Questo articolo vuole essere solo un promemoria di appunti presi durante la lettura del volume di Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986. L’autore ci introduce al significato iconografico di immagini come La Madonna col Bambino tra Sant'Agnese e un santo vescovo (XVI sec.) della scuola di Antoniazzo Romano, oggi nella Cappella dell’Almo Collegio Capranica di Roma. Ma, attraverso l’analisi di simili opere, ci consente di valutare appieno la valorizzazione dell’umano compiuta, a motivo della fede cristiana, dall’intero Rinascimento.
Il Centro culturale Gli scritti (10/09/2006)
Madonna con il Bambino della Cappella maggiore dell'Almo Collegio Capranica (la rappresentazione della Madonna col Bambino tra Sant'Agnese e un santo vescovo che presentano i cardinali Domenico e Angelo Capranica è attribuibile alla bottega di Antoniazzo Romano, XVI secolo) |
Il volume di Leo Steinberg si propone di dare una risposta al perché esistano da prima del 1400 alla metà del XVI secolo centinaia di opere pittoriche che ci mostrano, nell’iconografia del Cristo Bambino, una ostentatio genitalium, dove l’esibizione, il toccamento, la protezione, la presentazione dei genitali sono al centro del messaggio iconografico.
Steinberg ci avverte subito che il discorso che ci presenterà ha precisi paralleli anche in altri simboli iconografici: l’esempio che sceglie per mostrarci il significato teologico di un gesto iconografico è il toccamento del mento della Madonna da parte del Bambino Gesù, che oggi prendiamo, superficialmente, solo per un tenero gesto infantile, ma che è, invece, portatore di un significato erotico nell’arte profana antica. Trasferito al Bambino ed alla Vergine, diviene espressione – Steinberg sostiene - dell’amore sponsale fra il Cristo e la sua Chiesa. La carezza del mento designa così lo Sposo infante, Bambino, che già ama la sua Sposa, la Chiesa, significata da Maria.
Secondo Steinberg è solo a motivo di 4 secoli di laicismo che oggi
alcuni critici parlano di questo gesto come di un’espressione attribuibile ad ogni figlio
di donna: il gesto iconografico voleva, invece, non sminuire, ma piuttosto confermare il
mistero dell’Incarnazione e la sua verità
“Laddove umanizzando il Cristo, l’artista ha osato l’osabile, noi oggi
non vediamo niente di insolito, come se il Bambino o il Cristo morto non fossero che pretesti
per dare risalto alla comune umanità”[1].
I gesti dell’arte rinascimentale, se non riandiamo alla teologia che li motivava e li
sosteneva, vengono allora reinterpretati solo come vezzi o, peggio, come arcane usanze
popolari, se non superstizioni o addirittura gesti magici, apotropaici o propiziatori di
fecondità.
Taluni parlano così di fatui motivo di genere, spiegazione assolutamente riduttiva.
E’ evidente, invece, che gesti compiuti dal Bambino Gesù nell’iconografia
rinascimentale - o precedentemente medioevale – come, per citare altri esempi, infilare
l’anello al dito di Santa Caterina d’Alessandria o mangiare uva o leggere un libro
siano carichi di un profondo simbolismo teologico. E sono gesti che non fa un qualsiasi
bambino!
“La mia risposta provvisoria è che (una tale raffigurazione che ostenta i
genitali del Cristo) si impernia in un gesto ossessivo, una prova palpabile, testimonianza
manifesta del concetto che il Credo considera centrale: la discesa di Dio
nell’umanità”[2].
Ed è proprio alle garanti del lignaggio umano del Cristo, Sant’Anna e la Vergine
Maria, che compete di fornirne la prova. Nella Madonna adorante il Bambino del Botticini, a
Firenze, sono, invece, gli angeli che cospargono di fiori i genitali di Cristo
Francesco Botticini, Madonna ed angeli adoranti il Bambino, ca.1490 |
Possiamo dire che, poiché nessuno dubitava nel Rinascimento della
divinità di Cristo, l’iconografia pittorica si cimentava piuttosto a mostrarne e
comprovarne l’umanità.
“Un Bambino Gesù dell’immaginazione rinascimentale differisce infatti dai
precedenti Cristi Infanti bizantini e medioevali non soltanto per il grado di naturalismo, ma
anche per la diversa enfasi teologica. Nell’immaginazione paleocristiana, la pretesa
dell’assoluta divinità del Cristo e della sua parità con il Padre
onnipotente dovette venire di continuo riaffermata nei confronti della miscredenza, dapprima
contro la riluttanza giudaica e lo scetticismo pagano, poi contro l’eresia ariana ed,
infine, contro l’Islam... Ma per un artista occidentale cresciuto nell’ortodossia
cattolica (rinascimentale) lo scopo non era tanto quello di proclamare la divinità
dell’infante, quanto di dichiarare l’umanizzazione di Dio. E tale
dichiarazione diviene il tema costante di ogni Natività, Adorazione, Sacra famiglia, o
Madonna col bambino del Rinascimento”[3].
Steinberg si richiama più volte al libro del gesuita John O’Malley, Praise and
Blame in Renaissance Rome, sui sermoni predicati alla corte papale tra il 1450 ed il 1521.
Possiamo riassumere il contenuto di questo prezioso contributo con le parole del Poscritto
all’opera di L.Steinberg, dello stesso O’Malley[4]:
“Erasmo da Rotterdam è il teologo rinascimentale che negli ultimi anni
è stato oggetto della massima attenzione, e oggi ci rendiamo conto di quanto mal servito
egli sia stato nel corso dei secoli da parte di interpreti che l’hanno liquidato come
mera brutta copia di Lutero. Ma gli studi di storici come Charles Trinkaus, Salvatore
Camporeale e altri, hanno comprovato come ci sono stati precedenti italiani di Erasmo non
meno affascinanti ma costantemente privati del posto che loro giustamente spettava nella storia
della teologia: una storia nella quale Roma è stata non soltanto trascurata, ma
esplicitamente denigrata... Io mi accingo a proporre l’oltraggiosa tesi che proprio a
Roma, nei settantacinque anni che precedettero la Riforma, fu compiuta l’opera teologica
più originale e creativa di tutta Europa... E’ fuori dubbio che la
“teologia rinascimentale” in generale è stata gravemente inficiata e forse
in gran parte distrutta, dalle aspre controversie accese dalla Riforma e dalla Controriforma, e
che persino il suo ricordo è stato completamente cancellato... Una delle più
singolari caratteristiche della teologia rinascimentale consiste a mio giudizio, nel
trattamento da essa riservato al tema dell’Incarnazione; sono portato anzi a definirla
una “teologia incarnazionale”... basterà dire che nel mistero
dell’Incarnazione si tendeva a vedere la verità centrale del cristianesimo e ad
identificarla con il mistero della Redenzione... Questa verità astratta del Credo
– vero Dio, vero uomo – doveva... essere utilizzata, stando ai principi della
retorica, a vantaggio dell’uditorio, allo scopo cioè di elevarlo a nobili
sentimenti che avrebbero poi promosso comportamenti degni di cristiani. E’ in questo
contesto che la retorica evoca e diffonde il tema della “dignità
dell’uomo”. Quale miglior modo di far intendere la verità della
dignità dell’umana natura che non sottolineare che Dio stesso non aveva disdegnato
di assumerla ed era effettivamente divenuto uomo, vero uomo? Non va inoltre dimenticato che
la liturgia del rito romano prescriveva che il celebrante e l’intera congregazione si
inginocchiassero una sola volta durante la recitazione dell’antico Credo, precisamente
alle parole “et incarnatus est ex Maria Virgine, et homo factus est”. La frase
successiva “crucifixus etiam pro nobis” era una sorta di ripensamento, un
corollario, e veniva pronunciata dopo che l’assemblea si era rimessa in piedi...
Com’è ovvio, l’Incarnazione ebbe luogo nel momento del concepimento
nell’utero della Vergine, vale a dire durante l’Annunciazione, episodio tanto
frequente nell’arte del Rinascimento: ma i pensatori dell’epoca erano troppo
sottili e duttili per limitare così drasticamente l’evento.
L’Incarnazione venne manifestata – rivelata – solo più tardi
allorché il Bambino fu rivelato al mondo al momento della nascita, tenuto tra le braccia
della madre, mostrato ai Magi perché lo adorassero, e nella maniera più
inequivocabile quando fu sottoposto al rito della circoncisione.... In alcuni di questi
sermoni (rinascimentali) sulla circoncisione c’è una terrenità e una
concretezza che indubbiamente offenderebbero il nostro gusto attuale... Citerò, per
esempi, il sermone di Bernardino Carvajal, pronunciato nel 1484 in San Giovanni in Laterano,
che contiene una disquisizione sull’autenticità del prepuzio del Cristo,
conservato tra le reliquie di questa chiesa. Ancor più pertinenti... sono quei passi
del sermone tenuto alla corte papale da Franesco Cardulo nel 1495 dove l’umanità
di Cristo è dimostrata, proprio alla lettera, dalla palpabile realtà del membro
maschile: “quod attrectatur, quod sumitur in manus, quod plagam recipit, quod sentit
dolorem” (che viene vezzeggiato, preso tra le mani, che riceve una ferita, che prova
dolore)...”.
Questa predicazione seguiva uno stile conforme all’ammonimento rivolto ai predicatori da
un autore del XV secolo, il Brandolini: “Laddove in epoche precedenti gli uomini
dovevano cercare la verità e disputare in merito ad essa, nell’era cristiana gli
uomini possono gioirne”.
I predicatori del Rinascimento enfatizzano la preminenza dell’Incarnazione sulla
creazione e, quasi potremmo dire, sulla morte e resurrezione del Cristo: “Tale
accentuazione mira a interpretare tutti i successivi eventi della vita del Cristo quali
espressioni di ciò che era stato compiuto fin dal principio, fin dal momento iniziale
della reintegrazione dell’uomo, cioè l’Incarnazione nell’utero di
Maria... Qualsiasi danno subito dall’uomo e dall’universo a seguito della caduta
venne sanato... allorché il Verbo si incarnò”[5].
“Così il realismo della pittura rinascimentale trova la propria
giustificazione nella fede”[6].
Ecco che ciò che non ci sembrerebbe tipico di un rapporto madre-figlio e, soprattutto,
ciò che ci apparirebbe non ostentabile - l’esibizione dei genitali - assume allora
un significato.
“Il realismo, e quanto più pregante quanto meglio, venne elevato a forma di
venerazione”[7].
Ma qual’è il legame fra l’umanità del Dio fattosi uomo e la
sessualità iconograficamente ostentata?
Possiamo dire, in primo luogo, che è tipico dell’umano l’essere mortale
e sessuato. Così è sottolineato dall’iconografia l’allattare,
poiché è una necessità umana il nutrirsi!
L’immagine più volte ripetuta di Maria lactans indica che “la sostanza
assunta dalla seconda persona della Trinità ... era carne umana soggetta alla
fame”[8].
E, se negli scritti, non si sottolineava la parte dei genitali, ben diversa era la situazione
per l’immagine; il mestiere del pittore gli imponeva di raffigurare ogni centimetro della
carne, del corpo di Cristo.
Un secondo motivo della sottolineatura della sessualità di Cristo
nell’iconografia, possiamo ravvisarlo nel desiderio di mostrare che il Cristo
crocifisso è tutt’uno con l’infante gioioso. Ecco che, sebbene sia solo
nel battesimo che il Cristo adulto compaia nudo, possiamo avere una sottolineatura iconografica
dello stesso tema, anche nel Cristo crocifisso o morto.
Un terzo motivo è dato dal fatto che la castità del Cristo trionfò sulla
carne peccaminosa. Il Cristo è senza peccato originale, mentre è proprio a motivo
di quel peccato che entrò la vergogna di essere nudi. Già il termine
“pudenda” equivale a “vergogne”. Ma Cristo è il nuovo Adamo,
colui che non ha di che vergognarsi!
“Come potrebbe colui che riporta la natura umana all’assenza del peccato essere
esposto alla vergogna della componente sessuale della sua
umanità?”[9]
Viene così manifestato il Cristo celibe. Nel Cristo ci appare l’umanità
senza macchia, esente da peccato. La difficile situazione dell’artista rinascimentale lo
poneva nel conflitto tra il decoro prescritto dal senso comune ed il dovere di affermare la
vittoria sul peccato. Vediamo, ad esempio, il Cristo nudo di Michelangelo, custodito dalla
basilica di Santa Maria sopra Minerva in Roma. Vediamo vincere sul pudore l’evidenza
teologica.
E’ un Cristo “denudato”, rispetto ai nudi pagani. Ma
non denudato, a motivo di una umiliazione, bensì nel senso di un ritorno
all’origine del disegno creatore di Dio sull’uomo, senza quei vestiti che gli erano
stati dati a motivo del peccato.
La rilettura del paganesimo, fatta dal Rinascimento, ci appare come guidata dalla intuizione
che quella stessa forma religiosa pre-cristiana era come già “informata”,
già misteriosamente “prendeva la sua forma”, dal Cristo risorto, in un
presentimento di ciò che si sarebbe rivelato pienamente, al momento
dell’Incarnazione, come la speranza cristiana, come l’escatologica promessa
concretamente incarnata dell’assenza di peccato che è da attendere.
“E’ lecito affermare che i Cristi nudi... - sulla croce, morti o risorti che
siano – al pari del Bambin Gesù, non sono vergognosi, ma letteralmente e
profondamente, senza vergogna”[10].
Errerebbe così chi interpretasse gli artisti rinascimentali, nel loro complesso, come
semplicemente interessati al nudo. E’ piuttosto l’inverso. L’interesse al
nudo nasce a motivo di una precisa scelta teologica.
Possiamo seguire nell’arte medioevale e rinascimentale, in particolare,
l’evoluzione iconografica nell’espressione della nudità del Bambino
Gesù. A partire dal 1260 si comincia a mostrarne le ginocchia.
Verso il 1310, la nudità si manifesta sotto 4 aspetti pittorici:
Nel XIV secolo abbiamo, così, non un semplice “nudo
all’antica”, ma una nudità coreografica, sottolineata dall’attivo
allontanamento degli indumenti, una drammatizzazione che è anti-classica.
Nel cinquecento il tutto è ancora più accentuato.
“In tutte queste opere l’esecuzione del duplice gesto del bambino – precoce
benedizione e proclamazione della propria nudità – serve a discriminare le due
nature, la cui unione nel Cristo ipostatizza l’Incarnazione”[11].
Ecco che il Rinascimento sottolinea, ancora una volta, come il cristianesimo non sia tutto
dottrina morale, non sia tutto messaggio orientato all’azione: lo scandalo del suo
annuncio è, invece, Cristo stesso.
E’ da sottolineare che ci troviamo qui assolutamente all’opposto
dell’esaltazione “fallica”:
“Nel simbolismo tradizionale l’organo maschile tende a significare potere...
L’organo sessuale esibito dal Bambino Gesù, lungi dall’asseverare
un’aggressiva virilità, costituisce il riconoscimento del fatto che Dio ha
assunto in sé l’umana debolezza; è un affermazione non già di
superiore valentia, bensì di condiscendenza all’affinità, un segno
dell’autoumiliazione del Creatore, che si abbassa alla condizione della sua
creatura”[12].
Ci troviamo così di fronte a quella che potremmo chiamare una teologia della
circoncisione
Già con “la circoncisione – segno di correzione
dell’umana natura, (il Cristo) è offerto
all’immolazione”[13].
L’iconografia rinascimentale conosce il rapporto istituito da S.Paolo fra la
circoncisione ed il battesimo, entrambi segno, sphragis, di un patto tra Dio ed i suoi eletti.
Conosce le affermazioni di Agostino sulla circoncisione come strumento veterotestamentario di
grazia per la remissione del peccato originale. Così gli sono noti gli argomenti di
S.Tommaso, nella Summa Theologiae III q.70. Sottolinea, però, l’aspetto –
potremmo dire – di “prima rata”, di “anticipo” del sangue di
Cristo versato per l’umanità.
C’è un forte nesso circoncisione-passione, comprese entrambe come atti
volontari. Vediamo non un bambino recalcitrante alla circoncisione: già in quel
momento esce il sangue su di noi ed il Bambino, consapevolmente, si offre per questo.
E se il Cristo è circonciso (come un pegno pagato a nome dei cristiani) ecco che i
cristiani non lo debbono più fare: è veramente un anticipo della passione.
Come il battesimo non era necessario per il Cristo, ma è divenuto il segno del prendere
su di sé la nostra umanità ed il nostro peccato, lo stesso viene affermato della
circoncisione.
Già nel Medioevo era stato detto, ad esempio con S.Bernardo, che “la
circoncisione è prova della vera umanità che egli ha
assunto”[14]. Opere
diffusissime parlavano dell’evento della circoncisione del Signore, come le Cento
meditazioni dello pseudo Bonaventura che così affermava “Oggi comincia
Misser Iesù a spargere lo suo santissimo sangue per noi”[15]. E’ il Dio-uomo che
già sanguina al momento della Circoncisione.
Così la Legenda aurea di Jacopo da Varagine per mostrare che il Signore aveva vestito
vera carne umana e in tal modo confutare l’errore di coloro i quali avevano affermato che
aveva assunto un corpo fantasmatico e non reale scriveva, in riferimento alla festa della
Circoncisione, il 1 gennaio: “A tale scopo il Cristo volle essere circonciso e versare
sangue, dal momento che un corpo fantasmatico non verserebbe
sangue”[16].
Dalla teologia medioevale e poi rinascimentale vengono così connessi la Circoncisione,
il Getsemani con il sangue versato insieme alle lacrime in quel momento, la Flagellazione, la
Croce ed, infine, l’acqua ed il sangue usciti dal costato.
Dei 164 sermoni esaminati da O’Malley 10 furono pronunciati per l’1 gennaio e ci
presentano sempre i temi del sangue versato per noi, dell’anticipo della passione, della
vera umanità del Cristo. Sono sermoni tenuti dinanzi a diversi pontefici, da Sisto IV ad
Alessandro VI. In essi si riprende l’antica polemica contro Mani, Apollinare, Valentino,
contro tutti gli gnostici che non volevano credere alla vera carne di Cristo.
Nell’iconografia il gesto dell’ostentazione della sessualità del Bambino
Gesù si replica con la visita dei Magi. Possiamo ricordare, fra i tanti esempi, il
Ghirlandaio (1487) che dipinge uno di essi che scosta il panno per vedere che il Bambino
è veramente uomo. O ancora P.Bruegel, nell’Adorazione dei Magi del 1564, ora
custodita a Londra.
Insomma il Rinascimento “propose una teologia
dell’Incarnazione ed elaborò modalità raffigurative adeguate alla sua
raffigurazione”[17].
Possiamo ricordare ancora il gesto di protezione della mano di Maria per dire la
“vulnerabilità del Figlio” presente non solo nel Veronese (di cui conosciamo
l’atteggiamento sprezzante dinanzi all’Inquisizione nel 1573) nella Sacra Famiglia
con i Santi Barbara e Giovannino del 1560 ca. e nella Presentazione della famiglia Cuccina alla
Madonna (1571), ma anche in numerosissime altre opere di pittori che mai ebbero problemi con i
tribunali ecclesiastici come, ad esempio, Giovanni Bellini, nella Madonna che è da
ascrivere al periodo 1475-80[18].
In forma più ipotetica lo Steinberg analizza alcune “abortite”
raffigurazioni dell’Ecce Homo, con un velo che copre il genitale “eretto”,
già simbolo di resurrezione. Qui ci troviamo dinanzi ad un “fallimento”
iconografico, che non avrà seguito, nella storia dell’arte[19]. Sono immagini che, forse, fanno eco a
discussioni dell’epoca – possiamo citare Battista Casali dinanzi al papa Giulio II
nel 1508, oppure, precedentemente, Cardulus dinanzi ad Alessandro VI che sostenevano che il
prepuzio fosse stato riassunto dal Cristo dopo la resurrezione, indicandolo come un
“signum victoriae”.
Certo è che questo si prolungherà, invece, nella fortuna di “un
accettabile stratagemma per aggirare la proibizione di raffigurare l’organo sessuale
– una sineddoche che celebra la magnificenza della cosa coperta con la sontuosità
attribuita a ciò che la copre... l’enfatizzazione del perizoma del Cristo in
croce. Il perizoma sbandierante è una felice invenzione[20]” che troviamo in Rogier van der
Weyden, poi in Cranach, in Dürer, ecc. ecc.
Anche qui niente di morboso o di maniera, ma “una volta di più ci viene mostrato che il Verbo incarnato è morto come uomo, tale in tutto e per tutto, trionfando sul peccato e sulla morte; la sua sessualità essendo stata vinta dalla sua castità, la sua mortalità dalla Resurrezione”[21].
Lo Steinberg conclude con espressioni di riserva sulla sua stessa ricerca,
ma conscio di aver individuato un itinerario promettente che ha ridato parola ad aspetti della
teologia di un periodo storico che è tutto da riscoprire e valorizzare:
“Il terreno che mi sono azzardato a percorrere non è registrato su una mappa,
oltre a essere poco sicuro e assai più vasto di quanto non appaia dal punto di vista che
qui ho fatto mio. Molto di ciò che ho detto ha carattere congetturale e inevitabilmente
sarà sottoposto a revisione”[22].
Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e fede presenti su questo sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici
[1] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.6.
[2] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.9.
[3] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.9.
[4] Poscritto di John W. O’Malley S.J., in Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pagg.202-206.
[5] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.10.
[6] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.11.
[7] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.13.
[8] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.14.
[9] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.17.
[10] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.23.
[11] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.40.
[12] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pagg.46-48.
[13] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.49.
[14] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.55.
[15] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.57.
[16] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.58.
[17] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.73.
[18] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.76.
[19] Steinberg ricorda come Boccaccio ci sia testimone, nella X novella della III giornata, dell’espressione “resurrezione della carne” utilizzata all’epoca per indicare l’erezione.
[20] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.91.
[21] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pagg.106-107.
[22] Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986, pag.108.