Appunti sull'amicizia in C.S. Lewis, di A.L.
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Riprendiamo sul nostro sito alcuni appunti scritti da Andrea Lonardo per presentare alcuni brani tratti da C. S. Lewis, I quattro amori, Jaca, Milano, 2011. Per altri testi su C.S. Lewis, in particolare su Le cronache di Narnia e su Diario da un dolore, vedi su questo stesso sito la sezione Letteratura.
Il Centro culturale Gli scritti (6/12/2011)
«Per gli antichi, l'amicizia era il più felice e il più completo degli affetti umani, coronamento della vita, e scuola di virtù. Il mondo moderno, in confronto, l'ignora. Ovviamente, chiunque è disposto ad ammettere che un uomo, oltre che di una moglie e di una famiglia, ha bisogno anche di “qualche amico”; ma il tono stesso di quest'ammissione e il tipo di conoscenze che vengono poi definite “amicizie” mostrano chiaramente che ciò cui si fa riferimento ha ben poco a che vedere con la philia che Aristotele classificava tra le virtù, o con quell'amicitia sulla quale Cicerone scrisse un trattato. È un fattore del tutto marginale; non è la portata principale nel banchetto della vita, ma semplicemente uno tra i tanti contorni: è qualcosa che serve a riempire i momenti vuoti del nostro tempo. Come siamo arrivati a questo punto?» (C.S. Lewis, I quattro amori, pp. 59-60).
Lewis presenta così la differenza fra il mondo antico, appassionato cultore dell'amicizia, ed il nostro tempo. E risponde che
«l'amicizia è – ma non in senso peggiorativo – il meno naturale degli affetti, il meno istintivo, organico, biologico, gregario e indispensabile. Qui i nostri nervi c'entrano ben poco, in questo sentimento non c'è nulla di tenebroso: nulla che faccia accelerare il polso, o arrossire, o sbiancare» (C.S. Lewis, I quattro amori, p. 60).
Il legame di amicizia è raro, allora, e trascurato, perché sommamente libero e perché richiede maturità e sapienza.
La peculiarità dell'amicizia emerge anche dal fatto che per essa non sussiste la gelosia, che è invece la norma in altri rapporti di amore:
«L'amicizia è il meno geloso degli affetti. Due amici sono ben lieti che a loro se ne unisca un terzo, e tre, che a loro se ne unisca un quarto, a patto che il nuovo venuto abbia le carte in regola per essere un vero amico. Essi potranno dire allora, come le anime beate in Dante: “Ecco che crescerà li nostri amori”, poiché in questo amore “condividere non significa perdere”.
È ovvio che l'esiguo numero di spiriti a noi congeniali - tralasciando considerazioni pratiche, quali le limitate dimensioni delle stanze e il volume ridotto della voce umana - pone dei confini oggettivi all'ampliamento di questa cerchia di amici; ma entro questi limiti il nostro godimento di ciascuno degli amici aumenta, e non diminuisce, con il numero di coloro con i quali lo dividiamo. In questo, l'amicizia rivela una piacevole “vicinanza per somiglianza” con lo stesso paradiso, dove proprio la moltitudine dei beati (il cui numero sfugge a qualunque calcolo umano) accresce il godimento che ciascuno ha di Dio. Ogni anima, infatti, Lo vede in maniera personale, e comunica poi questa sua visione unica a tutte le altre. Questo è il motivo per cui, come dice un autore antico, i Serafini, nella visione di Isaia, cantano, vicendevolmente “Santo, Santo, Santo” (Is 6, 3). Più divideremo tra noi il pane celeste, più ne avremo per cibarcene» (C.S. Lewis, I quattro amori, pp. 62-63).
Per questo, non è necessario agli amici isolarsi:
«Agli innamorati piace stare soli. Gli amici trovano intorno a sé questa solitudine, questa barriera che li separa dal resto della massa, che lo vogliano, o no. Sarebbero anzi lieti di rimuoverla, e lieti di trovare un terzo che si unisse a loro» (C.S. Lewis, I quattro amori, p. 66).
La qualità dell'amicizia si radica, oltre che nel bene che gli amici nutrono gli uni per gli altri, anche nel bene che essi vogliono insieme ad altri e nella passione con la quale cercano insieme la verità:
«In questo tipo di affetto – come disse Emerson - “Mi vuoi bene?” significa: “Vedi la stessa verità?” o, per lo meno, hai a cuore la stessa verità? Chi concorda con noi sul fatto che una certa questione, dagli altri considerata secondaria, è invece della massima importanza, potrà essere nostro amico. Non è necessario, invece, che egli sia d’accordo sulla risposta da dare al problema. [...]
Ecco perché quei patetici personaggi sempre a caccia “a caccia di amici” non riescono mai a trovarne. Si può arrivare ad avere degli amici soltanto a patto che si desideri qualcos’altro, oltre agli amici. Se la risposta sincera alla domanda: “Vedi la stessa verità?” fosse: “Non vedo niente e non mi interessa niente; voglio soltanto un amico”, allora non potrà nascere alcuna amicizia – anche se potrà nascere affetto. Non ci sarebbe niente per cui essere amici, e l’amicizia deve avere un oggetto, fosse anche solo una passione per il domino o per i topolini bianchi. Chi non possiede nulla non può dividere nulla; chi non sta andando da nessuna parte non può avere compagni di viaggio» (C.S. Lewis, I quattro amori, p. 66).
Suprema è la libertà dell'amicizia. Essa che è ricchissima e vitale è pertanto anche superflua (nel senso più nobile della parola)!
«Non ho il dovere di essere amico di nessuno, e nessuno ha il dovere di esserlo nei miei confronti. Niente pretese, nemmeno l’ombra di un obbligo. L’amicizia è superflua, come la filosofia, l’arte, l’universo stesso (Dio, infatti, non aveva bisogno di creare). Essa non ha valore ai fini della sopravvivenza; è piuttosto una di quelle cose che danno valore alla sopravvivenza» (C.S. Lewis, I quattro amori, p. 70).