Il Vangelo di Barnaba, un apocrifo musulmano medioevale: “dare corpo” alla gesuologia islamica omettendo la croce e reinserendo circoncisione e sacrifici animali, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (14/4/2016)
Il Vangelo di Barnaba[1] è un testo veramente curioso, ma che merita attenzione per capire cosa abbia pensato l’Islam di Gesù nella storia. L’apocrifo merita uno studio accurato anche in vista di una questione ancora più importante: cosa pensa l’Islam oggi di Gesù, dato che lo ritiene un inviato di Dio, ed in che modo un confronto su Gesù potrebbe contribuire a quel rinnovamento dell’Islam oggi invocato da tanti musulmani? Può contribuire oggi una riflessione su Gesù a riconsiderare le fonti in maniera che siano lette criticamente e scientificamente?
1/ Errori storici e geografici che dimostrano come l’autore del vangelo di Barnaba non abbia mai conosciuto né Gesù, né la sua epoca, né la sua terra
Il testo del vangelo di Barnaba è estremamente impreciso. La lontananza dagli avvenimenti evangelici è subito lampante: infatti l’autore non conosce bene la geografia dei luoghi in cui Gesù ha vissuto e nemmeno ha una padronanza storica degli eventi.
Basti ricordare che il vangelo di Barnaba pone la nascita di Gesù al tempo in cui “Pilato era governatore e Anna e Caifa sacerdoti”! Da un dato così palesemente errato si comprende subito che l’autore conosce i vangeli canonici, ma confonde il momento della nascita di Gesù con la sua morte, quando effettivamente Pilato era ormai governatore della Giudea e Anna e Caifa al potere nel sinedrio[2]:
«In quel tempo regnava in Giudea Erode per decreto di Cesare Augusto; Pilato era governatore, Anna e Caifa sacerdoti. Allora per decreto di Augusto si fece il censimento generale, ognuno si recava nella sua patria e si portava nella sua tribù per farsi registrare. Giuseppe originario di Nazareth, città della Galilea, partì con Maria sua moglie incinta, per recarsi a Betlemme, sua città, essendo della stirpe di David, al fine di essere registrato, come voleva il decreto di Cesare» (cap. III).
La stessa crassa ignoranza degli eventi è manifesta fin dal Prologo: l’autore, non essendo a conoscenza del fatto che il titolo di Cristo è l’equivalente greco del termine Messia, dichiara tranquillamente che Gesù è il Cristo mentre per tutto il vangelo si opporrà poi a che il titolo di Messia sia riferito a Gesù. Infatti, per l’autore di Barnaba il titolo di Messia deve essere riferito a Maometto, che è il Messia da attendere[3]:
«Barnaba apostolo di Gesù Nazareno chiamato Cristo, a tutti coloro che abitano sulla terra, augura pace e consolazione. Carissimi, il grande ed ammirabile Dio ci ha visitati, in questi giorni passati, tramite il suo profeta Gesù Cristo» (Prologo).
Nei capitoli 20-21 l’autore del vangelo di Barnaba si dimostra ignorante anche sui dati geografici più elementari riguardanti la Palestina quando afferma che Gesù, partendo da Gerusalemme, si recò in barca fino a Nazareth e poi di lì salì a piedi a Cafarnao. Invece, geograficamente, è Cafarnao ad essere sul lago, mentre Nazaret è situata in collina a diversi chilometri di distanza dal lago.
Così recita testualmente il vangelo di Barnaba[4]:
«Gesù andò al mare di Galilea; montò in barca e navigò verso Nazareth, sua città. Allora si levò una grande tempesta di mare, al punto che la barca stava immergendosi. Gesù dormiva sopra la prua della barca. I suoi discepoli gli si accostarono e lo svegliarono dicendo: “Salvaci, Maestro, perché periamo!” Erano in preda a grandissimo spavento perché c'era un grande vento contrario e per il gran rumoreggiare del mare. Gesù si alzò ed elevati gli occhi al cielo disse: “O Elohim Sabaot, abbi pietà dei tuoi servi!” Appena Gesù ebbe pronunciato queste parole, subito il vento cessò e il mare si fece tranquillo. Allora i marinai si spaventarono e dissero: “Chi è costui cui il mare e il vento obbediscono?”. (cap. XX) […] Gesù salì a Cafarnao e avvicinandosi alla città ecco uscire dai sepolcri uno, che era indemoniato. Nessuna catena poteva trattenerlo ed egli faceva grande male agli uomini. I demoni gridavano attraverso la sua bocca, dicendo: “Santo di Dio, perché sei venuto a molestarci prima del tempo?”. E lo pregavano che non li cacciasse, Gesù li interrogò in quanti fossero. Essi risposero: “Seimilaseicentosessantasei!”. Sentendo ciò, i discepoli si spaventarono e pregarono Gesù di andarsene. Gesù disse allora: “Dov’è la vostra fede? Il demonio deve andarsene e non io!”» (cap. XXI).
Si noti fra l’altro come l’apocrifo di Barnaba riprenda qui il numero 666 dall’Apocalisse, scritta probabilmente alla fine del I secolo, aggiungendovi un ulteriore 6.
Nel prosieguo del testo il vangelo di Barnaba inventa i preparativi di una guerra che a suo dire si sarebbe dovuta combattere a causa di Gesù a Mispa, con tre eserciti di duecentomila uomini l’uno, l’uno che sosteneva che Gesù era Dio, un secondo che sosteneva che Gesù era il Figlio di Dio ed un terzo che sosteneva che Gesù era solo un profeta di Dio. Il testo lascia confusamente intuire che alla guida delle tre schiere ci sarebbero stati Erode (anche se non si capisce bene quale), il sommo sacerdote e il governatore. Anche qui l’autore del vangelo di Barnaba mostra di non conoscere la storia reale degli avvenimenti e inventa tale episodio solo per porre in rilievo la domanda su chi fosse veramente Gesù[5]:
«In questo tempo vi fu una grande sommossa in Giudea per amore di Gesù, perché l'esercito romano, per istigazione di satana, spingeva gli Ebrei a dire che Gesù era Dio venuto a visitarli. Questo suscitò una tale sedizione che, nella prossimità della Quaresima, tutta la Giudea era in armi, fino al punto che il figlio andava contro il padre ed il fratello contro il fratello. Alcuni dicevano che Gesù era Dio venuto al mondo; altri negavano questo e dicevano che era il figlio di Dio, altri ancora negavano perché Dio non ha alcuna sembianza umana e perciò non genera figli, ma dicevano che Gesù di Nazareth è profeta di Dio. Tutto questo cominciò per i grandi miracoli che Gesù fece. Fu necessario per acquietare il popolo che il pontefice montasse a cavallo, rivestito di abiti pontificali e con il santo nome di Dio, “tetragramma”, in fronte. E allo stesso modo montarono a cavallo il governatore Pilato ed Erode. Tre eserciti si riunirono a Mispa, ognuno composto di duecentomila uomini capaci di portare la spada, ai quali parlò Erode, ma essi non si calmarono. Poi il governatore e il pontefice parlarono, dicendo: “Fratelli, questa guerra è suscitata da satana, perché Gesù è vivo e a lui dobbiamo ricorrere e domandargli che dia testimonianza di sé, sicché crediamo a lui secondo la sua parola”. A queste parole, tutti si acquietarono e deposte le armi si abbracciarono dicendo l'uno all'altro: “Perdonami, fratello!”» (cap. XCI).
2/ Il vangelo di Barnaba trasforma in narrazione l’affermazione coranica secondo la quale Gesù non sarebbe morto in croce
Ma, al di là degli errori storici e geografici, è evidente che l’autore ha voluto riscrivere secoli dopo i fatti la storia di Gesù a partire dalle sue convinzioni coraniche: ha così aggiunto tutta una serie di eventi perché l’insegnamento di Gesù divenisse più simile agli insegnamenti coranici e ha modificato gli episodi e le parole di Gesù che a lui sembravano imbarazzanti per una mancata consonanza con i testi coranici. Ha, insomma, inserito da un lato ed eliminato dall’altro una serie di particolari, per ottenere un racconto che a suo avviso non entrasse in conflitto con le Sure del Corano.
Forse la più importante riscrittura dei fatti evangelici compiuta dall’apocrifo di Barnaba riguarda la narrazione degli ultimi momenti della vita di Gesù. Qui la componente teologica diviene predominante e le varianti rispetto ai Vangeli canonici non sono dovute ad ignoranza rispetto ai dati, come è facile rendersi conto, bensì divengono intenzionali.
Il vangelo di Barnaba cerca di trasformare in narrazione il versetto 157 della IV Sura («Sura delle donne»), nel quale gli ebrei di Medina, fra gli altri torti, sono accusati per aver detto:
«Abbiamo ucciso il Messia, Gesù figlio di Maria, l'Apostolo di Dio!, mentre non l'hanno ucciso né crocifisso, ma soltanto sembrò loro [di averlo ucciso]. In verità, coloro che si oppongono a [Gesù], sono certamente in un dubbio a suo riguardo. Essi non hanno alcuna conoscenza di [Gesù]; non seguono che congetture e non hanno ucciso [Gesù] con certezza».
Il versetto ha suscitato moltissimi commenti e interpretazioni nei diversi maestri musulmani che, comunque, nella stragrande maggioranza, ne hanno tratto la conclusione che Gesù non sarebbe morto in croce. Da questa convinzione nacque poi, nei maestri islamici, il tentativo di individuare chi fosse allora stato ucciso sulla croce al posto di Gesù, a partire dai due dati ritenuti certi dalla maggior parte dei commentatori coranici:
a/ la morte di Cristo in croce è una falsificazione di ebrei e cristiani e, conseguentemente, Cristo non è ancora mai morto; morirà solo alla fine dei tempi per essere poi resuscitato da Allah.
b/ la crocifissione è realmente avvenuta, ma sulla croce è stato ucciso un personaggio diverso da Gesù (Cfr. su questo M. Borrmans, I musulmani di fronte al mistero della croce: rifiuto o incomprensione?, in M. Borrmans, Islam e cristianesimo. Le vie del dialogo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1993, pp. 57-74 che riprende, a sua volta, l’articolo scritto dall’autore per Aa.vv., La sapienza della croce, Elle Di Ci, Torino 1976, voI. I, pp. 615-628. Cfr. anche l’articolo divulgativo Dobbiamo conoscere cosa viene insegnato su Gesù ai musulmani dai loro imam, altrimenti non potremmo capirci a scuola in una lezione di storia. I tre punti più importanti della missione di Gesù che vengono insegnati dall’Islam sono 1/ Gesù è venuto a ripetere che Allah è il vero Dio 2/ Gesù non è stato crocifisso: è stato elevato in cielo senza mai morire e la crocifissione sarebbe un’invenzione dei cristiani 3/ Gesù è stato mandato da Allah ad annunciare la venuta di Maometto, di Giovanni Amico).
Il vangelo di Barnaba, per trasformare questa affermazione in racconto, sceglie la strada di modificare la narrazione evangelica e di arricchirla con una serie di particolari.
Secondo l’apocrifo, infatti, Allah avrebbe salvato Gesù – trasportandolo, afferma la tradizione, prima sul Monte degli Ulivi - e lo avrebbe fatto ascendere in cielo: in questa maniera Gesù sarebbe sfuggito all’arresto. I soldati, giunti sul luogo, avrebbero arrestato al suo posto Giuda il cui volto sarebbe stato reso da Allah somigliante a quello di Gesù.
«L'ammirabile Dio operò mirabilmente: Giuda divenne talmente simile a Gesù nel parlare e nel volto che noi credevamo che fosse Gesù. E lui, avendoci svegliati, cercava dov'era il Maestro. Per cui noi, stupefatti, rispondemmo: “Sei tu, Signore, il nostro Maestro! Ti sei forse dimenticato di noi?” Ed egli ci disse sorridendo: “Siete pazzi! Io sono Giuda Iscariota”»[6] (cap. CCXVI).
I soldati avrebbero così catturato Giuda convinti di catturare invece Gesù:
«Giuda rispose: “Avete perso il cervello? Voi siete venuti a prendere Gesù Nazareno con armi e lanterne come un ladro, mi avete legato per farmi re, proprio me che vi ho condotto qui!” Allora i soldati persero la pazienza e con pugni e calci cominciarono a rendere a Giuda pan per focaccia e lo condussero con violenza a Gerusalemme»[7] (cap. CCXVII).
Nel curiosissimo dialogo con Pilato, Pilato è convinto di interrogare Gesù, mentre, sotto le apparenze di Gesù, sentiamo Giuda rispondere:
«Signore, credimi, se tu mi condannerai a morte tu farai un grande peccato perché ucciderai un innocente. Infatti, io sono Giuda Iscariota e non Gesù, che è un mago e mi ha trasformato così con la sua arte magica»[8] (cap. CCXVII).
Il vangelo di Barnaba, ricco di particolari in merito, prosegue poi asserendo che una volta che Giuda fu crocifisso, ucciso e sepolto, mentre tutti erano certi di crocifiggere, uccidere e seppellire Gesù, i discepoli rubarono il corpo di Giuda, dato che nel sepolcro non c’era il corpo di Gesù. Gesù - prosegue l’apocrifo - fu inviato infine da Allah alla Vergine, alla Maddalena, a Marta, a Lazzaro, a Pietro, a Giacomo e a Giovanni, per raccontare loro il fatto che Dio lo aveva portato in cielo senza farlo morire. Gesù annunzia loro di essere dunque in cielo, in corpo e anima, senza aver ancora assaggiato la morte. Solo dopo una nuova discesa in terra, alla fine dei tempi, Gesù dovrà infine affrontare la morte per poi essere immediatamente resuscitato da Allah.
Ecco ampi brani dei capitoli conclusivi del vangelo di Barnaba, che presentiamo distesamente perché leggendoli ci si possa rendere conto del tenore del testo[9]:
«Allora la persecuzione da segreta che era divenne manifesta. Il pontefice andò in persona da Erode e dal governatore romano, accusando Gesù di voler farsi re d'Israele. Per questo avevano dei falsi testimoni. Si tenne un consiglio generale contro Gesù perché il decreto romano faceva loro paura: già due volte il senato infatti aveva emesso un decreto su Gesù. Nel primo, era proibito, sotto pena di morte, chiamare Gesù di Nazareth, profeta dei Giudei, Dio o figlio di Dio. Nell'altro, si proibiva a chiunque, sotto pena capitale, di bisticciare tra di loro a proposito di Gesù nazareno, profeta dei Giudei. Per questo infatti vi erano fazioni tra di loro. Alcuni volevano che si scrivesse di nuovo a Roma contro Gesù; altri dicevano che si doveva lasciar stare Gesù senza curarsi minimamente delle sue parole, come di un pazzo; altri citavano i grandi miracoli che egli faceva[10]» (cap. CCX). […]
«Alzate le mani al Signore, pregò dicendo: “Signore, nostro Dio, Dio di Abramo, Dio di Ismaele e di Isacco, Dio dei nostri padri, abbi misericordia di coloro che mi hai dato e salvali dal mondo! Io non dico: toglili dal mondo! Perché è necessario che essi rendano testimonianza contro coloro che contamineranno il mio vangelo, ma io ti prego, salvali dal male, perché essi vengano con me nel giorno del tuo giudizio a testimoniare contro il mondo e contro la casa di Israele che ha contaminato la tua alleanza.
Signore, Dio forte e geloso che vendichi l'idolatria dei padri idolatri contro i loro figli fino alla quarta generazione, maledici in eterno chiunque contaminerà l'evangelo che tu mi hai dato, scrivendovi che io sono tuo figlio, perché io, che sono fango e polvere, servo dei tuoi servi, non l'ho mai pensato di essere un tuo buon servo. Io infatti non posso darti nulla per quello che mi hai dato, perché ogni cosa è tua!
Signore Dio misericordioso, che usi misericordia per mille generazioni verso coloro che ti temono, abbi misericordia di coloro che credono alle parole che mi hai dato. Siccome tu sei vero Dio, così la parola che io ho detto è vera perché è tua. Infatti io ho sempre parlato come uno che legge e che non può leggere se non quello che è scritto nel libro. Così ho sempre annunciato ciò che tu mi hai detto.
Signore Dio salvatore, salva coloro che mi hai dato cosicché satana non possa far nulla contro di loro! E non solo salva loro, ma anche ognuno che crederà in loro!”»[11]. (cap. CCXII) […]
«Quando i soldati e Giuda si avvicinarono al luogo ov’era Gesù, costui sentì giungere molta gente, per cui, per timore, si ritirò nella casa. Gli undici dormivano. Ma Dio Vedendo il pericolo che incombeva sul suo servo, comandò Gabriele, Michele, Raffaele e Uriel, suoi servi, di togliere Gesù dal mondo. I santi angeli vennero e tolsero Gesù attraverso la finestra che guarda a mezzogiorno. Essi lo sollevarono e lo collocarono al terzo cielo in compagnia degli angeli, benedicendo Dio in eterno»[12] (cap. CCXV). […]
«Giuda fece irruzione per primo nella stanza da cui Gesù era stato elevato e dove gli undici dormivano. Allora l'ammirabile Dio operò mirabilmente: Giuda divenne talmente simile a Gesù nel parlare e nel volto che noi credevamo che fosse Gesù. E lui, avendoci svegliati, cercava dov'era il Maestro. Per cui noi, stupefatti, rispondemmo: “Sei tu, Signore, il nostro Maestro! Ti sei forse dimenticato di noi?” Ed egli ci disse sorridendo: “Siete pazzi! Io sono Giuda Iscariota”.
Mentre diceva questo, entrarono i soldati e misero le mani su Giuda perché egli era molto simile a Gesù. Noi, avendo sentito le parole di Giuda e visto la folla dei soldati, fuori di noi, fuggimmo. Giovanni, che dormiva avvolto in un lenzuolo, si svegliò e fuggì. Siccome un soldato l'aveva afferrato per il lenzuolo, egli lasciò il lenzuolo e scappò nudo, perché Dio aveva esaudito la preghiera di Gesù e salvato gli undici dal male»[13] (cap. CCXVI).
«I soldati presero Giuda e lo legarono non senza derisione perché negava con verità che egli era Gesù. I soldati con scherno gli dicevano: “Non temere, Signore, perché siamo venuti per farti re d'Israele e ti abbiamo legato perché sappiamo che tu ricusi il regno!” Giuda rispose: “Avete perso il cervello? Voi siete venuti a prendere Gesù Nazareno con armi e lanterne come un ladro, mi avete legato per farmi re, proprio me che vi ho condotto qui!” Allora i soldati persero la pazienza e con pugni e calci cominciarono a rendere a Giuda pan per focaccia e lo condussero con violenza a Gerusalemme.
Da lontano, Giovanni e Pietro seguivano i soldati. Essi affermarono a colui che scrive di aver visto l'interrogatorio fatto a Giuda dal pontefice e dal consiglio dei farisei, riuniti per mettere a morte Gesù. Giuda disse così tante pazzie che tutti lo deridevano, credendo che egli fosse veramente Gesù e che fingesse di essere pazzo per paura della morte. Gli scribi gli misero una benda agli occhi e dicevano deridendolo: “Gesù, profeta dei Nazareni, - così chiamavano quelli che credevano in Gesù -, dicci chi ti ha percosso!” Essi gli davano degli schiaffi e gli sputavano in faccia.
Il mattino, il grande consiglio degli scribi e degli anziani del popolo si riunì. Il pontefice e i farisei cercavano dei falsi testimoni contro Giuda, credendo che fosse Gesù. Ma non trovarono quello che cercavano. Che dico, i pontefici credevano che Giuda era Gesù! Ma tutti i discepoli ed anche colui che scrive lo credevano. La povera vergine madre di Gesù, anch'ella, lo credeva, così anche i suoi parenti e i suoi amici e la sofferenza di tutti era incredibile! Viva Dio, colui che scrive si era dimenticato che Gesù gli aveva detto che si sarebbe elevato dal mondo, che avrebbe sofferto in un'altra persona e che sarebbe morto verso la fine del mondo. Così egli andò presso la croce insieme alla madre di Gesù e a Giovanni.
Il pontefice si fece condurre da Giuda legato e l'interrogò sui suoi discepoli e sulla sua dottrina. Giuda, come fuori di sé, non rispondeva nulla in merito. Perciò il pontefice lo scongiurò, per il Dio vivo d'Israele, di dirgli la verità. Giuda rispose: “Io vi ho detto che sono Giuda Iscariota che vi ha promesso di consegnare Gesù nelle vostre mani, ma voi, non so con quale arteficio, siete usciti da voi stessi e volete ad ogni costo che sia Gesù!” Il pontefice rispose: “Seduttore perverso, con la tua dottrina e con i tuoi falsi miracoli hai ingannato tutto Israele, cominciando dalla Galilea fino a Gerusalemme, ed ora tu credi di sfuggire ad un castigo che ti meriti fingendoti pazzo! Viva Dio, tu non la scamperai!”
Detto questo, comandò ai suoi servi che gli dessero schiaffi e calci perché si rinsavisse; per cui i servi del pontefice gli fecero cose incredibili. Essi si sforzarono di trovare cose nuove per far piacere al consiglio. Lo vestirono da gladiatore e lo malmenarono con mani e piedi in modo tale che avrebbe fatto pena anche ai cananei se l'avessero visto. Ma i pontefici, i farisei e gli anziani del popolo avevano il loro cuore così crudele verso Gesù che trovavano piacere nel vedere Giuda trattato in questo modo, credendo che egli fosse veramente Gesù.
Poi, lo portarono legato dal governatore. Ora costui amava Gesù in segreto. Egli credendo che Giuda fosse Gesù lo fece entrare nella sua camera e gli domandò per quale ragione i pontefici e il popolo l'avevano consegnato nelle sue mani. Giuda rispose: “Se io ti dico la verità, tu non mi crederai perché tu sei senza dubbio ingannato come lo sono i pontefici e i farisei”. Credendo che egli volesse parlare della legge, il governatore rispose: “Non sai che io non sono giudeo e che sono i pontefici e gli anziani del tuo popolo che ti hanno consegnato nelle mie mani? Dicci dunque la verità perché io faccia quello che è giusto, perché io ho il potere di liberarti o di condannarti a morte”. Giuda rispose: “Signore, credimi, se tu mi condannerai a morte tu farai un grande peccato perché ucciderai un innocente. Infatti, io sono Giuda Iscariota e non Gesù, che è un mago e mi ha trasformato così con la sua arte magica”.
Il governatore, sentendolo, si stupì grandemente e cercava anche di liberarlo. Uscì fuori e sorridendo disse: “Tra le due cose ve n'è una per la quale egli non è degno di morte ma piuttosto di compassione. Costui dice - disse il governatore - che non è Gesù, ma un certo Giuda che guidò i soldati a prendere Gesù. Egli dice che Gesù di Galilea lo ha così trasformato con la sua arte magica. Se questo fosse vero, sarebbe un grave peccato ucciderlo, perché sarebbe innocente. Ma se lui fosse Gesù e lo negasse, certamente ha perso l'intelletto e sarebbe empio ammazzare un pazzo!” I pontefici, gli anziani del popolo insieme agli scribi e ai farisei gridarono con strepito: “Egli è Gesù Nazareno che noi conosciamo, perché se egli non fosse un malfattore non l'avremmo messo nelle tue mani. Egli non è un pazzo ma piuttosto un maligno, con questo artificio tenta di sfuggirci di mano; ma la sedizione che solleverebbe fuggendo sarebbe peggiore della prima!” Per liberarsi di questo caso, Pilato - questo era il nome del governatore -, disse: “Egli è galileo. Ora Erode è re della Galilea e non spetta a me giudicare questo caso. Conducetelo dunque da Erode”.
Essi condussero allora Giuda da Erode, il quale da tanto tempo desiderava che Gesù andasse a casa sua, ma Gesù non volle mai andare perché Erode era pagano ed adorava gli dei falsi e bugiardi, vivendo al modo delle genti immonde. Presso di lui, Erode interrogò Giuda su molte cose alle quali egli rispondeva con argomenti a sproposito, negando di essere Gesù. Allora Erode lo schernì con tutta la sua corte e lo fece vestire di bianco come si vestono i pazzi e lo rimandò da Pilato dicendogli: “Non essere ingiusto verso il popolo d'Israele!”. Erode scrisse ciò perché i pontefici, gli scribi e i farisei gli avevano dato una buona somma di soldi.
Avendo saputo ciò da un servo di Erode, il governatore finse di voler liberare Giuda, per guadagnare egli stesso del denaro. Lo fece flagellare dai suoi servi che furono pagati dagli scribi per ucciderlo sotto i flagelli.
Ma Dio che aveva decretato ciò che doveva accadere, riservò Giuda per la morte di croce, perché ricevesse questa orribile morte che aveva venduto ad altri. Egli non lasciò morire Giuda sotto i flagelli, sebbene i soldati avessero tanto colpito il suo corpo che grondava sangue. Per scherno lo vestirono con un vecchio vestito di porpora, dicendo: “Conviene vestire il nostro nuovo re e incoronarlo”. Per cui presero delle spine e fecero una corona simile a quella d'oro e di pietre preziose che i re portano sulla testa. Essi posero questa corona di spine sulla testa di Giuda, gli misero nella mano una canna come scettro e lo fecero sedere in un luogo elevato. I soldati andavano davanti a lui, si inchinavano per scherno e lo salutavano come ‘Re dei Giudei!’ E stendevano la mano per ricevere doni, come sono soliti fare i nuovi re. Ma siccome non ricevevano nulla, percuotevano Giuda, dicendo: “Come sei incoronato, re folle, se tu non vuoi pagare né i soldati né i tuoi servi?”
I pontefici, gli scribi e i farisei vedendo che Giuda non moriva sotto i flagelli e temendo che Pilato lo lasciasse libero, diedero soldi al governatore. Ricevutili, costui consegnò Giuda agli scribi e ai farisei come meritevole di morte. Insieme a lui, condannarono due ladri a morire in croce.
Essi lo condussero sul monte Calvario dove venivano appesi i malfattori. Là lo crocifissero nudo perché lo scherno fosse maggiore. Giuda non faceva altro che gridare: “Dio, perché mi hai abbandonato, dal momento che il malfattore è fuggito ed io sono a torto condannato a morte?”
Inverità dico, la sua voce, il suo volto e la sua persona rassomigliava tanto a quella di Gesù che i suoi discepoli e i suoi fedeli pensavano che egli fosse completamente Gesù. Alcuni di loro si staccarono dalla dottrina di Gesù, credendo che egli fosse un falso profeta e che avesse operato i suoi miracoli grazie alla magia, perché Gesù aveva detto che non sarebbe morto se non nella prossimità della fine del mondo e che allora sarebbe stato elevato dal mondo.
Ma coloro che rimasero fermi nella sua dottrina erano tanto colpiti dal dolore vedendo morire colui che gli rassomigliava, che non si ricordavano ciò che egli aveva detto. Perciò in compagnia della madre di Gesù, andarono al monte Calvario. Essi non solo furono presenti, piangenti, alla morte di Giuda, ma per mezzo di Nicodemo e di Giuseppe di Arimatea, chiesero al governatore il corpo di Giuda per seppellirlo. Essi lo tolsero dalla croce con tanto pianto che certamente nessuno immaginerebbe e lo seppellirono nel monumento nuovo di Giuseppe, dopo averlo avvolto con cento libre di unguento prezioso»[14] (cap. CCXVII).
«Ognuno rientrò a casa. Colui che scrive con Giovanni e suo fratello Giacomo andarono a Nazareth con la madre di Gesù. Quei discepoli che non temevano Dio andarono a rubare di notte il corpo di Giuda, lo nascosero e sparsero la notizia che Gesù era risuscitato. Così perciò nacque una grande confusione»[15] (cap. CCXVIII). […]
«Allora il misericordioso Dio comandò a quattro suoi angeli favoriti, che sono Gabriele, Michele, Raffaele e Uriel, di condurre Gesù in casa di sua madre e di custodirlo colà per tre giorni continui, lasciandolo vedere solo a coloro che credevano alla sua dottrina.
Circondato da splendore, Gesù venne dove la vergine Maria dimorava con due sorelle e con Marta e Maria Maddalena, Lazzaro, colui che scrive, Giovanni, Giacomo e Pietro. Per timore, costoro caddero come morti, ma Gesù alzò sua madre e gli altri, dicendo: “Non temete, perché io sono Gesù! Non piangete, perché sono vivo e non morto!” Alla vista di Gesù, essi rimasero a lungo come privi di sensi, perché essi credevano in ogni modo che Gesù fosse morto.
Allora la vergine disse piangendo: “Ora dimmi, mio figlio, perché Dio che ti ha dato il potere di risuscitare i morti, ti ha lasciato morire così con la vergogna dei tuoi parenti e dei tuoi amici e a disprezzo della tua dottrina, in modo che tutti coloro che ti amano sono rimasti come morti?” Abbracciando sua madre, Gesù rispose: “Credetemi, o madre: in verità vi dico che io non sono mai morto; Dio mi ha preservato fino alla prossimità della fine del mondo”.
Detto questo, egli pregò i quattro angeli di manifestarsi e di testimoniare come era andata la cosa. Gli angeli si manifestarono dunque come quattro soli risplendenti, tanto che per timore nuovamente ognuno cadde come morto. Allora Gesù diede quattro lenzuola agli angeli perché si coprissero cosicché la madre e i suoi compagni li potessero vedere e sentire a parlare. Alzatili tutti quanti li confortò, dicendo: “Questi sono i ministri di Dio: Gabriele, che annuncia i segreti di Dio; Michele, che combatte i nemici di Dio; Raffaele, che riceve le anime di coloro che muoiono; Uriel, che nell'ultimo giorno, chiamerà ognuno al giudizio di Dio”.
I quattro angeli, raccontarono allora alla vergine che Dio li aveva mandati per Gesù e come aveva trasformato Giuda perché ricevesse quella pena che aveva venduto ad altri. Colui che scrive disse allora: “Maestro, mi è concesso di interrogarti come mi era concesso quando tu abitavi con noi?” Gesù rispose: “Domanda quello che ti piace, o Barnaba ed io ti risponderò!” Colui che scrive allora disse: “Maestro, poiché Dio è misericordioso, perché ci ha tormentati facendoci credere che tu eri morto? Tua madre ha pianto tanto che stava per morire. E perché Dio ha lasciato che cadesse su di te, che sei santo di Dio, l'infamia di essere ucciso tra ladroni sul monte Calvario?”
Gesù rispose: “Barnaba, credimi, Dio punisce ogni peccato, per piccolo che sia, con una grande pena, perché Dio è offeso dal peccato. Per cui siccome mia madre, i fedeli e i miei discepoli mi amano un poco con amore terrestre, il Dio giusto ha voluto punire questo amore con il presente dolore, perché non sia punito nelle fiamme dell'inferno. Quanto a me, io fui innocente nel mondo, ma siccome gli uomini mi hanno chiamato Dio e figlio di Dio, Dio ha voluto che io fossi schernito nel mondo dagli uomini con la morte di Giuda, facendo credere ad ognuno che io ero morto sulla croce, per non farmi schernire dai demoni nel giorno del giudizio. Così questa derisione durerà fino alla venuta di Maometto, nunzio di Dio. Venendo nel mondo, egli toglierà questo inganno per coloro che crederanno alla legge di Dio”.
Poi Gesù aggiunse: “Tu sei giusto, Signore nostro Dio, perché a te solo appartengono l'onore e la gloria senza fine!”»[16] (capp. CCXIX-CCXX).
«Voltandosi Gesù verso colui che scrive disse: “Barnaba, metti ogni attenzione a scrivere il mio vangelo per tutto quello che è successo durante la mia permanenza nel mondo! Scrivi similmente ciò che è capitato a Giuda, perché i fedeli siano disingannati ed ognuno creda alla verità!”»[17](cap. CCXXI). […]
«Tutti si spaventarono vedendo lo splendore del suo volto e caddero con la faccia a terra. Avendoli rialzati, Gesù li confortò, dicendo: “Non temete, io sono il vostro Maestro!” Riprese molti che credevano che egli era morto e risuscitato: “Ci prendete dunque, me e Dio per bugiardi? Dio mi ha concesso di vivere fino alla prossimità della fine del mondo, come vi ho detto. Io vi dico, io non sono morto; ma Giuda traditore è morto. Attenti perché satana farà ogni sforzo per ingannarvi! Fate in modo di essere miei testimoni, in tutto Israele e in tutto il mondo, per quanto avete udito e veduto!”»[18](cap. CCXXI). […]
«Partito Gesù, i discepoli si divisero secondo le diverse regioni di Israele e del mondo. La verità, odiata da satana, fu perseguitata dalla menzogna, come è tuttora, perché alcuni uomini, pretendendosi discepoli, predicano che Gesù era morto senza risuscitare; altri predicavano che Gesù era veramente morto e risuscitato; altri, e tra questi c’è Paolo, anch’egli ingannato, predicavano e predicano ancora che Gesù è il figlio di Dio.
Quanto a noi, noi predichiamo a coloro che temono Dio e tutto quello che ha scritto, perché essi siano salvati nell’ultimo giorno del giudizio di Dio. Amen!»[19](cap. CCXXII). […]
Vale la pena – se proprio ce ne fosse bisogno – sottolineare come l’apocrifo reinterpreti, creando a proprio piacimento. Innanzitutto inventa due decreti romani, nel primo dei quali sarebbe stato proibito, sotto pena di chiamare Gesù di Nazareth figlio di Dio, mentre nel secondo si sarebbe proibito di discutere dell’identità di Gesù. Non solo di entrambi i decreti non vi è fonte alcuna, ma ancor più è noto che i romani (come raccontano più volte i Vangeli e gli Atti) non si intromettevano nelle questioni religiose degli ebrei del tempo.
Nella reinterpretazione della cosiddetta preghiera sacerdotale di Gv 17, l’apocrifo fa chiamare, da Gesù, Dio con il nome di “Signore, nostro Dio, Dio di Abramo, Dio di Ismaele e di Isacco”, con l’inserimento di Ismaele, antenato degli arabi – si tornerà sul dettaglio, ma è evidente l’intenzione di sottrarre autorevolezza al popolo ebraico, anteponendo Ismaele ad Isacco. Subito dopo, infatti, l’apocrifo inventa l’ulteriore particolare che i discepoli di Gesù dovranno “testimoniare contro la casa di Israele che ha contaminato la tua alleanza”. Più oltre ancora Gesù, come si è appena letto, “maledice chiunque contaminerà l'evangelo che tu mi hai dato” e che si può leggere solo “nel libro” – un attacco ai cristiani come se avessero falsificato il Vangelo e non invitato a leggere il vero Libro di Gesù (che noi secondo l’apocrifo non possederemmo, ma che sarebbe comunque simile al Corano).
Una volta che Gesù è sollevato e collocato al terzo cielo in compagnia degli angeli, l’apocrifo inventa l’ulteriore particolare che il giovinetto – di cui parla il vangelo di Marco – che viene spogliato dal lenzuolo sia l’apostolo Giovanni.
Tutti credono che sia Gesù ad essere perseguitato, compresa la madre e lo stesso Barnaba presunto autore del vangelo apocrifo, perché si dimenticano – dice il testo – che Gesù aveva detto “che avrebbe sofferto in un'altra persona” – ulteriore particolare inventato di sana pianta.
Quando Giuda, che assomiglia ormai fedelmente a Gesù, viene mandato ad Erode, questi lo fa vestire da “gladiatore”. Giuda viene poi flagellato perché la vendetta divina lo punisca a motivo del fatto che ha tradito – l’apocrifo di Barnaba nasconde la morte suicida di Giuda ed inventa che la crocifissione di Giuda è la giusta punizione per il tradimento di Gesù.
Sulla croce l’apocrifo stravolge il significato della preghiera di Gesù mutandolo la lettera e lo spirito del Salmo 22 (21): “Dio, perché mi hai abbandonato, dal momento che il malfattore è fuggito ed io sono a torto condannato a morte?”
Molti episodi notissimi della passione sono dimenticati dall’apocrifo (come ad esempio la proposta di liberare Barabba o l’aiuto di Simone di Cirene), ma alla fine l’autore conserva la sepoltura, perché conosce la pietà che nacque nei discepoli di Gesù – solo che qui la pietà è rivolta inconsapevolmente al corpo di Giuda punito! Dice infatti, come si è visto: “Lo tolsero dalla croce con tanto pianto che certamente nessuno immaginerebbe e lo seppellirono nel monumento nuovo di Giuseppe, dopo averlo avvolto con cento libre di unguento prezioso”.
L’apocrifo inventa poi il dialogo durato tre giorni tra Gesù (condotta da quattro arcangeli) e sua Madre e gli apostoli a Nazaret. Alla domanda perché Dio abbia lasciato credere loro la morte di Gesù, l’apocrifo risponde con un testo tutto di fantasia: “Siccome mia madre, i fedeli e i miei discepoli mi amano un poco con amore terrestre, il Dio giusto ha voluto punire questo amore con il presente dolore, perché non sia punito nelle fiamme dell'inferno. Quanto a me, siccome gli uomini mi hanno chiamato Dio e figlio di Dio, Dio ha voluto , facendo credere ad ognuno che io ero morto sulla croce, per non farmi schernire dai demoni nel giorno del giudizio. Così questa derisione durerà fino alla venuta di Maometto, nunzio di Dio. Venendo nel mondo, egli toglierà questo inganno per coloro che crederanno alla legge di Dio”. Dio avrebbe voluto così purificare l’amore troppo terrestre di Maria e “non far schernire Gesù nel giorno del giudizio”. Secondo l’apocrifo sarà comunque Maometto a fornire poi la precisa spiegazione dei fatti.
Tutto il racconto della passione evidenzia ancor più – se ancora ce ne fosse bisogno – il fatto che il testo di Barnaba è un testo post-coranico. Ma questo dato di fatto non svilisce l’interesse storico dell’opera perché anzi essa permette di evidenziare ancor più cosa fa problema all’Islam del vangelo, fornendoci una narrazione della ricomprensione islamica della vita di Gesù.
3/ Un ulteriore tratto estremamente significativo del vangelo di Barnaba è l’invenzione anche per Gesù di una discesa del Libro (similmente alla discesa del Corano) all’inizio della sua missione
Il vangelo di Barnaba cancella completamente il Battesimo di Gesù. Nella sua prospettiva qualcosa come la dichiarazione di Dio: “Questi è il mio Figlio prediletto” – come si vedrà poi – non ha senso ed ogni riferimento al Battesimo viene quindi volutamente silenziato.
Interessantissimo è il fatto che il Battesimo viene sostituito, come momento che darà poi avvio alla vita pubblica, con un episodio inventato ad hoc che l’apocrifo situa a Gerusalemme.
Così racconta il testo[20]:
«Giunto a trent'anni, come Egli disse, Gesù era andato sul monte degli Ulivi a raccogliere olive insieme a sua madre; all'ora di mezzogiorno, durante la preghiera, mentre diceva: “Signore, con misericordia...”, Egli fu circondato da un immenso splendore e da una moltitudine immensa di angeli che dicevano: “Sia benedetto Dio!”. L'angelo Gabriele gli presentò un libro come uno specchio brillante, che discese nel cuore di Gesù, mediante il quale venne a conoscenza di ciò che Dio ha fatto, ha detto e ha voluto, sicché ogni cosa gli fu rivelata e svelata, al punto che mi disse: “Credi, Barnaba, io ho conosciuto ogni profeta e ogni profezia, tanto che quanto dico, tutto quanto esce da quel libro”. Ricevuta questa missione Gesù consapevole di essere profeta inviato alla casa di Israele, rivelò il tutto a Maria sua madre, dicendogli che egli doveva patire una grande persecuzione per la gloria di Dio e che non poteva più restare abitualmente presso di lei a servirla. A queste parole, Maria rispose: “Prima della tua nascita, figlio, mi fu annunciato tutto questo; per questo sia benedetto il santo nome di Dio”. Da quel giorno, Gesù, abbandonò sua madre per attendere alla sua missione profetica» (cap. X).
Più avanti si chiarisce che tale libro è il vero vangelo che noi non possediamo più, ma che doveva essere, nella mente del vangelo di Barnaba, simile al Corano. Non più un vangelo, allora, scritto dopo l’incontro con Gesù per raccontare la sua vita, bensì un vangelo precedente alla vita di Gesù che Gesù stesso avrebbe “accolto” e poi ripetuto. Un libro, insomma, che non ha al centro la vita di Gesù, ma solamente Dio e la sua legge.
Anche qui l’apocrifo di Barnaba si conforma alla visione islamica tradizionale per la quale i discepoli di Gesù avrebbero falsificato il vero Vangelo dato direttamente da Allah a Gesù. I Vangeli sarebbero dei testi falsificati con notizie errate su Gesù inventate dagli evangelisti.
Il vangelo di Barnaba fa affermare testualmente a Gesù[21]:
«Quanto a me, sono venuto nel mondo per preparare la via al messaggero di Dio che porterà la salvezza al mondo. Ma guardate di non essere ingannati, perché verranno falsi testimoni che saccheggeranno le mie parole e contamineranno il mio vangelo» (cap. LXXII).
Gesù insomma viene previamente informato da Dio che gli apostoli avrebbero travisato e “saccheggiato” le sue parole che erano quelle del Libro inviatogli direttamente da Dio.
L’apocrifo ricorda come nessun uomo possa conoscere Dio, ma sia necessario essere informati dal suo Libro su di Lui e la sua volontà:
«I discepoli risposero allora: “Solo Dio può conoscere se stesso! È veramente come disse il profeta Isaia: ‘Egli è nascosto ai sensi dell’uomo’”»[22] (cap. CV).
Secondo la visione islamica tradizionale, Dio manda ad ognuno dei suoi profeti più o meno lo stesso messaggio, più o meno lo stesso Libro, ma poiché i discepoli di ogni profeta lo corrompono - prima degli apostoli, già gli ebrei sono accusati dall’Islam di aver alterato la vera rivelazione di Dio che non corrisponde pertanto all’Antico testamento che, di fatto, viene ignorato dai musulmani e mai letto in quanto corrotto - Dio è come “costretto” ad inviare un nuovo profeta che riporti alla vera rivelazione contenuta nel Libro. Non c’è quindi una rivelazione progressiva, bensì il ripetersi della stessa rivelazione nel corso della storia. La stessa verità è sempre corrotta da discepoli infedeli e sempre riaffermata da Dio con l’invio di un nuovo profeta. A questa visione fa eco il vangelo di Barnaba[23]:
«Andrea rispose: “Ma come si riconoscerà la verità?” Gesù rispose: “Accogliete tutto quello che è conforme al libro di Mosè, perché Dio è uno ed una è la verità. Di conseguenza, una è la dottrina, uno è il senso della dottrina ed è per questo che la fede è una. In verità vi dico, se la verità non fosse stata cancellata dal libro di Mosè, Dio non avrebbe dato un secondo libro a Davide, nostro padre. E se il libro di Davide non fosse stato contaminato, Dio non mi avrebbe mandato il Vangelo, perché il Signore nostro Dio è immutabile e ha rivolto a tutti gli uomini un solo linguaggio. Perciò quando verrà il messaggero di Dio, purificherà quanto gli empi hanno contaminato nel mio libro”» (cap. CXXIV).
Ne esce una visione radicalmente diversa del concetto stesso di vangelo, al di là della differenza di contenuto dei singoli eventi evangelici, differenze che tra poco saranno prese in considerazione. Per l’apocrifo di Barnaba il vangelo è un libro, non un evento che si compie nella storia con la venuta di Gesù, il vangelo è un libro e non la persona di Gesù[24]:
«I discepoli allora dissero: “Veramente Dio parla in te perché giammai un uomo ha parlato come te!” Gesù rispose: “Credetemi, quando Dio mi ha scelto per inviarmi alla casa d'Israele, mi ha dato un libro come uno specchio chiaro, che discese nel mio cuore, in modo che tutto ciò che dico esce da questo libro. Quando questo libro avrà finito di uscire dalla mia bocca, io sarò elevato dal mondo”.
Pietro rispose: “Maestro, ciò che tu ora dici, è anche scritto in questo libro?” Gesù rispose: “Tutto ciò che io dico per la conoscenza di Dio e per il servizio di Dio, per la conoscenza dell'uomo e per la salvezza dell'uomo, tutto ciò esce da questo libro che è il mio Vangelo”» (cap. CLXVIII).
Uno dei punti cardine del Libro di cui Gesù sarebbe il destinatario, Libro che sostituisce l’Antico e il Nuovo Testamento - ritenuti entrambi corrotti -, è l’affermazione che l’inviato di Dio, il Messia, sarà discendente di Ismaele e non di Isacco[25] - torneremo poi su questo. Il discendente di Isacco sarà invece il precursore che preparerà la via al vero inviato di Dio. Il vero inviato di Dio non sarà un ebreo, bensì un ismaelita. In questa maniera è detta chiaramente la priorità di Maometto, discendente da Ismaele, su Gesù, discendente da Isacco. Al contempo è affermata la falsità del testo veterotestamentario[26]:
«Lo scriba disse: “Ho visto un vecchio libro scritto di propria mano dai servi e profeti di Dio, Mosè e Giosuè, colui che, come te, ha arrestato il sole! Questo libro è il vero libro di Mosè. Vi è scritto che Ismaele è il padre del Messia e che Isacco è il padre del messaggero del Messia. Questo messaggero verrà a preparare le vie del Messia. E così il libro riporta che Mosè ha detto: ‘Signore, Dio di Israele, potente e misericordioso, manifesta al tuo servo lo splendore della tua gloria!’.
Allora Dio gli mostrò il suo messaggero tra le braccia di Ismaele e Ismaele tra le braccia di Abramo. Presso Ismaele stava Isacco che teneva nelle sue braccia un fanciullo che con il dito mostrava il messaggero di Dio, dicendo: “Ecco colui per il quale Dio ha creato ogni cosa!” Allora Mosè gridò con gioia: “Ismaele, tu hai tra le tue braccia il mondo intero ed anche il paradiso! Ricordati di me, servo di Dio, perché io trovi grazia presso Dio grazie al tuo figlio, per il quale ha fatto tutto”» (cap. CXCI).
D’altro canto il vangelo di Barnaba sembra invitare a non porsi troppe domande su queste differenze, sembra invitare a non indagare troppo su temi religiosi o su temi pertinenti alla fede e ai comandamenti di Dio:
«Il più grande sforzo sarà nell’abbandonare il “perché”, dal momento che il “perché” scacciò l’uomo dal paradiso e cambiò satana da bellissimo angelo in un orribile diavolo. Giovanni allora disse: “Come abbandoneremo il “perché”, dal momento che è la porta della scienza?” Gesù rispose: “Al contrario, è la porta dell’inferno!”. Giovanni allora ammutolì. Allora Gesù aggiunse: “Quando sai che Dio ha detto una cosa, chi sei tu, o uomo, per dire: ‘perché, Dio, hai detto così, perché hai fatto così?’ Forse che il vaso di terra dirà al suo fattore perché mi hai fatto per custodire l’acqua e non per conservare il balsamo? Io in verità vi dico, bisogna assicurarsi contro ogni tentazione con queste parole: ‘Dio ha detto così, Dio ha fatto così, Dio ha voluto così! Così facendo vivrai sicuro’”»[27].(cap. XC)
4/ L'apocrifo aggiunge alla vita di Gesù ciò che, nella sua ottica, manca nei vangeli, come la circoncisione, i sacrifici animali, eccetera
Che l’apocrifo di Barnaba sia un musulmano che scrive molti secoli dopo Gesù appare evidente dalle aggiunte che inserisce nel racconto. Il vangelo di Barnaba si propone evidentemente, con le sue aggiunte, di colmare proprio le differenze reali del Gesù barnabiano dal Gesù storico, inventando episodi nei quali Gesù parla il linguaggio del vero musulmano.
Ne presentiamo in sequenza alcuni fra i più rilevanti.
4.1/ Gesù per il vangelo di Barnaba compie sacrifici animali
Il Gesù barnabiano, a differenza del Gesù storico che caccia i venditori dal Tempio, compie sacrifici animali e afferma la necessità che si compiano sacrifici animali. Appare evidente che tale inserzione è legata all’importanza del sacrificio di animali che ogni buon musulmano compie nella festa di Id al-adha (la festa islamica del sacrificio nella quale ancora oggi ogni famiglia musulmana sacrifica un animale per ricordare che Dio salvò Ismaele - secondo la tradizione musulmana, quando Abramo portò il figlio sul monte per il sacrificio, tale figlio era Ismaele e non Isacco, come afferma invece Genesi).
Così recita il vangelo di Barnaba:
«L'angelo Gabriele rispose: “Alzati, Gesù, e ricordati di Abramo! Per adempiere la parola di Dio, egli voleva sacrificargli Ismaele, suo unico figlio; non potendo colpire con il coltello suo figlio, egli offrì in sacrificio, sulla mia parola, un montone. Tu farai dunque allo stesso modo, Gesù, servitore di Dio!”. Gesù rispose: “Volentieri, ma dove troverò l’agnello, dal momento che non ho soldi e non è lecito rubarlo?”Allora l’angelo Gabriele gli fece comparire un montone e Gesù l’offrì in sacrificio, lodando e benedicendo Dio, glorioso in eterno»[28] (cap. XIII).
4.2/ Gesù secondo il vangelo di Barnaba afferma che chi non è circonciso non può salvarsi
Sempre modellandosi sui dettami coranici, il Gesù dell’apocrifo raccomanda la circoncisione di tutti i maschi, anzi annunzia che chi non è circonciso non potrà avere salvezza - mentre Gesù mai parla della circoncisione nei vangeli originari:
«Quel giorno, i discepoli interrogarono Gesù: “Maestro, perché tu hai risposto in quel modo alla donna, dicendo che erano cani?” Gesù rispose: “In verità io vi dico: un cane è migliore dell’uomo incirconciso!” I discepoli si rattristarono allora e dissero: “Queste parole sono dure. Chi potrà comprenderle?”»[29](cap. XXII).
Basta che Dio l’abbia comandato ai patriarchi perché Gesù, per l’autore dell’apocrifo, debba ripetere il comando anche senza saperne spiegare il motivo:
«I discepoli dissero: “Maestro, dicci per quale ragione l’uomo deve circoncidersi!”. Gesù rispose: “Vi basti sapere che lo ha comandato ad Abramo, dicendo: ‘Abramo, circoncidi il tuo prepuzio e quello di tutta la tua casa, perché questo è il patto fra te e me in sempiterno!’”»[30](cap. XXII).
Anzi, il vangelo di Barnaba fa parlare Gesù dell’importanza della circoncisione con la “veemenza dello spirito”, perché la circoncisione per l’autore è una conditio sine qua non della salvezza:
«Detto questo, Gesù sedette presso il monte che sta di fronte a Tiro e i suoi discepoli s'accostarono a lui per sentire le sue parole.
Gesù disse allora: “Nel paradiso, dopo che Adamo, primo uomo ingannato da satana, ebbe mangiato il cibo proibito da Dio, la sua carne si ribellò allo spirito. Allora egli giurò dicendo: ‘Per Dio, ti voglio tagliare!’. Dopo aver spezzato una pietra, egli prese la sua carne per tagliarla con il taglio della pietra. Ma allora fu ripreso dall'angelo Gabriele, cui rispose: ‘Ho giurato per Dio di tagliarla e non sia mai che sia bugiardo!’ L'angelo gli mostrò allora l'escrescenza della sua carne ed egli la tagliò. Questo è il motivo per cui ogni uomo prende carne dalla carne di Adamo e così è obbligato ad osservare tutto ciò che Adamo promise giurando. Adamo applicò questo sui suoi figli e l'obbligo della circoncisione si trasmise di generazione in generazione.
Ora, al tempo di Abramo, essendosi moltiplicata sulla terra l'idolatria, pochi erano circoncisi. Dio rivelò dunque ad Abramo l'episodio della circoncisione e concluse la sua alleanza dicendo: ‘L'anima che non avrà circoncisa la sua carne, la rigetterò per sempre dal mio popolo!’”. A queste parole di Gesù, i discepoli tremarono di paura, perché egli aveva parlato con la veemenza dello spirito. Gesù disse allora: “Lasciate la paura a chi non ha circonciso il suo prepuzio, perché egli è privato del paradiso!”»[31] (cap. XXIII).
4.3/ Il Gesù del vangelo di Barnaba insegna che non basta purificarsi il cuore, ma bisogna pure astenersi dal mangiare carne impura
Fra i detti che l’apocrifo di Barnaba aggiunge al Gesù storico ve n’è anche uno relativo al cibo impuro. Mentre nel Vangelo di Marco, Gesù dichiarando che il male viene dal cuore, dichiara così puri tutti gli alimenti – ed, in effetti, nelle diverse culture si vedono le radici cristiane proprio dal fatto che nessun cibo è più vietato – il Gesù barnabiano è anche qui caratterizzato coranicamente. Dichiara, infatti, che ciò che conta è il cuore, ma che se si mangia carne di maiale, il cuore diviene impuro:
«Io vi dico in verità che mangiare il pane con le mani sporche non contamina l’uomo, perché quello che entra nell’uomo non macchia l’uomo, ma quello che esce dall’uomo macchia l’uomo. Uno scriba disse allora: “Dunque, se io mangerò il porco ed altri cibi immondi, questi non macchieranno la mia coscienza?”. Gesù rispose: “La disobbedienza non entrerà nell’uomo, ma essa può uscire dall’uomo, dal suo cuore; egli sarà dunque macchiato se mangerà il cibo proibito”»[32] (cap. XXXII).
4.4/ Il Gesù presentato dall’apocrifo afferma che solo i credenti in Dio vanno coltivati come amici
L’apocrifo aggiunge anche dei distinguo sul tema dei destinatari dell’amore. Se il messaggio del Gesù storico è così chiaro, qui si aggiunge invece il suggerimento di non avere amici che non siano dei veri credenti – dove ovviamente il rischio ulteriore è che tale affermazione debba essere interpretata come il comando di non avere amici che non siano musulmani. All’inizio il discorso – che è comunque un invenzione dell’apocrifo – presenta una saggia distinzione fra l’amore che sui deve a tutti e l’amore di amicizia:
«Ma che cosa vi dirò ora? Vi dirò ciò che disse Salomone, profeta santo e amico di Dio: “Tra mille che conoscete, uno vi sia amico!” Matteo allora disse: “Non potremo amare tutti?” Gesù rispose: “In verità vi dico che non vi è lecito odiare nessuno se non il peccato tanto che voi non potete odiare satana come creatura di Dio ma solo come nemico di Dio. Sapete perché? Ve lo dico: perché egli è una creatura di Dio e quanto Dio ha creato è buono e perfetto; perciò chi odia la creatura di conseguenza odia il creatore. Ma l'amico è un essere particolare che non si trova facilmente e che facilmente si perde, perché l'amico non soffre che lo contraddica colui che ama sommamente. State attenti! Siate prudenti e non scegliete per amico colui che non ama ciò che voi amate! Sapete che cosa vuol dire ‘amico’? ‘Amico’ non vuol dire altro che ‘medico dell'anima’. Così come è raro trovare un buon medico che conosca le infermità e sappia applicarvi le medicine, così sono rari gli amici che conoscono gli errori e sappiano indirizzare al bene. Ma quello che è male è che molti hanno amici che fingono di non vedere gli errori dell'amico, altri li scusano, altri li difendono dietro pretesti terreni e, quello che è peggio, vi sono amici che spingono ed aiutano a sbagliare. La loro fine sarà simile alle loro scelleratezze. Guardatevi di non accettare come amici questi tali perché sono veramente dei nemici e dei carnefici dell'anima”»[33](cap. LXXXV).
Ma, successivamente, la distinzione diviene più pesante quando si giunge a dire che bisogna abbandonare un amico che si scopre non essere più fedele a Dio, con l’annunzio della punizione divina se non si abbandonerà un amico che si dimostrasse infedele:
«Tu troverai facilmente il vero amico in questo modo: se egli teme Dio sopra ogni cosa e disprezza la vanità del mondo, se egli è sempre intento a fare il bene e se odierà il suo corpo come un nemico crudele.
Però un tale amico tu non l'amerai al punto che il tuo amore si fermi su di lui perché saresti un idiota, ma amalo come un dono che ti è dato da Dio e Dio ti arricchirà di favori maggiori.
In verità vi dico che colui che ha trovato un vero amico, ha trovato una delizia del paradiso.
Taddeo disse: “Ma se per caso un uomo avrà trovato un amico che non è come tu hai detto, o Maestro, che cosa deve fare? Deve abbandonarlo?”. Gesù rispose: “Bisogna fare come il marinaio fa con la nave. Egli resta a bordo finché gli pare di guadagnare, ma quando si accorge di perdere, allora l'abbandona. Così farai anche tu con un amico peggiore di te: quando ti è di scandalo per le cose suddette, lascialo, se non vuoi che ti abbandoni la misericordia di Dio!”»[34](cap. LXXXVI).
In questa prospettiva è illuminante che, nel riprendere la parabola del samaritano – i samaritani erano notoriamente degli eretici -, viene omesso, fra i tanti particolari, anche il fatto che l’uomo che si prese cura del ferito era un samaritano. Nell’apocrifo di Barnaba il protagonista diviene, invece, un re che si prese cura del poveretto. Alla parabola viene anche aggiunto un nuovo dettaglio: quando l’uomo aiutato dal re si approfittò di tale amorosa attenzione, il re lo spogliò nuovamente di tutto ciò che gli aveva dato.
«Io vi parlerò con una similitudine perché mi comprendiate.
Vi era un re che trovò su di una strada un tale spogliato dai ladri e mortalmente ferito, sicché egli ne ebbe compassione.
Perciò ordinò ai suoi servitori di portare quell'uomo alla città e di curarlo, cosa che essi fecero con diligenza.
Il re si interessò con così grande amore dell'infermo che gli diede sua figlia in moglie e lo fece suo erede.
Certamente il re fu sommamente misericordioso, ma l'uomo malmenò i servi, sprezzò le medicine, insultò la sposa, disse male del re e incitò i sudditi a ribellarsi. Quando il re gli chiedeva un servizio, quegli diceva: “Che cosa mi darà il re come ricompensa?” Avendo sentito ciò, che cosa fece il re a un tale empio? Essi risposero: “Guai a lui, perché il re lo privò di tutto e lo punì atrocemente”»[35](cap. LXVIII).
4.5/ Il Gesù secondo Barnaba invita al perdono, ma fino ad un certo punto
Il Gesù barnabiano conserva l’annunzio del perdono, ma, in maniera significativa, ne muta parzialmente il significato. Ad esempio, dinanzi alla domanda di Pietro su quante volte si debba perdonare, l’apocrifo scrive “sette volte sette” e non “settanta volte sette”, ma, soprattutto, l’apocrifo aggiunge che si deve condannare e perdonare allo stesso tempo e che il condannare spetta al giudice che deve agire con determinazione fino a “tagliare un membro putrido a suo figlio perché non imputridisca tutto il corpo”.
«Pietro riprese: “Maestro, quante volte devo perdonare a mio fratello?” Gesù rispose: “Tante volte quante vorresti che egli ti perdonasse!” Pietro disse: “Sette volte al giorno?”. Gesù rispose: “Ogni giorno tu non solo gli perdonerai sette volte ma sette volte sette. Perché a chi perdona sarà perdonato e chi condanna sarà condannato”.
Colui che scrive queste cose, disse allora: “Guai ai principi perché essi andranno all'inferno!” Gesù lo riprese dicendo: “Barnaba, sei diventato stolto per aver così parlato? In verità ti dico che non è più necessario il bagno per il corpo, il freno per il cavallo e il timone per la nave di quanto sia necessario il principe per la repubblica! Per qual ragione Dio diede Mosè, Giosuè, Samuele, David, Salomone e tanti altri che fecero giustizia e ai quali Dio ha consegnato la spada per estirpare le iniquità?”
Allora colui che scrive disse: “Come si deve giudicare, condannando o perdonando nello stesso tempo?” Gesù rispose: “Non tutti sono giudici; perché solo al giudice spetta di condannare gli altri, o Barnaba. Il giudice deve condannare il reo come un padre ordina di tagliare un membro putrido a suo figlio perché non imputridisca tutto il corpo!”»[36] (cap. LXXXVIII).
Si vede come il brano sulla necessità che il giudice civile condanni venga inventato e aggiunto dall’apocrifo per evitare che il perdono possa divenire un elemento che relativizzi il potere civile.
4.6/ Il Gesù dell’apocrifo afferma che bisogna combattere, se necessario anche uccidendo, nella lotta per Dio
L’apocrifo di Giuda sente il bisogno, anche se non forza la mano su questo, di inserire alcuni passaggi di Gesù che non escludano a priori la lotta armata, anzi in un caso particolare sembra approvarla, conformemente al dettato islamico tradizionale.
In relazione all’ingresso di Gesù a Gerusalemme l’apocrifo aggiunge una considerazione sulla necessità della lotta (non si dimentichi che in arabo il corrispettivo del termine lotta è il termine jihad):
«Giunto a Gerusalemme, Gesù entrò nel tempio in giorno di sabato. I soldati gli si avvicinarono per tentarlo e prenderlo. Essi dissero: “Maestro, è lecito combattere?” Gesù rispose: “La nostra fede ci dice che la nostra vita sulla terra è un continuo combattimento”»[37] (cap. CLII).
E poco più avanti il Gesù barnabiano giunge ad affermare che in taluni casi è necessario uccidere per eliminare il pericolo di idolatria:
«Ditemi, Mosè uccise degli uomini e anche Achab uccise degli uomini, forse che tutto questo è un omicidio? Certamente no, perché Mosè uccise quegli uomini per distruggere l’idolatria e conservare il culto del vero Dio, Achab ammazzò gli uomini per distruggere il culto del vero Dio e conservare l’idolatria. L’azione di uccidere gli uomini si cambiò per Mosè in sacrificio e per Achab in sacrilegio, in modo che una medesima azione produsse questi due effetti contrari»[38] (cap. CLIX).
4.7/ Una sintesi
Si potrebbe dire, in conclusione di questa sezione, che l’affermazione propria dei testi evangelici che Gesù è venuto a “compiere” la Legge ed i profeti - dove compiere vuol dire “conservare”, ma anche modificare, portando a pienezza - diviene invece “osservare in tutta la loro totalità, quindi anche alla lettera, i precetti che l’Islam attribuisce alla rivelazione, quindi anche, come si è visto, i sacrifici animali, la circoncisione, il rifiuto della carne di maiale, eccetera.
Lo mostra con precisione un ulteriore testo dove il Gesù barnabiano si pronuncia a favore della necessità delle abluzioni rituali, che sono tipiche della preghiera islamica:
«Giovanni rispose: “Maestro, smetteremo di lavarci, come Dio ha comandato per mezzo di Mosè?” Gesù replicò: “Voi pensate che io sia venuto a distruggere la legge e i profeti? Io vi dico in verità, viva Dio, io non son venuto a distruggerla, ma, al contrario, a osservarla, perché ogni profeta ha osservato la legge di Dio e quanto Dio ha detto per mezzo di altri profeti”»[39] (cap. XXXVIII).
4.8/ Alcuni episodi comunque stupefacenti che permangono nell’apocrifo
Nonostante quanto fin qui detto, l’autore dell’apocrifo non cancella tutti i tratti della vita di Gesù che non sono conformi ai dettami del Corano. Ad esempio, conservando l’episodio del miracolo della trasformazione dell’acqua in vino a Cana giunge a dire:
«I servitori risposero: “Maestro, vi è qui un uomo santo di Dio, perché egli ha fatto del vino con acqua”»[40] (cap. XV).
Qui è Gesù stesso che offre il vino, la bevanda proibita.
Ritroviamo anche il brano dell’adultera perdonata, con molte espressioni diverse, ma comunque intatto nell’annunzio del perdono conferito ad una donna che andrebbe punita secondo la tradizione:
«Essendo Gesù entrato nel tempio, gli scribi e i farisei gli presentarono una donna sorpresa in adulterio. Essi dicevano tra loro: “Se egli la salva, è contro la legge di Mosè perciò lo riteniamo colpevole! Ma se egli la condanna, è contro la sua dottrina che predica misericordia!”
Essendosi presentati a Gesù, essi dissero: “Maestro, abbiamo trovato questa donna in adulterio. Mosè ordinò che fosse lapidata, ma tu che ne dici?” Gesù si inchinò e col dito fece uno specchio in terra nel quale ognuno vedeva le sue iniquità. Intanto siccome essi aspettavano una risposta, Gesù si alzò e mostrando lo specchio con il suo dito, disse: “Colui che tra di voi è senza peccato, sia il primo a lapidarla!” E di nuovo si inchinò a rifare lo specchio. Vedendo questo, gli uomini uscirono uno ad uno, cominciando dai più vecchi perché si vergognavano di vedere le loro abominazioni.
Levatosi Gesù e non vedendo alcuno se non la donna, disse: “Donna, dove sono coloro che ti condannarono?” La donna piangendo rispose: “Signore sono partiti e se tu mi perdonerai, viva Dio, io non peccherò più!” Allora Gesù disse: “Sia benedetto Dio, va in pace e non peccare più, perché Dio non mi ha mandato a condannarti!”
Avendo riuniti gli scribi e i farisei, Gesù disse loro: “Ditemi, se uno di voi avesse cento pecore e ne perdesse una, non andreste a cercarla lasciando le novantanove? E trovatala, non la mettereste sulle spalle? Dopo aver riuniti i vicini, non direste: ‘Rallegratevi con me, perché io ho ritrovato la pecora che avevo perso!’ Certamente voi lo fareste! Ora, ditemi, il nostro Dio amerà meno l’uomo per il quale ha fatto il mondo? Viva Dio, così si fa festa presso gli angeli di Dio per un solo peccatore che fa penitenza perché i peccatori fanno conoscere la misericordia!”»[41] (cap. CCI).
Anche se, subito dopo, Gesù si scaglia contro Gerusalemme:
«Dunque sarai tu la sola che io non punirò? Vivrai tu in eterno? Il tuo orgoglio ti libererà dalle mie mani? Certamente no! Perché condurrò contro di te principi ed eserciti. Essi ti circonderanno ed io ti consegnerò così bene nelle loro mani che il tuo orgoglio cadrà nell’inferno!
Io non perdonerò ai vecchi e alle vedove, non perdonerò ai fanciulli, ma consegnerò tutti alla fame, alla spada e alla derisione! E il tempio, che guarderai con misericordia, lo renderemo deserto insieme alla città e voi sarete la favola, la derisione e il proverbio delle nazioni. Così il mio furore si è fermato su di te e così veglia la mia indignazione!»[42] (cap. CCIII).
Anche il brano del fariseo e del pubblicano conserva nell’apocrifo la sua forza dirompente (anche se con l’aggiunta che Gesù è umile perché rifiuta di essere considerato Dio e creatore):
«Oh, inaudita superbia dell'uomo è questa, il quale è stato creato da Dio con la terra e si dimentica della sua condizione e vuole fare un dio a suo piacere. Così tacitamente si burla di Dio per il suo piacere, si burla tacitamente di Dio dicendo così più o meno: “Non serve a nulla servire Dio!”, perché questo mostrano le loro opere.
A questo vorrà ricondurvi satana, o fratelli, di farvi credere che io sono dio, mentre io, non potendo creare una mosca ed essendo passibile e mortale, non vi posso essere di alcuna utilità. Se io sono bisognoso di ogni cosa, come vi posso aiutare, cosa che è proprio di Dio? Noi dunque che abbiamo il nostro grande Dio, che ha creato tutto con la sua parola, ci burleremo dei gentili e dei loro dei!
Due uomini ascesero qui, al tempio, per pregare; uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo si accostò al santuario e pregando con la testa alta, disse: “Io ti ringrazio, Signore mio Dio, perché non sono come gli altri uomini peccatori che compiono ogni cosa scellerata e in particolare non sono come questo pubblicano, perché digiuno due volte alla settimana e pago le decime di quanto possiedo!”
Il pubblicano stava lontano, prostrato a terra e pregava percuotendosi il petto e con la faccia inclinata diceva: “Signore, io non sono degno di guardare il cielo e il tuo santuario perché ho molto peccato. Abbi misericordia di me!”
In verità, io vi dico che il pubblicano ritornò dal tempio migliore del fariseo, perché il nostro Dio lo giustificò perdonandogli tutti i suoi peccati. Ma il fariseo ritornò peggiore del pubblicano perché il nostro Dio, avendo in abominazione le sue azioni, lo rimproverò»[43] (cap. CXXVIII).
Merita ricordare che, anche se con parole inventate ad hoc, l’apocrifo afferma che senza libertà non è possibile piacere a Dio:
«Giovanni rispose: “Maestro, è cosa giusta lavorare, ma questo devono fare i poveri!” Gesù disse: “Sì, perché non possono fare altro, ma tu non sai che il bene per essere bene, deve essere fatto con tutta libertà? Il sole e gli altri pianeti sono costretti a seguire il comando di Dio e non possono fare diversamente, per questo non avranno merito!”»[44] (cap. CXIV).
La ripresa di molti episodi della vita di Gesù, così come di molti suoi discorsi, sebbene totalmente riscritti, mostrano come l’autore di Barnaba conosca i vangeli, anche se imprecisamente.
5/ L’annuncio della venuta di Maometto da parte del Gesù barnabiano
Come si è visto l’autore dell’apocrifo di Barnaba, sulla scia della tradizione islamica precedente, omette l’episodio del Battesimo di Gesù da parte di Giovanni e la predicazione pubblica comincia invece a Gerusalemme con la discesa del Libro nell’animo di Gesù da parte di Dio.
Al contempo i tratti del Battista sono trasferiti a Gesù: Gesù diviene, infatti, nella visione dell’autore dell’apocrifo colui che annunzia che verrà uno “più grande” del quale egli non è degno di sciogliere i legacci dei sandali. L’inviato di Dio più grande di Gesù è indicato esplicitamente con il nome di Maometto.
Questa diviene, anzi, nella rilettura “creativa” barnabiana la missione più importante di Gesù: preparare gli uomini alla venuta di Maometto. Nella ricostruzione dell’apocrifo, Gesù spiega ai suoi discepoli che la venuta di Maometto era predestinata da Dio prima della creazione del mondo e che l’anima di Maometto era stata creata da Dio prima di creare il mondo. Il Gesù barnabiano aggiunge di sua mano queste parole al racconto della creazione dell’uomo:
«Dio dette l'anima all'uomo, mentre tutti i santi angeli cantavano: "Benedetto sia il tuo santo nome, o Dio nostro Signore". Rizzandosi sui suoi piedi, Adamo vide, nell'aria una scritta lucente come il sole. Essa diceva: "Non vi è che un solo Dio, e Maometto è il nunzio di Dio". Allora Adamo aprì la bocca e disse: "Io ti renderò grazie, Signore mio Dio, perché ti sei degnato di crearmi, ma dimmi, te ne prego, che significano queste parole: ‘Maometto nunzio di Dio?’. Vi sono stati altri uomini prima di me?" Dio rispose allora: "Sii il benvenuto, o mio servo Adamo! Io te lo dico, tu sei il primo uomo che io ho creato. Colui che tu hai visto è tuo figlio, che sta pronto per venire al mondo tra molti anni. Egli sarà mio nunzio. Per lui ho creato ogni cosa. Egli porterà luce al mondo quando verrà. La sua anima si trova in uno splendore celeste; essa è stata collocata sessantamila anni prima che io facessi alcuna cosa".
Adamo pregò Dio dicendo: "Signore, concedimi quello scritto sulle unghie delle mie mani". Dio allora dettò al primo uomo, sulle dita più grandi, quello scritto. Sull'unghia della mano destra, vi era: ‘Non vi è che un solo Dio’; e sull'unghia della mano sinistra, vi era: ‘Maometto è il nunzio di Dio’. Allora il primo uomo, con affetto paterno, baciò quelle parole. Si fregò gli occhi e disse: "Benedetto sia quel giorno che verrai al mondo!"
Vedendo che l'uomo era solo, Dio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo". Lo addormentò. Prese una costa dalla parte del cuore e riempiendo di carne quel luogo, con quella costa fece Eva e la dette ad Adamo come sua consorte.
Li pose ambedue come padroni del paradiso e disse loro: "Ecco, io vi dono ogni frutto da mangiare, ad eccezione delle mele e del frumento". A loro riguardo disse: "State attenti di non mangiare assolutamente di questi frutti, perché diverreste così impuri che io non sopporterei che voi restiate qui; io vi caccerò fuori e patirete grandi miserie"»[45] (cap. XXXIX).
Il Gesù barnabiano ritorna più volte sul tema della preesistenza all’intera creazione dell’anima di Maometto. Maometto è così una creatura, ma la sua anima è una creatura “preesistente” e già la terra è destinata ab origine a produrre il suo corpo (Barnaba trae il numero di 144.000 dall’Apocalisse, senza sapere che quel numero indica i figli delle dodici tribù di Israele e dei dodici apostoli, cioè la Chiesa):
«Gesù lasciò Gerusalemme e se ne andò nel deserto oltre il Giordano. Quando i suoi discepoli furono seduti, gli dissero: “Maestro, dicci come satana cadde per superbia, perché noi abbiamo sentito dire che egli cadde per disobbedienza e dicci perché egli tenta sempre l'uomo a fare del male”.
Gesù rispose: “Dio avendo creato una massa di terra e avendola lasciata per 25000 anni senza fare altro, satana, che era come un sacerdote e capo degli angeli, seppe, per la grande intelligenza che aveva, che Dio doveva cavare da quella massa centoquarantaquattromila segnati dal carattere della profezia e il messaggero di Dio; la cui anima aveva creato sessantamila anni prima di ogni cosa. Così indignato, egli incitava gli angeli: ‘Guardate che un giorno Dio vorrà che questa terra sia da noi venerata. Ma guardate che noi siamo spirito e non è conveniente che facciamo una cosa simile’. Molti per questo si separarono da Dio”»[46](cap. XXXV).
Tutta la storia di Abramo è riscritta dall’autore di Barnaba lasciando da parte Genesi ed ispirandosi alle Sure coraniche.
Ad esempio, Abramo viene descritto come una persona in conflitto religioso con il padre – mentre invece Genesi che è un testo più antico di oltre un millennio tace questo fatto -, al punto che questi vuole bruciare suo figlio Abramo:
«Dio non ha detto ad Abramo: “Esci dalla casa di tuo padre e della tua parentela e vieni ad abitare il paese che io darò a te e alla tua discendenza?” Perché dunque Dio dice questo, se non perché il padre di Abramo era scultore e costruiva e adorava falsi dei. Per questo vi era inimicizia tra di loro al punto che il padre voleva far bruciare il figlio»[47] (cap. XXVI).
Nell’apocrifo di Barnaba Abramo distrugge le statue delle divinità di suo padre:
«Allora Abramo prese la scure e tagliò i piedi di tutti gli idoli ad eccezione di quelli del grande dio Baal, ai piedi del quale depose la scure.
Le statue cadendo andavano in pezzi perché erano vecchie e composite. In seguito, quando Abramo uscì dal tempio, fu visto da alcuni che sospettarono che egli fosse andato a rubare qualcosa nel tempio, perciò lo trattennero, e, arrivati al tempio, vedendo i loro dei sbriciolati in quella guisa, gridarono piangendo: “Venite presto, o uomini e ammazziamo colui che ha ammazzato i nostri dei”. Vennero colà quasi diecimila uomini con i sacerdoti e domandarono ad Abramo per quale ragione aveva distrutto i loro dei.
Abramo rispose: “Voi siete stolti. Forse che un uomo può uccidere Dio? È stato il grande Dio che li ha ammazzati. Non vedete la scure che egli ha ai suoi piedi? Certamente egli non vuole compagni”.
Giunse colà il padre di Abramo, il quale ricordandosi di tutti i discorsi che Abramo aveva fatto contro i loro dei e riconoscendo la scure con la quale Abramo aveva spezzato gli idoli, gridò: “È stato quel traditore di mio figlio che ha ucciso i nostri dei, perché questa scure è mia”.
Egli raccontò loro tutto ciò che era capitato tra lui e suo figlio. Gli uomini raccolsero allora una grande quantità di legno e, dopo aver legato le mani e i piedi di Abramo, essi lo posero sopra la legna e sotto attizzarono il fuoco.
Ed ecco che Dio, mediante il suo angelo, comandò al fuoco di non bruciare Abramo, suo servo. Il fuoco divampò con grande furore e bruciò quasi duemila uomini tra quelli che avevano condannato Abramo alla morte»[48] (cap. XXVIII).
Ma ciò su cui l’apocrifo insiste di più nel ricostruire la storia di Abramo è la sua predilezione per Ismaele, di modo che Isacco, che prosegue la discendenza abramitica nel popolo ebraico, risulta un personaggio secondario. Ispirandosi al Corano, l’autore di Barnaba dichiara esplicitamente che Dio comanda ad Abramo di sacrificare suo figlio Ismaele (e non Isacco):
«Abramo amava un poco di più di quanto conviene suo figlio Ismaele, per questo Dio gli ordinò di ammazzare suo figlio per distruggere il cattivo amore del cuore di Abramo»[49] (cap. XCIX).
Più volte poi il Gesù barnabiano annunzia che il Messia verrà solo dopo di lui e porta come prova proprio il fatto che egli non può essere il Messia, perché discendente di Isacco, mentre Maometto sarà il Messia proprio perché discendente di Ismaele, figlio naturale di Abramo anche se non figlio di Sara. Chi afferma che il Messia sarà figlio di Isacco e di Davide, aprendo la possibilità di vedere in Gesù tale persona, si sbaglia, perché appunto - prosegue Gesù - gli ebrei hanno corrotto la parola di Dio. Gesù è stato mandato da Dio secondo l’apocrifo, proprio per ricordare che il Messia dovrà venire e che si chiamerà Maometto:
«Allora Gesù riprese: “E il nunzio di Dio, quando verrà, da quale stirpe discenderà?” I discepoli risposero: “Di Davide”. Allora Gesù disse: “Voi vi sbagliate, perché Davide, in spirito, lo chiamò ‘Signore’, dicendo: ‘Dio ha detto al mio Signore: siediti alla mia destra, fino a che io pongo i tuoi nemici a scabello dei tuoi piedi. Dio stabilirà il tuo scettro che dominerà in mezzo ai tuoi nemici’. Se il nunzio di Dio, che voi chiamate Messia, era figlio di Davide, come Davide lo chiamerà Signore? Credetemi, perché in verità vi dico che la promessa è stata fatta a Ismaele e non a Isacco”»[50] (cap. XLIII).
Il passaggio dalla centralità di Isacco a quella di Ismaele diviene nell’apocrifo l’occasione per ricordare che il testo ebraico è corrotto, secondo la visione che l’apocrifo riprende dalla tradizione coranica. Addirittura Satana sarebbe alla base della corruzione del testo ebraico che nasconderebbe volutamente la centralità di Ismaele:
«I discepoli dissero dunque: “Maestro, nel libro di Mosè vi è scritto che la promessa fu fatta nei riguardi di Isacco”. Gesù rispose con un gemito: “Vi è scritto così, ma però non l'ha scritto Mosè, né Giosuè, ma i nostri rabbini che non temono Dio. Io vi dico in verità che se voi considerate le parole dell'angelo Gabriele, voi scoprirete la malizia dei nostri scribi e dottori, perché l'angelo ha detto: ‘Abramo, tutto il mondo conoscerà come Dio ti ama. Ma come il mondo conoscerà l'amore che tu porti a Dio? Certo che è necessario che tu faccia qualche cosa per amore di Dio’. Abramo rispose: ‘Ecco il servo di Dio pronto a fare tutto quello che Dio vorrà’. Allora Dio parlò: ‘Abramo, prendi il tuo figlio primogenito, Ismaele, e vieni a sacrificarlo sul monte’. Come mai Isacco è il primogenito se, quando Isacco è nato, Ismaele aveva sette anni?”
I discepoli dissero allora: “La bugia dei nostri dottori è chiara. Dicci la verità, perché noi sappiamo che tu sei stato mandato da Dio”. Gesù rispose allora: “Io vi dico in verità, satana cerca sempre di cancellare la legge di Dio. Per questo, i suoi seguaci ipocriti e malfattori - gli uni con una falsa dottrina e gli altri con una vita pessima - hanno contaminato oggigiorno, il tutto, in modo che difficilmente si trova la verità. Guai agli ipocriti!”»[51] (cap. XLIV).
Più volte nel testo si torna sulla questione della presunta precedenza di Ismaele (e dunque di Maometto) su Isacco:
«Se io commetto l'iniquità, riprendetemi e Dio vi amerà perché farete la sua volontà, ma se nessuno può riprendermi per il peccato, è segno che voi non siete figli di Abramo, come voi vi chiamate e non siete incorporati a quel capo al quale Abramo è incorporato. Viva Dio, Abramo amò tanto Dio che non solo fece in frantumi i falsi idoli e abbandonò suo padre e sua madre, ma volle uccidere il suo proprio figlio per obbedire a Dio.
Il pontefice rispose: “Questo ti chiedo e non cerco di ucciderti! Dicci dunque quale fu questo figlio di Abramo!” Gesù rispose: “Lo zelo del tuo amore, mio Dio, mi divora ed io non posso tacere. Così in verità dico che il figlio di Abramo fu Ismaele, dal quale deve discendere il Messia promesso ad Abramo al fine di benedire in lui tutte le tribù della terra”.
Sentendo ciò, il pontefice si adirò e gridò: “Lapidiamo questo empio perché egli è un Ismaelita ed ha bestemmiato contro Mosè e contro la legge di Dio”. Tutti gli scribi e farisei e gli anziani del popolo presero sassi per lapidare Gesù. Ma egli disparve dai loro occhi e uscì dal tempio. Ora per la grande volontà che avevano di uccidere Gesù, accecati dal furore e dall'odio, si ferirono così tanto l'un l'altro che mille uomini morirono. Così essi contaminarono il tempio santo»[52] (cap. CCVIII).
Gesù addirittura, secondo l’autore di Barnaba, vede in visione Maometto ed, appunto, gli si rivolge con le parole pronunciate da Giovanni Battista nei confronti di Gesù stesso:
«Quando io lo vidi, l’anima mia si riempì di consolazione: “O Maometto, che Dio sia con te! Che egli mi renda degno di sciogliere i legacci delle tue calzature, perché, quando avrò ottenuto questo, sarò un grande profeta e santo di Dio”. Dopo queste parole, Gesù rese grazie a Dio»[53] (cap. XLIV).
Il Gesù barnabiano ha spesso il nome di Maometto sulle labbra. L’autore inventa molte frasi non presenti nel Corano per sostenere la sua tesi di un Gesù annunziatore maomettano:
«In seguito Dio darà la vita a tutti gli eletti che grideranno: “Maometto, ricordati di noi”. Alla loro voce, la pietà del nunzio di Dio si sveglierà ed egli penserà a ciò che deve fare, temendo per la loro salute. Poi, Dio darà la vita a tutte le cose create ed esse ritorneranno al loro essere con una particolarità, che ognuno avrà la parola. In seguito Dio darà la vita a tutti i reprobi.
Vedendoli risorgere, ogni creatura di Dio si spaventerà e griderà: “Che la tua misericordia non ci abbandoni, Signore nostro Dio!” In seguito Dio farà risuscitare satana, alla cui visione, ogni creatura sarà come morta per timore, a causa della spaventosa forma che avrà. Piaccia a Dio, dice Gesù, che in quel giorno io non veda un tal mostro!»[54](cap. LIV).
Secondo l’autore dell’apocrifo tutta la storia del popolo ebraico annunzierebbe la venuta di Maometto, come sarà evidente alla fine dei tempi quando Dio lo resusciterà e tutti conosceranno che Maometto è il “nunzio di Dio”:
«Il nunzio di Dio parlerà dapprima dicendo: “Io ti adoro, io ti amo, mio Dio, e ti ringrazio con tutta la mia anima e con tutto il mio cuore, perché tu ti sei degnato di crearmi perché fossi tuo servo. Per amore di me tu hai fatto tutto, perché io ti ami per ogni cosa e sopra ogni cosa. Per questo tutte le creature ti rendono grazie, o mio Dio”. Tutte le cose create da Dio allora diranno: “Ti rendiamo grazie, Signore, e benediciamo il tuo santo nome”. Io vi dico in verità, in questo tempo, i demoni e i reprobi insieme a satana piangeranno a tal punto che dai loro occhi uscirà più acqua di quanto ne scorra nel fiume Giordano. Ed essi non vedranno più Dio.
Dio dirà al suo nunzio: “Tu sei il benvenuto, o mio fedele servo; perciò domandami quanto vuoi perché otterrai tutto”. Il nunzio di Dio risponderà: “Signore, mi ricordo che, creandomi, tu dicesti di voler fare per amore di me il paradiso e il mondo, gli angeli e gli uomini, perché essi ti glorifichino per mezzo del tuo servo. Signore Dio, misericordioso e giusto, ti prego dunque di ricordarti della promessa che facesti a me, tuo servo”. Dio risponderà come un amico che scherza con il suo amico. Gli dirà: “Tu hai testimoni per questo, mio amico Maometto?” Allora con rispetto egli dirà: “Sì, Signore”. Dio risponderà: “Gabriele, va a chiamarli!” L'angelo Gabriele si accosterà al nunzio di Dio e dirà: “Quali sono i tuoi testimoni, Signore?”
Il nunzio di Dio risponderà: “Sono Adamo, Abramo, Ismaele, Mosè, Davide e Gesù figlio di Maria”. L'angelo allora se ne andrà e chiamerà i suddetti che si avvicineranno con timore. Quando essi si saranno presentati, Dio dirà a loro: “Vi ricordate di ciò che dice il mio nunzio?” Essi risponderanno: “Di che, Signore?” Dio dirà: “Che io ho fatto tutto per amore di lui, perché tutti mi lodino tramite lui”. Ognuno risponderà: “Vi sono con noi tre testimoni migliori di noi, Signore”. Dio domanderà allora: “Chi sono questi tre testimoni?” Mosè dirà allora: “Il primo è il libro che tu mi hai dato”. Davide risponderà: “Il secondo è il libro che tu mi hai dato”. Colui che parla dirà allora: “Tutto il mondo, ingannato da satana, diceva che io ero tuo figlio e tuo compagno, ma il libro che tu mi hai dato dice ciò che è vero, che io sono il tuo servo e riconosce tutto ciò che dice il tuo nunzio”. Il nunzio di Dio dichiarerà allora: “È questo ciò che dice il libro che tu mi hai dato, Signore”. Dopo queste parole del messaggero di Dio, Dio dichiarerà: “Quanto ora ho fatto, l'ho fatto perché ognuno sappia quanto io ti amo”»[55] (cap. LV).
Dal tenore del testo di Barnaba si vede come Adamo, Abramo, Ismaele, Mosè, Davide e Gesù figlio di Maria vengano ritenuti i testimoni di Maometto e la loro vita sia vista tutta nella sua prospettiva, al punto che qualche autore ha parlato di maomettocentrismo[56] che viene a sostituire il cristocentrismo evangelico:
«Il pontefice allora disse: “Come sarà chiamato il messia e quale segno proverà la sua venuta?” Gesù rispose: “Il nome del messia è ammirabile, perché Dio stesso gli diede il nome quando creò la sua anima e lo collocò in uno splendore celeste. Dio disse: ‘Aspetta, Maometto, per amore verso di te voglio creare il paradiso e il mondo e una grande moltitudine di creature, delle quali te ne faccio dono. Chi ti benedirà sarà benedetto e chi ti maledirà sarà maledetto. Quando ti manderò nel mondo, ti manderò come il mio messaggero di salvezza. La tua parola sarà tanto vera che verranno meno il cielo e la terra, ma non cesserà mai più la tua fede! Maometto è il suo nome benedetto’”.
Allora la folla alzò la voce, dicendo: “O Dio, mandaci il tuo messaggero! O Maometto, vieni presto per la salvezza del mondo!”»[57] (cap. XCVII)
Oltre a mettere da parte il nome di Isacco, anche quello di Davide deve essere accantonato, secondo l’apocrifo, sconfessando tutti i testi vetero e neotestamentari che insistono sul fatto che il Messia è della discendenza di Davide, come afferma in un passaggio il Giuda barnabiano, prima di tradire Gesù:
«E ciò che è peggio egli dice che il Messia non verrà dalla stirpe di Davide come ci ha detto uno dei principali discepoli, ma egli dice che verrà dalla stirpe di Ismaele e che la promessa fu fatta per Ismaele e non per Isacco. Che cosa accadrà se si lascia vivere costui? Gli Ismaeliti guadagneranno certamente la stima dei Romani che gli consegneranno la nostra regione ed Israele sarà di nuovo ricondotta in schiavitù com’era nel passato»[58](cap. CXLII).
Dinanzi a chi insiste sull’importanza di Gesù, Gesù stesso, nell’apocrifo, con dialoghi pensati ad hoc dall’autore non si stanca di ripetere di essere venuto solo in funzione di Maometto:
«I discepoli risposero: “Maestro, chi sarà quell’uomo di cui parli e che verrà nel mondo?” Gesù rispose con la gioia nel cuore: “È Maometto, messaggero di Dio! La sua venuta nel mondo, portatrice di abbondante misericordia, come la pioggia che fa fruttificare la terra quando da tanto tempo non piove più, sarà motivo di buone azioni tra gli uomini. Perché egli è una nube candida piena della misericordia di Dio, che Dio spargerà sui fedeli come pioggia”»[59] (cap. CLXIII).
L’autore di Barnaba trasforma anche nel senso sopraindicato il brano della confessione a Cesarea di Filippo, mischiandola con l’episodio in cui gli scribi si recano da Giovanni Battista per chiedergli chi egli sia. Nell’apocrifo la domanda è rivolta a Gesù al posto che al Battista. Gesù afferma di non poter nemmeno sciogliere i lacci dei sandali di Maometto, il Messia che deve venire:
«Essi mandarono dunque i leviti ed alcuni scribi a domandargli: “Tu, chi sei?” Gesù confessò la verità: “Io non sono il Messia”. Essi dissero: “Sei tu Elia o Geremia o qualcuno degli antichi profeti?” Gesù rispose: “No”. Essi ripresero allora: “Chi sei tu, diccelo, perché noi diamo testimonianza a coloro che ci hanno inviati”. Gesù disse allora: “Io sono una voce che grida per tutta la Giudea. Essa grida: preparate la via al nunzio di Dio, com'è scritto in Isaia”. Essi replicarono: “Se tu non sei né il Messia, né Elia, né uno dei profeti, perché predichi una nuova dottrina e ti fai passare come più grande del Messia?” Gesù rispose: “I miracoli che Dio compie tramite le mie mani mostrano che io dico ciò che Dio vuole e dunque non mi faccio passare per colui che voi dite. Perché io non sono degno di sciogliere i legami delle calze, né i legacci delle scarpe del nunzio di Dio che voi chiamate Messia. Costui è fatto prima di me e verrà dopo di me! Egli porterà le parole di verità e la sua fede non avrà fine”»[60] (cap. XLII).
6/ La questione della figliolanza di Gesù e della paternità di Dio nel vangelo di Barnaba
Merita ancora sottolineare come il vangelo di Barnaba modifichi tutti i passaggi evangelici che potrebbero dar adito a ritenere che Gesù sia il Figlio di Dio.
Il punto di vista è dichiarato fin dall’inizio dall’apocrifo di Barnaba in una modalità che si potrebbe definire quella dell’excusatio non petita, accusatio manifesta. Il fatto che si dica subito, fin dalle prime parole, che Gesù non è il figlio di Dio, fa capire che l’intento dell’autore che si nasconde dietro il nome di Barnaba è proprio negare la figliolanza divina di Gesù. Già questa affermazione a mo’ di introduzione mostra che l’apocrifo è un testo tardivo redatto dopo i vangeli canonici – come si vedrà composto più di 1000 anni dopo di essi:
«Barnaba apostolo di Gesù Nazareno chiamato Cristo, a tutti coloro che abitano sulla terra, augura pace e consolazione.
Carissimi, il grande ed ammirabile Dio ci ha visitati, in questi giorni passati, tramite il suo profeta Gesù Cristo, mostrandoci la sua grande misericordia mediante la dottrina e i miracoli, in merito alla quale molti, ingannati da satana, sotto il velo della pietà, predicano una dottrina molto empia, chiamando Gesù figlio di Dio, ripudiando la circoncisione, alleanza eterna di Dio, permettendo ogni sorta di cibi immondi. Tra costoro anche Paolo cade nell’inganno e io ne parlo a malincuore. Per cui vi scrivo in merito a quella verità che io ho vista e ascoltata nella frequentazione di Gesù, perché siate salvati da lui e non veniate ingannati da satana e non periate per il giudizio di Dio. Perciò guardatevi che vi predica una nuova contraria a quella che io vi scrivo, perché voi siate definitivamente salvati. Il grande Dio sia con voi e vi custodisca da satana e da ogni male. Amen»[61].(Prologo)
Nell’apocrifo è Gesù stesso a dichiarare di non essere il figlio di Dio, con un insistenza che mostra da sola quanto l’autore dell’apocrifo sia ossessionato dalla questione. L’apocrifo sostituisce sistematicamente tutti i versetti nei quali si parla di Padre e di Figlio. Ad esempio è all’apostolo Filippo che Gesù dice: “Chi vede me vede il Padre”. Il testo viene così trasformato dall’autore:
«A queste parole di Gesù, Filippo rispose: “Noi siamo contenti di servire Dio, ma desideriamo però di conoscere Dio, perché il profeta Isaia disse: ‘Veramente, tu sei Dio nascosto!’ E Dio disse a Mosè suo servitore: ‘Io sono Colui che sono’”. Gesù riprese: “Filippo, Dio è un bene senza il quale non vi è alcun bene. Dio è un essere senza il quale nulla esiste. Dio è una vita senza del quale nessuno vive.
Egli è tanto grande che riempie il tutto ed è ovunque. Egli è senza uguali, non ebbe inizio né avrà mai fine, anzi ad ogni cosa ha dato inizio e ad ogni cosa darà fine. Egli non ha né padre, né madre, non ha figli né fratelli, né compagni. e siccome non ha corpo, Egli non mangia, non dorme, non muore, non cammina, non si muove, ma rimane in eterno, senza somiglianze umane perché Egli è incorporeo, senza composizione, immateriale, di sostanza semplicissima.
Egli è tanto buono che ama solamente la bontà. Egli è così giusto che quando punisce oppure perdona, non si può riprendere. In verità ti dico, Filippo, che qui in terra tu non puoi né vederlo né conoscerlo perfettamente, ma, nel suo regno, tu lo vedrai per sempre. In Lui sta la nostra felicità e la nostra gloria!”. Rispose Filippo: “Maestro, che dici? Vi è scritto pure in Isaia che Dio è nostro Padre, come dunque non ha figli?” Gesù disse: “Molte parabole sono scritte in tutti i profeti, tu però non le devi comprendere alla lettera ma nel significato. Difatti i centoquarantaquattromila profeti che Dio ha inviato nel mondo, hanno parlato oscuramente; ma dopo di me verrà lo splendore di tutti i profeti e i santi; egli farà luce sulle cose oscure che hanno detto i profeti, perché egli è il messaggero di Dio”. Detto questo Gesù sospirò dicendo: “Abbi pietà d'Israele, Signore Dio! Guarda con pietà Abramo e la sua discendenza perché ti servano con sincerità di cuore”»[62] (cap. XVII).
Quando Gesù insegna il Padre nostro, l’unica espressione che viene modificata in maniera sostanziale dall’apocrifo è proprio “Padre nostro”, che diviene “Signore nostro Dio”:
«I discepoli piangevano alle parole di Gesù. Ed essi gli domandarono: “Signore, insegnaci a pregare”. Gesù rispose: “Considerate quello che fareste se il governatore romano vi arrestasse per mettervi a morte. Ebbene, la medesima cosa fate quando andate a fare preghiera. E le vostre parole siano queste: Signore nostro Dio, sia santificato il tuo santo nome. Il tuo regno venga in noi. Sia sempre fatta la tua volontà, come si fa in cielo, si faccia anche in terra. Dacci il pane per ogni giorno. Perdonaci i nostri peccati come noi li perdoniamo a coloro che peccano contro di noi. Non lasciarci cadere nelle tentazioni. Ma liberaci dal male. Perché tu solo sei il nostro Dio, al quale appartengono per sempre la gloria e l'onore"»[63] (cap. XXXVII).
Similmente nell’esperienza della Trasfigurazione ciò che viene cancellata è la dichiarazione del Padre “Questi è il mio Figlio, ascoltatelo”:
«Detto questo, Gesù se ne andò e si portò al monte Tabor, al quale ascesero con lui anche Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, insieme a colui che ha scritto ciò. Allora una grande luce fu sopra di lui. I suoi vestiti divennero come bianche nevi e il suo volto risplendeva come il sole. Ed ecco che vennero Mosè ed Elia e parlarono con Gesù a proposito di quanto doveva accadere alla nostra gente e alla città santa. Pietro parlò dicendo: “Signore, è bene stare qui, perciò se tu vuoi faremo qui tre tende, una per te, una per Mosè e l'altra per Elia”. Mentre parlava, essi furono coperti da una nuvola bianca e sentirono una voce che diceva: “Ecco il mio servo nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo”. I discepoli furono pieni di paura e caddero con il viso a terra, come morti»[64] (cap. XLII).
Parimenti nella parabola dei vignaioli a cui il padrone chiede conto della figlia scompare l’ultimo inviato, il figlio, che il padrone mandò a richiedere frutti e che venne invece ucciso. Nel testo barnabiano troviamo solo i servi, inviati da Dio:
«Di nuovo parlò Gesù dicendo: “Io vi propongo un esempio. Vi fu un padre di famiglia che piantò una vigna e vi fece una siepe perché non fosse calpestata dagli animali. Nel mezzo vi fabbricò un torchio per il vino. Poi, egli l'affittò a alcuni agricoltori. Al tempo del raccolto del vino, egli mandò i suoi servi. Quando gli agricoltori li videro, alcuni li lapidarono, altri li bruciarono ed altri li accoltellarono; e questo fecero molte volte. Ditemi, che farà il padrone della vigna agli agricoltori?” Ognuno rispose: “Egli li farà perire in malo modo e darà la sua vigna ad altri agricoltori”. “Ebbene”, disse Gesù, “non sapete che la vigna è la casa di Israele e che gli agricoltori sono il popolo di Giudea e di Gerusalemme? Guai a voi, perché Dio è adirato contro di voi, per il fatto che avete ucciso molti profeti di Dio, al punto che al tempo di Achab non si trovava chi seppellisse i santi di Dio”»[65](cap. XLVI).
Le omissioni hanno come corrispettivo una lunga serie di discorsi aggiunti dall’autore nei quali Gesù scongiura di non essere chiamato Figlio di Dio. Infatti, l’apocrifo ricorda che tale voce serpeggiava fra il popolo, ma la attribuisce a Satana:
«Satana incitò tanto questo discorso che ebbe luogo nel popolo di Nain un conflitto di non poco conto.
Ma Gesù non si fermò neanche un poco a Nain, ma si girò per andare a Cafarnao. La discordia degli abitanti di Nain si fondava su quello che alcuni dicevano: “È il nostro Dio che ci ha visitati. Dio è invisibile. Nessuno l’ha visto, neanche Mosè, suo amico e suo servo. Non è Dio, ma suo figlio”. Altri ancora dicevano: “Non è figlio e neanche il figlio di Dio, perché Dio non ha corpo per generare. Ma egli è un grande profeta di Dio”.
Satana incitò tanto che, nel terzo anno del ministero profetico di Gesù, si stava creando un grande disastro nel nostro popolo»[66] (cap. XLVIII).
Ma il Gesù barnabiano risponde scongiurando di non chiamarlo Figlio di Dio, ma profetizzando al contempo – una profezia post eventu – che tale affermazione si diffonderà lo stesso:
«Detto questo, Gesù si percosse la faccia con ambo le mani, e poi percosse la terra con il capo. Avendo alzato il capo, egli disse: “Sia maledetto chiunque metterà nelle mie parole che io sono figlio di Dio”. A queste parole, i discepoli caddero come morti»[67] (cap. LIII).
Nella professione di fede a Cesarea di Filippo, la confessione di Pietro è rovesciata. Al posto di essere gradita a Gesù che pone la domanda a smentire la folla che lo ritiene un profeta, Gesù si adira quando Pietro lo proclama Cristo e Figlio di Dio e preferisce le parole della folla alla confessione petrina:
«Partito da Gerusalemme dopo la Pasqua, Gesù entrò nel territorio di Cesarea di Filippo. L'angelo Gabriele avendogli detto circa la sedizione che serpeggiava tra il popolo, egli interrogò i suoi discepoli: “Che cosa dicono di me gli uomini?” Essi risposero: “Alcuni dicono che tu sei Elia, altri che sei Geremia, altri ancora uno degli antichi profeti”. Gesù riprese: “E voi che dite che io sia?” Pietro rispose: “Tu sei il Cristo, figlio di Dio!” Gesù allora si adirò e lo riprese con collera: “Vattene lontano da me, perché tu sei il diavolo e tu tenti di essermi di inciampo”. E minacciò gli undici: “Guai a voi se credete a ciò, perché io ho chiesto a Dio una grande maledizione contro coloro che crederanno a ciò”. Ed egli voleva scacciare Pietro, per cui gli undici pregarono per lui, Gesù non lo scacciò; ma di nuovo lo riprese dicendo: “Guardati di non dire più una tale parola, perché Dio ti rimprovererebbe”. Pietro pianse e disse: “Signore io ho parlato da stolto. Prega Dio che mi perdoni!”»[68] (cap. LXX).
Nell’episodio del paralitico perdonato e guarito il Gesù barnabiano si affretta a dichiarare che lui non ha alcun potere di perdonare i peccati:
«Giunto Gesù nella sua patria, si sparse in tutta la regione della Galilea la voce che il profeta Gesù era venuto a Nazareth.
Con diligenza cercarono gli infermi e glieli presentarono pregandolo di toccarli con le mani. La moltitudine era tale che un ricco colpito da paralisi, non potendo farsi passare per la porta, si fece portare sul tetto della casa in cui era Gesù. Avendo fatto scoprire il tetto, si fece calare con lenzuola davanti a Gesù, che era per un attimo inattivo. Poi Gesù disse: “Non temere, fratello, perché ti sono perdonati i peccati!” Tutti furono scandalizzati ascoltando ciò e dicevano: “Chi è costui che perdona i peccati?”
Gesù allora disse: “Viva Dio, io non posso perdonare i peccati e neanche alcun altro uomo, ma solamente Dio perdona! Ma come servo di Dio posso giustamente pregare per i peccati degli altri. Per questo ho pregato per questo infermo e son sicuro che Dio ha esaudito la mia preghiera. Così perché conosciate la verità io dico a questo infermo: Nel nome del Dio dei nostri padri, Dio di Abramo e dei suoi figli, alzati guarito”. In seguito a queste parole di Gesù, l'infermo si alzò guarito e glorificava Dio»[69] (cap. LXXI).
Nei tre episodi dell’incontro con la samaritana, con il cieco nato e con Lazzaro morto e poi resuscitato, sono eliminate dall’autore le affermazioni cristologiche “Io sono l’acqua viva”, “Io sono la luce del mondo”, “Io sono la via, la resurrezione e la vita”. Gesù compie lo stesso i miracoli, ma essi non sono segni della sua identità, non sono segni che è lui ad essere l’acqua che disseta, la luce che illumina, la resurrezione che dona la vita:
«Voltatosi verso la donna, disse: “Donna, voi Samaritani adorate quello che non sapete, ma noi Ebrei adoriamo quello che sappiamo. In verità ti dico che Dio è spirito e verità, perciò deve essere adorato in spirito e verità, perché la promessa di Dio è fatta in Gerusalemme nel tempio di Salomone e non altrove.
Ma, credimi, che verrà un tempo in cui Dio rivolgerà la sua misericordia ad un'altra città e in ogni luogo si potrà adorare con verità; in ogni luogo, Dio accetterà l'orazione vera con misericordia”. La donna rispose: “Noi aspettiamo il Messia; perciò quando verrà, egli ci ammaestrerà!” Gesù disse: “Donna, tu sai che il Messia deve venire?” Ella rispose: “Sì, Signore!” Allora Gesù si rallegrò e disse: “Per quanto vedo, o donna, tu sei fedele! Sappi dunque che è nella fede del Messia che si salverà ogni eletto di Dio. Perciò è necessario che tu conosca la venuta del Messia”. La donna disse: “Signore, sei forse tu il Messia?” Gesù rispose: “Io sono veramente mandato da Dio alla casa di Israele come profeta di salvezza, ma, dopo di me, verrà il Messia mandato da Dio a tutto il mondo, per il quale Dio ha fatto il mondo. Perciò in tutto mondo si adorerà Dio e si otterrà misericordia come nell'anno del giubileo, che ora capita ogni cento anni, per il Messia sarà accordato in ogni anno e in ogni luogo!” Allora la donna lasciò la brocca e corse in città ad annunziare quanto aveva inteso da Gesù»[70] (cap. LXXXII).
«Il cieco nato andò a trovare Gesù, il quale lo confortò dicendo: “In nessun altro momento fosti così beato come sei ora, perché tu sei benedetto dal nostro Dio. Egli infatti ha parlato contro gli amici del mondo dicendo tramite Davide nostro padre e suo profeta: ‘Essi mi maledicono ed io benedico’. Tramite il profeta Michea disse: ‘Maledico le vostre benedizioni, perché la terra è meno opposta all’aria, l’aria al fuoco, la luce alle tenebre, il caldo al freddo e l’amore all’odio, di quanto non sia il volere di Dio opposto al volere del mondo!’”»[71] (cap. CLVIII)
«Quella corse fuori della città e trovato Gesù, disse piangendo: “Signore, tu m’avevi detto che mio fratello non sarebbe morto! Ora invece è sepolto da quattro giorni”»[72] (cap. CXCIII).
«Allora, alzate le mani al cielo, Gesù disse: “Signore, Dio di Abramo, Dio d’Ismaele e di Isacco, Dio dei nostri padri, abbi misericordia per l’afflizione di queste donne e dà gloria al tuo santo nome!” Avendo ognuno risposto “Amen”, Gesù disse a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!” Allora il morto si alzò, Gesù disse ai suoi discepoli: “Scioglietelo!” Egli infatti era legato nel lenzuolo con un sudario sul viso, come i nostri padri usavano seppellire»[73] (cap. CXCIII).
L’insistenza di Gesù stesso che, con discorsi costruiti dall’autore dell’apocrifo, dichiara di non essere Figlio di Dio, ma solo suo servo, sono numerosissimi.
Il Gesù barnabiano definisce un grande peccato il dichiararlo Figlio di Dio:
«Avendo levata la mano in segno di silenzio, Gesù disse: “Veramente voi avete commesso un grande peccato, o israeliti, chiamando vostro Dio me, che sono un uomo. Ed io temo che Dio per questo mandi un grave flagello sulla città santa, mettendola sotto dominazione di altri. Sia mille volte maledetto satana che vi ha spinto a fare questo!” Detto questo, Gesù si percosse la faccia con le due mani per cui si levò un tale strepitio di pianto che nessuno poteva intendere quello che Gesù diceva.
Allora alzò di nuovo la mano in segno di silenzio e acquietato il popolo dal pianto, disse: “Io confesso davanti al cielo e chiamo a testimone ogni cosa che abita sopra la terra che io sono estraneo a quanto avete detto, per il fatto che io sono un uomo nato da donna mortale, sottoposto al giudizio di Dio, che soffre le miserie del mangiare e del dormire, il freddo e il caldo come gli altri uomini. Per questo quando Dio verrà a giudicare le mie parole, egli percuoterà come una spada ognuno di quelli che crederanno che io sono di più di un uomo”»[74] (cap. XCIII).
Come argomento per il suo non essere Figlio, l’autore gli fa pronunciare parole sul fatto che egli non ha nemmeno il potere di Mosè, a differenza dei vangeli che annunziano che Gesù è più grande di Mosè:
«Se voi leggeste il testamento e l'alleanza del nostro Dio, voi vedreste che Mosè, con un colpo di bacchetta, cambiò l'acqua in sangue, la polvere in pulci, la rugiada in tempesta e la luce in tenebre. Egli fece venire in Egitto le rane e i topi che coprivano la terra; egli uccise i primogeniti e aprì il mare dove sommerse il Faraone.
Nessuna di queste cose io ho fatto; eppure ognuno ritiene che Mosè è un uomo, morto al presente! Giosuè arrestò il sole e aprì il Giordano; cosa che io ancora non ho fatto; eppure ognuno ritiene che Giosuè è un uomo, morto al presente! Elia fece venire visibilmente il fuoco dal cielo e la pioggia; io non ho neppure fatto ciò; eppure ognuno ritiene che Elia è un uomo! E tanti altri santi profeti, amici di Dio che, grazie a Dio, hanno compiuto cose che l'intelletto di chi non conosce il nostro Dio, onnipotente e misericordioso, che è benedetto in eterno, non può capire!»[75] (cap. XCIV).
L’apocrifo sottolinea, anche qui scrivendo dopo e contro i testi neotestamentari, che Gesù non ha partecipato alla creazione, mentre l’anima di Maometto preesiste alla creazione:
«Io [Gesù] sono un uomo visibile, un poco di fango che cammina sulla terra, mortale come lo sono tutti gli altri uomini, io ho avuto principio e avrò una fine e sono tale da non poter creare di nuovo una mosca»[76] (cap. XCV).
Più volte Gesù interrogato nega, nell’apocrifo, ciò che gli altri affermano:
«Finita l'orazione, il pontefice disse ad alta voce: “Fermati, Gesù, perché per la tranquillità del nostro popolo, ci manca di sapere chi sei”. Gesù rispose: “Io sono Gesù figlio di Maria, della stirpe di Davide, uomo mortale e timoroso di Dio; mi impegno perché sia reso gloria e onore a Dio”.
Il pontefice riprese: “Nel libro di Mosè c'è scritto che il nostro Dio deve mandarci il Messia, il quale verrà ad annunziare quello che Dio vuole e porterà al mondo la misericordia di Dio. Io ti prego di dirci la verità: Sei tu il Messia di Dio che noi aspettiamo?” Gesù rispose: “È vero che così ha promesso il nostro Dio ma però io non sono costui, perché egli fu fatto prima di me e verrà dopo di me”»[77](cap. XCVI).
Il Gesù barnabiano ha visto Maometto, prima che l’inviato di Dio sia mandato in terra, e sa, a dire dell’autore, che la sua presunta filiazione divina sarà finalmente sconfessata da Maometto stesso:
«“Io, indegno di sciogliere i suoi sandali, ho avuto la grazia e la misericordia di Dio di vederlo [il Messia, Maometto]!” Il pontefice, il governatore e il re risposero allora: “Non ti turbare, o Gesù, santo di Dio, perché nel nostro tempo non accadrà più questa rivolta. Noi scriveremo difatti al sacro senato romano in modo che, per decreto imperiale, più nessuno ti chiamerà Dio ovvero figlio di Dio”. Gesù allora disse: “Le vostre parole non mi consolano perché le tenebre verranno da dove sperate la luce. La mia consolazione riguarda la venuta del messaggero di Dio, il quale distruggerà ogni falsa opinione su di me e la sua fede si diffonderà e si estenderà in tutto il mondo, perché così ha promesso Dio ad Abramo nostro padre. Ciò che mi consola è che la sua fede non avrà fine e inoltre sarà conservata inviolata da Dio”»[78] (cap. XCVII).
L’autore apocrifo fa dire a Gesù di non essere niente dinanzi a Dio:
«Venuto il giorno, Gesù salì al tempio con una grande moltitudine di folla. Il pontefice gli si avvicinò e disse: “Dimmi, Gesù, ti sei dimenticato di quanto hai proclamato, che tu non sei Dio né figlio di Dio e tantomeno il Messia?” Gesù rispose: “Certamente no, non l'ho dimenticato, perché questa è la mia proclamazione che porterò davanti al tribunale di Dio nel giorno del giudizio, che quanto è scritto nel libro di Mosè è assolutamente vero, vale a dire che Dio, nostro creatore, è unico e che io sono servo di Dio e che desidero servire al nunzio di Dio che voi chiamate Messia”.
Il pontefice allora disse: “Adunque a che serve venire al tempio con una tale moltitudine? Cerchi forse di farti re d'Israele? Guardati che non ci capiti qualche incidente!” Gesù rispose: “Se io cercassi la mia gloria e volessi la mia parte in questo mondo, io non sarei fuggito quando il popolo di Nain voleva farmi re. Credimi, in verità io non cerco nulla in questo mondo”»[79] (cap. CCVI).
Addirittura, nell’apocrifo, Gesù viene fatto piangere e quasi sembra sentirsi in colpa poiché viene ritenuto Figlio di Dio:
«Gesù rispose: “Credimi, Barnaba, io non posso piangere quanto dovrei! Se gli uomini non mi avessero chiamato Dio, io avrei veduto qui Dio come lo si vedrà in paradiso e sarei stato sicuro di non temere il giorno del giudizio! Ma solo Dio sa che io sono innocente perché mai mi venne il pensiero di considerarmi di più di un umile servo; anzi ti dico che se non fossi stato chiamato Dio, io sarei stato portato in paradiso appena partito dal mondo, perciò non vi andrò fino al giudizio. Ora vedi che io ho motivo di piangere!
Sappi, Barnaba, che io per questo devo subire una grande persecuzione e che sarò venduto da un mio discepolo per trenta denari. Onde, sebbene sono sicuro che colui che mi venderà sarà ucciso sotto il mio nome perché Dio mi toglierà dal mondo e trasformerà il traditore in modo tale che tutti crederanno che quello sono io, nondimeno, morendo quello malamente, io resterò a lungo con tale disonore nel mondo.
Ma quando verrà Maometto, sacro messaggero di Dio, sarà tolta questa infamia e Dio farà ciò perché ho professato la verità del Messia, il quale mi darà questo premio cioè di essere conosciuto come vivo ed estraneo a quella morte infame!”»[80](cap. CXII).
7/ Barnaba uno dei 12, secondo l'apocrifo
L’apocrifo si nasconde dietro il nome di Barnaba che, in realtà, non fu un apostolo, bensì un levita che si convertì all’annunzio degli apostoli (At 4,36-37). Barnaba venne poi inviato, dopo la conversione di Paolo, a cercarlo ed i due partirono poi insieme per diffondere la fede cristiana cominciando da Cipro, l’isola d cui proveniva appunto Barnaba (At 13,2). Paolo e Barnaba vennero poi inviati a Gerusalemme perché ai pagani non fosse imposta la circoncisione (At 15,2).
L’apocrifo, invece, lo inserisce fra i dodici scelti da Gesù, mentre Barnaba non conobbe mai personalmente Gesù:
«Fattosi giorno, scese dal monte e scelse i dodici che chiamò apostoli, e tra loro, Giuda, colui che fu messo a morte sulla croce. I loro nomi sono: Andrea e Pietro suo fratello, pescatori, Barnaba, che ha scritto ciò, anche Matteo il pubblicano che sedeva al banco, Giovanni e Giacomo figli di Zebedeo, Taddeo e Giuda, Bartolomeo e Filippo, Giacomo e Giuda Iscariota, il traditore, Egli diceva loro sempre i segreti divini, e fece Giuda suo amministratore di quanto gli era dato in elemosina. Ma egli rubava la decima di ogni cosa»[81] (cap. XIV).
8/ La trasmissione manoscritta del vangelo di Barnaba e la sua datazione
I dati esterni al testo confermano la datazione molto tardiva dell’apocrifo che si desume dal contenuto del testo stesso. Il testo viene citato per la prima volta in un manoscritto, il ms. 9653, f° 178, della Biblioteca nazionale di Madrid, trovato da Louis Cardaillac nel 1977, che è databile agli anni 1630-1640[82].
La versione italiana è segnalata per la prima volta nel 1709 da un consigliere del re di Prussia che risiedeva ad Amsterdam e che lo prestò nel 1709 ad un erudito, John Toland: tale testo è oggi custodito a Vienna nella Biblioteca nazionale. La lingua di questa unica copia completa esistente è un italiano popolare di ambiente veneto[83].
Una seconda versione, questa volta in spagnolo, del testo è segnalata da un tale George Sale nel 1734, che lo riteneva tradotto dall’italiano[84]. Tale traduzione spagnola ci è pervenuta in un solo esemplare non completo che comprende i capitoli da 121 a 200 ed è oggi a Sidney nella Fisher Library, ritrovato nel 1976: una annotazione rivela che è stato copiato dal testo di Sale.
Se le due versioni in italiano ed in spagnolo sono degli inizi del XVII secolo, il testo originale potrebbe essere forse databile al XIV secolo, poiché ricorda che il Giubileo si sarebbe svolto ogni 100 anni, scadenza che era quella inizialmente proposta ai tempi dell’istituzione del giubileo da parte di Bonifacio VIII[85]:
«In tutto mondo si adorerà Dio e si otterrà misericordia come nell'anno del giubileo, che ora capita ogni cento anni»[86] (cap. LXXXII).
Probabilmente si tratta, insomma, di un testo andaluso medioevale con traduzioni italiana e spagnola nel XVII secolo[87].
Ciò che prova con certezza una datazione assolutamente tardiva è il fatto che il vangelo di Barnaba non è mai citato in alcun documento islamico prima del XIX secolo. Il ricorso al vangelo di Barnaba nella propaganda musulmana inizia una cinquantina d’anni fa[88].
Il primo autore musulmano che ne fece uso è Rahmatullah b. Khalîl al-Kairânâwî (1818-1891) in India intorno al 1850 per appoggiare una cristologia musulmana. Per contestare tale utilizzo Lonsdale e Laura Ragg, legati alla Chiesa di Scozia ne fecero una prima edizione in inglese nel 1907, con l’aiuto dell’orientalista D.S. Margoliouth.
Conclusione
Leggere il vangelo di Barnaba ci permette di comprendere come un autore medioevale ha dato corpo, creando episodi su episodi e discorsi su discorsi, ad una figura di Gesù secondo l’insegnamento musulmano tradizionale. Il testo, che non ha alcuna attendibilità storica, è invece estremamente interessante per farsi un’idea di come sia stata rielaborata la vera storia di Gesù al fine di permettere ad un musulmano di “visualizzare” in maniera discorsiva e narrativa un Gesù ripensato in chiave islamica – come è noto il Corano non fornisce alcuna narrazione complessiva della storia di Gesù, bensì offre solo alcuni flash sulla sua vita.
Ci
permettiamo anche di indicare un possibile ruolo che il testo potrebbe giocare oggi, ponendo una questione a nostro avviso estremamente importante: in che maniera un musulmano potrebbe oggi criticare l’apocrifo di Barnaba – che, si noti bene, non è un testo ispirato nemmeno per la recentissima propaganda islamica che lo utilizza – a partire dai testi evangelici mantenendosi fedele alla fede coranica? Potrebbe riconoscere, ad esempio, che la ricostruzione della crocifissione proposta dall’apocrifo di Barnaba è storicamente falsa e che, quindi, si dovrebbe cercare una diversa interpretazione della Sura coranica che tratta della crocifissione, pur mantenendo ferma la Sura stessa?
Note al testo
[1] Edizione francese di L. Cirillo – M. Frémaux, Evangile de Barnabé, Beauchesne, Parigi, 1977 ed edizione italiana E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991.
[2] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 49.
[3] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 41.
[4] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 103-107.
[5] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 371.
[6] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 781.
[7] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 783.
[8] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 787.
[10] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 761.
[11] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 767-769.
[12] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 777-779.
[13] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 781.
[14] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 783-791.
[15] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 793.
[16] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 795-799.
[17] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 801.
[18] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 801-803.
[19] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 805.
[20] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 63-65.
[21] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 297.
[22] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 417.
[23] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 483.
[24] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 645.
[25] Sulla riscrittura islamica delle storie bibliche, cfr. R. Tottoli, I profeti biblici nella tradizione islamica, Paideia Brescia, 1999
[26] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 705.
[27] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 367-369.
[28] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 75-77.
[29] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 111.
[30] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 113.
[31] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 115.
[32] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 153.
[33] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 447-449.
[34] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 351-353.
[35] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 281.
[36] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 359-361.
[37] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 589.
[38] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 617.
[39] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 175.
[40] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 81.
[41] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 737-739.
[42] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 745.
[43] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 499-501.
[44] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 451-453.
[45] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 179-181.
[46] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 165.
[47] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 129.
[48] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 135.
[49] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 401.
[50] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 197.
[51] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 199.
[52] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 755.
[53] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 201.
[54] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 233.
[55] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 237-239.
[56] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 236.
[57] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 393-395.
[58] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 555.
[59] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 631.
[60] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 191.
[61] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 41.
[62] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 91-93.
[63] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 173.
[64] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 193.
[65] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 207.
[66] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 213.
[67] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 231.
[68] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 289.
[69] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 293.
[70] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 335-337.
[71] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 613.
[72] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 709.
[73] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 711.
[74] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 377.
[75] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 381-383.
[76] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 387.
[77] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 389.
[78] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 393.
[79] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 751.
[80] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, pp. 443-445.
[81] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 79.
[82] Cfr. per i dati sulla trasmissione del testo J. Jomier, L’Évangile selon Barnabé. A propos d’un apocryphe, in Esprit et vie, 109 (1999), pp. 481-486.
[83] Così L. Cirillo – M. Frémaux, Evangile de Barnabé, Parigi, Beauchesne, 1977, pp. 77-90.
[84] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 32.
[85] Così A. Penna, alla voce Barnaba, Vangelo di, in Enciclopedia Dantesca (1970), disponibile on-line che scrive, per confutare una dipendenza di Dante dall’apocrifo: «L'apocrifo è assegnato fra il 1300 e il 1349 in forza della frase (fol. 85b. 87a) " il iubileo... che hora viene ogni cento hanni ". Si accetti pure tale argomento e si ponga la composizione dell'apocrifo all'inizio del secolo; è difficile ammettere che un'opera che non ebbe alcun successo, e con una diffusione minima, influenzasse la Commedia, la cui redazione definitiva è anteriore al 1321».
[86] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 337.
[87] Il vangelo di Barnaba. Un vangelo per i musulmani?, E.Giustolisi – G. Rizzardi (a cura di), Istituto Propaganda Libraria, Milano 1991, p. 5.
[88] Cfr. su questo M. Borrmans, Gesù Cristo e i musulmani del XX secolo, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2000, p. 78 e note da 20 a 27.