Dopo i festeggiamenti, un compito. L’unità oltre gli slogan, una specie di miracolo, di Davide Rondoni
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Riprendiamo da Avvenire del 19/3/2011 un articolo scritto da Davide Rondoni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (20/3/2011)
Unità. Dell’Italia. E via le feste. Unità nel senso di unificazione. Di dar vita a una realtà da una dispersione. Da una disgregazione. Si è festeggiata l’Italia, a partire dalla sua unità politica e amministrativa.
L’Italia c’era già prima, si sa. Ma l’Unità politica no, non c’era. Ed è stata questa la festeggiata. Ed è giusto festeggiare l’unirsi, l’aggregarsi. il prender corpo. La vita procede per unificazioni, le scissioni sono sempre un segno di morte. Di dopo morte.
Quella che chiamiamo decomposizione. Un corpo morto tende a decomporsi. L’unità è un principio vitale. Per questo è giusto festeggiarla, là dove ci sia.
E allora mi chiedo: perché a riguardo di tante altre cose invece che favorire, festeggiare, onorare l’unità siamo prontissimi invece a procedere in direzione contraria? A favorire la separazione, la scomposizione, la frammentazione? Non parlo solo di quella cosa chiamata matrimonio la cui misteriosa, fragile, tenera e tenace unità viene continuamente messa in crisi, in dubbio, e di cui viene favorita la scomposizione in vari modi.
Ma intendo anche la unità dell’educazione e del sapere - scomposti in mille rivoli specialistici, in pluralità di maestri, in programmi fatti a blocchi separati. Non la favoriscono spesso i nostri pedagoghi, le nostre scuole, non le nostre università, che pure erano nate, come dice il termine stesso, dalla tensione a una unità del sapere. O l’unità dei cittadini, continuamente messa a dura prova da messaggi politici e mediatici che inveleniscono, dividono in fazioni estreme, in corpi che invece essere 'partiti', cioè parti di un corpo, diventano fazioni che lo sbranano quel corpo. O quell’altra separazione, divisione, arbitraria e fasulla tra 'laici' e 'credenti' come se si trattasse di mondi separati, di cuori separati, di persone diverse, le une più libere, inquiete, moderne, le altre ottuse, inquadrate, prevedibili e passatiste.
Se festeggiamo l’unità d’Italia è perché crediamo al valore positivo, vitale dell’unità o no? Si può festeggiare l’unità della nazione e irridere, violare l’unità fondamentale tra una madre e un figlio facilitando ogni genere di 'fabbricazione' di figli al di fuori di qualsiasi legame che non sia una specie di acquisto desiderato? Si può festeggiare il valore dell’unità della nazione e intanto lanciare in ogni modo messaggi, cultura, intrattenimento che invitino a slegare qualsiasi impegno di unità in una famiglia, in una coppia? O sono domande scomode, che possono rovinare il can-can dei festeggiamenti? Cosa ci interessa di una nazione unita se dentro di essa va tutto a ridursi in brandelli… L’unità è bellissima. E difficile. Lo sa chiunque abiti in un condominio. E’ al centro dei più sognanti slogan e motti degli uomini in cerca di riscatto. L’unità è vitale. Lo è anche tra i cristiani, segno supremo della loro appartenenza non a una idea o a una loro interpretazione, ma a un Altro che li ha chiamati. Per questo i cristiani sanno che l’unità è una specie di miracolo, dipende dall’iniziativa di Qualcuno che mette insieme, superando ogni differenza. Non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero, ma voi siete 'uno' in Gesù… ha scritto uno dei primi grandi teorici della unità come vita, san Paolo, non Cavour.
Per questo mentre si festeggia una cosa chiamata Unità noi cristiani sappiamo quale sia l’unità a cui apparteniamo e da cosa dipende. E sappiamo che ogni unità è bella e difficile da costruire e da onorare. Questa unità della nazione, come ogni unità nella vita.