono da prendere in considerazione anche le seguenti unità stratigrafiche prima descritte: il crollo US 91-94 e i livelli d’uso US 96, US 102 e US 98 di H1; il livello d’uso sotto il crollo US 13 in H2; il crollo nei livelli bassi di US 69 in H3.
Richiamiamo qui nuovamente l’attenzione sullo scarico nella vasca di E2-E7che ha restituito materiali tardoellenistici-anticoromani e, soprattutto, sul deposito del fondo della piscina E22. Tale accumulo si formò repentinamente e contenne ceramica tardoellenistica e anticoromana, compresi i rari vasi lignei e i boccali in pietra tenera di cui s’è già parlato. Non è significativo il fatto che i confronti con coppe lignee similari provengano fino ad ora unicamente da contesti funerari (Hachlili 2005, 392-394), data la deperibilità di questo materiale in situazioni normali. Va invece osservato che in un contesto di ceramica di uso domestico associata a vasi giudaici in pietra tenera – a parte la difficoltà di poter incontrare materiale integro come qui –, la presenza contestuale di ossa animali non kosher sarebbe da giudicarsi anomala. Nel caso di E22 si dovrebbe forse prendere in considerazione l’ipotesi di uno scarico violento e, in qualche modo, forse anche “dissacratorio”? Per la cronologia di tutte le classi dei materiali coinvolti, lo strato va collocato durante la prima Rivolta, come anche ha avuto modo di confermarci gentilmente il collega D. Adan-Bayewitz che ha potuto visionare il materiale durante le fasi di catalogazione.
Giova da ultimo constatare che il contesto architettonico del rinvenimento – dove pure vi erano impugnature (Mtl 125; Mtl 123), una lama ricurva (Mtl 158), una punta a sezione romboidale di lancia o giavellotto(?) in metallo(Mtl157-159) –, si trova in un’area molto prossimale alle strutture portuali del molo con gli ancoraggi, proprio dove, seguendo il racconto di Flavio Giuseppe, mentre i 2000 arcieri di Vespasiano tenevano impegnata la resistenza lanciando dardi dalle alture dell’Arbel, i 600 cavalieri scelti con a capo il generale Tito entravano dal Lago e prendevano la città (Flavio Giuseppe, Bellum Iudaicum III,497, 10,5; 499).
4/ Il Lago di Tiberiade e le sue città nella letteratura greco-romana, di Marco Adinolfi (Liber Annuus 44 (1994) 375-380)
«Limpida la sua acqua, leggera, dolce, di temperatura gradevole e ottima da bere. Per forma e sapore differenti da qualsiasi altro i suoi pesci. Di splendida bellezza le sue rive con il loro clima temperato e una ubertosità che permette ogni genere di culture. Davvero la natura e le stagioni hanno fatto a gara per beneficare al massimo quei luoghi». Così Flavio Giuseppe conclude la sua entusiastica presentazione del lago di Genesareth e delle città rivierasche[1].
Ben altre ragioni hanno suggerito a Gesù di scegliere quelle località come centro del suo ministero galilaico. Mt 4, 12-16, ad esempio, nel trasferirsi di Gesù da Nazaret a Cafarnao, che diventerà “la sua città” (Mt 9, 1) e centro di irradiazione del lieto messaggio del regno dei cieli, vede adempiuta la profezia di Is 8, 23-9,1. Il profeta annunziava per l’era messianica la liberazione militare e politica delle tribù settentrionali annesse nell’ottavo secolo a.C. all’impero assiro.
Nella scelta di Cafarnao, che sorge dove un tempo erano stanziate le tribù di Zabulon e Neftali, l’evangelista vede la liberazione religiosa e spirituale che Gesù reca a Israele non solo, ma anche ai pagani con i quali confina la Galilea. Coglie certamente nel segno l’istanza missionaria di Gesù che Matteo legge nella scelta di Cafarnao e della “Galilea delle genti”.
Come “le genti” negli scritti greci e latini descrivono il lago e le città che vi si specchiavano? È quanto costituisce l’oggetto del presente studio.
4.1. Il lago
Sono una dozzina gli autori greco-romani che parlano del lago. Uno solo, però, afferma di averne una conoscenza diretta: “io stesso vidi, καί αủτός οἶδα”[2]; è il geografo greco Pausania, vissuto nel secondo secolo d.C., il quale, oltre alla sua patria, all’Italia e all’Egitto, ha visitato certamente anche la Palestina.
Per quanto riguarda il nome del lago, Strabone (c. 63 a.C. – 19 d.C.) lo chiama “Γεννησαρĩτις”[3]; Plinio il Vecchio (23 / 24 – 79 d.C.) “Genesara” o “Tarichea” (confusione con Tiberiade?)[4]; Pausania, Solino (terzo secolo d.C.) e Giulio Onorio (quarto secolo d.C.) “Tiberiade”[5]; Solino anche “Sara” (corruzione di Genesara?)[6].
Circa le dimensioni del lago solo Plinio indica la lunghezza e la larghezza: “XVI passuum longitudinis, VI latitudinis”; Solino si ferma alla lunghezza: “extentus passuum sedecim millibus”. Il lago sarebbe dunque lungo sedicimila passi (sedici miglia) e largo seimila (sei miglia). Attualmente esso misura 21 Km da nord a sud e raggiunge 12 Km nella sua massima larghezza. Del lago (di Tiberiade o di Meron?) Strabone menzione la produzione del giunco aromatico e della canna[7], e delle acqua lacustri presso Gadara denuncia la nocività che fa perdere alle bestie peli unghie e corna[8]. Solino, invece, celebra la salubrità e l’efficacia terapeutica delle acque del lago[9].
4.2.1. Bethsaida Iulias
Del triangolo Corazin – Bethsaida – Cafarnao, rimproverato da Gesù per la sua cecità dinanzi ai numerosi miracoli di cui è stato teatro (cf Mat 11, 20 – 25), nella letteratura greco-romana è menzionata solo Bethsaida Iulias, in maniera fugace, da Plinio e da Tolomeo.
Di Cafarnao Giuseppe esalta una “sorgente oltremodo fecondatrice, πεγῄ … γονιμωτάτῃ”, che irriga la regione intorno al lago e “che gli abitanti del luogo chiamano Cafarnao, Καπαρναοὺμ … καλοῦσιν ”[10]. “A un villaggio detto Cafarnao, εἰς κώμην Κεφαρνωκὸν λεγομένην ” è trasportato Giuseppe in seguito a una frattura delle articolazione del polso causatagli dalla caduta del cavallo che egli montava[11].
Di Bethsaida Giuseppe accenna, tra l’altro al fondatore, il tetrarca Filippo, il quale “fondò in Galilea Tiberiade e nella Perea la città denominata Iulias” in onore della figlia di Augusto[12]. Plinio ricorda Iulias tra le città attraenti che circondano il Lago: “amoenis circumsaeptum oppidis, ab oriente Iuliade et Hippo”. Tolomeo la elenca al terzo posto tra le quattro città della Galilea: “Le città interne di Giudea sono, in Galilea, Sapphouri (=Sefforis), Kaparkotni (la mishnica Kefar Otni), Iulias e Tiberiade”.
4.2.2. Magdala – Tarichea
Giuseppe la pone a trenta stadi, cioè a circa 6 Km da Tiberiade[13] e scrive che ai suoi tempi era dotata di un ippodromo[14] e contava circa 40.000 abitanti[15].
Di Tarichea parlano il cesaricida Cassio, Strabone, Plinio e Svetonio. È datata dal campo di Tarichea[16] la lettera che il proconsole G. Cassio Longino[17] spedisce a Cicerone il sette marzo del 43 a.C., un anno dopo aver ucciso Cesare alle idi di marzo e un anno prima di morire suicida dopo il primo scontro a Filippi con Ottaviano e Antonio. Cassio informa Cicerone che i governatori della Bitinia e della Siria, L. Murco e Q. Crispo, gli hanno messo a disposizione i loro eserciti, e che sono passate a lui anche la legione di Cecilio Basso, già assediata da Murco e Crispo, e le quattro legioni di A. Allieno che si recavano presso Dolabella. Cassio si dice sicuro che Cicerone saprà difendere la repubblica e gli anticesariani assenti[18].
Primo degli scrittori greco-romani, Strabone parla dell’attività specifica di Tarichea: “Nel luogo chiamato Tarichea il lago fornisce pesci eccellenti da salare”[19]. Incorre in una svista topografica Plinio, quando, elencando le città amene che si specchiano sul lago, scrive: “a meridie Tarichea, … ab occidente Tiberiade”. Tarichea – Magdala non è sulla riva meridionale, ma su quella occidentale, a nord di Tiberiade, anch’essa a ovest.
Tarichea è presentata da Svetonio, insieme con Gamala in Gaulanitide, come una città straordinariamente munita, che nel 67 d.C. Tito occupò dopo una battaglia nella quale, essendogli stato ucciso il cavallo su cui montava, era saltato in groppa al cavallo del commilitone perito combattendo al suo fianco[20].
4.2.3. Tiberiade
Solo due le testimonianze su Tiberiade, di cui Giuseppe scrive: “Essendo giunto ad un alto grado di amicizia con Tiberio, il tetrarca Erode (Antipa) fece costruire (tra il 18 e il 20 d.C.) una città che dal nome dell’imperatore chiamò Tiberiade scegliendole un posto tra i più fertili della Galilea, sulle rive del lago di Genesaret”[21].
Prima che Tolomeo si limiti a nominarla tra le città della Galilea, Plinio presenta Tiberiade a occidente del lago e la dice “salutare per le acque termali”[22].
4.2.4. Filoteria – Beth Yera˙
Probabilmente è da identificare con Beth Yera˙ presso l’uscita del Giordano dal lago[23], la città che, dal nome della sorella, Tolomeo II Filadelfo chiamò Filoteria.
Di Filoteria parla Polibio narrando la quarta guerra siriaca conclusasi nel 217 a.C. a Rafia con la vittoria di Tolomeo IV Filopatore su Antioco III il Grande. Prima di impadronirsi del Tabor Antioco occupa nel 218 Filoteria e poi Scitopoli[24].
4.2.5. Hippos – Susita
Secondo Giuseppe, Hippos, situata a trenta stadi da Tiberiade[25], insieme con Gadara e la Gaulanitide, delimitava la Galilea a oriente[26].
Di Hippos solo un accenno di Plinio, che la segnala come specchiantesi nel lago a oriente: “ ab oriente … Hippo”.
***
Poche e generiche queste testimonianze di autori greco-romani circa le città del lago di Tiberiade. Si tratta in realtà – con la sola eccezione di Pausania che parla per aver visto di persona – di notizie di seconda o terza mano.
Di qui la svista, ad esempio, di Plinio che pone Tarichea sulla riva meridionale del lago invece che su quella occidentale. D’altra parte dovevano essere davvero famosi nel mondo antico i pesci salati di Tarichea e le acque termali di Tiberiade. È il caso di concludere che se non avessimo gli scritti almeno di Flavio Giuseppe, estremamente scarse sarebbero le nostre conoscenze del lago e di quelle città galilee che Gesù scelse per proclamare con parole e con gesti il lieto annuncio del regno.
5/ Giotto, San Francesco e la Maddalena, di Andrea Lonardo (dal sito de Gli scritti)
La Cappella della Maddalena, nella Basilica Inferiore di San Francesco in Assisi, fu affrescata da Giotto e dalla sua bottega nel 1307-1308, su commissione di Teobaldo Pontano, vescovo di Assisi dal 1296 al 1329.
La Maddalena è stata sempre considerata la patrona degli eremiti, per aver condotto vita monastica e penitenziale, secondo la tradizione, nella grotta detta La Sainte Baume, in Francia. Francesco d’Assisi che alternava mesi di predicazione del vangelo a mesi di eremitaggio e preghiera solitaria (che egli chiamava, con la terminologia medioevale, Quaresime, plurale che le differenziava dall’unica Quaresima che preparava alla Pasqua) ha avuto una particolare venerazione per Santa Maria Maddalena alla quale erano dedicati alcuni degli eremi nei quali si ritirava.
La Legenda Aurea di Jacopo da Varagine condensa le notizie sui santi del calendario liturgico conosciute e credute nel Medioevo. I principali eventi della vita della Maddalena riassunti nella Legenda sono rappresentati dagli affreschi di Giotto in questa cappella.
5.1. La cena in casa del fariseo
Nell'affresco, Maria Maddalena in casa del fariseo Simone, cosparge di olio profumato i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli. Così commenta l'episodio mons. Ravasi: «Maria di Magdala era entrata in scena nei Vangeli per la prima volta come una delle donne che assistevano Gesù e i suoi discepoli coi loro beni. In quell’occasione si era aggiunta una precisazione piuttosto forte: "da lei erano usciti sette demoni" (Luca 8,1-3). Di per sé, l’espressione poteva indicare un gravissimo (il sette è il numero della pienezza) male fisico o morale che aveva colpito la donna e da cui Gesù l’aveva liberata.
Ma la tradizione, ripetuta mille volte nella storia dell’arte e perdurante fino ai nostri giorni, ha fatto di Maria una prostituta e questo solo perché nella pagina evangelica precedente – il capitolo 7,36-50 di Luca – si narra la storia della conversione di un’anonima "peccatrice nota in quella (innominata) città", colei che aveva cosparso di olio profumato i piedi di Gesù, ospite in casa di un notabile fariseo, li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli».
5.2. La resurrezione di Lazzaro
Nell'affresco, Maria di Magdala e la sorella Marta si inginocchiano dinanzi a Gesù che annunzia loro la resurrezione del fratello Lazzaro. Così commenta mons. Ravasi l'identificazione della Maddalena con Maria, la sorella di Lazzaro: «Ora, questo stesso gesto verrà ripetuto nei confronti di Gesù da un’altra Maria, la sorella di Marta e Lazzaro (Giovanni 12,1-8). E, così, si consumerà un ulteriore equivoco per Maria di Magdala, confusa da alcune tradizioni popolari con Maria di Betania, dopo essere stata confusa con la prostituta di Galilea».
5.3. Noli me tangere
La Maddalena riconosce Gesù risorto che la chiama, vicino al sepolcro vuoto. Così mons. Ravasi commenta l'episodio: «È una storia strana quella di Maria, la discepola di Gesù originaria di Magdala, un villaggio di pescatori sul lago di Tiberiade, centro commerciale ittico denominato in greco Tarichea, cioè “pesce salato”. La sua figura fu, infatti, sottoposta a una serie di equivoci. Noi vorremmo partire proprio da quell’alba primaverile evocata da un brano del Vangelo di Giovanni che la liturgia di Pasqua ci propone, sia pure parzialmente (20,1-18). Maria è davanti al sepolcro ove poche ore prima era stato deposto il corpo esanime di Gesù. Paradossale è l’equivoco in cui cade la donna che scambia quel Gesù, ritornato a nuova vita e presente davanti a lei, col custode dell’area cimiteriale… Strano destino quello di Maria di Magdala, abbassata a prostituta ed elevata a Sapienza divina! Per fortuna l’unico che la chiamò per nome e la riconobbe fu proprio Gesù, il suo Maestro, il Rabbunì, in quel mattino di Pasqua». (G. Ravasi)
5.4. Viaggio a Marsiglia e miracolo della famiglia del governatore
La tradizione medioevale – che è sintetizzata nella Legenda aurea di Jacopo da Varagine o Varazze, che fu arcivescovo di Genova (dove Legenda è un latinismo che sta per Testo che deve essere letto nel giorno della ricorrenza festiva) – vuole che Pietro abbia affidato la Maddalena a Massimino, uno dei 72 discepoli di cui ci parla il vangelo di Luca. Massimino, la Maddalena, suo fratello Lazzaro, sua sorella Marta, la serva di Marta Martilla e Cedonio, cieco dalla nascita guarito dal Signore, catturati dagli infedeli sarebbero stati abbandonati su di una nave per farli morire, ma miracolosamente la nave sarebbe giunta a Marsiglia, in Francia (nell’affresco si vede la barca con i santi che giunge in Francia).
Sbarcati, la Maddalena, inorridita dal vedere che gli abitanti del luogo facevano sacrifici agli idoli, li avrebbe dissuasi dai sacrifici pagani e invitati a convertirsi al cristianesimo. Giunse allora il capo della Provincia con la moglie i quali, essendo sterili, volevano sacrificare per avere un bambino. Maria Maddalena li dissuase. Il governatore ricevette una visione della Maddalena in sogno che lo invitava a prendere i naufraghi nel suo palazzo e a non far loro patire l’indigenza (a sinistra dell’affresco si vede la città di Marsiglia). Stabilitisi nel palazzo, accadde che la moglie si rivolse alla Maddalena per chiederle l’intercessione per avere un figlio. La Maddalena acconsentì, affermando che anche a Roma, per mano di Pietro, stavano avvenendo miracoli. La donna restò in cinta. Il governatore si decise allora a partire per Roma per verificare se anche Pietro stesse facendo gli stessi miracoli per convertirsi così al cristianesimo. La moglie, pur avendo ricevuto il consiglio di non partire, pretese di accompagnare il marito e la Maddalena li benedisse. Una volta in mare, però, la donna partorì e, per il moto delle onde, morì nel parto. Il marito decise allora di lasciare il corpo della moglie su di un isola, con il bambino ancora vivo, perché morisse fra le sue braccia e non nel prosieguo del viaggio (Giotto dipinge l’isola con la donna ed il bambino, in basso a sinistra). Il marito giunse a Roma, incontrò Pietro che compiva miracoli e si convertì. Al ritorno, passando vicino all’isola, volle fermarsi. La donna riprese vita e si scoprì che il bambino miracolosamente era ancora vivo. Ringraziando così nella preghiera la Maddalena rientrarono con gioia in Marsiglia. Allora il governatore decise di distruggere tutti gli idoli della città e Lazzaro fu acclamato primo vescovo di Marsiglia e morì poi martire, decapitato per il nome di Cristo. San Massimino convertì insieme agli altri la città di Aix-en-Provence e fu eletto vescovo di quel luogo.
5.5. La Maddalena eremita nella grotta detta Sainte Baume
La Maddalena andò poi in un luogo solitario per vivere nella contemplazione di Dio, dove rimase in incognito per 30 anni (è appunto il luogo che la tradizione venera come la Sainte Baume, la santa grotta, tuttora meta di pellegrinaggio nel Sud della Francia). Un sacerdote, anch’egli eremita, si ritirò in preghiera a dodici stadi dalla grotta della Maddalena e si accorse che ogni giorno, per le sette ore di preghiera canonica, gli angeli la portavano in cielo a cantare le lodi del Signore. Decise di andare a visitarla e lei le rivelò la propria identità e le chiese in dono un abito (fin lì era protetta solo dai suoi lunghi capelli). L’affresco dipinge l’atto del sacerdote-monaco di offrirle la veste.
5.6. La Maddalena elevata ogni giorno dalla Sainte Baume a pregare con gli angeli
Nell’affresco la Maddalena mentre viene portata dagli angeli ogni giorno per sette volte (le sette ore della liturgia delle ore) in cielo per cantare con tutti i santi del Paradiso la gloria del Signore. E’ un’immagine della comunione della chiesa terrestre e della chiesa celeste nel momento della preghiera liturgica.
5.7. La Maddalena portata dagli angeli a ricevere la comunione da san Massimino
La Maddalena viene informata miracolosamente che è ormai giunta l’ora della sua morte. Prega il sacerdote-eremita di recarsi da San Massimino per informarlo di prepararsi perché nel mattutino della domenica di Pasqua si sarebbe recata da lui per l’ultima comunione. Portata dagli angeli si presentò nell’oratorio dove Massimino si trovava il giorno di Pasqua e ricevette da lui il corpo ed il sangue di Cristo e subito spirò. Il santo vescovo la fece seppellire ed il luogo si riempì subito di profumo. Il luogo è oggi noto come St. Maximin-la Sainte Baume.
5.8. Il vescovo Pontano e la Maddalena
Nell'affresco, il vescovo Pontano, committente della cappella, ai piedi della Maddalena
Note al testo
[1] Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 3, 10, 7 – 8 (506 – 521)
[2] Pausania, Periegesi della Grecia 5, 7, 4.
[3] Strabone, Geografia 16, 2 16.
[4] Plinio il Vecchio, Naturalis historia 5, 15, 71.
[5] Pausania, Periegesi 5, 7, 4; Solino, Collectanea rerum memorabilium 35, 3; Giulio Onorio, Cosmographia 2, 6.
[6] Solino, Collectanea 35, 3.
[7] Strabone, Geografia 16, 2, 16: “ἔχει δὲ καὶ λίμνην ἥ φέρει τὴν ἀρωματῖτιν σχοῖνος καὶ κάλαμον”.
[8] Strabone, Geografia 16, 2, 45 : “ὕδωρ μοχθηρὸν λιμναῖον οὗ τὰ γευσάμενα κτήνη τρίχας καὶ ὁπλὰς καὶ κέρατα ἀποβάλλει”.
[9] Strabone, Geografia 16, 2, 45: “Sed lacus Tiberiadis omnibus anteponitur, salubris ingenuo aestu et ad sanitatem usu efficaci”.
[10] Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 3, 10, 8 (519). Il territorio di Cafarnao doveva raggiungere l’estensione di almeno 3 Km se Giuseppe vi include le acque di Tabga.
[11] Flavio Giuseppe, Vita 404.
[12] Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 2, 9, 1 (168).
[13] Flavio Giuseppe, Vita 157.
[14] Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 2, 21, 3 (599).
[15] Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 2, 21, 4 (608).
[16] Cicerone, Ad familiares 12, 11: D. Nonis Martiis ex castris Taricheis
[17] Nove anni prima, nel 52 a.C. nelle vesti di proquestore di Siria, Cassio aveva preso Tarichea e catturato 30.000 giudei. Cf Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 1, 8, 9 (180).
[18] Cicerone, Ad familiares 12, 11: “C. Cassius procos. S. D. M. Ciceroni. S. v. b. e. e. q. v. In Syriam me profectum esse scito ad L. Murcum et Q. Crispum imp. Viri fortes optimique cives, postea quam audierunt quae Romae gererentur, exercitus mihi tradiderunt ipsique mecum una fortissimo animo rem p. administrant. Item legionem quam Q. Caecilius Bassus habuit ad me venisse scito, quattuorque legiones quas A. Allienus ex Aegypto eduxit traditas ab eo mihi esse scito. Nunc te cohortatione non puto indigere ut nos absentis remque p. quantum est in te, defendas. Scire te volo firma praesidia vobis senatuique non deesse, ut optima spe et maximo animo rem p. defendas. Reliqua tecum aget L. Carteius, familiaris meus. Vale”.
[19] Strabone, Geografia 16, 2, 45: “ἐν δὲ ταῖς καλουμέναις Ταριχέαις ἡ λίμνη μὲν ταριχέιας ἱκθύων ἀστείας παρέχει”.
[20] Svetonio, Titus 4, 3: “Taricheas et Gamalam urbes Iudaeae validissimas in potestatem redegit, equo quadam acie sub feminibus amisso alteroque inscenso, cuius rector circa se dimicans occubuerat”. Potrebbe trattarsi dello stesso combattimento a cavallo riferito da Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 3, 10, 3 (487 – 490).
[21] Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche 18, 2, 3 (36).
[22] Plinio, Naturalis historia 5, 15, 71: “Ab occidente Tiberiade, aquis calidis salubri”. Con le acque termali di Tiberiade Giovanni di Giscala finge di volersi curare e ne chiede l’autorizzazione a Flavio Giuseppe (Guerra giudaica 2, 21, 6 [614 - 615]).
[23] Polibio, Storie 5, 70, 4: “Filoteria si trova presso il lago nel quale si getta il fiume chiamato Giordano e dal quale esce di nuovo attraversando la pianura intorno a Scitopoli, “ἡ δὲ Φιλοτερία κεῖται παρ᾽αὐτὴν τήν λίμνην εἰς ἥν ὁ καλούμενος Ἰορδάνης ποταμός εἰσβάλλων ἐξίησι πάλιν εἰς τὰ πεδία τὰ περὶ τὴν Σκυθῶν πόλιν προσαγορευομένην”.
[24] Polibio, Storie 5, 70, 3.5.
[25] Flavio Giuseppe, Vita 349.
[26] Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 3, 3, 1 (37).