Così Papa Roncalli superò gli schemi. L’enigma secondo il futuro Benedetto XVI: Giovanni XXIII si definiva un sacco vuoto ma diede una svolta alla storia della Chiesa, di Joseph Ratzinger
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Riprendiamo dal Corriere della sera del 25/4/2014 un testo di Joseph Ratzinger. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (25/4/2014)
La grande figura di papa Giovanni rappresenta per molti versi un enigma. Con la sua idea dell’aggiornamento ha creato un nuovo modello conciliare e ha dato una svolta fino ad allora impensabile alla storia della Chiesa del ventesimo secolo. Ma da quali fonti scaturiva questo impulso? Prevale largamente l’impressione che in realtà si sia trattato più che altro di uno sviluppo casuale, del quale il semplice e buon sacerdote di Sotto il Monte non poteva ignorare l’importanza.
Il fatto che lui stesso si sia definito un sacco vuoto che lo Spirito Santo ha riempito improvvisamente di forza, sembra come una conferma diretta di questa teoria dalla sua stessa bocca. Ma quale tra i suoi predecessori avrebbe potuto avere il coraggio, l’autodistacco e l’autoironia, la libertà e la sovranità interiore dinanzi alle pressanti esigenze del ministero papale, per parlare di sé in questi termini, senza temere di compromettere se stesso o il proprio ministero?
Chi di loro, senza l’accuratezza del modo di parlare curiale o teologico, avrebbe potuto esprimere con un’immagine tanto diretta e vigorosa l’esperienza della sola gratia, che qui non viene ripetuta solo perché la si è appresa dai libri, ma viene detta in modo nuovo con vivacità, a partire dall’esperienza personale più matura, evitando tutte le teorie, e che pertanto è talmente emozionante da essere riconosciuta come verità?
Chi riesce a parlare in modo tanto diretto, tanto personale e tanto libero, non è un parroco di campagna portato improvvisamente in alto da un caso della storia, che non sa ciò che fa, ma fa parte dei pochi che sono veramente grandi, i quali, superando tutti gli schemi, sperimentano di persona in modo creativamente nuovo ciò che è all’origine, la verità stessa, e riescono a porlo nuovamente in rilievo. Ritengo che la frase appena ricordata sarebbe da sola sufficiente per assicurare a Giovanni il predicato della vera genialità, senza con ciò rendere non veritiere le parole sul sacco vuoto. Chi davvero prova l’esigenza della grazia, sente anche l’incongruenza di tutti i presupposti umani, che prima di ciò non possono mai essere altro che un «sacco vuoto».
Ma dove affondano le radici di questa grandezza? E qual è il suo vero contenuto spirituale? (...) Willam (autore del libro Vom jungen Angelo Roncalli (1903-1907) zum Papst Johannes XXIII (1958-1963) edito nel 1967 che Ratzinger sta recensendo in questo testo, ndr ) mostra che l’idea dell’aggiornamento rappresenta la sintesi di un’intera vita; in essa si ritrovano tutte le tappe del cammino spirituale di Roncalli.
La cosa più sorprendente, però, è che la radice principale risale al tempo del seminario e si nasconde in una notizia del 16 gennaio 1903, che fa riconoscere una svolta drammatica nella lotta per la santità personale, riflessa nelle annotazioni nel diario. Un’esperienza di profondità incisiva diventa visibile laddove il seminarista bergamasco scrive: «A forza di toccarlo con mano mi sono convinto di una cosa, come cioè sia falso il concetto che della santità applicata a me stesso io mi sono formato».
La forza dell’esperienza personale che si cela dietro queste parole è inequivocabile; si può scorgere in essa quella conversione autentica di Roncalli, che fa del bravo seminarista quel grande che il mondo ha imparato a conoscere a partire dal 1958. Non sorprende, dunque, che proprio in tale esperienza si sia forgiata l’idea che è entrata nella storia come vera opera di quest’uomo e che ha costituito il centro del suo pensiero e della sua azione. Si esprime nelle parole: «Della virtù dei santi io devo prendere la sostanza e non gli accidenti. Io non sono san Luigi, né devo santificarmi proprio come ha fatto lui, ma come lo comporta il mio essere diverso, il mio carattere, le mie differenti condizioni. Non devo essere la riproduzione magra e stecchita di un tipo magari perfettissimo. Dio vuole che, seguendo gli esempi dei santi, ne assorbiamo il succo vitale della virtù, convertendolo nel nostro sangue ed adattandolo alle nostre singole attitudini e speciali circostanze [...]».
Gli elementi decisivi del concetto di aggiornamento nel complesso qui sono già dati, come illustra Willam per mezzo di accurate analisi: la distinzione tra sostanza e accidenti, il rifiuto della «riproduzione magra e stecchita», l’accento posto solo sul «succo vitale», la necessità di adattamento alle attitudini e alle circostanze di vita. Questo però significa: l’idea dell’aggiornamento non era riferita anzitutto alle questioni della dogmatica teologica o al cambiamento e al rinnovamento della Chiesa, ma è radicata nella lotta per la vera forma di santità.
Solo a partire da questo centro può essere intesa concretamente: è questa l’intuizione decisiva per la comprensione della vera volontà di papa Giovanni che emerge qui.(...) Indubbiamente, anche dopo aver rivelato in questo modo il percorso spirituale di papa Roncalli, molte cose rimangono celate nel silenzio dei migliori anni della sua vita. Per esempio, che cosa è accaduto quando, al posto dei santi gesuiti Luigi, Stanislao Kostka e Giovanni Berchmans, Roncalli ha scelto Francesco di Sales come suo santo?
Che cos’è accaduto perché il «passo in avanti» del conte Grosoli diventasse il «balzo in avanti» del Papa del concilio? In che modo Giovanni ha scoperto il compito ecumenico, e in che modo le colpe dei cristiani verso gli ebrei? A partire da dove si spiega quell’inaudito ottimismo, che andrebbe meglio descritto come spiritualità della speranza, in virtù del quale, in occasione dell’inaugurazione del concilio, poté dissentire da quei profeti di sventura, «che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo», e ai quali contrapponeva le sue audaci parole di speranza: «Tantum aurora est; et iam primi orientis solis radii quam suaviter animos afficiunt nostros!» (Constitutiones, decreta, declarationes, p. 870).
Tutto ciò rimane in ultima analisi il mistero di una maturazione, della quale l’eredità scritta del Papa ci fa riconoscere solo alcuni frammenti.
(Rivista «Theologische Quartalschrift», 1968)
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