Chagall, la Bibbia in un sogno. Nei dipinti e nei numerosi pastelli preparatori dedicati dal pittore ai temi sacri si sublima tutta la sua arte lieve e sospesa, ma proprio per questo più vera, di Elena Pontiggia
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Riprendiamo da I luoghi dell’Infinito di Avvenire (numero di gennaio 2013, pp. 48-53) un articolo scritto da Elena Pontiggia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Su Marc Chagall, vedi su questo stesso sito:
- Marc Chagall in À la Russie, aux ânes et aux autres, di François Lévy-Kuentz. Appunti di Andrea Lonardo
- Chagall ha colto il legame col Paradiso. Non solo memoria per i nostri morti ma trasferimento d'amore, di Cristian Carrara
- Decidersi (da Marc Chagall)
- Da Chagall a Majakovskij, gli artisti annientati dal regime che avevano esaltato. L'idillio con la Rivoluzione, un tragico equivoco, di Sergio Romano
Il Centro culturale Gli scritti (29/9/2013)
M. Chagall, Il Cantico dei cantici
È uscito di recente da Jaca Book Chagall. Il gesto e la parola, un vasto saggio di Pierre Provoyeur dedicato ai pastelli dell’artista conservati nel museo di Nizza: quella pinacoteca che, per volontà di Chagall stesso, si chiama “Museo nazionale Messaggio biblico Marc Chagall”. E già un nome come quello rivela la profonda influenza che la religione ha esercitato sul suo protagonista. È una religione che aveva conosciuto fin da bambino. Chagall era nato nel 1887 alla periferia di Vitebsk, nella Russia Bianca, da una famiglia ebraica. Vitebsk era allora quel piccolo presepio che si vede in tanti quadri dell'artista e nelle sue illustrazioni per le Anime morte di Gogol': intorno alla città antica, con le sue chiese e le sue sinagoghe, si stendevano le isbe, poverissime ma vivacemente colorate, con i muri e le gronde ornate di intagli dipinti.
Il piccolo Moisè (si farà chiamare Marc solo quando si trasferirà a Parigi, nel 1911) era il primo di nove figli. Il padre Zahar lavorava presso un venditore di aringhe. «Sollevava pesanti barili e il mio cuore si raggrinziva come un croccante turco nel vederlo sollevare quei pesi e maneggiare le piccole aringhe con le mani gelate», ricorda l'artista nella sua autobiografia. La madre Feiga-Ita arrotondava come poteva il modesto bilancio familiare. Entrambi erano seguaci del chassidismo: la corrente dell' ebraismo che, in opposizione al razionalismo rabbinico per il quale Dio si conosce attraverso la dottrina e l'intelletto, sostiene una religiosità fondata sull'umiltà, sul misticismo, sullo slancio del cuore. La spiritualità chassidica lascia un segno profondo sul piccolo Moisè.
Dei cinquantamila abitanti di Vitebsk alla fine dell'Ottocento la metà erano ebrei, perché alle comunità israelite era vietato risiedere nelle grandi città come Mosca e San Pietroburgo. Il primo incontro col mondo biblico, con i suoi patriarchi e i suoi re-pastori, per Chagall avviene lì, tra i chassidim di Vitebsk e della vicina Liozno, il villaggio dei suoi nonni, in mezzo ai rabbini col copricapo nero e i filatteri, all'ombra delle sinagoghe che gli apparivano «semplici ed eterne come gli edifici degli affreschi di Giotto», come scriverà nell'autobiografia. Lo zio Neuch leggeva la Bibbia avvolto nello scialle rituale, suo padre Zahar nel giorno del Grande Perdono indossava una veste bianca e non sembrava più un venditore di aringhe, ma il profeta Elia...
E poi i torridi pomeriggi estivi dal rabbino Magilev, dove il piccolo Moisè doveva studiare le Sacre Scritture; le feste delle Capanne e dell'Allegrezza, le immagini dell'Esodo nel libro dell'Haggada ... Sono queste esperienze che gli si imprimeranno nel cuore e che trasfonderà nella sua pittura: quella di argomento religioso, ma non solo. Nell'Autoritratto del 1912, per esempio, Chagall si rappresenta davanti al cavalletto con una mano di sette dita, perché nella tradizione ebraica il sette simboleggia la pienezza del divino e ogni artista ha una scintilla della potenza di Dio creatore.
Sempre nel 1912 dipinge un singolare Golgota, ma il suo vero ciclo di opere d'arte sacra inizia con le tavole della Bibbia, a cui lavora per tutti gli anni Trenta e fra il 1952 e il 1956. Nel 1931 infarti accetta la proposta di Vollard, il più celebre dei mercanti parigini, di illustrare il Libro dei Libri. Subito dopo decide di compiere un viaggio con la moglie Bella e la figlia lda a Haifa, Tel Aviv e Gerusalemme, proseguendo poi (insieme con i poeti Chaim Bialik ed Edmond Fleg, che si aggiungono alla piccola compagnia) per Alessandria d'Egitto e per il Cairo.
Le ragioni del viaggio le spiegherà lui stesso: «Io non lavoro mai di testa. Quando ho dovuto illustrare la Bibbia per Vollard, lui mi ha detto: “Vai in place Pigalle”. Ma io ho voluto vedere la Palestina, ho voluto toccare la terra. Sono andato a verificare certi sentimenti, senza la macchina fotografica, senza neanche il pennello. Nessun documento, nessuna impressione da turista, eppure sono contento (è la parola giusta?) di esserci stato. Là, nelle vie a gradinate, migliaia di anni prima camminava Gesù. Là vanno e vengono verso il Muro del Pianto ebrei con la barba, l'abito blu, giallo, rosso e il copricapo di pelliccia. Da nessun'altra parte ci si sente tanto sgomenti e felici come vedendo la massa millenaria delle pietre e della polvere di Gerusalemme, di Safad, dei monti dove sono sepolti profeti su profeti". In realtà la visione diretta dell'Egitto e della Palestina, dove dipinge addirittura en plein air, gli ispira solo pochi motivi: qualche albero, qualche pozzo, la costruzione della tomba di Rachele, un pastore nomade che sceglie come modello per Giuseppe.
La sua Gerusalemme è quasi un miraggio e non contempla monumenti storici o luoghi riconoscibili. Lui stesso confessa: «lo non vedevo la Bibbia, la sognavo». Eppure aleggia in quei fogli una fragranza di vita vissuta, sia pure trasfigurata sub specie aeterrnitatis. Una palma, una quercia, un mulo, un'anfora, colori nella loro immediatezza, infondono nella composizione un senso di realtà che si mescola con la dimensione metafisica.
Dopo di allora Chagall non abbandona più il tema sacro. Esegue quadri, vetrate, mosaici ispirati sempre al messaggio biblico e nel 1961 disegna tra l'altro le vetrate per la sinagoga di Hadassah a Gerusalemme.
Anche le diciassette grandi tele conservate oggi al Museo Chagall, pur molto più tarde, affondano le radici nell'esperienza delle illustrazioni della Bibbia. Per realizzarle l’artista esegue uno sterminato numero di lavori preparatori, tra cui un centinaio di pastelli (novantanove per l’esattezza, e il numero è forse simbolico) che formano appunto l’oggetto del libro di Provoyeur, studioso fra i maggiori di Chagall e direttore del Museo di Nizza.
Nei pastelli l’artista, con quella grafia lieve e volatile, potremmo dire corsiva, che è caratteristica dei suoi anni ultimi e penultimi (morirà a Saint-Paul-de-Vence nel 1985, aquasi novantotto anni) disegna La creazione dell’uomo, Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso, L’arca di Noè e i principali episodi biblici fino a quando Mosè riceve le Tavole della Legge. Poi si sofferma sul Cantico dei Cantici.
E forse, di tutto il ciclo di carte, questi sono i fogli più intensi, quelli dove maggiormente riaffiora la vocazione surreale di Chagall: una vocazione che gli aveva ispirato gli indimenticabili quadri degli anni Dieci e Venti in cui gli uomini e animali, ebrei erranti e violinisti verdi volano nel cielo, e i volti e corpi si capovolgono e si confondono. Ha scritto lui stesso: «Negli anni Dieci tutti facevano il Cubismo come una condanna a morte. Io preferivo una figurazione anti-logica». E anche: «Ero entusiasta dell’occhio dei pittori francesi, ma un pensiero mi ossessionava: forse esiste una vista diversa, uno sguardo diverso, un occhio diverso…».
Per questo le incongruità delle sue opere attingono a una verità più profonda di quella dei canoni naturalistici. Perché non eludono la realtà in nome di una fantasia gratuita o eccentrica ma, al contrario, considerano una realtà più vasta di quella che si vede solo con gli occhi.
Il libro
L'enorme lavoro svolto da Chagall per portare a termine il "Messaggio biblico", che è anzitutto un luogo di meditazione spirituale e artistica concordato con il ministro della Cultura André Malraux costruendo il museo di Nizza, ha coinvolto, insieme con le diciassette grandi tele, anche le vetrate, il mosaico, l'assetto del giardino e dell'architettura. Inoltre Chagall ha realizzato una produzione sterminata di quelle che vengono considerate opere preparatorie delle tele - che poi solo preparatorie non sono, perché vengono realizzate non tutte prima, ma anche dopo i dipinti. Tra queste ci sono i pastelli: siamo di fronte, rispetto agli schizzi o agli acquarelli, a qualcosa di straordinario e difficilmente definibile. L'incompiuto e il perfetto si sposano; il pastello è polvere, cipria sulla carta, ma il risultato è straordinario e il livello di sintesi cromatico-compositiva raggiunta è per Pierre Provoyeur, l'autore di questo Chagall. Il gesto e la parola (Jaca Book), la cifra del capolavoro.