Vanno. Seri. In fila. Incontro all’unico Corpo, di Davide Rondoni
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Riprendiamo da Avvenire del 11/5/2013 un articolo scritto da Davide Rondoni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (16/5/2013)
Vanno. In fila. Hanno la faccia seria. In un certo senso, è il loro primo giorno da star. Tra i flash che però non possono fotografare la cosa più importante. Tra gente che sa e non sa cosa sta succedendo. Molti lo sanno, altri se lo sono dimenticato. Altri forse se lo stanno chiedendo di nuovo. Ma loro avanzano, hanno la faccia seria, la faccia che ci fa tremare.
Perché un genitore trema certo davanti al sorriso dei suoi figli, ma non come trema di fronte al loro viso quando si fa serio. E ti chiedi: cosa li impensierisce ? Cosa li preoccupa? Ombre, pensieri, forse pene in cui tu non puoi entrare, e spesso non puoi fare niente. Ma ora avanzano con la faccia seria perché stanno pensando la cosa più incredibile della storia.
Sono seri perché stanno pensando quel pensiero che puoi sperare li accompagni sempre. In ogni ombra, ogni pena. Stanno pensando: vieni Gesù. Perché sono in fila per la loro Prima Comunione. Per la prima volta che si nutrono di Lui. Sono in fila, seri stanno per ingoiare il corpo di Dio, l’eterno amore. Stanno per mostrare che – dopo il battesimo – sono davvero non solo più corpo loro, corpo tuo, di madre e padre. Ma anche corpo Suo.
Perché aprono la bocca e dicono 'amen' al corpo, al pane che caccia via la morte dalla loro vita. Al pane che li nutrirà di eterno. Che li fa tuoi figli per sempre, anche quando non li potrai vedere più per un po’, anche quando ti cercheranno e non sarai più nell’altra stanza.
Stanno per ingoiare, per bere l’atto d’amore invincibile. Il Dio che sembrava avesse in mente proprio te, i tuoi bambini, l’amore che vuoi a loro, quando ha detto la frase che ha scandalizzato i sacerdoti e i benpensanti: chi mangia di questo pane non muore. Aveva sfamato uno o due giorni prima una folla immensa con il pane e il pesce moltiplicato dal miracolo. Poi aveva guardato quella folla di uomini donne bambini.
E deve aver pensato: avranno ancora fame, di pane, di acqua, di vino, di aria, di giorni, di vita, ma non ce la faranno, si perderanno… E allora il Nazareno ha pensato che i miracoli non bastavano più. Occorreva un gesto più forte, una compromissione totale. Un gesto mai udito tra gli uomini e tra gli dei. E buttò tutto se stesso nella mischia, come un soldato che cerca il gorgo della battaglia dove sa che non c’è scampo, buttò la sua intera persona sull’altare del sacrificio. E lo fece come se antivedesse il tuo sguardo di padre e madre, il tuo sguardo di innamorato, il tuo sguardo che ora tra le colonne o le panche della chiesa cerca il viso del tuo piccolo o di lei che ti somiglia e non ti somiglia. Che è tuo e non tuo.
Gesù compì quel gesto perché tu possa dire al tuo piccolo o alla tua bimba: ti voglio bene 'saremo sempre insieme' senza mentire, senza prendere in giro il suo viso che ride, il suo viso serio. Occorreva di diventare corpo da mangiare, un Dio cielo e abisso che si fa addentare, occorreva che Lui non solo moltiplicasse, ma si donasse come pane e vino al nostro corpo. Che diventasse l’amante più forte. L’amante che non ti lascia mai.
E ora che nel nostro Paese martoriato e sbandato questi nostri figli in migliaia di chiese si mettono in fila noi cosa vediamo in questa scena? Una cerimonia? Una costumanza? Una cosa che è bene fare ? O il gesto che stordisce e incanta il nostro povero amore, il gesto che attraversa come vento nuovo il nostro strano cuore? Sono in fila, hanno il visetto serio, pensano coi loro pensieri bambini, così chiari e oscuri. A volte così meravigliosamente divertenti a proposito di Dio.
Pensieri da cui dobbiamo imparare. Che dobbiamo avere sempre, come il primo e infinito 'amen' all’unico Corpo che porta tutti i nostri giorni e quelli dei nostri figli in un’alba che non finisce.