«Sintesi senza commistione: la grande impresa di Massimo resta la scelta della formula cristologica come cardine di una visione del mondo». La riflessione di H. U. von Balthasar su Massimo il Confessore
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Riprendiamo sul nostro sito un testo di H. U. von Balthasar, tratto dal volume antologico H. U. von Balthasar, Nella pienezza della fede, Città nuova, Roma, 1992, pp. 474-477. Il brano proviene a sua volta da H. U. von Balthasar, Mittler zwischen Ost und West. Zur 1300-jahrfeier Maximus’ des Bekenners, 580-662, in: “Sein und Sendung”, 8 (1962), 358-361. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti su Massimo il Confessore vedi su questo stesso sito Santa Maria in Domnica alla Navicella: San Martino I, Sant’Agatone papa, la crisi monotelita ed il Concilio Costantinopolitano III, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (1/4/2012)
Noi andiamo in cerca di modelli con la lanterna, e tuttavia li cerchiamo mal volentieri nel passato più distante. Qui, però, ve n'è uno di una attualità eccezionale. Un unificato re del pensiero universale che svolse un lavoro di estrema pacatezza, mentre le ondate dei Sassanidi e quindi quelle ancor più minacciose dell'Islam lo cacciavano sempre più lontano, l'integralismo politico ed ecclesiale lo imprigionava, lo interrogava, cercava di traviarlo, lo condannava, lo esiliava, finché non morì martire all'estremità meridionale di quella che doveva poi diventare la santa Russia.
Massimo ha senz'altro letto molto, e tuttavia egli ha edificato la sua casa intellettuale su poche colonne ben scelte, quelle che, al di là di tutte le figurazioni spettacolari e bizzarre, gli consentivano di ricuperare la vera forma della tradizione vivente. Quello che vi è di geniale in Massimo è il fatto che dentro di sé riuscì a dischiudere l'uno all'altro cinque o sei mondi spirituali che apparentemente non intrattenevano più relazioni tra loro, e da ognuno di essi seppe trarre una luce che rischiarasse tutti gli altri e li ponesse in nuove relazioni dalle quali sorgessero i riflessi e i riferimenti più inaspettati.
Egli è un teologo biblico contemplativo, un filosofo di formazione aristotelica, un mistico nella grande tradizione del Nisseno e dell'Areopagita, un entusiasta logologo sulle orme di Origene, un severo monaco della tradizione evagriana, e infine, soprattutto un antesignano ecclesiale e un martire della cristologia ortodossa di Calcedonia e di una Chiesa con il proprio centro in Roma.
La parola memorabile di Calcedonia è il germe dal quale egli poté e dovette sviluppare la sua concezione del mondo: ảσυγχύτως, senza commistione. Non doveva essere proprio la formula cristologica conclusiva, compresa nella sua profondità, la formula universale ricercata? ...
Per Massimo, la sintesi di Cristo diviene la teodicea dell'universo, non solo della sua esistenza, ma dell'interezza delle sue strutture essenziali: tutte le cose sono inserite in sintesi sempre più comprensive, anzi sono esse stesse delle sintesi in vista dell'ultima sintesi di Cristo che tutto giustifica. «Sintesi», non «commistione», è fin dal principio la struttura di tutto l'essere mondano. Solo con la comparsa di Cristo divenne irrefutabilmente evidente che la creatura non è il puro negativo di Dio, e dunque non può essere redenta unilateralmente mediante una mistica dissoluzione in Dio, bensì può esserlo - malgrado il suo innalzamento alla partecipazione di Dio e il suo morire a questo mondo - solo conservando esplicitamente e perfezionando la sua natura ...
La grande impresa di Massimo resta la scelta della formula cristologica come cardine di una visione del mondo.
L'«ineffabile modalità dell'unione» delle due nature in Cristo è in ultima analisi imperscrutabile. «Chi potrebbe sapere, infatti, come Dio assuma la carne pur rimanendo Dio? Come Egli, restando vero Dio, sia tuttavia vero uomo? Ciò lo comprende solo la fede che adora in silenzio il Verbo di Dio». «Questo è il mistero che abbraccia tutti gli eoni e svela il grande e più che infinito decreto di Dio, infinite volte incomprensibile, sussistente prima di tutti gli eoni. Infatti, per amore di Cristo o per il mistero di Cristo, tutti gli eoni e tutte le essenze eoniche hanno avuto il loro inizio e la loro fine in Cristo. Giacché quella sintesi fu concepita già prima di tutti gli eoni: sintesi tra il confine e lo sconfinato, tra la misura e l'immenso, tra il limite e l'illimitato, tra il Creatore e la creatura, tra la quiete e il movimento, quella sintesi che negli ultimi tempi è divenuta visibile in Cristo, per suo stesso tramite apportatrice di pienezza al progetto preliminare di Dio».
Che Massimo (contrariamente a Giovanni Damasceno) si sia schierato senza esitare dalla parte di Scoto nella disputa scolastica, stando a questo testo, è fuor di dubbio: non la redenzione dal peccato, ma l'unione del mondo in se stesso e con Dio è il movente ultimo dell'incarnazione e, come tale, il primo pensiero originario del Creatore, ancora precedente a tutta la creazione.
Massimo non si stanca di lodare «tutte le diverse sintesi delle creature tra loro separate mediante Cristo». Il Redentore, vincendo le potenze ostili dell'aria, ristabilisce la connessione tra il cielo e la terra, «e dimostra che gli esseri celesti e quelli terreni, per quanto concerne la distribuzione dei doni divini, costituiscono un'unica, grandiosa ridda» ... E «dopo che Cristo ebbe compiuto per noi la sua opera nella storia della salvezza e fu asceso al cielo con il corpo che aveva assunto, Egli unì, tramite sé, il cielo e la terra, congiunse le cose spirituali con quelle sensibili e dimostrò così l'unità della creazione nella polarità delle sue parti».
In particolare, sono cinque le grandi sintesi che conducono all'unità ... La prima, una sintesi sessuale, in un primo presentimento della lontana unità vince la maledizione della punizione del peccato: «In Cristo Gesù non c'è né uomo né donna» (Gal 3, 28), ritrova qui la forza di testimoniare quella originale fecondità dello spirito che aveva preceduto il peccato.
Questa prima sintesi presuppone dunque che si sia già compiuta la seconda, cui Cristo accenna nelle parole pronunciate sulla croce: «Oggi tu sarai con me in paradiso» (Lc 23,43): la terra maledetta e l'Eden originario sono divenuti una sola cosa, «la terra intera è perdonata in virtù del suo ritorno in paradiso attraverso la morte». L'inaccessibile terra del desiderio è divenuta una realtà terrena a mano a mano che la terra moriva per innalzarsi alla sua forma senza peccato. «Giacché per Lui la nostra terra non era più una realtà diversa dal paradiso, Egli apparve dunque nuovamente su di essa ai suoi discepoli e si intrattenne in loro compagnia dopo la risurrezione e dimostrò come la terra fosse inoltre riconciliata e riunita a se stessa». Ai suoi occhi «la terra non è più lacerata nella diversità dei suoi ambiti, ma piuttosto è riunita per Lui, che non tollera che uno qualsiasi dei suoi ambiti resti precluso all'altro».
Quindi, «Egli ascese al cielo» (At 1, 9-11), e unì così le sfere con la terra, con la qual cosa fu dimostrato «che l'intera creazione sensibile, intesa secondo il suo concetto universale, è un'unità. Ma l'aspetto peculiare della sua differenza distintiva passò in seconda linea».
Tuttavia, l'ascensione al cielo non si arresta al cielo sensibile: Egli «è asceso al disopra di tutti i cieli» (Ef 4, 10), e ha unito definitivamente spirito e materia, unendo un corpo sensibile e un'anima ai cori angelici e ricapitolando così l'intera creazione. Ma «presentandosi al Padre» nella sua propria totalità, Egli offre a Dio la totalità in tal modo riunificata: «ricapitolando in sé l'universo, Egli dimostra che l'unità del Tutto è l'unità di un unico uomo», dell'Adamo cosmico.
Infatti Egli possiede come Dio «corpo, sentire sensibile e anima come noi, oltre allo Spirito, attraverso i quali, in quanto parti, Egli collega tutte le parti tra loro alla totalità e riesce a riunire questa stessa in una totalità suprema». E mentre Cristo si sottomette così, come Uomo-Tutto, al Padre, «Egli unisce nell'amore la natura creata con la natura increata - o miracolo della tenera filantropia di Dio nei nostri riguardi! - e dimostra che, mediante la relazione della grazia, le due cose sono ormai un'unica e medesima cosa. Il mondo intero inabita (περιχωρήσας) nella totalità il Dio totale e diviene tutto ciò che Dio sempre è, eccettuato la ipseità della natura, e riceve in luogo di se stesso la totalità di Dio».
Le sintesi che Cristo compie sono il compendio di quell'altra sintesi che il mondo e ogni singolo devono compiere in seguito in forza della grazia di Cristo. Altri testi mostrano che Massimo concepisce l'amore, ảγάπη, come l'energia sintetica per eccellenza ...
L'amore per Dio e l'amore per il mondo non sono due diverse specie d'amore, bensì due aspetti dell'unico e indivisibile amore. Mediante esso si compie la sintesi totale dell'umanità in un'unica identità, quando ognuno scambia il suo essere proprio con l'altro e tutti quanti con Dio. Uniti nell'amore di Cristo, che è l'amore e pertanto l'unità, i membri del suo corpo sono una medesima cosa anche tra loro, fino alla reciproca conoscenza dei loro cuori e pensieri, fino all'impossibilità di essere assenti l'uno per l'altro, giacché essi, nell'amore, si compenetrano come una sola cosa.
Quasi non vi è una lettera di Massimo che non inizi e non si concluda con tali idee; l'amore evangelico, che ha rinunciato a ogni potenza propria, è l'ultima energia sintetizzante del suo pensiero e della sua vita. Il farsi Dio da parte dell'uomo avviene come amore di Dio, διά τό φιλόθεον; il farsi uomo da parte di Dio avviene come amore dell'uomo, διά τό φιλάντρωπον... «giacché per sempre e in tutti, il Logos di Dio, che è Dio, vuole operare il mistero della sua incarnazione».
Massimo ricupera la ricchezza dell'Asia ponendola sotto il triplice primato del Logos filosofico, del Cristo biblico e della centralità di Roma; egli riconosce che senza il pathos religioso dell'Asia le cose non vanno.
Quanto di questo impulso, di questa umana forma di pensiero, è assimilabile in senso cristiano e in che modo, senza mettere in pericolo la realtà cristiana? E con quale energia e fino a che altezza si deve innalzare l'idea della sintesi cristologica, fino a che punto essa deve essere posta al centro anche della teodicea della creazione per rendere tollerabile al pensiero asiatico la diade Dio-mondo? Tutti questi sono interrogativi infinitamente incalzanti e sottili dei quali oggi meno che mai possiamo sbarazzarci.
La missione presso le grandi religioni asiatiche lotta con tali interrogativi. Le sintesi tra Oriente e Occidente sulla base della mera affinità delle «spiritualità» e delle «mistiche» già allora non erano più attuabili; quanto meno lo sono oggi! Pertanto, sono da definirsi insoddisfacenti anche quei tentativi che intendono far incontrare l'India e l'Europa a metà strada, nell'esicasmo bizantino, nelle pratiche della preghiera del cuore e in determinate posizioni corporee ed esercizi respiratori (nei quali il cristianesimo d'Oriente, dopo la grande sintesi, si è nuovamente orientalizzato), per non dire poi di tutti coloro che, saltando di netto ogni chiarimento filosofico-teologico, vogliono introdurre in mezzo alla Chiesa cristiana pratiche indiane e dell'estremo Oriente.
Di fronte a tali ingenuità, che non portano mai ad acquisire l'altrui, bensì a perdere il proprio, si tenga presente l'esempio di Massimo: le ultime e più alte riconciliazioni si raggiungono unicamente sulla via della chiarezza dello spirito che discerne e decide. Massimo è il pensatore filosofico-teologico tra Oriente e Occidente. Nella sua umile serenità, ma anche nell'impavidità del suo spirito veramente libero, egli mostra come e a partire da dove essi procedano assieme.