“Il mio più grande sbaglio non fu l’aborto ma estromettere Dio dalla mia vita”. Nella sua autobiografia Un cuore nuovo, l’attrice Beatrice Fazi racconta la sua conversione: imparare a perdonare se stessi, come Dio ci perdona. Un’intervista di Maria Gabriella Filippi
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Riprendiamo dall'Agenzia di stampa Zenit del 20/7/2015 un’intervista di Maria Gabriella Filippi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (23/7/2015)
“L’aborto è stato lo sbaglio più grande della mia vita, e per tanto tempo ho cercato di convincermi che era stata la cosa giusta da fare, che avevo esercitato un diritto. Dentro invece mi ero provocata una ferita enorme, perché avevo arrestato un processo naturale, il generarsi di una vita”. Sono le parole di Beatrice Fazi, Melina di Un medico in Famiglia, e autrice del libro intitolato Un cuore nuovo(Edizioni Piemme). L’attrice, mamma di quattro bambini, ha rilasciato un’intervista a ZENIT, raccontando la propria rinascita, grazie alla fede.
Cosa ti ha spinta a scrivere un libro mettendo a nudo la tua vita e quali paure hai dovuto superare?
Mi è stato chiesto di scrivere questo libro, anche se non lo avevo mai pensato né lo avrei voluto: c’era il timore di non essere capace, e anche di mettermi a nudo: ma a cosa sarebbe servito un libro scritto senza entrare nei dettagli di ciò che accade nelle pieghe di una coscienza? Bisognava essere sinceri e dire tutto, altrimenti si sarebbe trattato dell’ennesima autocelebrazione del momento. C’era anche la paura della possibilità che il libro venisse tacciato come la solita operazione commerciale e il rischio di diventare una professionista della testimonianza. Per questo ho cercato un approccio il più umile possibile: mi è stato detto ‘Scrivi queste cose, perché queste cose devono servire!’.
Hai scelto di aprire il tuo libro con un’esperienza drammatica di cui spesso le donne non parlano, l’aborto: qual è il motivo e il messaggio che vuoi dare attraverso questa scelta?
Ho voluto subito mettere in chiaro che questo è il libro di una persona che ha sbagliato: delle persone convertite c’è sempre il rischio di farsi un’immagine di perfezione. L’aborto è una ferita che ti porti dentro, che tu lo voglia riconoscere o no. Parlarne serve, perché tutti, possano capire che sì, è un errore ma non è irreparabile perché nulla è imperdonabile agli occhi di Dio. Per tanti anni non ho accolto questo perdono, punendo inconsciamente me stessa e le persone vicine ma questo l’ho capito col tempo: i primi a giudicarci siamo noi stessi; ma se non hai quella misericordia che dovresti avere per te stesso come pensi poi di poterla esercitare sugli altri? Volevo essere una persona libera da condizionamenti, laica: ho rifiutato per anni la cultura cattolica, ribellandomi al Dio di cui mi avevano parlato i miei genitori, che avevano poi fatto fallire il loro matrimonio: pensavo che fosse tutto una grande menzogna, che la Chiesa fosse un luogo dove volevano farti stare buono. Ero piena di preconcetti: oggi penso che la vera libertà sia quella di riconoscersi la dignità di figli di Dio. Io ho potuto perdonarmi solo quando ho incontrato Lui: e se mi perdona Lui, chi sono io per non perdonare me stessa?
Nella tua vita, come scrivi nel libro, c’è una cesura misteriosa tra un prima e un dopo: guardando indietro cos’è che non funzionava nella tua vita?
Una mancanza di vera libertà, anche se io pensavo di essere libera: mi ero comprata una casa, lavoravo, avevo un locale di musica dal vivo, ero fidanzata con un cantante: agli occhi degli altri ero una persona realizzata, però avevo una ferita, una fame di senso, una paura della morte e del futuro, un’ansia da prestazione, una competizione continua, una rabbia, un’invidia: era la vita di una persona sterile: relazioni fondate su equilibri di do ut des, niente che andava mai abbastanza bene. Cosa non funzionava? Tutto non funzionava, passavo dall’euforia di un momento al vuoto del momento successivo, quando ad esempio restavo per un periodo senza lavoro e smettevo di esistere, perché la prima domanda che ti si fa è: ‘Stai lavorando?’…
Ho cominciato ad avere dei disordini alimentari che erano lo specchio di quelli affettivi; la ferita procurata dall’aborto mi urlava e mi erodeva: era come se volessi mettere la polvere sotto al tappeto, ho cominciato a concentrarmi sul mio aspetto esteriore, ero maniacale e ossessiva nella competizione con gli altri, nella ricerca della perfezione. I disturbi sono passati quando ho cominciato io per prima a dare me stessa in pasto agli altri, dando il mio tempo: allora quella fame si è sedata.
Quando ho capito che esisteva la fonte di un amore inesauribile, Gesù Cristo, allora la prospettiva è cambiata: ho fatto esperienza che perdere nella vita è vincere, e non solo teoricamente: appena cominci a cedere un po’, già nelle relazioni affettive, capisci che sei libero, che non perdi, e che a lungo andare questo passo nella corsa vince.
Cosa ha provocato il tuo riavvicinamento a Dio?
Un giorno sono entrata in una chiesa in via del Corso: successe solamente perché ero stanca di camminare e volevo mettermi seduta. C’erano delle persone che adoravano il Santissimo, e i miei occhi si sono fissati sull’ostia consacrata: ho cominciato a piangere all’improvviso, senza un motivo, con la sensazione di una bambina che, dopo essersi fatta male, viene presa in braccio. Poi, uscita dalla chiesa, non ci ho pensato più.
Nell’agosto 2000 ero già fidanzata con Pierpaolo, che avevo incontrato in un bistrot dove facevo la cameriera. Mentre eravamo in moto incontriamo una folla di Papaboys con cappelli e rosari, venuti a Roma per la incontrare Giovanni Paolo II. Con un senso di fastidio penso: “Neppure ad agosto si può girare tranquilli!”. Al semaforo incrocio gli occhi di uno di quei ragazzi, e di nuovo mi accade la stessa cosa che mi era successa tempo prima nella chiesa: un cortocircuito che mi fa ritrovare in lacrime, forse una santa invidia: gli occhi di quel ragazzo erano pieni di gioia e speranza. Quelli che per me erano sempre stati dei soggetti ‘parrocchiosi’, ragazzi un po’ inutili, fastidiosi e cattolici, erano felici! Ho capito che quello che cercavo, avrei dovuto cercarlo da qualche altra parte.
Di lì a poco ho incontrato una vecchia collega di università che, da Maccarese veniva in treno nella parrocchia del mio quartiere per fare i Dieci Comandamenti. Mi ha chiesto il favore di ospitarla la domenica. Io le ho risposto “Laura, prenditi le chiavi di casa e vieni quando vuoi”. “Ma perché non vieni con me?”. “No, ti pare che io vengo a sentire un prete! La domenica gioca pure la Maggica…”. Non mi interessavano quelle cose, ero stata anche buddista…
Ad un certo punto però rimango incinta, convivendo con Pierpaolo, separato e sposato in chiesa da ateo. In quel momento comincio a vacillare: avevo paura che la bimba che aspettavo potesse pagare l’aborto commesso a vent’anni: pensavo che Dio mi avrebbe chiesto il conto. Ho chiesto alla mia amica se potevo andare a trovare quel prete di cui mi aveva parlato: volevo tenermi buono questo Lare, questo Dio, e per superstizione sono tornata in chiesa. Da don Fabio mi sono confessata. Il problema non erano tanto gli errori che avevo commesso: il vero peccato, la radice di tutto, era l’essermi separata volutamente da Dio, l’aver rinnegato quell’amore. Quella era la condizione che mi aveva portato ad agire dando ascolto ad altre voci, impelagandomi in una vita senza soluzioni.
Alla fine della confessione ho detto al sacerdote che ero incinta e convivevo con un uomo separato. Non mi rendevo conto della gravità di quello che stavo dicendo, il sacerdote non poteva assolvermi: trattandomi con un grandissimo amore, senza fare sconti, mi ha spiegato come tutti i sacramenti sono collegati tra loro, che cosa significava essere uniti in una carne sola per sempre; la Chiesa mi accoglieva: ‘Proprio tu Beatrice, nella tua condizione e così come sei, sei chiamata alla santità! Credi a questo?’ io ci ho creduto e ho risposto: ‘Come posso fare?’. ‘Vieni a messa tutte le domeniche, poi fra poco ricominciano i Dieci comandamenti… Non ti preoccupare, il Signore ti indica la strada!”.
E poi?
In questi 15 anni ho visto un’opera meravigliosa che Dio ha compiuto. Pierpaolo per tanto tempo non ha voluto affatto convertirsi, argomentava il suo ateismo con delle tesi inattaccabili. Ad un certo punto, tanto mi ero innamorata di Gesù che ho pensato di lasciarlo: ero certa che non avrei mai potuto ricevere la comunione se fossi rimasta con lui, e questa era una sofferenza grande. Mentre stavo prendendo questa decisione, io, che di Bibbia ero poco pratica, mi sono trovata a leggere il versetto preciso di una lettera di San Paolo: “Se un nostro fratello ha la moglie non credente e questa consente a rimanere con lui, non la ripudi; e una donna che abbia il marito non credente, se questi consente a rimanere con lei, non lo ripudi: perché il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente”. In quel momento avevo due possibilità: credere o pensare che fosse una coincidenza. Ho creduto a quella parola e Dio è stato fedele. Dopo sette anni Pierpaolo e io ci siamo sposati in chiesa, dopo che il suo primo matrimonio era stato riconosciuto nullo.
Quali sono state le difficoltà e i bei momenti della vita di compagna e poi moglie di Pierpaolo? Come si sono rinnovate queste relazioni?
Il percorso dei fidanzati cristiani noi l’abbiamo fatto al contrario, perché ormai avevamo già due figli, Maria Lucia e Fabio. Ad un certo punto però ho chiesto a Dio il dono di un fidanzamento casto. Ho parlato con Pierpaolo, che mi ha seguita a scatola chiusa. Era un salto nel buio, ma siamo stati subito confermati.
Con tutte le difficoltà, abbiamo dominato il desiderio confidando che il Signore ci avrebbe dato qualcosa di più grande, una sessualità aperta alla vita e partecipe alla creazione del mondo, una cosa così straordinaria… Proprio io, che avevo sciupato tutto, che avevo avuto rapporti disordinati e non avevo capito nulla, ho potuto scoprire tanta bellezza. Non si trattava di rinunciare al piacere, ma anzi, nella fedeltà e nella grazia santificante del matrimonio, ho imparato finalmente che cosa vuol dire fare l’amore, e quanto sia bello avere una relazione che cresce senza mai esaurirsi pur con momenti di crisi.
Come è cambiato, dopo la conversione, il tuo modo di affrontare l’attività artistica?
Ho chiesto a Dio di far diventare il mio lavoro un servizio, non la fonte della mia realizzazione: ero stufa di rincorrere le persone. Se Lui vorrà che io mantenga una soglia di popolarità che possa essere utile per portare la bellezza di avere scoperto il suo amore, allora troverà il modo di darmi occasioni; da parte mia ci deve essere l’intenzione di dare il meglio. Se dedicarmi al lavoro da cristiana dovrà costare umiliazioni o rinunce non me lo sto più domandando: è cambiato questo atteggiamento nei confronti del lavoro, sono libera.
Cosa hai conservato della tua esperienza passata e cosa hai sperimentato dopo la conversione?
Sono sempre io, continuo a combattere con le mie difficoltà. La cosa bella però è che non mi fustigo più, ho imparato sulla spinta dell’amore a cercare di cambiare, non per dovere o moralismo. Noi rimaniamo come siamo, ma è come se venissimo trasfigurati, prima di tutto cambiando il nostro occhio verso gli altri, cioè allenandoci ad accogliere negli altri quella bellezza che a volte loro stessi offuscano. È un percorso, non un cambiamento netto. Io non credo ai cambiamenti netti, ma ad una continua scoperta. Fa tutto Dio, tu puoi stupirti dei risultati: sapere che lui sta conducendo la tua vita è la libertà più grande, e non significa deresponsabilizzarsi, ma anzi, assumersi la possibilità di essere padre o madre fino in fondo, marito o moglie, genitore e amico fino in fondo.
(20 Luglio 2015) © Innovative Media Inc.