Presentiamo on-line un articolo dell’architetto Gianmaria Bagordo
scritto per l’Areopago sull’iconografia della Sagrada Família di Antoni
Gaudí.
Come è noto è in corso il processo per la Causa di Beatificazione
dell’architetto catalano, poiché l’esemplarità della sua vita
cristiana fu, lui stesso ancora vivente, motivo di crescita e conversione per i suoi
contemporanei. Riproduciamo, solo a titolo di esempio, una delle sue riflessioni che non mise
mai per iscritto, ma che ci sono tramandate dai suoi amici e discepoli:
“La vita è amore, e l’amore è sacrificio. A qualsiasi livello si
osserva che, quando una casa conduce una vita prospera, c’è qualcuno che si
sacrifica; a volte questo qualcuno è un domestico, un servitore. Quando le persone che
si sacrificano sono due, la vita del nucleo diventa brillante, esemplare. Un matrimonio, in cui
i due coniugi hanno spirito di sacrificio, è caratterizzato dalla pace e
dall’allegria, che ci siano figli o no, ricchezza o no. Se coloro che si sacrificano sono
più di due, la casa brilla di mille luci che abbagliano chiunque ai avvicini. Il motivo
della crescita spirituale e materiale degli ordini religiosi è che tutti i membri si
sacrificano per il bene comune” (da A. Gaudí, Idee per l’architettura.
Scritti e pensieri raccolti dagli allievi, a cura di I.Puig-Boada, Jaca Book, Milano, 1995,
pag.277).
Ma non fu solo la sua vita personale ad essere profondamente informata dalla fede; anche
l’iconografia dei suoi edifici, innanzitutto civili, è continua espressione della
sua ricerca interiore. Troviamo, solo per indicare alcuni esempi, le abbreviazioni dei nomi di
Gesù, Giuseppe e Maria nella torretta di Casa Battló, l’iscrizione
dell’Ave Maria all’apice di Casa Milà, detta la Pedrera, che doveva essere,
nelle intenzione di Gaudí un monumento alla Vergine del Rosario culminante con una
statua della Madonna che fu poi rifiutata dai committenti che lo licenziarono, troviamo ancora
esistente la cappella per le preghiere familiari nel piano nobile di Palazzo Güell, mentre
possediamo le foto e gli arredi, ormai non più in loco, dell’analoga cappella nel
piano nobile di Casa Battló, troviamo ancora la cancellata dedicata all’Immacolata
Concezione nella Torre di Bellesguard e le maioliche con i graffiti rivolti alla Vergine nella
terrazza di Parc Güell, opera dell’amico e collaboratore di Gaudí Josep Maria
Jujol, come il Calvario con le sue tre croci, voluto dall’architetto catalano in cima
alla collina dello stesso Parc Güell.
Fu, naturalmente però, nell’edilizia religiosa che Gaudí massimamente
espresse i temi iconografici cristiani, dal Palazzo episcopale di Astorga, al restauro della
cattedrale di Maiorca, fino alla Sagrada Família. Per questi monumenti Gaudí non
solo studiò a lungo i principali testi di teologia liturgica del tempo, ma anche, da
assiduo partecipante alla liturgia quale era, si preoccupò di seguire passo passo tutti
i movimenti liturgici, per studiare la migliore sistemazione architettonica, come lui stesso ci
testimonia, attraverso il ricordo dei suoi discepoli:
“Quando il dottor Campins mi affidò il restauro della cattedrale di Maiorca,
non andai a cercare le norme relative al mio lavoro nei trattati di liturgia, che a quel tempo
cominciavano già ad essere pubblicati. Seguendo il metodo sperimentale, invece,
trascorsi un anno osservando e annotando tutte le carenze che l’errata disposizione
dell’arredo liturgico causava nel cerimoniale delle funzioni vescovili, privandole di
significato e splendore” (da A. Gaudí, Idee per l’architettura. Scritti e
pensieri raccolti dagli allievi, a cura di I.Puig-Boada, Jaca Book, Milano, 1995,
pagg.274-275).
Mentre ci ripromettiamo di presentare in maniera più organica una sintesi dei temi
di iconografia cristiana affrontati da Gaudí nella sua edilizia civile di Barcellona,
come di mettere a disposizione una selezione dei suoi pensieri sulla vita cristiana,
presentiamo on-line questo lavoro di Gianmaria Bagordo che ci introduce alla Sagrada
Família, con particolare attenzione ai temi trinitari ed alla presenza iconografica
dello Spirito Santo .
L’Areopago
Quando nel 1883 l’Associazione dei Devoti di San Giuseppe
commissionò ad Antoni Gaudí, giovane architetto di Barcellona, la prosecuzione
del Tempio della Sagrada Família, non si poteva immaginare di certo la risonanza
mondiale dell’opera che si stava per intraprendere. Ancora oggi la Sagrada Família
affascina per la bellezza della sue forme incompiute, nonché per le sue dimensioni
colossali, che la rendono la “terza cattedrale” nel solare panorama della
città catalana. Ma ancor più un fascino sottile pervade chi si sofferma ad
approfondire il carattere particolare dell’opera di Gaudí, indissolubilmente
legato ad un’espressione di fede salda e sicura.
Al moderno visitatore la chiesa appare poco più di un cantiere, con due facciate
realizzate a quasi un secolo di distanza l’una dall’altra e la terza ancora in fase
di costruzione, così come ampiamente in costruzione risulta la navata centrale. Eppure
ogni parte, ogni pietra è stata già pensata dall’architetto catalano e
attende solo di essere collocata al suo posto per esprimere compiutamente la tensione
dell’uomo, di ogni uomo, verso l’infinito e verso Dio. Seppur dedicata alla Sacra
Famiglia, secondo la volontà dei committenti, la “cattedrale” si pone come
espressione e manifestazione del mistero della vita cristiana, il cui centro è Cristo,
alfa e omega, principio e fine.
Le tre facciate, così simili eppur diverse, si articolano nella successione degli
episodi del Nuovo Testamento: ad oriente la Facciata della Natività con gli episodi
dell’infanzia di Cristo; dal lato opposto il racconto del triduo pasquale si svolge sulla
Facciata della Passione; verso sud la facciata della Gloria costituirà, un giorno, il
principale accesso all’edificio, in un simbolico percorso attraverso la morte, al livello
del suolo, e più in alto la risurrezione della carne, il giudizio universale e la Gloria
celeste. Il mistero dell’Incarnazione, il mistero della Croce, il mistero della
Risurrezione: da qualunque punto ci si accosti Cristo è l’unico tramite per
accedere all’edificio, metafora del suo corpo mistico, secondo Gaudí, ma anche,
per estensione, simbolo dell’Ecclesia universalis.
Ma un ulteriore livello di lettura sembra svilupparsi da questa triplice iterazione della
figura di Cristo. Se ad ovest la Facciata della Passione culmina con la croce innalzata,
manifestazione tangibile di quanto ricordato dalle parole di Giovanni, e la Facciata della
Gloria sembra ricondurre all’infinita misericordia del Padre, in cui tutto si
ricapitolerà alla fine dei tempi, la Facciata della Natività, oltre a
rappresentare i primi anni della vita terrena di Cristo, può essere interpretata come
raffigurazione dell’opera di Dio nel mondo, in grado di operare oltre ogni schema
attraverso la potenza e l’azione dello Spirito Santo. Tale ipotesi di lettura sembra
essere suffragata dalla stessa simbologia adottata da Gaudí[1]. Nella facciata si aprono, infatti, tre portali dedicati
alle virtù teologali: a sinistra, per chi guarda l’edificio, il Porticato della
Speranza, attorniato da episodi del Nuovo Testamento in cui tale virtù si rispecchia
come compagna fedele del cammino dell’Uomo. Sulla verticale del portale si distinguono,
infatti, la scena della strage degli Innocenti, ma anche quella della Fuga in Egitto e,
più in alto, il fidanzamento di Giuseppe e Maria, origine di quella speranza che ha
portato il Salvatore nel mondo. A destra, invece, il Porticato della Fede è esaltato da
quei passi del Vangelo ricollegabili a questa seconda virtù: la Visita di Maria ad
Elisabetta, Gesù tra i dottori del Tempio, Zaccaria che scrive il nome di suo figlio
Giovanni. In alto i principali dogmi della chiesa cattolica: la lampada con tre stoppini,
simbolo della Trinità, l’Immacolata Concezione, l’Eucarestia, la Provvidenza
Divina raffigurata come mano aperta al cui centro un occhio “tutto vede”.
Il terzo Porticato, sull’asse centrale della facciata, è quello dedicato alla
Carità, e viene perciò anche detto dell’Amore Cristiano. Proprio in questo
portale, ancor più che nei precedenti, può essere letta in maniera chiara
l’azione di Dio nella storia dell’Uomo per opera dello Spirito Santo. A partire dal
basso, al centro, il primo gruppo scultoreo che si incontra è quello che dà il
nome all’intera facciata, ovvero la Natività, attorniata dalla duplice adorazione
dei pastori, a destra, e dei magi, a sinistra. In alto un coro di schiere angeliche fa da
contorno alla scena, guidando l’osservatore dal piano terreno e terrestre a quello
più elevato, sovrannaturale e celeste. Al centro, proprio sulla verticale della Sacra
Famiglia nella grotta di Betlemme, la stella cometa ci accompagna in un effetto ascensionale
accentuato dai molteplici raggi della sua coda che, come stallattitti, si allungano dal suo
nucleo radiante. La stella è il segnale dell’epifania divina: come ha condotto
pastori e magi alla grotta così, in eterno, brilla, per chi si rivolge verso la
facciata, a segnalare l’evento miracoloso. Ma allo stesso tempo la stella si scaglia
verso l’alto, spingendo l’osservatore a rivolgere la sua attenzione ancora
più su. E infatti esattamente sopra il suo nucleo si trova il gruppo
dell’Annunciazione in cui, secondo quanto pensato dallo stesso Gaudí,
l’angelo impone le sue mani a Maria. I due eventi, Annunciazione e Natività, sono
così posti in relazione profonda e intima proprio dalla presenza della stella che
diviene l’elemento di giunzione, evidenziando il carattere di causa-effetto che
intercorre tra le due scene. Significativo, in tal senso, è il fatto che una lettura
dall’alto verso il basso vede l’Annunciazione precedere, come logico, la
Natività; quest’ultima è perciò introdotta dalla lunga coda della
stella che, come pioggia luminosa, quasi un moderno riflettore, irradia la sua luce sulla scena
principale. A sottolineare il carattere di importanza mondiale di questi eventi, Gaudí
pose, attorno alla scena dell’Annunciazione, una parte dello zodiaco, e precisamente
quella compresa tra il segno dell’Ariete e quello della Vergine. La simbologia, cara a
tanta arte del passato[2],
è un chiaro riferimento alla signoria di Cristo su tutto il mondo e in ogni tempo, ma
nel caso specifico potrebbe anche voler significare il momento preciso in cui avvenne
l’evento principio della Salvezza, e precisamente mentre il segno della Vegine ascendeva
al cielo. Lo Zodiaco raffigurato svolge, perciò la duplice funzione di collocamento
spazio-temporale dell’azione, ma allo stesso tempo, grazie alle stelle che si estendono
sulla sua superficie, costituisce la volta celeste al di sotto della quale si staglia il mondo
sensibile. L’Annunciazione, per il suo carattere di eccezionalità, diviene,
quindi, il punto di unione tra divino e umano, mediato dalla presenza di Maria.
Proseguendo verso l’alto, al di sopra, oltre le stelle ed il cielo, si staglia la terza
grande scena del Portale della Carità, quella dell’Incoronazione di Maria.
Cronologicamente quanto rappresentato sembra in aperto contrasto con ciò che si trova
immediatamente al di sotto, perché, tradizionalmente, l’Incoronazione della
Vergine è un evento posto al termine della sua vita mortale; tuttavia è anche
vero che fin dal principio Maria è stata concepita senza peccato, ovvero, si può
pensare, fin dal principio già destinata alla corona di Regina dei Cieli. In una lettura
della facciata non statica, ma continuamente oscillante tra il senso ascendente e quello
discendente, il gruppo dell’Incoronazione rappresenta, dunque, il principio e la fine di
un ciclo che dall’Amore trae origine e all’Amore ritorna, dopo aver prodotto i suoi
frutti nel mondo. La sua collocazione, oltre le stelle dello Zodiaco, l’aristotelico
cielo delle stelle fisse, la pone perciò in una dimensione extra-sensoriale, propria
dell’Empireo. E proprio perché ormai in una dimensione non più umana, il
gruppo è preceduto e attorniato dagli angeli del Giudizio che suonano le loro trombe.
Ancora più in alto il portale raggiunge il suo culmine nell’albero della vita,
simbolo dell’unico vero axis mundi che è il corpo di Cristo. Ancora una
volta l’immagine principale è preceduta e attorniata da una serie di simboli che
ne preannunciano la vera natura e ne completano il significato. Si va dal pellicano che nutre i
suoi piccoli, all’uovo con le iniziali JHS, alle stesse iniziali inchiodate a una croce e
portate in trionfo da una folta schiera di angeli osannanti. Cristo è dunque, per
Gaudí, il centro della vita dell’Uomo, attorno a cui tutto si svolge; ma, nel caso
specifico di questa facciata, alla simbologia cristologica è associata anche la forte
presenza di immagini dello Spirito Santo, a cominciare dalle numerose colombe in volo che
circondano la chioma dell’albero e che dall’albero discendono progressivamente sul
resto della facciata. Attorno all’Incoronazione della Vergine, ma anche intorno
all’Annunciazione, le colombe dello Spirito emergono, di quando in quando, dal magma
plastico della pietra, e si confondono tra le stelle dello Zodiaco, simili, a volte, a piccole
fiammelle. Tutta la facciata è dunque rappresentazione del mistero stesso
dell’Incarnazione: Cristo si è fatto uomo per la redenzione
dell’umanità per mezzo dell’opera dello Spirito Santo che
dall’immensità celeste è disceso nel mondo. Dall’albero della vita,
dunque, le colombe-Spirito discendono, incontrando l’evento dell’Incoronazione
della Vergine, da sempre pensata Regina Coeli; successivamente, attraverso la mano
dell’arcangelo Gabriele, lo Spirito discende in Maria, per concludere la sua vertiginosa
corsa, attraverso la coda della cometa, sulla scena della Natività. È il mistero
di un Dio fatto uomo che, meglio che con qualsiasi parola, viene porto ad ogni fedele dalle
braccia amorevoli di Giuseppe e Maria.
Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e fede presenti su questo sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici
[1] È da ricordare che al contrario della Facciata della Passione, completata dallo scultore Joseph M. Subirachs secondo uno schema iconografico che in parte si discosta dai disegni di Gaudí, la Facciata della Natività è l’unica costruita quasi completamente sotto la direzione dell’architetto catalano nel corso dei quarantadue anni in cui si dedicò all’opera.
[2] Si veda, a tal proposito, l’immagine della Madonna dello Zodiaco, dipinta nel 1460 da Cosmè Tura. In essa la presenza della fascia zodiacale attorno alla figura della Vergine allude al ruolo di Cristo cronocatore, cioè signore del tempo cosmico.