1/ “Vi racconto Pablo, tra genio e mercato”, di Marc Chagall 2/ “Il mio ritorno alla Bibbia”, di Marc Chagall
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1/ “Vi racconto Pablo, tra genio e mercato”, di Marc Chagall
Riprendiamo da i Luoghi dell’infinito di Avvenire di novembre 2014, p. 15, un testo di Marc Chagall tratto dal catalogo della mostra in corso a Palazzo Reale a Milano Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985. Giunti/24 Ore Cultura. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Su Marc Chagall, vedi su questo stesso sito:
- Marc Chagall in À la Russie, aux ânes et aux autres, di François Lévy-Kuentz. Appunti di Andrea Lonardo
- Chagall, la Bibbia in un sogno. Nei dipinti e nei numerosi pastelli preparatori dedicati dal pittore ai temi sacri si sublima tutta la sua arte lieve e sospesa, ma proprio per questo più vera, di Elena Pontiggia
- Chagall ha colto il legame col Paradiso. Non solo memoria per i nostri morti ma trasferimento d'amore, di Cristian Carrara
- Decidersi (da Marc Chagall)
- Da Chagall a Majakovskij, gli artisti annientati dal regime che avevano esaltato. L'idillio con la Rivoluzione, un tragico equivoco, di Sergio Romano
- Arte e Torah, il divieto fecondo, di Massimo Giuliani
Il Centro culturale Gli scritti (23/11/2014)
Picasso lo conobbi quando tornai a Parigi nel 1923, in occasione di una cena a casa del dentista Kričevskij. Lui si presentò in smoking, accompagnato dalla moglie russa, una danzatrice della compagnia di Djagilev. La sua arte mi era così estranea. Tutto di lui mi era estraneo. Aveva una grande capacità lavorativa, ma a che serviva una simile passione per la quantità? Tanto non si riesce ad avere la meglio su se stessi. Può darsi che fosse proprio questa quantità a rassicurarlo in qualche modo. Aveva paura della morte, come tutti a questo mondo. Con la quantità, forse, sperava di ripararsi dalla morte. Aveva una passione di raffigurare sempre i suoi soggetti in forma "caricaturale". Prendeva il vostro viso, e in preda a un'esaltazione diabolica, con cattiveria, cominciava a deformarlo. A dispetto di tutto il mondo. Picasso aveva detto a qualcuno, forse a Françoise Gilot, che a quanto si sentiva dire, Chagall doveva avere un angelo in testa... Grazie, non è che questo mi faciliti le cose. Ma certo, per la verità Picasso considerava il mio lavoro in modo piuttosto positivo. Per alcune cose era geniale.
Ma, Dio mio, com'erano tremendi i suoi quadri! Come la faccia della morte. Nessuno mai, nella storia dell'arte, aveva avuto nei propri dipinti volti come questi. Forse qualcuno saprà comprendere perché fosse così infelice mentre aveva tanto successo. Quando lo incontravano, molti era come se perdessero l'equilibrio. Io quando andavo a trovarlo avrei voluto esprimere il mio parere, come facevo con Matisse, Braque o Bonnard. Ma guardando le sue tele provavo soltanto tristezza, senza volere mi veniva da pensare alla morte. Forse è un difetto mio. Quando Picasso mi mostrava i suoi lavori, i paesaggi, le nature morte delle pitture su vernice nella cappella di Vallauris, non riuscivo a esprimergli "entusiasmo". "Se mi piace?" Passavo il dito sullo strato di vernice su cui erano distribuite macchie e linee. "Perché mai adopera il colore che si usa per verniciare le navi?". "E perché no?" rispondeva lui. Ma era impossibile riuscire a convincermi, con simili colori non sarebbe riuscito a raggiungere le finezze di Matisse. A dire il vero, su tutto dominava la composizione e la forza della pennellata. In seguito ci incontrammo spesso a Vallauris, nel laboratorio di Ramier, dove entrambi lavoravamo la ceramica. Gli artigiani preparavano per lui decine di uccelli o di qualcos’altro, e sul momento lui, con un dito, faceva una correzione ora sul collo, ora sulla zampa, e subito passava a occuparsi della serie successiva. E probabilmente, sempre per la smania di realizzare quanto più possibile. Erano motivo di stupore non soltanto la destrezza, la forza decorativa del tratto e delle macchie, che dovevano tuttavia essere eseguite così che non fossero troppo vistose, e in modo che gli operai potessero sul momento ricavarne le copie per la tiratura: a tal punto arrivava questa sete per la quantità. Una volta entrai nel laboratorio, dove lui stava a esaminare tutte le sue lastre, le teneva fra le mani. "Ecco, Chagall io ho scoperto un metodo nuovo per colorare la ceramica, soltanto, guarda, se dovessi utilizzare questo metodo dovresti darmi dei soldi".
Non sapevo se stesse scherzando oppure no. Mi bastava vedere Picasso a pranzo dal mio amico Tériade, l'editore, nella sua villa sul mare a Cap Ferrat. C'erano dodici invitati. A Mosca era l'epoca del realismo socialista. Picasso era seduto di fronte a me, e ci guardavamo. Qualcuno ci teneva d'occhio. Senza volere, ci trovammo a riflettere su argomenti di politica artistica.
Io gli dicevo: "Picasso, ora lei è un comunista, eppure non è ancora possibile esporre le sue opere a Mosca. Stalin non lo permette".
La risposta di Picasso: "Io di Stalin me ne frego". Dopo pranzo, in giardino, con la tazzina del caffè in mano, Picasso corse da me e mi disse tutto agitato: "Ascolti, Chagall, io però non dipingo mica quadri per i comunisti". Io gli risposi: "Peccato che non lo faccia, se è un comunista".
Il giorno dopo, sulla rivista ''Lettres françaises" comparve un disegno di Picasso in occasione della festa di Stalin: il suo ritratto con la scritta: "Viva Stalin!"
(tratto dal catalogo della mostra in corso a Palazzo Reale a Milano Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985. Giunti/24 Ore Cultura)
2/ “Il mio ritorno alla Bibbia”, di Marc Chagall
Riprendiamo da i Luoghi dell’infinito di Avvenire di novembre 2014, p. 22, un testo di Marc Chagall tratto dal catalogo della mostra in corso a Palazzo Reale a Milano Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985. Giunti/24 Ore Cultura. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (23/11/2014)
Nel 1931 accettai l'invito di Meir Dizengoff il sindaco di Tel Aviv, e fu come se vedessi qualcosa con gli occhi dell'anima, quasi fossi nato il giorno prima e da Vitebsk mi fossi spostato con un balzo in terra biblica. E fra le rocce e le grotte, in quell'aria, sullo sfondo di quel paesaggio, riconoscevo e vedevo i profeti vicini a me. Vitebsk si staccò da me ancora e ancora, allontanandosi nell'aria, e mi parve, di apprendere un nuovo contenuto di questo mondo, quel contenuto che il mondo non vuole riconoscere. Qual era l'artista che non si fosse ispirato alla Bibbia? Ma io vedevo i miei antenati per la prima volta, e mi sembrò che il mio colore fosse il loro colore, le mie facce fossero le loro facce.
In terra ebraica è come se avessi scoperto un qualche segreto del nostro povero mondo. Quale? Forse qualcosa di equivalente a quei mazzi di fiori, ai pigmenti floreali degli innamorati, che avevo scoperto a Nizza ritornando dalla Russia. Ma lo spirito biblico è più profondo del mondo floreale; non dipende dalle stagioni dell'anno. Né Shakespeare, né Dante, né Cervantes, nessuno è arrivato all'altezza poetica, artistica e morale della Bibbia. Non basta sentirsi sulle labbra il sapore di una simile verità. Non è che impedisca di essere più o meno felici, e neppure di dominare sugli esseri umani, né di far paura ai deboli. Quel che ho scoperto in terra biblica a prima vista può apparire insignificante. Sebbene questo sia un libro che gira per il mondo in milioni di copie, il sogno che contiene è come se fosse sotto chiave, sommerso nelle lacrime di millenni. Promette una libertà diversa, un altro senso della vita. Io mi aggiravo sulla terra come lavato. Se in precedenza non avevo fatto che spargere lacrime sulla mia lontana Vitebsk, adesso invece per me gli orizzonti si erano allargati e camminavo sulla cima di un altro pianeta, un pianeta del cuore. È raro che l'arte mi offra una gioia così profonda. Come se avessi messo la mano, per caso, nella mano di un vecchio, di un profeta. Mi pareva di vederla sporgere da una fessura nella roccia. Lui mi accarezzava la mano, sentivo su di me la sua millenaria tristezza. Nei suoi occhi vuoti si affacciavano domande alle quali non c'è risposta. E le angosce dell'umanità, e le sue arti, mi parevano lontane, effimere. Mi tornò alla mente mio padre, che la sera se ne stava seduto da solo nella sinagoga, e ascoltava in silenzio la dottrina impartita da altri. A mio padre non veniva neppure in mente di aprir bocca per domandare spiegazioni. Non ne era capace. Gli pareva che il suo silenzio si muovesse tanto più veloce del suono, e risplendesse come una stella notturna.
(tratto dal catalogo della mostra in corso a Palazzo Reale a Milano Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985. Giunti/24 Ore Cultura)