Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?, di Andrea Lonardo
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (14/6/2015)
Gesù è venuto a guarire con la misericordia di Dio il nostro cuore ferito dal male che abbiamo compiuto. Perché talvolta il male che più pesa sul nostro animo non è quello che abbiamo ricevuto, ma quello che abbiamo inferto ad altri.
Il pensiero moderno pensa di guarire l’uomo convincendolo che egli non commetta mai alcun male, che le sue scelte che hanno fatto soffrire altri siano in fondo state determinate dalle circostanze perché tanti al suo posto avrebbero fatto lo stesso.
La parola “peccato” – che implica libertà e la responsabilità – è come scomparsa dal linguaggio comune: le si preferiscono termini come “difetto”, “errore”.
Ma evitare di menzionare il peccato comporta in realtà la scomparsa di ogni vero significato delle scelte umane e la conseguenza dissoluzione di ogni vera dignità dell’io: “peccare” è, invece, la scelta che avremmo potuto evitare e che pure abbiamo compiuto, come ben sappiamo nella nostra coscienza.
Chi conosce l’animo umano, come un confessore, sa bene che all’anniversario di un grave peccato commesso talvolta il penitente che si è già confessato è come spinto a chiedere ancora perdono, tornando sul male commesso, nonostante tante rassicurazioni, nonostante tante parole di consolazione già ricevute. Perché il male compiuto è come un tarlo nella memoria.
C’è una seconda esperienza che ci ricorda che il male è male: ci appare evidente ogni volta che qualcuno lo commette contro di noi. Se anche scusassimo eternamente noi, ci accorgeremmo con evidenza sempre che la persona che ci ha ferito avrebbe potuto fare diversamente, avrebbe potuto evitare, ad esempio, un tradimento, nonostante le scusanti che talvolta invoca e che pure ha.
Paradossalmente ogni volta che si nasconde il peccato, invocando una circostanza che avrebbe reso inevitabile compierlo, piuttosto che aiutare la persona che ha sbagliato la inchiodiamo alla tristezza, impedendole di sfogarsi, di misurarsi con il vero motivo del proprio dolore.
Come insegna la psicologia, ciò che viene nascosto nell’inconscio non scompare, ma riemerge sotto forma diversa.
Solo il peccato confessato e il conseguente perdono hanno il potere di guarire l’animo umano. Gesù è venuto per il perdono. È venuto fra gli uomini perché il suo perdono ha il potere di cambiare anche ciò che è apparentemente impossibile cambiare: il passato. Solo cambiare il passato - ciò che è impossibile agli uomini - apre la strada a scelte nuove.
Nell’incontro con il paralitico, dopo che Gesù ha pronunciato la parola dell’assoluzione per lui più importante della guarigione fisica, la gente esclama: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?» (Mc 2,7). Per capire il dono della misericordia non possiamo trascurare di capire la serietà del male compiuto. Gran parte della cultura contemporanea vorrebbe spingere l’uomo all’oblio del male che da lui è dipeso: dinanzi a questo maldestro tentativo è liberante l’immensa domanda: « Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». Perché solo Dio può cambiare il passato, solo Dio può cambiare ciò che è stato irrevocabilmente compiuto.
Per comprendere la serietà di questa domanda bisogna riandare a qualche esperienze di vita in cui il male è stato tragicamente grande, come la storia seguente che gli stessi protagonisti mi hanno autorizzato a raccontare per aiutare altri. Un giorno una coppia di giovani fidanzati prese la tragica decisione di abortire dopo una gravidanza inattesa. Lei si confesso subito, mentre il ragazzo si diceva e diceva al confessore: «Che senso ha confessarsi, se quel bambino non tornerà mai in vita? Che senso ha confessarsi, se la scelta ormai è stata fatta e non si può tornare indietro?». Il suo carattere gioioso ed ironico si era mutato in un permanente atteggiamento cinico: i suoi amici non comprendevano quel mutamento di temperamento, perché non sapevano cosa gli era accaduto. Passarono gli anni e ad ogni anniversario il pensiero di quella scelta ormai irrimediabilmente fatta, lo tormentava. Un giorno, passeggiando, si immaginò però - ed era la provvidenza di Dio a guidarlo a quello sguardo nuovo - che quel bambino dal cielo gli sorrideva e lo perdonava, riconoscendolo come padre ed invitandolo ad avere un giorno figli, non al suo posto, anzi proprio perché lui era già vivo e felice nel Paradiso di Dio. Quel giovane allora si confessò, avendo compreso che il perdono non era un inganno: il perdono può essere donato da Dio, perché Egli ha il potere di cambiare il passato, ha il potere di rendere felice anche un bambino non nato in terra. Dio è capace di conferire felicità ad una persona che noi abbiamo offeso, restituendola alla pienezza della vita.
Per questo solo Dio può rimettere i peccati: solo Lui può riparare il male commesso.
Ed ecco, allora, emergere ancora una volta la realtà misteriosa di Gesù. Egli invita non ad una generica benevolenza verso se stessi, bensì dona il perdono steso di Dio, Egli è il perdono stesso di Dio.
La suprema autorità di donare il perdono che Gesù ha ricevuto dal Padre, quella misericordia per la quale Egli è venuto, emerge in tanti episodi del Vangelo. Merita ricordare almeno il suo incontro con l’adultera. Egli la perdona, a differenza dei suoi contemporanei venuti per lapidarla secondo il dettato letterale dell’Antico Testamento. Gesù, dopo aver ricordato a tutti che, se ogni uomo dovesse essere giudicato unicamente a partire dalle proprie opere e non alla luce della grazia, nessuno sarebbe esente da colpa e tutti dovrebbero essere condannati.
Gesù, che non è il coniuge ferito dal suo adulterio, le offre il suo perdono, perché quel perdono è il perdono stesso di Dio che la raggiunge e la invita: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).
Gesù volle poi donare l’autorità liberante della sua misericordia, come di tutte le sue cose più belle, alla Chiesa perché permanessero nella storia con la potenza dello Spirito Santo.
Per questo, dopo la resurrezione, disse ai suoi: «“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”» (Gv 20,21-23).
La concretezza della sua misericordia, una volta originata in terra, prosegue così la sua corsa ed abbraccia il tempo. L’evento dell’Incarnazione conferisce a ciò che avviene in terra ormai uno spessore incredibile: il perdono conferito in terra ha ormai valore in cielo. II perdono e la misericordia così non sono più solo pensate o sognate dal momento della venuta del Signore in terra, ma vengono celebrate e ricevute da quella parola semplice e nuova: «Ti assolvo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
È Dio che non si stanca di perdonare, mentre noi troppo spesso ci stanchiamo di chiedere perdono: Egli ci viene incontro nella liturgia che, come insegna la nuova visione personalistica fatta propria dal Concilio nel documento Sacrosanctum Concilium, è la presenza viva di Cristo nel tempo, del Cristo che agisce ed opera ora nella sua Chiesa.
Una delle follie del nostro tempo è di insegnare schizofrenicamente che tutto può cambiare in una persona se verbalizza dinanzi al suo psicoanalista il suo passato e che niente invece cambia se il peccato viene pensato nel silenzio del cuore e non detto dinanzi ad un sacerdote.
Nella Confessione, invece, ognuno di noi riceve la certezza del perdono e ne riceve il segno sacramentale, dove la grazia invisibile e quella sensibile si abbracciano e si comunicano.
Un convertito in età adulta, Leonardo Mondadori, ha scritto: «L’ho già detto ma mi preme ripeterlo: la confessione ben fatta, sincera, completa, è tra le maggiori fonti di gioia che un uomo possa sperimentare. Hai la certezza di essere riaccolto nella casa del Padre: riconciliato con Lui, con te stesso, con gli altri. Anche, forse soprattutto in questo, mi sento profondamente cattolico: non mi basta fare i conti a tu per tu con Dio Ho bisogno di quello strumento umano, che mi testimonia il perdono e la misericordia divina, che è il sacerdote. Naturalmente è una gioia che nasce dalla sofferenza che costa il mettersi così a nudo, nella propria miseria. Esaminarci sulle nostre colpe, assumercene l’onere, ci aiuta a recuperare quel senso di responsabilità che rischiamo di perdere; ci confronta beneficamente con la verità su noi stessi, senza alibi e senza scuse ideologiche e sociologiche. È stato il realismo cattolico, il suo richiamo alle responsabilità di ognuno, che mi ha aiutato e mi aiuta a stare lontano da ogni vittimismo, da ogni giustificazionismo da sociologo “alla Rousseau” o da psicologo “progressista”, per il quale ogni colpa è della società, dell’educazione, delle circostanze, magari del governo. In ogni caso, degli altri. Non esistono soltanto “problemi” che, per definizione, possono trovare una soluzione, come vorrebbero indurci a credere. Ci sono cose, tante cose - troppe, se guardiamo al nostro desiderio di felicità terrena -, che sono irrimediabili, alle quali non si può sfuggire e che possono essere non solo sopportate ma trasfigurate guardando a quel Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. Quel Dio che, facendosi uomo tra gli uomini, non è venuto a distruggere la croce ma a prenderla sulle spalle e, alla fine, a stendervisi sopra».
Fra l’altro, la confessione dinanzi ad un sacerdote ci ricorda che il nostro peccato non ha ferito solo il nostro rapporto con Dio, ma anche quello con la comunità. Giustamente ci scandalizziamo quando qualche importante uomo di Chiesa commette un peccato, perché sappiamo bene che i suoi gesti condizionano anche la nostra vita e lo splendore della testimonianza cristiana. Ma dimentichiamo di essere tutti insieme un popolo e che ogni gesto di un santo ci fa crescere, così come ogni peccato ci porta tutti un po’ più in basso.
Ebbene questo è vero anche a livello spirituale e non solo visibilmente: Gesù ci insegna che il suo amore ci salva, così come l’intercessione di Maria e dei Santi, perché tutto nella Chiesa si comunica come per osmosi. Così quel prete che ci dona l’assoluzione ci dona anche il perdono della Chiesa intera che è stata ferita dal nostro peccato, il perdono di quella Chiesa che è più pesante per il male che abbiamo commesso, e che torna a sollevarsi con la confessione dei nostri peccati.