Hannah Arendt, di Margarethe Von Trotta. Appunti di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (2/3/2014)
Non è stato l’egoismo: è avvenuto invece che la persona umana è stata resa superflua. Questa l’analisi della Arendt, nel sintetizzare le deposizioni di Eichmann.
Ciò che Hitler ha cercato di realizzare è la demolizione dell’essere persona, l’abolizione della responsabilità morale. Eichmann risponde alle accuse affermando che egli svolgeva solo un ruolo, obbedendo a degli ordini, senza porsi la questione delle conseguenze del suoi gesti. Egli organizzava solo le partenze e gli arrivi dei treni, senza porsi la questione della destinazione allo sterminio dei trasporti.
Adolf Eichmann
La sua difesa è chiaramente inadeguata, ma mostra – questo vuole sottolineare la Arendt e la Von Trotta con lei – come Hitler sia riuscito nel suo intento: cancellare nell’uomo la coscienza morale e la libertà al punto che nessuno ritiene più di essere responsabile dei suoi atti.
Questa è la caratteristica del male radicale moderno che lo differenzia dal male dei secoli precedenti, secondo la Arendt: un male di cui nessuno si sente responsabile. Esso avviene sempre a motivo di condizionamenti che sono stati posti altrove e da altri. L’uomo è trasformato in una macchina, in una cosa. Da questo punto di vista il male del tempo moderno, afferma la Arendt, è nuovo e più radicale di ogni altro delitto commesso nel tempo, perché camuffa la sua realtà maligna: nessuno ne vuole portare la responsabilità. Recentemente papa Francesco, raccontando dei peccati di adulterio e di omicidio commessi da Davide, ha spiegato che il re veterotestamentario cercava di rendere “problema” ciò che invece era un “peccato”: l’ammissione della “colpa” è, invece, l’unica e vera via d’uscita dal male.
La Arendt parla, quindi, di un crollo “morale” dell’Europa nel XX secolo. Senza il senso “morale” l’uomo è ridotto a macchina ed è questa cosificazione dell’umano l’obiettivo di Hitler.
Le accuse che dopo la pubblicazione dei suoi articoli vennero rivolti alla Arendt riguardarono il coinvolgimento nel processo della Shoah delle stesse vittime – quella zona d’ombra dei Ghetti e dei Lager che Primo Levi chiamerà la “zona grigia”. La Arendt, invece, intendeva mostrare che proprio questa compromissione di alcune vittime nel processo di sterminio era voluta dal nazismo proprio al fine di de-responsabilizzare i carnefici: trattare dopo la Shoah di quella zona d’ombra non ha, quindi, la finalità di condannare moralmente quelle vittime, ma anzi di mostrare ancor più la perversa concezione di male introdotta nella storia dal nazismo.
La Arendt difende le sue tesi nel film
Nel film emerge la grandezza del pensiero morale della Arendt, quando afferma che il male giunge ad essere radicale, ma rimanendo sempre banale. Solo il bene può essere radicale ed insieme profondo. Il male non crea, bensì toglie la dignità personale invitando a dimenticare la propria responsabilità, per non assumersi l’onere delle scelte.
La Arendt, in alcuni passaggi, commoventi, incontra nuovamente il suo amato Heidegger, connivente con il nazismo, e gli domanda ancora perché non si è assunto la responsabilità di dire “no”: il grande filosofo non le risponde. Hans Jonas, dal canto suo, non la capisce e, al termine di una sua lezione, la critica aspramente.
Hans Jonas nel film
La Von Trotta vuole certamente mostrare anche la complessità della figura della Arendt che, pur essendo filosofa, restò persona e donna. Mentre è accusata di essere arida e razionalista, la si vede ricordare la morte del padre e la fiducia che lui aveva in lei bambina.
La Arendt con il marito nel film
La Von Trotta la ritrae nel suo vissuto familiare, dinanzi al marito, che pure è stato un personaggio discutibile, alla quale lei dice: “Senza baci, non riesco a pensare”.
La Arendt, giovane discepola di Heidegger, nel film
Anche il pensiero che ritorna ad Heidegger, manifesta il suo desiderio di riandare al passato di quell’amore perduto, all’origine della sua passione filosofica, pure tradita dal suo stesso maestro che l’aveva generata.
La Arendt con i suoi amici nel film
La filosofa se, da un lato, afferma che “pensare è un’occupazione solitaria”, d’altro canto ama vivere in famiglia e, ad un’amica, dice: “O prendi gli uomini per quello che sono o vivi sola”. In una lettera scrive dell’amicizia: «Non sono in grado di amare un popolo, amo solo i miei amici».
Il film, bellissimo, vuole essere testimonianza della reale differenza che esiste fra il bello e il brutto, fra il buono ed il cattivo, differenza che risveglia la libertà dell’uomo, chiamato a decidere della sua esistenza a partire dal senso morale che è iscritto in lui e che rivela che il male è radicale proprio perché banale.