Il 25 aprile in arcivescovado, di Giovanni Sale
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Riprendiamo dal sito della rivista Jesus un articolo di Giovanni Sale, scrittore di Civiltà cattolica, pubblicato sul numero dell’1/1/2005. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti. vedi la sotto-sezione Il Novecento: il fascismo e il nazismo, la resistenza e la liberazione, nella sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (25/4/2015)
Piazza Duomo a Milano il 25 aprile 1945.
Il 30 agosto del 2004 si è compiuto il cinquantesimo anniversario della morte dell’arcivescovo di Milano, cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, che resse la diocesi ambrosiana nei tragici anni della seconda guerra mondiale e in quelli della faticosa ricostruzione postbellica. Il cardinale Schuster è stato certamente uno dei vescovi italiani più attivi e infaticabili nell’esercizio della carità evangelica verso tutti e nella strenua difesa dei valori cristiani di pace e di fraternità in un tempo in cui eserciti che professavano la stessa fede si affrontavano con mezzi di distruzione mai visti prima. Il grado eroico delle sue virtù cristiane è stato riconosciuto dalla Chiesa nel maggio del 1996, quando Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato.
Raramente gli storici moderni si sono soffermati a rimarcarne, come invece meriterebbe, l’importanza che il cardinale Schuster ebbe come pacificatore e "mediatore" tra le due parti in lotta (nazifascisti e Alleati), soprattutto negli ultimi mesi di vita della debole e screditata Repubblica di Salò. Tale pregiudizio storiografico è dovuto a quell’impostazione ideologica, che per lunghi anni in Italia ha cercato di strumentalizzare i fatti della Resistenza e della lotta di liberazione a fini di lotta politica, cancellando, o meglio obliando, tutte le altre vicende che in qualche modo non rientravano in tale schema predefinito.
Per decenni in Italia si ripeté che soltanto i partiti di sinistra avevano lottato per la liberazione del Paese e che la Chiesa italiana e i suoi vescovi erano stati filofascisti. La realtà è invece che furono tanti in quei terribili anni di guerra i vescovi italiani che fecero tutto il possibile, anche mettendo a rischio la propria vita, per proteggere la porzione di "gregge" loro affidata dalle continue azioni di rappresaglia, dai bombardamenti e dalla fame. Durante quegli anni, molti ebrei e partigiani ebbero salva la vita perché trovarono ospitalità presso case religiose o nelle parrocchie, mentre molti vescovi si adoperarono per chiedere la grazia nei confronti dei condannati a morte per motivi politici (l’arcivescovo di Milano l’ottenne per il giornalista Indro Montanelli e molti altri). L’azione che svolse in quegli anni il cardinale Schuster va però ben oltre tutto questo, e merita perciò l’attenzione della cosiddetta storiografia ufficiale.
Un recente lavoro di monsignor Luigi Crivelli, intitolato L’ora di Barabba. Il cardinal Schuster nella seconda guerra mondiale (San Paolo, pp. 150, € 13), fa giustizia di molte precomprensioni e ci presenta la figura del vescovo ambrosiano secondo un’esatta prospettiva storica. In particolare il libro tratta del periodo della Repubblica di Salò (1943-1945) che ebbe in Milano il suo centro più importante sotto il profilo politico ed economico e nel suo arcivescovo il referente religioso più autorevole. Dopo il 5 giugno 1944 (liberazione di Roma), che spostò più a nord la linea di demarcazione tra le due Italie, assoggettate a due regimi politici differenti e antagonisti, Schuster svolse una preziosa opera di collegamento tra Nord e Centro. Il cardinale aveva ricevuto dal Papa l’incarico di sovrintendere alle diocesi del Nord, ormai isolate dal resto della penisola. I collegamenti di Milano con Roma furono comunque assicurati attraverso la nunziatura di Berna, a quel tempo tenuta del dinamico monsignor Bernardini, così che il Papa fu costantemente tenuto al corrente di quanto accadeva nelle diocesi del Nord e in particolare a Milano, divenuta ormai la capitale politica di quella parte d’Italia: sia per i nazifascisti sia per il movimento antifascista che lì aveva il suo centro propulsore.
Il 1944 fu un anno molto difficile per Milano, certamente peggiore dello stesso 1943, quando durante l’estate la città era stata ripetutamente bombardata dagli Alleati. Il 20 ottobre 1944 centinaia di bambini perirono in una scuola colpita dall’aviazione alleata: un fatto che colpì a morte i milanesi e fece crollare il morale della popolazione. In città iniziarono a mancare i beni di prima necessità, mentre fioriva il mercato nero. Schuster, come aveva fatto precedentemente, istituì nuove opere di soccorso e chiese al Vaticano autocarri targati SCV in modo che potessero circolare liberamente nella città e portare ovunque gli «aiuti umanitari». Nel marzo del 1945 la Santa Sede inviò 7 autocarri (altri ne furono aggiunti dallo stesso arcivescovo ambrosiano) con targa vaticana.
Davvero importante fu il ruolo che l’arcivescovo di Milano svolse nelle vicende del 25 aprile 1945 per predisporre una "resa" onorevole dei tedeschi occupanti e dell’esercito della Rsi, al fine di evitare la tragedia di una "guerra guerreggiata" per le vie di Milano, che si sarebbe certamente trasformata in una carneficina e in un’ecatombe per la città. Tali attività compiute dall’arcivescovo in quelle frenetiche e tumultuose giornate sono ampiamente documentate nel libro Gli ultimi tempi del regime (a cura di I. card. Schuster, Milano, 1946). Nella prefazione, scritta dallo stesso Schuster, e datata il 10 maggio 1945, tale impegno è designato come una forma specialissima di «attività pastorale», svolta per la salvezza del popolo, «durante i ripetuti colloqui avuti nel semestre scorso con l’ambasciatore di Germania, col console generale del Reich a Milano, colle autorità partigiane, col maresciallo Graziani, e finalmente col Duce medesimo la vigilia della sua caduta».
Attraverso tale rete di relazioni l’arcivescovo intendeva da una parte convincere i tedeschi della necessità di una resa. A tal fine, già agli inizi di febbraio incaricò don Giuseppe Bicchierai di trattare in suo nome con le autorità germaniche per impedire le «decise distruzioni», e in particolare perché nel ritiro delle truppe «si evitino tutti quei danni agli impianti di luce, d’acqua e di energia, che, mentre renderebbe assai difficile la vita delle popolazioni, si risolverebbe in grave danno morale e politico per gli stessi dannificanti». Dall’altro egli cercò di convincere i dirigenti del Cln-AI (Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia) ad abbandonare la prospettiva di un’insurrezione armata contro i tedeschi al momento del loro ritiro, la quale avrebbe provocato una forte reazione, come era avvenuto nei mesi precedenti nel centro Italia.
La difficile trattativa di resa iniziò già nel mese di marzo 1945, quando Mussolini, per mezzo di suo figlio Vittorio, incaricò il cardinale Schuster di trasmettere, attraverso la Santa Sede, agli Alleati la sua proposta per un cessate il fuoco. La risposta, che giunse attraverso la nunziatura di Berna, arrivò l’11 aprile, e fu tanto breve quanto perentoria: «Consta alla Santa Sede», scriveva monsignor Tardini, «che Alleati non intendono entrare in trattative ed esigono resa senza condizioni». Il contenuto del messaggio non fu fatto conoscere a Mussolini perché, scrive monsignor Crivelli, le cose ormai avevano preso una piega tale che si «stimò miglior consiglio non parlarne più».
I tedeschi, ormai persuasi che la guerra fosse irrimediabilmente persa su tutti i fronti, nei primi giorni di aprile decisero di negoziare la resa; a tale scopo il generale Wolff prese contatto con il cardinale Schuster, volendo formalizzarla davanti a lui, «per non riconoscere formalmente l’autorità della Resistenza». Il generale si obbligò a firmare la resa dell’esercito tedesco di stanza in Italia entro il mezzogiorno del 25 aprile: a partire da quel momento i soldati germanici si sarebbero rinchiusi nelle loro caserme. Egli accettava così, come egli stesso disse, di deporre le armi nelle mani dell’arcivescovo.
La cronaca della giornata del 25 aprile 1945 – data di alto valore simbolico della nostra storia – ha come luogo privilegiato il palazzo arcivescovile di Milano: è lì infatti che si giocò l’ultima partita tra nazifascisti e ciellenisti; partita che ebbe come protagonista di primo piano – con buona pace di Riccardo Lombardi, Giorgio Bocca e altri – il cardinale Schuster, accettato concordemente dalle due parti come "mediatore" imparziale.
La mattina presto del 25 aprile il cardinale era stato nella chiesa di San Vittore per la funzione delle Litanie maggiori. Quando ritornò in arcivescovado, «vi trovai», raccontò più tardi, «i rappresentanti delle truppe germaniche che venivano a negoziare la resa per il mezzodì di quello stesso giorno». Conclusa tale operazione, si decise che la resa sarebbe stata formalizzata dal generale Wolff, che sarebbe venuto in arcivescovado quello stesso pomeriggio tra le 16 e le 18. Nel primo pomeriggio era invece previsto l’incontro con Mussolini, che in un primo momento aveva preteso che il cardinale venisse in prefettura a discutere la questione. Schuster però gli mandò a dire che ciò gli era proibito dal protocollo.
Il cardinale era certo che anche i fascisti avrebbero deposto le armi, per avere salva la vita, come i tedeschi, e fece anche preparare una camera per ospitare Mussolini, «che supponevo», scrisse, «sarebbe rimasto prigioniero di guerra colle consuete garanzie internazionali sancite dall’Aja». Il Duce arrivò all’incontro puntuale e, in attesa che sopraggiungessero tutti i capi del fascismo, avvisati soltanto all’ultimo momento, ebbe un lungo colloquio col cardinale, che lo pregò di accettare la capitolazione che gli veniva offerta per risparmiare alla nazione un’inutile strage, e avere anche insieme ai suoi salva la vita. Una richiesta cui Mussolini parve acconsentire.
Durante l’incontro tra i capi del fascismo di Salò e i rappresentanti del Cln-AI non mancarono momenti di forte tensione. In particolare quando i rappresentanti dei Cln-AI chiesero la resa senza condizioni, sembrò che si dovesse arrivare alle armi: per questo fu chiesto preventivamente a Schuster di presenziare a tutto l’incontro. Alla fine il Duce parve cedere e accettare le condizioni poste. Fu allora che il generale Graziani disse che la resa non poteva essere accettata senza prima informarne i tedeschi; ma qualcuno dei presenti, riportando notizie di corridoio, fece presente che questi avevano già accettato la capitolazione.
A questo punto Mussolini, con gesto teatrale, disse: «Mi hanno tradito». Il cardinale cercò di spiegare al Duce che non c’era stato tradimento e che i tedeschi avevano soltanto discusso le condizioni della resa, di fatto non ancora formalmente sottoscritta. Mussolini, irato, rispose: «Non fa nulla, aver iniziato delle trattative a mia insaputa, costituisce già un tradimento». Il Duce chiese la sospensione dell’incontro per un’ora e uscì con i suoi dalla sala.
La discussione tra i rappresentati del Cln-AI e dei partiti politici continuò animatamente. Infine fu comunicato dalla prefettura che Mussolini era partito da Milano e che «aveva ordinato di dare a suo nome una risposta negativa».
Conosciamo quale fu l’epilogo tragico di quella precipitosa fuga del Duce e della sua amante, Claretta Petacci, verso la Valtellina, ancora saldamente in mano tedesca, e della sorte che lo aspettava a Dongo. Se quel pomeriggio del 25 aprile Mussolini avesse accettato i consigli dell’arcivescovo di Milano e le condizioni di resa dei rappresentanti del Cln-AI, la sua storia personale avrebbe avuto un epilogo diverso. «Se avessero ascoltato il mio consiglio», scrisse Schuster, «sarebbe stato possibile raccontare diversamente la storia della liberazione dell’Alta Italia», perché «sul tavolo della futura pace noi avremmo potuto francamente giocare questa carta: il popolo lombardo con l’aiuto di Dio, non ha atteso gli Alleati, ma si è liberato da sé. Non dunque si allinea tra i conquistati e vinti, ma tra i vincitori».
Forse si sarebbe evitato che dopo la liberazione molto sangue fosse versato (nella sola Milano furono uccise in pochi mesi più di mille persone); o, se non altro, sarebbe stato meno violento il conflitto tra vincitori e vinti. Non siamo certi, invece, come pensava Schuster, che tale fatto avrebbe in una futura conferenza di pace giovato alla causa italiana. Di fatto, per gli Alleati, in particolare per gli inglesi e per i russi, l’Italia rimase una nazione vinta, e come tale fu trattata nelle assise internazionali quando si trattò di scrivere il Trattato di pace.