Marc Chagall, i colori della fede nel caveau segreto, di Armando Torno
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Riprendiamo dal Corriere della sera del 5/9/2011 un articolo scritto da Armando Torno. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Su Marc Chagall, vedi su questo stesso sito:
- Marc Chagall in À la Russie, aux ânes et aux autres, di François Lévy-Kuentz. Appunti di Andrea Lonardo
- Chagall ha colto il legame col Paradiso. Non solo memoria per i nostri morti ma trasferimento d'amore, di Cristian Carrara
- Decidersi (da Marc Chagall)
- Da Chagall a Majakovskij, gli artisti annientati dal regime che avevano esaltato. L'idillio con la Rivoluzione, un tragico equivoco, di Sergio Romano
Il Centro culturale Gli scritti (10/9/2011)
Nell’ultima udienza generale di agosto, papa Benedetto XVI è tornato su un tema a lui caro, quello della via pulchritudinis. Era un invito alla bellezza. Ricordava quel percorso che porta verso l’infinito e la verità, evocando la celebre equazione platonica «bello uguale a vero uguale a bene».
Dopo aver citato il sommo Johann Sebastian Bach, il musicista che forse restituì a Dio più di quanto Dio gli abbia concesso, papa Ratzinger ha sottolineato un altro aspetto: «Rimane profondamente vero quanto ha scritto un grande artista, Marc Chagall, che i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che è la Bibbia». Mai parole sono state più attuali.
Nei prossimi giorni arriverà in libreria un’opera che sembra rispondere alle parole di Benedetto XVI: presenta i pastelli del messaggio biblico di Chagall. Si tratta di un saggio di Pierre Provoyeur, il primo conservatore (1972-1983) del Musée National che lo Stato francese dedicò a Nizza al celebre artista (ora l’incarico è ricoperto da Maurice Fréchuret). Il titolo del libro riassume il lavoro del pittore dinanzi alla Rivelazione: Chagall. Il gesto e la parola (Jaca Book). Uscirà questa settimana anche in Germania, presso Weinand a Colonia, e in Francia da Hazan. Sono in preparazione le edizioni inglese, russa e giapponese.
L’opera consente di vedere riuniti i 99 pastelli che Chagall fece e rifece per realizzare i 17 oli dedicati a momenti da lui ritenuti essenziali della Bibbia. Di essi, 5 grandi tele sono esclusivamente per il Cantico dei cantici e si trovano nel Museo di Nizza, in una sala a parte.
Gli altri, ovvero i restanti 12 oli, rappresentano alcuni episodi cruciali della Rivelazione. Egli vide i punti topici - ne ricordiamo una parte - nella creazione o in quello status irripetibile che fu il paradiso, nell’arca di Noè o nel sacrificio di Isacco, nel sogno di Giacobbe o nella consegna a Mosè delle Tavole della legge. Dodici eventi che preparano il Cantico, il tredicesimo, che si moltiplica in cinque parti.
La Bibbia di Chagall è un libro per un’umanità non divisa da barriere religiose. È la Rivelazione per tutti, sorta di abbraccio permanente tra Dio e l’uomo. Quei 99 pastelli che si conservano nel caveau non aperto al pubblico del Museo di Nizza sono affiancati da schizzi, acquarelli, altri oli, da una serie infinita di prove che hanno preparato le 17 tele esposte.
Elisabeth Pacoud-Rème, conservatrice di codeste collezioni e già restauratrice al Louvre, mostra il tesoro maneggiando le tavole con guanti chirurgici, estraendole dai solidi contenitori metallici blindati. «Questo - ci confida - è il laboratorio di Chagall. L’artista si è tormentato senza sosta su un particolare o per un colore. Un soggetto l’ha dipinto più volte e poi l’ha abbandonato, oppure ne ha messo a punto linee e sfumature». Si ferma, osserva, prosegue: «Il suo, senza tema di esagerare, è un vero e proprio commento figurativo a tredici momenti essenziali della Bibbia. Egli ha cercato attraverso queste prove anche i sospiri in cui si è soffermata la parola di Dio. Gli esegeti possono scrivere; lui, come soltanto un artista sa fare, ci aiuta a vedere l’azione dell’Altissimo al cospetto della materia».
Elisabeth Pacoud-Rème mette a confronto le prove, a volte dipinte su tela di sacco, altre volte su carta da pizzicagnolo, altre ancora su filigrane pregiate (c’è anche, come dice, du papier Japon). Insomma, l’artista «utilizzava quel che aveva sottomano, senza curarsi della qualità del materiale», sussurra la conservatrice. Ci ricorda che i pastelli, la parte più preziosa di tale raccolta, per «la loro fragile natura non possono essere esposti continuamente e per mostrarli si ricorre a una rigida rotazione o a una mostra, possibile ogni dieci anni». Ma perché queste «prove» sono importanti? Sovente differiscono tra loro di poco e sembrano una corsa ossessionante intorno al tema prescelto; tuttavia, a ben guardarle, ci si rende conto che la distanza tra i particolari è sovente in un colpo di colore, oppure si trova in una unghiata cromatica che cambia le regole dell’attenzione.
I pastelli sono fragili: si direbbero polvere, cipria sulla carta, anche se la sintesi che rivelano nella luce artificiale del sotterraneo lascia stupefatti. Divisi per corrispondenza nei loro 13 soggetti, sembra che in ognuno di essi siano racchiuse domande ma anche non poche risposte. Qual è il colore della creazione? Perché Chagall lo carica, come dire?, di una violenza che sembra giungere da un’altra dimensione?
E poi il Cantico. Parla tra miriadi di sfumature. In questa raccolta sono ben 24 i pastelli per il piccolo libro della Bibbia. La danza dei riflessi si celebra intorno al rosso, ma non manca qualche tavola che trova requie nelle sfumature tenui, anche se in esse la chioma o il gesto si fanno rutilanti. È allora il rosso che ha il privilegio di racchiudere l’amore? Viene in mente Kant che nella prima parte della Critica del giudizio si mostra scettico sulla possibilità di un valore formale (sia chiaro: in senso filosofico) del puro colore, anche se più tardi rettifica, levando delicatamente dal suo sistema quella iniziale ipoteca. Qui, nel caveau, oltre le porte blindate, assistendo ai tormenti di Chagall che si caricano misteriosamente di forme, si capisce che il colore è sintesi. Spiega la Rivelazione con più franchezza della semplice parola.
Elisabeth Pacoud-Rème commenta: «È sempre il medesimo soggetto in queste 24 tavole di pastelli. Non si dava pace. Riprendeva, ripensava, si rodeva intorno ai versetti per fissarli nel disegno, forse per stringerli nella lucentezza o per celarli tra tonalità scure». In questo tortuoso domandarsi di Chagall spuntano dei messaggi. Le tele finite del Cantico esposte al Museo sembrano quasi perfette nel loro comunicare l’inseguimento d’amore descritto nel librino biblico, ma qui, nel caveau, il testo continua ad agitarsi, a sconvolgere, a chiedere. L’uomo e la donna non riescono a fermarsi.
Nelle infinite prove Chagall sembra aver meditato San Paolo che ci paragonava a dei mendicanti in cerca d’amore. E il Cantico non cessa di rispondere. C’è lei e c’è lui: non hanno altri progetti e sentono soltanto desiderio. In quella fuga apparentemente senza senso e senza coordinate, dove ogni cosa diventa rossa d’amore, le loro parole si confondono in una città che non si conosce e in una passione senza tempo.
Ma poi appare Dio. Perché? Dio è forse solo e soltanto amore come dirà più tardi Giovanni? O Dio diventa forma, gesto, soffio, presenza soltanto se c’è amore? Nell’Esodo il suo manifestarsi è scortato da forti suoni, ma Sant’Agostino scrisse che a volte è simile al lieve ronzio di una zanzara o di un’ape. Se l’amore ha sempre una musica capace di avvolgere l’incanto delle membra, quei due che si rincorrono nel Cantico che note hanno scelto? Chagall risponde con i colori. È lui a inseguire Dio. Lo fa persino con una dolce violenza, spingendo il suo puntuto rosso sino a renderlo viola, quindi lo costringe a convivere con sferzate di giallo; poi, quasi invocando pace, lo invita a perdersi in tenui tonalità. Si direbbe la quiete che segue ogni atto d’amore, sia esso la Creazione o rappresenti quell’amplesso misterioso degli esseri viventi che il Cantico rimette ancora a Dio.
I pastelli spiegano questa ricerca attraverso un’odissea di colori, tra i quali si celebra la storia dell’uomo e l’allegoria del Libro. Guardando gli schizzi, i colpi, i ripensamenti, ci si chiede chi siano quei due amanti che si chiamano nella notte e durante il giorno e se quel loro vagare altro non sia che la proiezione del nostro vivere. Oppure, diranno colti esegeti, essi sono Cristo e la Chiesa; o forse, garantiscono rabbini dal fondo dei secoli, Israele e il Signore. Chagall non ha la soluzione, ma suggerisce numerose vie per trovarla. Ci dice: io cerco Dio con i colori ed esagero con il rosso, perché il mio Dio è solo e soltanto amore.
In fondo, egli ripete su quei fogli del caveau quanto intuì un filosofo ebreo: Dio ha voluto che noi provassimo amore per l’amore.
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