Depositate 1.000.000 di firme per un sistema fiscale che tenga conto dei figli (dalla rassegna stampa)
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Riprendiamo da Avvenire del 16/5/2008 l’articolo di Marina Corradi apparso con il titolo: Appello alle istituzioni. Poter dedurre il costo di ogni figlio
Un milione e 71 mila firme, raccolte in tutta Italia in 50mila ore di lavoro, depositate al Quirinale. Una petizione massiccia per chiedere qualcosa di autenticamente popolare: un sistema fiscale che non castighi la famiglia.
Parrebbe una cosa ovvia, che il fisco debba tener conto anche del carico familiare dei cittadini. In Italia non lo è. Chi è solo paga, a parità di reddito, le stesse tasse del padre di tre figli. Infatti la gran parte dei poveri appartiene a famiglie numerose; e la maggior parte degli italiani evita quel terzo figlio, che è un serio fattore di rischio povertà. Sono cose di cui in Italia si discute, fra proteste e promesse, da molti anni. Ma quel milione di firme del Forum delle Associazioni familiari dice una cosa nuova: la famiglia italiana, storicamente ammortizzatore muto e paziente, 'sussidiario' in ogni disagio sociale, pretende ora di avere voce pubblica, e di farsi interlocutore del Governo.
Era già accaduto nel Family day, riaccade oggi. Con una richiesta ragionevole, pacata. Semplicemente, in sostanza, si vuole un’equità autentica e non fasulla, che non ignori il numero e il costo di quei figli che oggi sempre meno nascono, perché paiono un lusso (può capitare, girando per Milano con tre ragazzini, di sentirsi dire: beata lei, che se li può permettere. E di avvertire allora il peso di una taciuta ingiustizia: i figli no, non devono essere un lusso).
Quando scorri i dati tedeschi o francesi delle aliquote fiscali, ti meravigli: le tasse per una famiglia con due figli in Germania sono la metà, in Francia un ottavo. Allora è realizzabile un fisco che non punisca la famiglia; perché da noi non si può fare? La petizione del Forum punta come primo passo al 'basic income' – deduzioni del costo di mantenimento di ogni familiare a carico – per andare poi verso il quoziente familiare. Sarebbe già un passo. Sarebbe, soprattutto, un segno.
Perché prima ancora che fiscale, o di bilancio, la questione oggi è più che mai culturale e anche ideologica. La famiglia viene negata come soggetto contributivo; è trattata alla pari dei singoli. E invece, e più che mai in un contesto di crisi demografica come quello che l’Italia conosce, la famiglia è il primo investimento sociale. Produce un capitale insostituibile: uomini, che cresceranno, studieranno, manterranno i vecchi, continueranno la nostra storia. Che un single con 30 mila euro di reddito sia quasi un benestante, e una famiglia con le stesse entrate e tre figli si affanni a fronteggiare il carovita, è una di quelle miopie tipicamente italiane per cui si evita – in troppe altre faccende affaccendati – di pensare al domani. E, anche, il marchio di una politica più attenta ai diritti di chi c’è già, e può alzare la voce, piuttosto che di chi sta per nascere, o è bambino, o vecchio, e non ha dimestichezza con piazze e cortei, e dunque sta zitto.
Abbiamo sentito in questi anni il gran rumore di chi pretende il riconoscimento di rispettabili ma numericamente marginali minoranze, e ha trovato nei grandi media liberal il suo megafono. Abbiamo visto i voti di questo radicalismo elitario precipitare nelle urne – quasi che il supposto consenso delle masse fosse in realtà immaginario. Oggi quel milione di firme al Quirinale assume la caratura di un’Italia popolare davvero, che chiede e pretende ciò che è giusto. È un limpido segnale al Governo appena nato. Perché in realtà di destra, di sinistra, di ideologia e anche di politica, almeno così com’è, agli italiani oggi non importa molto. Forse ci vuole qualcosa di concreto per tornare a crederci: iniziare a dire che i figli sono un patrimonio comune, da riconoscere e sostenere. Dare coraggio, a chi trova il coraggio di avere figli. Ricominciare, in quest’Italia stanca, dai bambini: o, almeno, dalla libertà di averne.