La misura della vita. A Rimini il tema è l’«infinito»: Gesù ci insegna a chiamarlo Padre, di Davide Rondoni
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Riprendiamo da Avvenire del 19/8/2011 un articolo scritto da Davide Rondoni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (25/8/2012)
Dammi mille baci e mille e poi ancora mille… Il poeta latino Catullo sapeva che per le cose più belle della vita, la misura adeguata è la dismisura. L’infinito. Quel che non sta in nessun conto. Che rompe ogni chiusura. Che inizia sempre.
La vita reclama l’infinito. Lo sa chi vuole l’infinito nell’amore - che non è una questione di durata d’anni, ma di dimensione dell’attimo. Lo sa chi contempla un’opera d’arte o un figlio e vorrebbe che quel momento diventasse infinito, cioè raccogliesse dentro se stesso il tempo e le cose ferite che fan parte della vita.
Lo sa chi avverte la avventurosità della ricerca. Non può fermarsi alle colonne d’Ercole. Ma come mostra il passo della Commedia di Dante dedicato a Ulisse, cercatore d’infinito, il problema sta tutto nel “come” arrivare a conoscere, a toccare quel che ci chiama, l’infinito nell’amore, nel bello, nel mistero…
La cultura di oggi tende a presentarci molti “pacchetti” definiti che pretendono di rispondere al nostro desiderio di infinito. Qualche malacopia dell’infinito: che so, la fama, la virtualità, la giovinezza oltredurata, la potenza economica o sessuale, i diritti giusti, il buonismo… Ma nessuno di questi pacchetti, pur variamente combinati, soddisfa tale natura. Che continua ad agitarsi e a cercare - se non si irrigidisce in uno scetticismo che si presenta come saggio e invece è solo mortuario.
Proprio lo scetticismo circa la possibilità di toccare l’infinito e di poterlo conoscere in modo non “effimero” provoca la débacle di energia nei nostri giovani. Un uomo che non ha la speranza di conoscere quel che lo soddisfa pienamente (e molti giovani pensano così seguendo gli adulti) finisce per concepire la vita come una sventura addolcita da qualche momento beato, un itinerario in cui val la pena un impegno sì, ma moderato. E in cui s’ha da cavare il massimo profitto o piacere da ogni occasione, costi quel che costi. Questa scomparsa dell’infinito come possibilità di esperienza è la causa del calo di forze e di responsabilità nei nostri giovani.
Educati a esser meno tesi a scommettere sulla propria vera realizzazione. Gettati nella mischia dei problemi quotidiani senza respiro. Più facilmente, in un tempo di crisi, l’asfissia dell’anima diventa ira. Se l’orizzonte infinito verso cui la nostra natura tende viene coperto dai fumi di chi ne nega l’esistenza o la possibilità di conoscerlo, la vita diventa il serraglio più o meno ben organizzato in cui l’unica legge è: il potere. La lotta di chi decide quale sia la “misura” delle cose.
Affermare che l’infinito è la vera misura della vita costituisce la continua insurrezione nella nostra epoca. Liberazione contro ogni riduzione della vita a legge di potere. L’infinito non è qualcosa che inizia al di là del finito. È la dimensione vera, segreta della vita.
Si fa evidente in certi momenti e gesti, lo riconosciamo. Siamo fatti per appartenergli. Ma, appunto, dove abita? Dove mi attende? Come toccarlo e diventare suo?
I cristiani sono segugi dell’infinito. In tutte le religioni e culture c’è desiderio di una vera oltremisura. E il Meeting di Rimini che s’apre oggi non a caso è innanzitutto un grande incontro tra culture. I cristiani hanno una specie di innamoramento per l’infinito, da quando hanno passato ore e ore con l’infinito fatto uomo, da quando lo hanno guardato parlare, accarezzare la fronte di malati, insegnare e mangiare insieme a loro. Da quando li ha chiamati amici. Da quando l’infinito è morto e risorto. Da quando li ha toccati nel respiro dicendo la cosa più rivoluzionaria della storia: l’infinito chiamatelo così - Padre nostro…