Ripresentiamo on-line sul nostro sito la prima parte dell’articolo
Immagini del Redentore di padre Virgilio Fantuzzi S.I. (l’intero articolo
è on-line sul sito della rivista Civiltà cattolica: La Civiltà
Cattolica 2003 II 49-62, quaderno 3667). Ci introduce alla contemplazione delle
due opere fiorentine del Donatello e del Brunelleschi, oltre che alle tematiche
del regista Benvenuti. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di
facilitare la lettura del testo on-line. Le immagini dei due Crocifissi sono
riprese dal sito Web Gallery of Arts, www.wga.hu
Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la messa a disposizione del
testo e delle foto sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
L’Areopago
«Fece Donato[1] nella chiesa di Santa Croce in Fiorenza con straordinaria fatica un Crocifisso di legno; il quale quando ebbe finito, parendogli aver fatto una cosa rarissima, lo mostrò a Filippo di ser Brunellesco[2] suo amicissimo per averne il parere suo; il quale Filippo […], che liberalissimo[3] era, rispose che gli pareva che egli avesse messo in croce un contadino, e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo ed in tutte le parti il più perfetto uomo che nascesse giammai. Udendosi mordere Donato […] rispose: “Se così facile fosse fare come giudicare, il mio Cristo ti parrebbe Cristo e non un contadino; però piglia del legno, e prova a farne uno ancor tu”»[4].
L’aneddoto vasariano non poteva non tornarmi alla mente
una mattina dello scorso novembre mentre visitavo la bella mostra sulle origini
del Rinascimento allestita nella casa natale di Masaccio a San Giovanni Valdarno[5]. I due Crocifissi lignei della contesa (quello
di Donatello a Santa Croce e quello del Brunelleschi a Santa Maria Novella),
già visti più volte in situ, erano posti lì, uno accanto
all’altro, nella stanza più grande della casa. Lo sguardo, uso
a collegare le due sculture a distanza, poteva correre liberamente dall’una
all’altra, per poi tornare sulla prima, mettendo a confronto reciprocamente
e quasi soppesando somiglianze e differenze[6].
Anche se è noto come si sia conclusa la gara tra Donatello e Brunelleschi,
vale ugualmente la pena di farne cenno. Brunelleschi, punto sul vivo, si
mette a lavorare in tutta segretezza a un Cristo di legno portandolo fino al
massimo della perfezione. Incontrando dopo alcuni mesi Donatello nella piazza
del Mercato Vecchio intento a fare provviste per il desinare (i due artisti
erano entrambi scapoli e badavano personalmente alle faccende domestiche), Brunelleschi
lo invita a mangiare a casa sua e gli mette nel grembiule un certo numero di
uova. «Va avanti tu — dice Brunelleschi a Donatello —. Ti
raggiungo tra poco con il vino». Entrato Donatello nella casa di Brunelleschi,
vede davanti a sé il Crocifisso illuminato da un raggio di sole che,
entrando dalla finestra, pare comandato ad arte per mettere in evidenza la nobiltà
del modellato. Colpito da stupore, Donatello allarga le braccia lasciando cadere
le cocche del grembiule senza accorgersi delle uova che vanno a formare ai suoi
piedi una frittata poco commestibile. Sopraggiunge Brunelleschi che, vista la
situazione, chiede: «E adesso cosa mangiamo?». Ancora stordito dalla
sorpresa, Donatello risponde: «Io, per me, oggi ho già avuto la
mia razione. Quanto a te, fa pure quello che vuoi. Ho capito che a te è
concesso fare Cristi e a me contadini»[7].
Nella visita alla mostra di San Giovanni mi trovavo in compagnia del regista
cinematografico Paolo Benvenuti, non meno di me stupito nel vedere reciprocamente
accostati i due Crocifissi, che gli ricordavano il tempo trascorso a Firenze
quando, non ancora ventenne, era alunno della scuola d’Arte di porta Romana.
«Eravamo alla metà degli anni Sessanta — egli dice —.
Il professore ci accompagnava nelle chiese per studiare le opere d’arte.
Eravamo una dozzina tra ragazzi e ragazze. Il professore ci portò prima
a Santa Croce per farci vedere il Crocifisso di Donatello. Questo qui. Allora
era un po’ più scuro perché non era stato ancora restaurato.
Durante il restauro, come vedi, è stato ripristinato un meccanismo
che consente di muovere le braccia di Gesù. Ciò significa che
la statua, venerata tutti i giorni come Crocifisso, il Venerdì Santo
veniva tirata giù dalla croce e trasformata in Cristo deposto per essere
utilizzata nella processione del Cristo morto. Aiutato dalle parole del
professore ho scoperto in questo Crocifisso la dimensione dell’umanità,
che non avevo mai colto in nessuna delle immagini analoghe che mi erano capitate
sott’occhio prima di allora.
«Sono stato abituato fin da bambino a considerare il crocifisso come un oggetto di uso
comune, un accessorio che trovavo nella casa dei miei genitori, in quella dei miei nonni, o
sulla parete dell’aula scolastica dietro la cattedra della maestra. Soltanto davanti al
Crocifisso di Donatello ho cominciato a pensare che appeso alla croce c’era un uomo in
carne e ossa, che gravava sui chiodi con tutto il peso del suo corpo. Osserva bene! Non pare
anche a te di vedere il corpo di un uomo con tutto il peso terrestre che lo tira verso il
basso? Davanti a questa immagine ho concepito l’idea, che hai visto espressa tante
volte nei miei film, della violenza subita da Cristo uomo nell’atto della crocifissione.
Senti lo spasimo della sofferenza che attraversa le carni e le tormenta, lo stiramento delle
membra, lo scricchiolio delle ossa, il dolore fisico provocato dai chiodi, la lacerazione della
ferita al costato. Da quel momento, tutte le volte che metto piede in una chiesa, non vedo
più il crocifisso come oggetto, ma un uomo appeso. Quando ho realizzato Il bacio di
Giuda avevo davanti agli occhi l’immagine di questo Crocifisso con tutto il suo carico di
sofferenza umana. L’attore che interpretava Gesù nel film, Carlo Bachi, era malato
terminale di tumore. La cosa era nota solo a me; non agli altri componenti della troupe. Nel
girare quelle immagini sapevo che quell’uomo portava veramente dentro di sé la
morte con tutto il suo carico di dolore.
«Poi il professore ci portò a Santa Maria Novella a vedere quest’altro
Crocifisso, quello del Brunelleschi. Lì lo sconvolgimento che ho provato fu ancora
più forte, perché mi resi conto che questo Cristo, pur essendo profondamente
umano, ha in sé qualche cosa che va oltre l’umano. Qui si percepisce, assieme alla
dimensione umana, anche il senso della divinità. È come se la perfezione delle
parti anatomiche, reciprocamente coordinate nel corpo di quest’uomo appeso alla croce, si
collegasse con la perfezione del creato. È questa la sensazione che ho avuto da ragazzo
e che adesso ritrovo in me davanti a quest’opera che ritengo non abbia uguali nel suo
genere. Capisco perfettamente cosa deve aver provato Donatello quando si è trovato, come
primo osservatore, di fronte a questo pezzo di legno intagliato. Per me, il rapporto di armonia
che collega la figura di quest’uomo al creato suggerisce l’idea di
un’implosione. Nel guardare questo Crocifisso ho l’impressione che l’intero
universo imploda in un uomo. Imploda ed esploda allo stesso tempo. È qualcosa di
atomico. È un fatto di energia. Senti che tutte le energie del cosmo partono da questo
corpo e ritornano a lui. È come se il Brunelleschi avesse rappresentato in questo pezzo
di legno l’attimo del passaggio dall’uomo a Dio. Il momento nel quale Cristo,
morendo, da uomo si fa Dio; oppure, se preferisci, il momento nel quale il Padre, risuscitando
il Figlio dal sepolcro, lo accoglie con sé nella gloria».
Brunelleschi, Crocifisso, Santa Maria Novella, Firenze, 1412-1413 |
La conversazione con Benvenuti prosegue in automobile mentre, scendendo
lungo la Valdarno, ci avviamo verso Firenze e Pisa. Tra i Cristi rappresentati nei suoi film ci
si accorge che, al Cristo in carne e ossa, che si vede ne Il bacio di Giuda, si affianca quello
di legno, a grandezza naturale, di Confortorio. Giunto nei pressi di Pisa, il regista non
riesce a trattenersi dal desiderio, da me condiviso, di rivedere il crocifisso da lui
utilizzato nel secondo dei due film. Si trova in una piccola chiesa isolata tra i campi. Un
giovane sacerdote, responsabile della chiesa, gli consentì di asportarlo per qualche
tempo dal luogo sacro per potersene servire come oggetto di scena. Il cinema compì il
miracolo, ora fissato su pellicola, di conferire al volto della statua lignea un palpito di
vita.
«Il giorno in cui ho girato il primo piano di Cristo — dice Benvenuti —, mi
feci dare un po’ di olio di oliva e servendomi di un pennellino ne passai qualche goccia
tra le palpebre del crocifisso. Credo che la verità dello sguardo di Cristo, che
colpisce lo spettatore del film, nasca dal riflesso della luce su quest’olio che ho
inserito tra le palpebre degli occhi socchiusi. Inoltre, siccome la corona di spine, come vedi,
è praticamente senza punte, perché le spine sono cadute quasi tutte con il
passare del tempo, ho preso dei chiodi e li ho infilati nella corona di spine lasciandoli
così com’erano, senza tinteggiarli di scuro. La luce, battendo sui chiodi, mandava
bagliori metallici. Con questi piccoli accorgimenti ho cercato in qualche modo di raggiungere
quella verità dell’uomo appeso che tanto mi aveva colpito nel Crocifisso di
Donatello».
Il primo piano del Cristo di legno, inserito in Confortorio, dura circa due minuti, il tempo
che ci vuole per eseguire un brano polifonico di Palestrina (uno dei responsori del Mattutino
delle tenebre) che si immagina cantato dalle monache di un non lontano convento di clausura:
«Tenebrae factae sunt, dum crucifixissent Jesum Judaei: et circa horam nonam exclamavit
Jesus voce magna: Deus meus, ut quid me dereliquisti? Et inclinato capite, emisit
spiritum»[8]. Questo primo
piano è l’ultima immagine di una sequenza, nel corso della quale il crocifisso,
utilizzato dai confratelli della Misericordia in una serie di riti, sembra prendere vita a poco
a poco. Siamo in piena Controriforma (Roma, 1736). I confratelli, aiutati da diversi religiosi
(un domenicano, un gesuita, un cappuccino, un arcivescovo, un ex rabbino convertito…)
hanno il compito di convincere con ogni mezzo due ebrei, condannati a morte per furto, a
convertirsi e accettare di farsi battezzare prima dell’ora fissata per
l’esecuzione. In un caso come quello illustrato dal film, il crocifisso, che dovrebbe
essere simbolo di liberazione, viene utilizzato in maniera impropria per esercitare una forma
di pressione morale che viola la legittima libertà di coscienza. Il film si avvale di
procedimenti metalinguistici per suggerire l’idea che Cristo stesso, prendendo le
distanze dai suoi rappresentanti sulla terra, entri in scena per andare a collocarsi, come
già avvenne sul Calvario, tra due ladroni.
«Cristo rappresenta in qualche modo tutta quella parte dell’umanità che
subisce violenza — conclude Benvenuti —. Questa idea, che ho concepito per la prima
volta da ragazzo davanti al Crocifisso di Donatello a Santa Croce, non mi ha mai
abbandonato. Purtroppo il mondo, adesso come al tempo di Gesù, è diviso in
oppressori e oppressi, sfruttatori e sfruttati, violentatori e violentati. Chi guarda Cristo
crocifisso, sia egli credente o non credente, non può evitare di chiedersi “Da che
parte sto?”. Ho letto, non ricordo dove, una frase che mi ha molto colpito: “Ogni
volta che un essere umano subisce violenza, Cristo viene inchiodato di nuovo sulla
croce”. Credo di poter dire che tutti i film che ho fatto finora non siano altro che una
serie di illustrazioni o esemplificazioni di questo concetto. In questo senso ritengo di aver
sempre fatto film cristiani»[9].
[1] Donato di Niccolò Bardi, detto Donatello, scultore (Firenze 1386 circa - 1466).
[2] Filippo Brunelleschi, orafo, scultore e architetto, inventore della prospettiva (Firenze 1377 - 1446).
[3] Molto franco
[4] G.VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, vol. II, Firenze, Salani, 1928, 363 s.
[5] Cfr Masaccio e le origini del Rinascimento. Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno (AR), 20 settembre - 21 dicembre 2002. Catalogo a cura di L.BELLOSI con la collaborazione di L.CAVAZZINI - A.GALLI, Ginevra - Milano, Skira, 2002.
[6] Programmata in occasione delle celebrazioni per il 6° centenario della nascita di Masaccio (San Giovanni Valdarno 1401 - Roma 1428), la mostra riuniva una trentina di pezzi, molto selezionati, tra i quali un piccolo gruppo di dipinti di Masaccio e alcune opere dell’Angelico, di Filippo Lippi, di Paolo Uccello, di Michelozzo, di Nanni di Bartolo e Luca della Robbia. La presenza dei due Crocifissi lignei era motivata dal fatto che con quello di Donatello si collega la Crocifissione di Masaccio ora a Napoli nel Museo di Capodimonte (presente in mostra), mentre con quello di Brunelleschi si collega il Cristo crocifisso nella Trinità affrescata da Masaccio nella chiesa di Santa Maria Novella.
[7] G.VASARI, Le vite..., cit.
[8] «Si fece buio su tutta la terra mentre i Giudei crocifiggevano Gesù; verso le tre del pomeriggio Gesù gridò a gran voce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, e reclinato il capo rese lo spirito».
[9] Per i film di Benvenuti vedi V.FANTUZZI, «“Il bacio di Giuda” di Paolo Benvenuti», in Civ. Catt. 1990 II 261-269; ID., «“Confortorio” di Paolo Benvenuti», ivi, 1993 III 394-406; ID., «“Gostanza da Libbiano” di Paolo Benvenuti», ivi, 2001 III 49-61.
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