La paternità del Requiem (Mozart-Süssmayer), possibile immagine della stratificazione dei testi neotestamentari, di Andrea Lonardo
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Nel Requiem di Mozart non è più possibile districare le parti uscite dalla penna del maestro da quelle del suo discepolo Süssmayer. Non solo nel senso che è difficile capire quali orchestrazioni Mozart avesse portato a compimento dal Tuba mirum fino al Lacrimosa (solo la nota del canto, quella della tromba, qualche linea degli archi?), ma ancor più nel senso che non potremmo oggi ascoltare il Requiem togliendone le restanti parti e limitandoci alle parti mozartiane filologicamente ricostruite. Il Requiem è questo, dall’inizio alla fine, con le orchestrazioni di tutte le sue parti. Lo si può scomporre nello studio, ma lo si ascolta nella sua interezza.
Certo sono in esso evidenti le ipsissima verba di Mozart nei primi tre movimenti, sono altresì evidenti alcune linee mozartiane fino al Lacrimosa, come è evidente qui e là la debolezza delle orchestrazioni del Süssmayer, così come la sua ripresa della partitura mozartiana per gli ultimi brani.
Non sussiste dubbio che Süssmayer si sia servito di tutto ciò che Mozart aveva scritto, anche dei frammenti dei quali era riuscito a venire a conoscenza; egli, a partire da questo, ha cercato di non dare una propria impronta –pur essendo impossibile non darla- ma di attenersi allo spirito di ciò che era già scritto
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Non è, peraltro, forse tipico delle cose dell’uomo, sottoposte alla storicità ed al logorio del tempo, il fatto di non poter mai essere portate interamente a compimento?
Non potrebbe valere la storia del Requiem come immagine di ciò che è avvenuto nella redazione dei vangeli? Certo non in una trasposizione immediata (ben altro è il rapporto di Gesù con gli apostoli, di questi con i loro discepoli ed, infine, con i redattori sacri).
Piuttosto come testimonianza di ciò che si cerca di fare quando si ha il compito di rendere testimonianza di qualcosa che non ha origine da noi e si è chiamati a presentare, portando con noi il desiderio di una fedeltà a ciò che non nasce da noi ma che chiede, lo stesso, l’impiego delle nostre migliori energie perché possa essere conosciuto da altri.
La differenza è grande soprattutto fra la compiutezza del Cristo e l’incompiutezza del Requiem che ancora non esisteva nella sua interezza, alla morte di Mozart. Ma quello che volevamo proporre alla riflessione era lo spirito di fedeltà, di adesione all’esistente, al reale, che deve aver guidato Süssmayer, nella sua opera. Süssmayer deve aver percepito l’insuperabile bellezza di ciò che esisteva del Requiem e deve aver cercato di attenersi ad esso, di attenersi cioè a Mozart ed al suo spirito.
Lo Spirito Santo, autore dei testi sacri, deve aver lavorato insieme ad un analogo desiderio di aderenza degli autori sacri a tutto ciò che conoscevano direttamente del Cristo e tramite la testimonianza dei suoi apostoli e discepoli.