La rappresentazione della sessualità di Cristo nell’arte: per comprendere appieno il significato della teologia rinascimentale. Appunti da un volume di Leo Steinberg

Questo articolo vuole essere solo un promemoria di appunti presi durante la lettura del volume di Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986. L’autore ci introduce al significato iconografico di immagini come La Madonna col Bambino tra Sant'Agnese e un santo vescovo (XVI sec.) della scuola di Antoniazzo Romano, oggi nella Cappella dell’Almo Collegio Capranica di Roma. Ma, attraverso l’analisi di simili opere, ci consente di valutare appieno la valorizzazione dell’umano compiuta, a motivo della fede cristiana, dall’intero Rinascimento.

Il Centro culturale Gli scritti (10/09/2006)



Madonna con il Bambino
Madonna con il Bambino della Cappella maggiore dell'Almo Collegio Capranica (la rappresentazione della Madonna col Bambino tra Sant'Agnese e un santo vescovo che presentano i cardinali Domenico e Angelo Capranica è attribuibile alla bottega di Antoniazzo Romano, XVI secolo)

Il volume di Leo Steinberg si propone di dare una risposta al perché esistano da prima del 1400 alla metà del XVI secolo centinaia di opere pittoriche che ci mostrano, nell’iconografia del Cristo Bambino, una ostentatio genitalium, dove l’esibizione, il toccamento, la protezione, la presentazione dei genitali sono al centro del messaggio iconografico.

 Madonna in trono con Bambino
Antoniazzo Romano, Madonna in trono con Bambino e Santi, 1487, Galleria Nazionale d'arte antica, Roma

Steinberg ci avverte subito che il discorso che ci presenterà ha precisi paralleli anche in altri simboli iconografici: l’esempio che sceglie per mostrarci il significato teologico di un gesto iconografico è il toccamento del mento della Madonna da parte del Bambino Gesù, che oggi prendiamo, superficialmente, solo per un tenero gesto infantile, ma che è, invece, portatore di un significato erotico nell’arte profana antica. Trasferito al Bambino ed alla Vergine, diviene espressione – Steinberg sostiene - dell’amore sponsale fra il Cristo e la sua Chiesa. La carezza del mento designa così lo Sposo infante, Bambino, che già ama la sua Sposa, la Chiesa, significata da Maria.

Vergine col Bambino e angeli
Vergine col Bambino e angeli, autore ignoto, XV secolo, Celana, Chiesa di Santa Maria Assunta

Secondo Steinberg è solo a motivo di 4 secoli di laicismo che oggi alcuni critici parlano di questo gesto come di un’espressione attribuibile ad ogni figlio di donna: il gesto iconografico voleva, invece, non sminuire, ma piuttosto confermare il mistero dell’Incarnazione e la sua verità

Laddove umanizzando il Cristo, l’artista ha osato l’osabile, noi oggi non vediamo niente di insolito, come se il Bambino o il Cristo morto non fossero che pretesti per dare risalto alla comune umanità[1].

I gesti dell’arte rinascimentale, se non riandiamo alla teologia che li motivava e li sosteneva, vengono allora reinterpretati solo come vezzi o, peggio, come arcane usanze popolari, se non superstizioni o addirittura gesti magici, apotropaici o propiziatori di fecondità.

Taluni parlano così di fatui motivo di genere, spiegazione assolutamente riduttiva.

E’ evidente, invece, che gesti compiuti dal Bambino Gesù nell’iconografia rinascimentale - o precedentemente medioevale – come, per citare altri esempi, infilare l’anello al dito di Santa Caterina d’Alessandria o mangiare uva o leggere un libro siano carichi di un profondo simbolismo teologico. E sono gesti che non fa un qualsiasi bambino!

La mia risposta provvisoria è che (una tale raffigurazione che ostenta i genitali del Cristo) si impernia in un gesto ossessivo, una prova palpabile, testimonianza manifesta del concetto che il Credo considera centrale: la discesa di Dio nell’umanità[2].

Ed è proprio alle garanti del lignaggio umano del Cristo, Sant’Anna e la Vergine Maria, che compete di fornirne la prova. Nella Madonna adorante il Bambino del Botticini, a Firenze, sono, invece, gli angeli che cospargono di fiori i genitali di Cristo

Madonna ed angeli adoranti il Bambino
Francesco Botticini, Madonna ed angeli adoranti il Bambino, ca.1490

Possiamo dire che, poiché nessuno dubitava nel Rinascimento della divinità di Cristo, l’iconografia pittorica si cimentava piuttosto a mostrarne e comprovarne l’umanità.

“Un Bambino Gesù dell’immaginazione rinascimentale differisce infatti dai precedenti Cristi Infanti bizantini e medioevali non soltanto per il grado di naturalismo, ma anche per la diversa enfasi teologica. Nell’immaginazione paleocristiana, la pretesa dell’assoluta divinità del Cristo e della sua parità con il Padre onnipotente dovette venire di continuo riaffermata nei confronti della miscredenza, dapprima contro la riluttanza giudaica e lo scetticismo pagano, poi contro l’eresia ariana ed, infine, contro l’Islam... Ma per un artista occidentale cresciuto nell’ortodossia cattolica (rinascimentale) lo scopo non era tanto quello di proclamare la divinità dell’infante, quanto di dichiarare l’umanizzazione di Dio. E tale dichiarazione diviene il tema costante di ogni Natività, Adorazione, Sacra famiglia, o Madonna col bambino del Rinascimento”[3].

Steinberg si richiama più volte al libro del gesuita John O’Malley, Praise and Blame in Renaissance Rome, sui sermoni predicati alla corte papale tra il 1450 ed il 1521. Possiamo riassumere il contenuto di questo prezioso contributo con le parole del Poscritto all’opera di L.Steinberg, dello stesso O’Malley[4]:

Erasmo da Rotterdam è il teologo rinascimentale che negli ultimi anni è stato oggetto della massima attenzione, e oggi ci rendiamo conto di quanto mal servito egli sia stato nel corso dei secoli da parte di interpreti che l’hanno liquidato come mera brutta copia di Lutero. Ma gli studi di storici come Charles Trinkaus, Salvatore Camporeale e altri, hanno comprovato come ci sono stati precedenti italiani di Erasmo non meno affascinanti ma costantemente privati del posto che loro giustamente spettava nella storia della teologia: una storia nella quale Roma è stata non soltanto trascurata, ma esplicitamente denigrata... Io mi accingo a proporre l’oltraggiosa tesi che proprio a Roma, nei settantacinque anni che precedettero la Riforma, fu compiuta l’opera teologica più originale e creativa di tutta Europa... E’ fuori dubbio che la “teologia rinascimentale” in generale è stata gravemente inficiata e forse in gran parte distrutta, dalle aspre controversie accese dalla Riforma e dalla Controriforma, e che persino il suo ricordo è stato completamente cancellato... Una delle più singolari caratteristiche della teologia rinascimentale consiste a mio giudizio, nel trattamento da essa riservato al tema dell’Incarnazione; sono portato anzi a definirla una “teologia incarnazionale”... basterà dire che nel mistero dell’Incarnazione si tendeva a vedere la verità centrale del cristianesimo e ad identificarla con il mistero della Redenzione... Questa verità astratta del Credo – vero Dio, vero uomo – doveva... essere utilizzata, stando ai principi della retorica, a vantaggio dell’uditorio, allo scopo cioè di elevarlo a nobili sentimenti che avrebbero poi promosso comportamenti degni di cristiani. E’ in questo contesto che la retorica evoca e diffonde il tema della “dignità dell’uomo”. Quale miglior modo di far intendere la verità della dignità dell’umana natura che non sottolineare che Dio stesso non aveva disdegnato di assumerla ed era effettivamente divenuto uomo, vero uomo? Non va inoltre dimenticato che la liturgia del rito romano prescriveva che il celebrante e l’intera congregazione si inginocchiassero una sola volta durante la recitazione dell’antico Credo, precisamente alle parole “et incarnatus est ex Maria Virgine, et homo factus est”. La frase successiva “crucifixus etiam pro nobis” era una sorta di ripensamento, un corollario, e veniva pronunciata dopo che l’assemblea si era rimessa in piedi... Com’è ovvio, l’Incarnazione ebbe luogo nel momento del concepimento nell’utero della Vergine, vale a dire durante l’Annunciazione, episodio tanto frequente nell’arte del Rinascimento: ma i pensatori dell’epoca erano troppo sottili e duttili per limitare così drasticamente l’evento. L’Incarnazione venne manifestata – rivelata – solo più tardi allorché il Bambino fu rivelato al mondo al momento della nascita, tenuto tra le braccia della madre, mostrato ai Magi perché lo adorassero, e nella maniera più inequivocabile quando fu sottoposto al rito della circoncisione.... In alcuni di questi sermoni (rinascimentali) sulla circoncisione c’è una terrenità e una concretezza che indubbiamente offenderebbero il nostro gusto attuale... Citerò, per esempi, il sermone di Bernardino Carvajal, pronunciato nel 1484 in San Giovanni in Laterano, che contiene una disquisizione sull’autenticità del prepuzio del Cristo, conservato tra le reliquie di questa chiesa. Ancor più pertinenti... sono quei passi del sermone tenuto alla corte papale da Franesco Cardulo nel 1495 dove l’umanità di Cristo è dimostrata, proprio alla lettera, dalla palpabile realtà del membro maschile: “quod attrectatur, quod sumitur in manus, quod plagam recipit, quod sentit dolorem” (che viene vezzeggiato, preso tra le mani, che riceve una ferita, che prova dolore)...”.

Questa predicazione seguiva uno stile conforme all’ammonimento rivolto ai predicatori da un autore del XV secolo, il Brandolini: “Laddove in epoche precedenti gli uomini dovevano cercare la verità e disputare in merito ad essa, nell’era cristiana gli uomini possono gioirne”.

I predicatori del Rinascimento enfatizzano la preminenza dell’Incarnazione sulla creazione e, quasi potremmo dire, sulla morte e resurrezione del Cristo: “Tale accentuazione mira a interpretare tutti i successivi eventi della vita del Cristo quali espressioni di ciò che era stato compiuto fin dal principio, fin dal momento iniziale della reintegrazione dell’uomo, cioè l’Incarnazione nell’utero di Maria... Qualsiasi danno subito dall’uomo e dall’universo a seguito della caduta venne sanato... allorché il Verbo si incarnò[5].

“Così il realismo della pittura rinascimentale trova la propria giustificazione nella fede[6].

Ecco che ciò che non ci sembrerebbe tipico di un rapporto madre-figlio e, soprattutto, ciò che ci apparirebbe non ostentabile - l’esibizione dei genitali - assume allora un significato.

“Il realismo, e quanto più pregante quanto meglio, venne elevato a forma di venerazione”[7].

Ma qual’è il legame fra l’umanità del Dio fattosi uomo e la sessualità iconograficamente ostentata?

Possiamo dire, in primo luogo, che è tipico dell’umano l’essere mortale e sessuato. Così è sottolineato dall’iconografia l’allattare, poiché è una necessità umana il nutrirsi!

L’immagine più volte ripetuta di Maria lactans indica che “la sostanza assunta dalla seconda persona della Trinità ... era carne umana soggetta alla fame[8].

E, se negli scritti, non si sottolineava la parte dei genitali, ben diversa era la situazione per l’immagine; il mestiere del pittore gli imponeva di raffigurare ogni centimetro della carne, del corpo di Cristo.

Un secondo motivo della sottolineatura della sessualità di Cristo nell’iconografia, possiamo ravvisarlo nel desiderio di mostrare che il Cristo crocifisso è tutt’uno con l’infante gioioso. Ecco che, sebbene sia solo nel battesimo che il Cristo adulto compaia nudo, possiamo avere una sottolineatura iconografica dello stesso tema, anche nel Cristo crocifisso o morto.

Un terzo motivo è dato dal fatto che la castità del Cristo trionfò sulla carne peccaminosa. Il Cristo è senza peccato originale, mentre è proprio a motivo di quel peccato che entrò la vergogna di essere nudi. Già il termine “pudenda” equivale a “vergogne”. Ma Cristo è il nuovo Adamo, colui che non ha di che vergognarsi!

“Come potrebbe colui che riporta la natura umana all’assenza del peccato essere esposto alla vergogna della componente sessuale della sua umanità?”[9]

Viene così manifestato il Cristo celibe. Nel Cristo ci appare l’umanità senza macchia, esente da peccato. La difficile situazione dell’artista rinascimentale lo poneva nel conflitto tra il decoro prescritto dal senso comune ed il dovere di affermare la vittoria sul peccato. Vediamo, ad esempio, il Cristo nudo di Michelangelo, custodito dalla basilica di Santa Maria sopra Minerva in Roma. Vediamo vincere sul pudore l’evidenza teologica.

Michelangelo, Cristo, 1521
Michelangelo (terminata dopo la morte da altri e con la posteriore aggiunta del panno), Cristo, 1521, Santa Maria sopra Minerva, Roma

E’ un Cristo “denudato”, rispetto ai nudi pagani. Ma non denudato, a motivo di una umiliazione, bensì nel senso di un ritorno all’origine del disegno creatore di Dio sull’uomo, senza quei vestiti che gli erano stati dati a motivo del peccato.

La rilettura del paganesimo, fatta dal Rinascimento, ci appare come guidata dalla intuizione che quella stessa forma religiosa pre-cristiana era come già “informata”, già misteriosamente “prendeva la sua forma”, dal Cristo risorto, in un presentimento di ciò che si sarebbe rivelato pienamente, al momento dell’Incarnazione, come la speranza cristiana, come l’escatologica promessa concretamente incarnata dell’assenza di peccato che è da attendere.

“E’ lecito affermare che i Cristi nudi... - sulla croce, morti o risorti che siano – al pari del Bambin Gesù, non sono vergognosi, ma letteralmente e profondamente, senza vergogna[10].

Errerebbe così chi interpretasse gli artisti rinascimentali, nel loro complesso, come semplicemente interessati al nudo. E’ piuttosto l’inverso. L’interesse al nudo nasce a motivo di una precisa scelta teologica.

Possiamo seguire nell’arte medioevale e rinascimentale, in particolare, l’evoluzione iconografica nell’espressione della nudità del Bambino Gesù. A partire dal 1260 si comincia a mostrarne le ginocchia.

Verso il 1310, la nudità si manifesta sotto 4 aspetti pittorici:

Nel XIV secolo abbiamo, così, non un semplice “nudo all’antica”, ma una nudità coreografica, sottolineata dall’attivo allontanamento degli indumenti, una drammatizzazione che è anti-classica.
Nel cinquecento il tutto è ancora più accentuato.

“In tutte queste opere l’esecuzione del duplice gesto del bambino – precoce benedizione e proclamazione della propria nudità – serve a discriminare le due nature, la cui unione nel Cristo ipostatizza l’Incarnazione”[11].

Ecco che il Rinascimento sottolinea, ancora una volta, come il cristianesimo non sia tutto dottrina morale, non sia tutto messaggio orientato all’azione: lo scandalo del suo annuncio è, invece, Cristo stesso.

E’ da sottolineare che ci troviamo qui assolutamente all’opposto dell’esaltazione “fallica”:

“Nel simbolismo tradizionale l’organo maschile tende a significare potere... L’organo sessuale esibito dal Bambino Gesù, lungi dall’asseverare un’aggressiva virilità, costituisce il riconoscimento del fatto che Dio ha assunto in sé l’umana debolezza; è un affermazione non già di superiore valentia, bensì di condiscendenza all’affinità, un segno dell’autoumiliazione del Creatore, che si abbassa alla condizione della sua creatura[12].

Ci troviamo così di fronte a quella che potremmo chiamare una teologia della circoncisione

Andrea Mantegna, Trittico dell'Ascensione, Circoncisione, 1462-1464
Andrea Mantegna, Trittico dell'Ascensione, Circoncisione,(particolare), 1462-1464, Galleria degli Uffizi, Firenze (l'opera mostra in alto a sinistra, non visibile in questo particolare, il sacrificio di Isacco, chiaro riferimento iconografico alla passione di Cristo)

Già con “la circoncisione – segno di correzione dell’umana natura, (il Cristo) è offerto all’immolazione[13].

L’iconografia rinascimentale conosce il rapporto istituito da S.Paolo fra la circoncisione ed il battesimo, entrambi segno, sphragis, di un patto tra Dio ed i suoi eletti. Conosce le affermazioni di Agostino sulla circoncisione come strumento veterotestamentario di grazia per la remissione del peccato originale. Così gli sono noti gli argomenti di S.Tommaso, nella Summa Theologiae III q.70. Sottolinea, però, l’aspetto – potremmo dire – di “prima rata”, di “anticipo” del sangue di Cristo versato per l’umanità.

C’è un forte nesso circoncisione-passione, comprese entrambe come atti volontari. Vediamo non un bambino recalcitrante alla circoncisione: già in quel momento esce il sangue su di noi ed il Bambino, consapevolmente, si offre per questo.

E se il Cristo è circonciso (come un pegno pagato a nome dei cristiani) ecco che i cristiani non lo debbono più fare: è veramente un anticipo della passione. Come il battesimo non era necessario per il Cristo, ma è divenuto il segno del prendere su di sé la nostra umanità ed il nostro peccato, lo stesso viene affermato della circoncisione.

Già nel Medioevo era stato detto, ad esempio con S.Bernardo, che “la circoncisione è prova della vera umanità che egli ha assunto”[14]. Opere diffusissime parlavano dell’evento della circoncisione del Signore, come le Cento meditazioni dello pseudo Bonaventura che così affermava “Oggi comincia Misser Iesù a spargere lo suo santissimo sangue per noi[15]. E’ il Dio-uomo che già sanguina al momento della Circoncisione.

Così la Legenda aurea di Jacopo da Varagine per mostrare che il Signore aveva vestito vera carne umana e in tal modo confutare l’errore di coloro i quali avevano affermato che aveva assunto un corpo fantasmatico e non reale scriveva, in riferimento alla festa della Circoncisione, il 1 gennaio: “A tale scopo il Cristo volle essere circonciso e versare sangue, dal momento che un corpo fantasmatico non verserebbe sangue[16].

Dalla teologia medioevale e poi rinascimentale vengono così connessi la Circoncisione, il Getsemani con il sangue versato insieme alle lacrime in quel momento, la Flagellazione, la Croce ed, infine, l’acqua ed il sangue usciti dal costato.

Dei 164 sermoni esaminati da O’Malley 10 furono pronunciati per l’1 gennaio e ci presentano sempre i temi del sangue versato per noi, dell’anticipo della passione, della vera umanità del Cristo. Sono sermoni tenuti dinanzi a diversi pontefici, da Sisto IV ad Alessandro VI. In essi si riprende l’antica polemica contro Mani, Apollinare, Valentino, contro tutti gli gnostici che non volevano credere alla vera carne di Cristo.

Nell’iconografia il gesto dell’ostentazione della sessualità del Bambino Gesù si replica con la visita dei Magi. Possiamo ricordare, fra i tanti esempi, il Ghirlandaio (1487) che dipinge uno di essi che scosta il panno per vedere che il Bambino è veramente uomo. O ancora P.Bruegel, nell’Adorazione dei Magi del 1564, ora custodita a Londra.

Ghirlandaio, Adorazione dei Magi
Ghirlandaio, Adorazione dei Magi, 1487, Galleria degli Uffizi, Firenze

Insomma il Rinascimento “propose una teologia dell’Incarnazione ed elaborò modalità raffigurative adeguate alla sua raffigurazione[17].

Possiamo ricordare ancora il gesto di protezione della mano di Maria per dire la “vulnerabilità del Figlio” presente non solo nel Veronese (di cui conosciamo l’atteggiamento sprezzante dinanzi all’Inquisizione nel 1573) nella Sacra Famiglia con i Santi Barbara e Giovannino del 1560 ca. e nella Presentazione della famiglia Cuccina alla Madonna (1571), ma anche in numerosissime altre opere di pittori che mai ebbero problemi con i tribunali ecclesiastici come, ad esempio, Giovanni Bellini, nella Madonna che è da ascrivere al periodo 1475-80[18].

In forma più ipotetica lo Steinberg analizza alcune “abortite” raffigurazioni dell’Ecce Homo, con un velo che copre il genitale “eretto”, già simbolo di resurrezione. Qui ci troviamo dinanzi ad un “fallimento” iconografico, che non avrà seguito, nella storia dell’arte[19]. Sono immagini che, forse, fanno eco a discussioni dell’epoca – possiamo citare Battista Casali dinanzi al papa Giulio II nel 1508, oppure, precedentemente, Cardulus dinanzi ad Alessandro VI che sostenevano che il prepuzio fosse stato riassunto dal Cristo dopo la resurrezione, indicandolo come un “signum victoriae”.

Certo è che questo si prolungherà, invece, nella fortuna di “un accettabile stratagemma per aggirare la proibizione di raffigurare l’organo sessuale – una sineddoche che celebra la magnificenza della cosa coperta con la sontuosità attribuita a ciò che la copre... l’enfatizzazione del perizoma del Cristo in croce. Il perizoma sbandierante è una felice invenzione[20]” che troviamo in Rogier van der Weyden, poi in Cranach, in Dürer, ecc. ecc.

Trittico della crocifissione
Rogier van der Weyden, Trittico della crocifissione (parte centrale), ca.1445, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Anche qui niente di morboso o di maniera, ma “una volta di più ci viene mostrato che il Verbo incarnato è morto come uomo, tale in tutto e per tutto, trionfando sul peccato e sulla morte; la sua sessualità essendo stata vinta dalla sua castità, la sua mortalità dalla Resurrezione[21].

Dittico della crocifissione
Rogier van der Weyden, Dittico della crocifissione, ca.1460, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia

Lo Steinberg conclude con espressioni di riserva sulla sua stessa ricerca, ma conscio di aver individuato un itinerario promettente che ha ridato parola ad aspetti della teologia di un periodo storico che è tutto da riscoprire e valorizzare:

“Il terreno che mi sono azzardato a percorrere non è registrato su una mappa, oltre a essere poco sicuro e assai più vasto di quanto non appaia dal punto di vista che qui ho fatto mio. Molto di ciò che ho detto ha carattere congetturale e inevitabilmente sarà sottoposto a revisione”[22].


Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e fede presenti su questo sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici


Note

[1] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.6.

[2] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.9.

[3] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.9.

[4] Poscritto di John W. O’Malley S.J., in Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pagg.202-206.

[5] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.10.

[6] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.11.

[7] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.13.

[8] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.14.

[9] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.17.

[10] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.23.

[11] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.40.

[12] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pagg.46-48.

[13] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.49.

[14] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.55.

[15] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.57.

[16] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.58.

[17] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.73.

[18] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.76.

[19] Steinberg ricorda come Boccaccio ci sia testimone, nella X novella della III giornata, dell’espressione “resurrezione della carne” utilizzata all’epoca per indicare l’erezione.

[20] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.91.

[21] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pagg.106-107.

[22] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.108.


[Arte e fede]