Chiavi di lettura de Il viaggio del veliero di C. S. Lewis, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti 27/12/2010
C. S. Lewis riprende dall’Ulisse dantesco la potente immagine di un viaggio fino agli estremi confini del mondo, conferendo però una valenza pienamente positiva a questo sconfinato desiderio di conoscenza. Già in Dante non si tratta solo di navigare più lontano possibile, ma di giungere a “divenire esperto del mondo e de li vizi umani e del valore”[1]. Nel racconto di Lewis, come afferma subito Ripicí, seguire le tracce dei sette antichi esploratori significa, ancor più, giungere al “regno di Aslan”: «Uno scopo alto come il mio spirito – iniziò il topo. – Anche se, a dire il vero, piccolo come la mia statura. Dico io, perché non arrivare fino al limite orientale del mondo? Che ci sarà mai laggiù? Io credo che oltre a quel limite inizi il regno di Aslan. Il Gran Leone, quando appare a Narnia, giunge sempre da oltre il mare, da oriente»[2].
Il veliero veleggia così verso oriente. Verso est erano orientate tutte le antiche basiliche, rivolte verso il “nuovo sole che sorge”. Anche oggi si utilizza la parola “orientarsi” per indicare la capacità di comprendere dove sia l’oriente, dove si trovi la luce, dove sia la “vita piena” e non un surrogato di essa. “Disorientato” è colui che brancola senza meta, che gira a zonzo, senza sapere bene dove abiti il bene. Al termine del viaggio del veliero i tre ragazzi giungono ad un luogo dove «ebbero la strana impressione che qui il cielo arrivasse davvero a congiungersi con la terra»[3]. L’impressione fisica è evidentemente qui simbolo di un legame ben più profondo: là la “terra” finalmente trova comunione con il “cielo”. Per giungere fino a quel luogo il veliero deve compiere un itinerario che è un vero e proprio cammino iniziatico, superando prove che rimandano alle grandi tentazioni dell’uomo, ai peccati che paralizzano il cammino verso l’incontro con il “cielo”, al male che deve essere vinto. La riduzione cinematografia modifica l’ordine delle diverse tappe affrontate dai ragazzi, condensandone insieme alcune, ma conservando la struttura di itinerario progressivo.
La prima tappa li conduce alle Isole solitarie, dove uomini malvagi riducono in schiavitù gli abitanti di Narnia. Nel simbolo della “schiavitù” vengono come sintetizzate tutte le prove successive. Nelle Isole solitarie, a motivo della schiavitù, in quei giorni «ogni cosa veniva portata avanti con pigrizia e trascuratezza»[4]. Il passaggio del veliero torna ad infondere vita e coraggio agli abitanti delle isole e veleggiare verso il “regno di Aslan” diviene fin dal principio esperienza di vera liberazione per l’equipaggio.
Nell’Isola delle Voci, dove gli Inettopodi sono stati resi invisibili, Lucy si misura con la tentazione dell’invidia della bellezza della sorella. Perché il desiderio della bellezza può anche recare morte. Leggendo il libro del mago, là dove è scritta la formula «infallibile che renderà colei che la pronuncia bella oltre ogni mortal giudizio»[5], Lucy comincia a sognare di essere «seduta su un trono imponente che dominava la scena di un grande torneo di Calormen, mentre tutti i re di questo mondo gareggiavano in onore della sua bellezza [finché vide] che la Susan dell’illustrazione era gelosa della sua sconvolgente bellezza»[6]. Solo allora ha la forza di pronunciare le parole: «Non me ne importa un bel niente», per accorgersi subito dopo che questo le è stato possibile, solo perché Aslan le è apparso immediatamente vicino[7].
Eustachio Clarence, invece, imbattutosi nell’Isola del drago in un immenso tesoro si lascia conquistare dall’avidità per esso: «mentre dormiva si era tramutato in un drago. Dormire disteso sul bottino di un drago e avere nel cuore pensieri avidi e da drago, aveva finito per tramutarlo in un drago»[8]. Ma proprio quell’esperienza dolorosa comincia a mutarlo: «Ora non c’era più niente di cui aver paura. Ora lui stesso suscitava terrore e paura, e niente al mondo, se non un cavaliere (e non certo il primo venuto), avrebbe mai osato attaccarlo. Avrebbe persino potuto rendere a Edmund e Caspian pan per focaccia. Ma gli bastò soltanto pensarlo, per rendersi conto che non era questo ciò che desiderava. Voleva diventare loro amico. Voleva tornare tra gli esseri umani e con loro parlare, scherzare, ridere e dividere emozioni. Si scoprì un mostro, tagliato fuori per sempre dal mondo e dal genere mano. Una sconvolgente solitudine si impadronì di lui. [...] Ora comprese anche che Caspian mai e poi mai se ne sarebbe andato via abbandonandolo da solo su quell’isola»[9]. Lucy vede le lacrime di Eustachio che piange, alla scoperta della propria solitudine[10].
Nel libro, a differenza del film, Eustachio riacquista la propria umanità quando il leone, che ancora non conosce, gli impone di deporre le vesti e di immergersi in un’acqua che gorgoglia. È una vera e propria immersione battesimale che lo rende finalmente uomo. Edmund, interrogato se conosca il leone, risponde: «Beh, in realtà è lui che conosce me [...] È il Gran Leone, figlio dell’imperatore d’Oltremare, che una volta ha salvato me e Narnia. Lo abbiamo visto quasi tutti. Lucy, però lo vede più spesso degli altri. E forse è proprio il regno di Aslan la terra che stiamo cercando»[11].
Tutti insieme devono poi affrontare il buio ed il gelo dell’Isola delle tenebre: «l’equipaggio si rese conto che non si trattava di un’altra isola e neppure, nel senso comune del termine, di un banco di foschia. Davanti ai loro occhi si levava il buio. È difficile descrivere il buio [...] Intanto faceva freddo»[12]. Lì tutte le paure degli uomini si materializzano. È Lord Rhoop a spiegarlo: «Qui si avverano e diventano reali i sogni, i sogni, ho detto, non i sogni a occhi aperti, ma i sogni veri e propri quelli della notte»[13]. In quell’isola, tutte le paure dell’uomo divengono realtà e regna solo il gelo, il buio e la morte. Lì diviene evidente che il male e la morte sono più forti del’uomo lasciato a se stesso, come afferma Caspian: «È inutile, Ripicí, puoi dire quello che vuoi, ma ci sono cose che l’uomo non può affrontare, tienilo bene a mente»[14].
Mentre tutti perdono via via ogni speranza, è Lucy a trovare la forza di pregare: «Aslan, Aslan, se è vero che ci vuoi bene, aiutaci»[15]. Ed è Aslan a sussurrarle: «Coraggio, piccola mia – e la sua voce, ne era certa, era quella di Aslan in persona. Come la voce parlò, una fragranza deliziosa le accarezzò il volto. In pochi minuti le tenebre di fronte a loro si fecero grigiastre e poi, ancor prima che la speranza si impossessasse di loro, sbucarono alla luce del sole, ritrovandosi di colpo in un universo caldo e azzurro. Allora capirono che ormai non c’era più nulla di cui aver paura e che, forse, in fondo, non c’era mai stato»[16]. Solo la presenza di Aslan e la sua forza fanno svanire le paure che attanagliano l’uomo, come spiega ancora una volta Lucy a Lord Rhoop che si congratula a torto con loro perché hanno sconfitto le tenebre: «Non siamo stati noi»[17].
Il veliero continua la sua peregrinazione fino all’isola dei Tre dormienti, uno dei quali, prima di sprofondare nuovamente nel sonno, parafrasa l’Ulisse di Dante affermando: «Non siamo nati per vivere come bestie. Ancora verso oriente, finché ci sarà una possibilità»[18]. Ma, come spiega la gran dama misteriosa che appare, i Lord giunti fin lì «si misero a litigare. Quello più autoritario afferrò il Coltello di Pietra, che si trova qui sul tavolo e che senza dubbio avrebbe usato di lì a poco contro i suo compagni»[19]. Lucy ricorda a tutti che fu con un coltello simile che la Strega Bianca uccise Aslan sulla Tavola di Pietra: è il male che divide gli uomini, facendoli cadere in un torpore profondissimo che li distoglie dal volgersi ad oriente.
Finalmente, incoraggiati da Ramundo, il padre della gran dama, i ragazzi con Ripicí, ripartono per l’ultimo tratto. Nel prosieguo del cammino, le parole cominciano a farsi inutili, il profumo diviene più intenso e gli occhi debbono via via abituarsi all’immensa luce che tutto permea di sé. Ed ecco che, giunti alla Fine del Mondo, lì dove finalmente la terra e il cielo si congiungono, appare loro l’agnello: «Videro che c'era qualcosa tra loro e la linea del cielo, una macchia bianca che si stagliava sul verde dell'erba. E quel candore era così accecante che, anche ad avere occhi di falco, era assai difficile da sopportare. Si avvicinarono e videro che si trattava di un agnello. “Venite a fare colazione” - disse l'agnello con voce dolce e suadente. Solo allora si accorsero che sull'erba, lì vicino, c'era un fuoco acceso, con del pesce lasciato ad arrostire sopra di esso. […] “In ogni modo esiste una via che conduce al mio regno”. E il suo manto, mentre pronunciava queste parole, da bianco color della neve qual era, in un lampo divenne marrone, quasi rosso. L'agnello diventò più grande, sempre più grande, e d'un tratto Aslan in persona comparve, torreggiando sulle loro teste, mentre dalla folta criniera piovevano raggi di luce»[20].
La scena richiama chiaramente il capitolo 21 del vangelo di Giovanni. È il Risorto che offre da mangiare a Simon Pietro e agli altri apostoli, manifestandosi loro. Nella trasposizione cinematografica è questo certamente il più grande tradimento del racconto di Lewis: non si vede nessun agnello, ma solo il leone. L’immagine dell’agnello rivela un segreto sconfinato che la sola immagine della potenza del leone non riesce ad evocare. Si pensi, solo per rimandare ad un’immagine pittorica, all’Agnus Dei di Zurbaran. Ma certo anche il film non ha alcuna esitazione ad indicare che Aslan esiste nel mondo reale e non è solo un animale fantastico di Narnia: «“Siete... siete anche nel nostro mondo, signore?” - chiese Edmund. “Sì” - gli spiegò Aslan. “Solo che laggiù ho un altro nome, e voi dovrete imparare a conoscermi con quel nome. È questo il vero motivo per cui siete stati mandati a Narnia: adesso sapete qualcosa di me, anche se non molto. Ma ora vi sarà più facile conoscermi meglio nel vostro mondo”»[21].
La versione cinematografica concentra la sua attenzione sulla lotta contro il male che l'equipaggio del veliero deve affrontare. Nel racconto originario di C. S. Lewis al centro è, invece, il desiderio di verità dell'uomo che non si sazia, finché non giunge dove potrà "riposare". Per lo scrittore anglicano la lotta contro il male è piuttosto il mezzo, non il fine: la meta è giungere finalmente "nel regno di Aslan".
Il film gioca molto bene, invece, sul passaggio ad un'età più matura per Edmund e Lucy. Essi sono diventati grandi: Edmund desidera ormai esercitare una propria autorità, mentre Lucy vuole piacere. Il viaggio del veliero restituisce loro la consapevolezza che esiste una tensione fra la “storia” così appassionante di Narnia e la ferialità della vita ordinaria.
Ma proprio quel viaggio deve assicurare loro che nelle pieghe apparentemente banali degli eventi di ogni giorno si combatte, in realtà, la stessa guerra che si combatte a Narnia. E soprattutto che Aslan non è solo un personaggio di un altro mondo, ma che è il Signore del nostro mondo. Così come ebbe a rispondere C. S. Lewis ad una bambina di nome Hila che gli chiedeva chi fosse realmente Aslan, per poterlo riconoscere ogni giorno:
«Riguardo all’altro nome di Aslan, vorrei davvero che fossi tu ad indovinare. C’è mai stato qualcuno in questo nostro mondo che: 1) giunse nello stesso periodo di Babbo Natale; 2) disse di essere il figlio del Grande Imperatore; 3) per la colpa di qualcun altro diede se stesso a degli uomini cattivi che lo derisero e lo uccisero; 4) tornò in vita; 5) viene alle volte chiamato l’Agnello (vedi la conclusione del Veliero)? Davvero non sai il Suo nome in questo mondo? Pensaci su e fammi sapere la tua risposta!» (dalla Lettera del 3 giugno 1951, in C. S. Lewis, Prima che faccia notte. Racconti e scritti inediti, BUR Rizzoli, Milano, 2005, pp. 98-99).
Note al testo
[1] Cfr. Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, XXVI, 97-102.
[2] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 174.
[3] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 329.
[4] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 198.
[5] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 268.
[6] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 268.
[7] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, pp. 268-269.
[8] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 225.
[9] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 225.
[10] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 228.
[11] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 238. Nel racconto Il principe Caspian Lewis aveva chiaramente lasciato intendere di aver costruito il personaggio di Lucy pensando alla “fede”.
[12] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, pp. 283-285.
[13] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 288.
[14] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 288.
[15] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 289.
[16] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 290.
[17] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 291.
[18] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 295.
[19] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 295.
[20] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 330.
[21] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, II, Il viaggio del veliero, Mondadori, Milano, 2000, p. 331.