Ripresentiamo on-line, per gentile concessione dell'autore, un articolo di p.Virgilio Fantuzzi, apparso su Civiltà Cattolica 125 (1974), pp. 554-565. Con la consueta straordinaria attenzione il gesuita italiano indaga l'animo del pittore cristiano francese Paul Cézanne, illuminandone opere e momenti di vita. Il testo traeva spunto – siamo nel 1974 - da una mostra parigina allestita per il centenario della prima esposizione degli impressionisti, ma resta pienamente intelligibile anche oggi. Lo offriamo alla lettura per un approfondimento del senso espresso nell'opera di Cézanne, che si inserisce ed, insieme, radicalmente si distingue nell'alveo dei pittori contemporanei suoi colleghi, gli impressionisti.
L'Areopago
Fra gli artisti, i poeti o i pensatori contemporanei di Paul Cézanne
(1839-1906), alcuni hanno lasciato, con le inquietanti vicende della loro esistenza, una
traccia indelebile nella mente delle generazioni successive. Van Gogh e Nietzsche colpiti dalla
follia nel pieno della loro attività, Gauguin e Rimbaud spinti dall'insofferenza per
l'ambiente d'origine verso regioni mitiche e lontane, Toulouse-Lautrec infermo e drogato, non
sono che una scelta di esempi atti a confermare lo stereotipo del genio maledetto. Nulla di
tutto ciò nella figura di Cézanne, schivo borghese di provincia, eternamente
chiuso in una redingote nera, maculata di colore, instancabile nella ricerca di motivi
pittorici nel lembo di terra che circonda la sua Aix-en-Provence.
Eppure, questo agiato figlio di un banchiere [1]
ha recato una spinta definitiva all'evoluzione dell'arte moderna. La vitalità del suo
messaggio è attestata dalla mostra Cézanne dans les musées
nationaux allestita a Parigi presso l'Orangerie des Tuileries nel quadro delle
manifestazioni per il centenario della prima mostra degli impressionisti [2] .
In un celebre saggio dal titolo Le doute de Cézanne Maurice Merleau-Ponty ha messo in evidenza gli aspetti contrastanti, e a volte contraddittori, della personalità del pittore [3] .
“Aveva bisogno di cento sedute di lavoro per una natura morta, di
centocinquanta pose per un ritratto. Quella che noi chiamiamo una sua opera, per lui non era
che un abbozzo, un tentativo di pittura. Nel 1906, all'età di 67 anni, un mese prima di
morire ha scritto:
'Mi trovo in un tale stato di turbamento mentale, in un turbamento tanto grande che temo a
volte che la mia debole ragione non regga... Adesso mi pare che vada meglio; vedo più
giusto nell'orientamento dei miei studi. Arriverò un giorno allo scopo tanto cercato e
così a lungo inseguito? Studio sempre la natura dal vivo e mi pare di fare qualche lento
progresso'.
La pittura era tutto il suo mondo, la sua sola maniera di esistere” [4] .
L'incerto peregrinare dalla Provenza a Parigi e viceversa, l'avvicinamento e
insieme l'isolamento nei confronti degli impressionisti, la difficoltà nei contatti
umani spinta fino alla patologia, la scelta definitiva della solitudine, aprono scarsi spiragli
nel mistero che circonda la sua vita. Ciò che si riesce più facilmente ad intuire
attraverso le testimonianze sulla sua persona è un grande senso del pudore. Motivi
psicologici e di ordine familiare fanno di lui un essere fragile, esposto a tutti i rischi di
una suscettibilità acuita dall'incomprensione che lo circonda, in contrasto con la
lezione perentoria che emerge dalla sua arte.
I primi passi della ricerca pittorica di Cézanne testimoniano il suo attaccamento ai
grandi maestri del Barocco. La collezione di caravaggeschi da lui ammirata nel museo di Aix e
l'esempio di Delacroix hanno influenzato alcune delle sue opere giovanili riunite nella prima
sala della mostra: La Madeleine pénitente (1866) e La femme
étranglée (1867-70). Impeto travolgente nei gesti resi con pennellate
nervose, drammatico contrasto nel chiaroscuro. Nel 1861 Cézanne giunge a Parigi e
frequenta l'Académie Suisse, il pittoresco ambiente dove prendevano lezioni di
disegno i giovani artisti che non erano riusciti a farsi accettare dall' Ecole des
Beaux-Arts. Mentre nella scuola e nei Salons ufficiali trionfa il più
smaccato stile Pompier, tra i pittori emarginati serpeggia il fuoco di una rivoluzione
imminente. Sta per nascere l'impressionismo.
La novità dell'Impressionismo consiste nell'aver privilegiato un elemento della natura,
il più impalpabile, ma non per questo il meno reale: la luce che diviene protagonista
incontrastata del quadro. Gli oggetti appaiono ai nostri occhi immersi nella luce e nell'aria,
non staccati o isolati gli uni dagli altri, ma come fusi in un amalgama di vibrazioni luminose.
Per rendere nella sua immediatezza questa sensazione — come ricorda Merleau-Ponty —
gli impressionisti hanno escluso dalla loro tavolozza le terre, gli ocra, i neri, utilizzando
solo i sette colori del prisma [5] .
L'atmosfera cromatica è resa nel quadro dal rapporto tra colore primario e colore
complementare; la vibrazione luminosa si realizza nella pennellata “a virgola” e
nell'interruzione continua della stesura che da compatta si fa frastagliata, punteggiata da
note di colore puro e squillante. Forma e luce si condizionano reciprocamente. Esaltati dalla
luce, i colori, pur ricollegandosi alla sensazione immediata, assumono un valore autonomo che
non sempre coincide col tono locale. Da queste premesse alcuni, come Van Gogh, trarranno
estreme conseguenze.
Al suo contatto con gli impressionisti, ed in particolare con Pissarro, Cézanne deve
sia lo schiarimento della tavolozza, sia lo stimolo che lo ha spinto a concepire la pittura non
come la proiezione dei suoi sogni fantastici, bensì come lo studio minuzioso delle
apparenze sensibili della natura. Nello stesso momento in cui si avvicina agli impressionisti,
egli si sente diverso da loro. La preoccupazione, propria del movimento, di captare l'atmosfera
che circonda l'oggetto, arriva a far perdere alle cose dipinte il loro volume reale, il loro
peso specifico. Cézanne non poteva ritenersi soddisfatto di questi risultati.
Nella sua tavolozza non ci sono soltanto i sette colori del prisma, ma diciotto colori: sei
rossi, cinque gialli, tre blu, tre verdi, un nero. L'impiego dei colori caldi e del nero indica
che Cézanne vuole rappresentare l'oggetto, ritrovarlo dietro l'atmosfera, ed in
ciò il suo scopo si differenzia da quello degli impressionisti. Allo stesso tempo egli
rinuncia alla scomposizione del tono in colori complementari, preferisce le misture graduate,
uno sviluppo di sfumature cromatiche sull'oggetto, una modulazione di colore che accompagna la
forma e l'inclinazione della luce. L'oggetto non è più coperto di riflessi,
perduto nel suo rapporto con l'aria, confuso tra le cose che lo circondano, ma come illuminato
dal di dentro; la luce emana dal suo interno. Ne risulta un'impressione di solidità
riflessa e costruita [6] .
Ad ogni modo, quando nel 1874 un gruppo di pittori rifiutati dalla giuria del Salon
espose nello studio del fotografo Nadar una serie di opere in contrasto con la
sensibilità estetica dominante, assieme a Degas, Monet, Pissarro, Renoir, Sisley, c'era
anche Cézanne, presente con due opere (Une moderne Olympia e La maison du
pendu). In quell'occasione un critico coniò, con intento denigratorio, il termine
Impressionismo, che da allora denominò il movimento. [7] La bagarre che si scatenò attorno agli adepti delle nuove
tendenze visive fu condotta senza risparmio di colpi. Non ci si fermò nemmeno di fronte
agli attacchi personali; gli impressionisti furono gratificati di epiteti disonoranti, trattati
come ubriachi o schizofrenici. Emile Zola, amico d'infanzia di Cézanne, si buttò
con ardore nella mischia [8] . Cézanne non
se la sentiva di lavorare in questo clima. Ciò che desiderava era la quiete necessaria
per poter riflettere. La mancanza di un riconoscimento autorevole nei confronti della sua arte
pesò su di lui per tutto il resto della vita, aggravando i suoi dubbi e la sua pena.
Aveva letto un romanzo di Balzac, Le chef-d'oeuvre inconnu (1850), che descrive la
faticosa salita del vecchio pittore Frenhafer verso le vette della perfezione assoluta,
inattingibile, e si era sorpreso, di tanto in tanto, a ripetere “Frenhafer sono
io”. Quando Zola pubblicò L' oeuvre, un pannello del ciclo naturalista dei
Rougon-Macquart, dove sotto le spoglie di un pittore fallito (Claude Lantrier) era possibile
ravvisare le sembianze di Cézanne, questi capì che un altro legame si era
spezzato. Zola non aveva capito nulla del dramma vissuto in quegli anni dal suo grande amico.
Isolato dal mondo, abbandonato dai suoi vecchi compagni di lotta, Cézanne ha potuto
pensare per un momento che forse Zola aveva ragione. In fondo, il romanziere non aveva fatto
che tradurre in un libro quello che tanti altri pensavano. La tentazione dello scoraggiamento
si presentò alla mente di Cézanne nella forma più cruda. Non c'era che lui
ad avere fiducia in se stesso.
Il rapporto tra pittura e percezione implica un processo di selezione e
sistematizzazione del dato sensibile che, nell'ambito della tradizione occidentale, è
affidato ad alcuni elementi di individuazione, quali la linea, il piano, il volume, il colore.
La pittura, come ogni altro genere di linguaggio, non va considerata alla stregua di un calco
della realtà. E' stato osservato, a proposito delle lingue parlate o scritte, che a
ciascuna di esse corrisponde una particolare organizzazione dei dati dell'esperienza
[9] ; lo stesso vale, a maggior ragione, per le
forme di espressione e comunicazione dotate di una struttura più complessa di quella
delle lingue, come è il caso della pittura. I recenti studi semiologici hanno cercato di
estendere al di fuori del campo delle lingue alcuni concetti della linguistica, quali la
distinzione tra testo e codice, sincronico e diacronico... L'esperienza ha dimostrato che non
è facile applicare questi concetti all'analisi del linguaggio pittorico. D'altra parte
risulta evidente, anche sulla base degli studi storico-artistici tradizionali, che ogni pittore
ha utilizzato a modo suo i materiali precedentemente accumulati. Ci sono dei codici
iconografici, ed è lavorando sui codici del passato, negandoli, trasponendoli,
trasformandoli, che il pittore ne produce di nuovi. Da che esiste la pittura, gli artisti che
vi si sono applicati hanno svolto attraverso di essa un discorso che riguarda non solo le cose
riprodotte, ma anche il modo di riprodurle.
In Europa, dal Rinascimento in poi, il modo di vedere tipico della pittura è stato
determinato dalle leggi della prospettiva. La scoperta, o meglio riscoperta, della prospettiva,
oltre a rappresentare un capitolo avvincente della vicenda scientifica e artistica che
appassionò Firenze nei primi decenni del Quattrocento, è insieme il momento
culminante di un processo di razionalizzazione applicato alle arti figurative. Piero della
Francesca, che nel suo trattato De prospectiva pingendi ha dato una sistemazione
scientifica alla materia che era già stata trattata in maniera empirica da Ghiberti,
Brunelleschi e Alberti, dimostra nella maniera più lampante che la realtà non si
copia, ma la si ricostruisce architettonicamente, riferendo ciascun solido al modello ideale
dei corpi regolari. Sarebbe errato pensare che l'introduzione della prospettiva detta
scientifica nell'ambito della pittura abbia rappresentato l'esigenza di una visione neutra e
oggettiva della realtà. Al contrario, l'astrazione geometrica conferisce al mondo delle
forme le caratteristiche proprie di una concezione intellettualmente raffinata della vita,
presente anche in altre espressioni della cultura umanistica, come la filosofia e la
letteratura. Nel momento in cui i pittori si rendono conto di agire su degli schemi visivi
ereditati dalla tradizione, e di operare nel senso di una evoluzione che li renda atti ad
esprimere nuovi aspetti della conoscenza, la pittura acquista una duplice funzione linguistica;
da linguaggio si fa metalinguaggio; sviluppa una sua dimensione interna che è la
riflessione sulla specificità dei suoi mezzi espressivi. Anche l'Impressionismo, il
movimento dal quale trae origine tutta l'arte moderna, si è posto dei problemi sulla
natura del linguaggio pittorico. Da una parte vi è il rifiuto di ogni precedente
schematismo, ivi compresa la prospettiva di origine umanistico-rinascimentale, dall'altra la
valorizzazione della percezione come operazione autonoma della mente e insostituibile
esperienza della vita. Per il pittore del Rinascimento il dato sensibile non è che un
elemento da elaborare concettualmente; per l'impressionista la pittura tende a restituire alla
percezione del dato tutta l'originalità e integrità iniziale. Da principio,
questa presa di posizione non fu cosciente. I primi impressionisti sembrano muovere i loro
passi indipendentemente gli uni dagli altri, mentre l'unico intento comune, violentemente
avvertito, è la reazione contro l'artificiosità dell'accademismo allora
imperante.
Quello che mancò agli impressionisti fu il momento intermedio tra sensazione e
realizzazione, rappresentato dalla costruzione e dall'ideale geometrico; attraverso il loro
procedimento la tela non poteva più riferirsi alla natura punto per punto, mentre la
verità generale dell'impressione era affidata all'azione delle diverse parti del dipinto
destinate ad agire le une sulle altre. Cézanne, che nel delicato rapporto tra sensazione
e realizzazione non riuscì mai a prescindere dal momento costruttivo, fece di questo
elemento intermedio il supporto essenziale del suo stile, foggiandolo come uno scheletro per
sostenere e ordinare la sua sensibilità. E' a causa di questo scheletro che egli fu
capace di dare alle sue emozioni una forma semplificata e una indipendenza dalla natura,
sconosciute prima [10] .
L'arte di Cézanne si rivela in tutta la sua pienezza nei paesaggi dipinti a partire dal
1879. Sono le rocce dell'Estaque che chiudono ad occidente il Golfo di Marsiglia, la valle
dell'Arc dominata dalla montagna Sainte-Victoire, i tetti aguzzi di Gardanne dove il pittore
soggiornò qualche tempo. Talvolta, come nel Pont de Maincy (1879), uno specchio
d'acqua dolce accoglie i riflessi della vegetazione circostante. La struttura compositiva si
risolve in pennellate dense, cariche di vibrazioni cromatiche, sì che tutto appare come
sospeso in un equilibrio immobile e insieme cangiante. Cézanne ha il dono di combinare
tra loro le qualità dei contrari. Solido e liquido, fragile e duraturo, caldo e freddo,
luminoso e opaco, sono aspetti desunti dalle molteplici apparenze del reale, e combinati
attraverso un procedimento mentale dove l'intuizione si associa alla deduzione, la logica al
sentimento, la concretezza all'astrazione.
La stessa pienezza di significato che si nota nei quadri, si può riscontrare nei
disegni e negli acquarelli. Questi ultimi, vere e proprie opere di sintesi, più che
rappresentare una fase intermedia nell'elaborazione di un soggetto, sono la rivelazione di
ciò che di più intimo costituisce la visione dell'artista. Qui la
semplificazione, la riduzione del “motivo” ai suoi elementi volumetrici essenziali,
raggiunge la forma più pura.
“I piatti o le coppe messe di profilo su una tavola dovrebbero
essere delle ellissi, ma i due estremi dell'ellissi sono ingranditi e dilatati. La tavola di
lavoro nel Portrait de Gustave Geffroy (1895) si allunga verso la parte bassa del quadro contro
le leggi della prospettiva [...].
“Cézanne non ha creduto di dover scegliere tra la sensazione e il pensiero,
come tra il caos e l'ordine. Egli non vuole separare le cose immobili che appaiono sotto il
nostro sguardo, e la fuggevolezza del loro modo di apparire. Vuole dipingere la natura
nell'atto di darsi forma, l'ordine che nasce attraverso una organizzazione spontanea
[...].
“Le ricerche di Cézanne in materia di prospettiva anticipano, per via della
loro fedeltà ai fenomeni, i dati che la psicologia recente doveva formulare. La
prospettiva vissuta, quella della nostra percezione, non è la prospettiva geometrica
o fotografica. Dire che un cerchio visto obliquamente appare come un'ellissi, significa
sostituire alla percezione effettiva lo schema di quello che dovremmo vedere se avessimo, al
posto degli occhi, un apparecchio fotografico: noi vediamo infatti una forma che oscilla
attorno all'ellissi senza essere un'ellissi” [11] .
Queste osservazioni di Merleau-Ponty sottolineano l'aspetto più
intrinseco dell'arte di Cézanne: la grande innovazione stilistica, frutto della sua
intensa riflessione. Non è un caso se a porre l'accento sulla peculiarità del
costruttivismo cézanniano è un filosofo che, coll'attenzione prestata alla
“struttura del comportamento'' e alla “fenomenologia della percezione”, ha
inteso elaborare una nuova ontologia esistenziale fondata sulla interrelazione tra la coscienza
e il mondo oggettivo. Al tempo di Cézanne un altro filosofo francese, Bergson, aveva
compiuto uno sforzo energico per superare gli schemi positivistici che imbrigliavano la cultura
ufficiale. Il suo Essai sur les données immédiates de la conscience
(1889), nel quale veniva illustrato il modo di essere della vita interiore, irriducibile a
quello delle cose su cui ha presa la scienza, è stato interpretato come una maniera di
procedere, sia pure su una linea parallela, nella stessa direzione verso cui si muoveranno gli
impressionisti.
Si apre qui il problema dell'influenza di Cézanne sui movimenti artistici succeduti
all'Impressionismo, anche se nell'attribuire ai cubisti uno spiccato ascendente
cézanniano non sono mancate frettolose generalizzazioni. L'analogia tra alcuni
procedimenti di ricerca sviluppati dal maestro e il metodo adottato dai cubisti, se da una
parte si basa su un innegabile legame di parentela, dall'altra è caratterizzato da
precise ed inequivocabili differenze. Nel suo processo di astrazione applicato alla
realtà Cézanne non è mai andato oltre un certo limite, quello che permette
agli oggetti di sussistere, attraverso la trasfigurazione pittorica, nella loro concretezza
fisica. E' noto il brano di una sua lettera del 1904 a Bernard.
“Bisogna trattare la natura attraverso il cilindro, la sfera, il cono, il tutto messo in prospettiva, in modo che ogni parte di un oggetto, di un piano, sia diretta verso un punto centrale. Le linee parallele all'orizzonte esprimono la larghezza, che è un aspetto della natura, o se preferite dello spettacolo che il Pater Omnipotens Aeterne Deus dispiega davanti ai vostri occhi. Le linee perpendicolari all'orizzonte rappresentano la profondità. Per noi uomini la natura è più in profondità che in superficie; di qui la necessità d'introdurre nelle nostre vibrazioni luminose, rappresentate dai rossi e dai gialli, una certa dose di toni blu per far sentire l'aria” [12] .
Dato che nei quadri di Cézanne, a prima vista, cilindri e sfere non se ne scorgono, appare chiaro che la sua celebre frase, che sarà applicata alla lettera dai cubisti, per lui conserva il valore di una aspirazione ideale, la stessa che gli faceva dire in un'altra occasione:
“Il metodo si manifesta a contatto con la natura, e si sviluppa attraverso le circostanze. Questo metodo consiste nel cercare l'espressione di ciò che uno sente, nell'organizzare la sensazione all'interno di una estetica personale” [13] .
Come ha osservato Dell'Acqua, Cézanne non ha inteso rinnegare il linguaggio impressionistico per far ritorno alla forma plastica ottenuta mediante il disegno e il modellato a chiaroscuro tradizionale, né aveva di mira, come i cubisti, un'analisi integrale dei vari piani degli oggetti e la loro simultanea ed astratta proiezione in superficie. La sua dichiarata volontà di “solidificare” e sottomettere ad una norma geometrica le apparenze visive non significa se non l'ansia di ricreare, fondandosi esclusivamente sul colore puro, un universo pittorico meditato e costruito in ogni giuntura con paziente applicazione [14] .
Sulle pareti rocciose della Sainte-Victoire le nubi, sospinte dal maestrale,
proiettano ombre fugaci che si alternano a bagliori improvvisi. La montagna pare avvolta da una
spirale vorticosa che esalta il gioco dei volumi pluriformi. Bisogna aver visto le sue creste,
nette come il cristallo, stagliarsi nel cielo di Provenza, o trascolorare sotto gli ultimi
raggi del sole al tramonto, per capire l'intensità della passione che Cézanne ha
nutrito, in tutta la sua vita, per questo magico paesaggio, l'assiduità con la quale ne
ha scrutato ogni aspetto.
I rari testimoni della sua attività dicono che cominciava con lo studiare la struttura
geologica del paesaggio. Le lunghe camminate a piedi, le escursioni in montagna, gli fornivano
un contatto diretto, duro e sofferto, con la natura. Si trattava poi di superare i dati della
scienza e i risultati della constatazione empirica per captare la vita stessa del paesaggio
inteso come organismo in formazione. Bisognava saldare le une alle altre tutte le visioni
parziali che l'occhio coglieva come di sfuggita, riunire ciò che si disperde nella
versatilità dello sguardo [15]
L'arte di Cézanne nasce dal rapporto con la natura, meno immediato di quello degli
impressionisti, meno istintivo, più meditato e profondo. Egli non può concepire
la pittura al di fuori di questo rapporto; tutta la sua opera non è che un dialogo con
le cose, nature morte e paesaggi, oggetti nei quali ha cercato di carpire un segreto attraverso
ore di solitaria contemplazione.
Non aveva fretta. Attendeva per ore, nascosto come una lucertola, che la luce cambiasse
d'inclinazione sulle rocce della montagna, spiava i mutamenti lenti e solenni della natura.
Aveva visto come l'acqua corrode le pietre nel greto del fiume, come il vento lima la roccia
soffiando nei crepacci, come gli alberi si piegano e resistono nel turbine di un uragano... Col
suo modo di dipingere voleva imitare gli stessi procedimenti della natura.
“Se il pittore vuole esprimere il mondo, bisogna che la disposizione dei colori porti in sé questo Tutto indivisibile; altrimenti la sua pittura sarà una allusione alle cose e non le tradurrà nella loro unità imperiosa, nella loro presenza, in quella pienezza insuperabile che, per noi tutti, è la definizione del reale. E' per questo che ogni pennellata deve soddisfare ad una infinità di condizioni; è per questo che Cézanne meditava talvolta per un'ora intera prima di eseguirla; la pennellata, come dice Bemard, 'deve contenere l'aria, la luce, l'oggetto, il piano, il carattere, il disegno, lo stile'. L'espressione di ciò che esiste è un compito infinito” [16] .
E' di nuovo il filosofo della “fenomenologia della percezione” che parla. Come il platonismo fiorentino del Quattrocento può aiutarci a capire l'arte di quei lontani pittori, basata sull'astrazione della prospettiva geometrica, o meglio sulla tensione che tale astrazione provoca entrando in gioco con il realismo che di quella pittura non fu una componente secondaria, così la fenomenologia aiuta a comprendere l'impressionismo e in particolare l'arte di Cézanne. A chi gli faceva notare che per i pittori classici un quadro esige precisione nei contorni, equilibrio nella composizione e distribuzione delle luci, Cézanne rispondeva:
“Essi facevano dei quadri; noi tentiamo dei pezzi di natura”.
Diceva dei maestri che essi
“sostituivano la realtà con l'immaginazione e con l'astrazione che l'accompagna”
e della natura che
“bisogna inchinarsi di fronte a quest'opera perfetta. Da essa tutto deriva, per essa noi esistiamo, dimentichiamo il resto” [17] .
Fenomenologo ante litteram, Cézanne ha analizzato con estrema
lucidità il suo rapporto con quel “tutto indivisibile” che è il
mondo, ha colto la “definizione del reale” nella sua “pienezza
insuperabile”, ha “tradotto le cose” nella loro “unità
imperiosa”.
Non c'è chi non veda come i termini impiegati da Merleau-Ponty per definire
l'esperienza cézanniana contengono la descrizione di un preciso itinerario spirituale.
Si parte dalla percezione del mondo, dall'apertura nei confronti di tutti i suoi aspetti, e si
giunge al senso di unità che emana dalla coscienza della propria presenza nel mondo.
Qualcuno potrà osservare che il filosofo, preso al laccio dalla sua ammirazione per
l'artista, finisce col proiettare sul pittore la sua stessa visione del mondo. La controprova
delle affermazioni di Merleau-Ponty la si può avere analizzando una delle tante nature
morte di Cézanne, dove la trasformazione della frutta, di un bicchiere, di un boccale in
luce e ombra, volume e colore, è così perfetta da suggerire, più che la
parvenza degli oggetti, la loro essenza; ognuno di essi è visto come se fosse al centro
dell'universo.
Nei ritratti Cézanne attinge una intensa capacità di penetrazione; il suo
discorso pittorico si fa più essenziale quando si trova di fronte a fisionomie che gli
sono familiari (la moglie, il figlio Paul). Alla mostra parigina si potevano vedere due
Ritratti di Madame Cézanne (1879-85) incompiuti; poche pennellate manifestano
ciò che il pittore considerava come l'ossatura del dipinto, ombre, vibrazioni di colore
blu e verde, che delineano netto il volume, linee arcuate nelle spalle, nelle braccia, che
conferiscono alla figura una dimensione monumentale.
Les joueurs de cartes (1892), uno dei pezzi più ammirati della mostra ed uno dei
momenti più alti dell'arte di Cézanne, esprime nella scelta del soggetto, nella
concentrazione dei due contadini intenti al gioco, nella solida struttura delle loro spalle,
delle loro teste coperte da feltri pesanti, nella gamma di marroni e di grigi che modulano le
loro giacche, l'intima adesione del pittore agli aspetti quotidiani della realtà. E' la
poesia del concreto, un'ispirazione che rifiuta i climi rarefatti, gli schemi di una cultura
letteraria, di una riflessione intellettualistica, perché preferisce addentrarsi nella
dimensione del corporeo, con tutta la sua sete di verità. Il quadro ci restituisce una
porzione di vita, in quanto la vita nel quadro si è fatta pittura. Lionello Venturi
ricorda che
“Cézanne una volta disse: 'Ammiro soprattutto l'apparenza di coloro che sono diventati vecchi naturalmente, e che vivono d'accordo con le leggi della loro età. Guardate questo vecchio oste. Che tono! E ora guardate questa commessa di negozio che è assai attraente. Ma nella sua pettinatura e nei suoi vestiti, che falsità!'. Cézanne riconosceva la nobiltà dello stile non nelle convenzionali menzogne della società, chiamate idealizzazioni, ma nella franca sincerità di una volgare realtà che sia vera di fronte alla vita” [18] .
Che attraverso tutto ciò traspaia un senso religioso della realtà, non sfugge agli osservatori più attenti ed in primo luogo agli artisti. Scriveva Ardengo Soffici nel secondo decennio del secolo:
“Per arrivare a suggerire pittoricamente delle immagini tanto solenni, è naturale che Paul Cézanne abbia dovuto sfrondare le sue fantasie e presentarle religiosamente, col solo magistero dello stile. Infatti il suo colore e il suo disegno sono agri, severi e brutali. Nella sua pittura si riscontrano i conflitti cromatici che, per il primo, Masaccio suscitò realisticamente negli affreschi della cappella Brancacci al Carmine” [19] .
Analisi fenomenologica della realtà e introspezione psicologica;
autoanalisi che permette all'artista di cogliere il senso della propria percezione;
capacità di rendere con lo stile una concezione della vita e dell'uomo. I problemi
affrontati dal maestro di Aix per risolvere la composizione de La femme à la
cafetière (1894), sono gli stessi che si presentarono a Piero della Francesca
nell'affrescare la Madonna del parto presso il cimitero di Monterchi. Si osservi la
massa dei volumi che emergono, nei due casi, attraverso le pieghe di una veste blu. Ciò
che Piero ha ottenuto con l'applicazione del suo metodo, basato sullo studio della geometria,
denota una padronanza dei mezzi pittorici che permette all'artista di andare al di là
dei risultati del metodo stesso. La Madonna di Piero si stacca dalla ieraticità della
pala d'altare per affacciarsi sulla soglia di una realtà quotidiana e concreta. Il
pittore di Borgo San Sepolcro si colloca così, con la sua opera, all'incrocio tra
astrazione geometrica e realismo, tra la contemplazione mistica della maternità divina
di Maria e la sacralità terrena del mistero umano che si cela nel grembo di una donna
incinta. Anche nei ritratti di Cézanne c'è una tensione tra realismo e
idealizzazione geometrica, ed è quella che conferisce ad un personaggio della vita di
ogni giorno la dimensione del momento, che cala negli oggetti di uso comune l'affiato di un
sentimento religioso diffuso nelle cose.
Chi cerchi di personificare la bellezza morale nell'arte moderna, come dice Lionello Venturi,
si imbatte in Paul Cézanne. E' infatti difficile trovare in tutta la storia dell'arte un
pittore al quale sia più estranea la cosiddetta bellezza fisica e che abbia uno stile
che vada tanto oltre ogni esperienza della realtà e nello stesso tempo interpreti
così profondamente le cose della natura [20] . All'opera di Cézanne soggiace un ideale di architettura del
mondo, di volume cromatico come sintesi di forma e colore. Se l'Impressionismo è nato
senza teoria, e a questa mancanza deve alcune delle sue qualità più attraenti,
è toccato a Cézanne affermare i diritti dell'intelletto. La spontaneità
creativa egli l'ha cercata e trovata al di là della teoria.
Il desiderio di porre nel giusto rapporto “spalle di donne e dorsi di colline” ha
occupato la mente e l'attività di Cézanne negli ultimi anni della sua carriera.
La frase che gli viene attribuita:
“Rifare (o verificare) Poussin sulla natura”
è all'origine delle innumerevoli versioni dei Baigneurs; opere nelle quali la poetica cézanniana si libera da ogni schematismo per attingere lo slancio di una più disancorata liricità.
Rouault fa dire a Cézanne in un suggestivo epitaffio: “Non ti
avvicinare, non toccarmi: porto in me tutte le bellezze che il mondo ignora o disconosce. Non
ti avvicinare, non parlarmi: le parole e i gesti sono vani, io sono silenzioso, vecchio e
impotente, mi sono proteso con tutte le mie energie verso la Verità e la Bellezza.
Soprattutto per questo sono stato costretto a vivere lontano dagli uomini, ho dovuto meditare,
soffrire per realizzare quello che dovevo fare quaggiù”.
La religiosità dell'arte di Cézanne non va cercata nella scelta dei suoi temi
che non sono sacri. Ai suoi tempi, l'arte sacra versava in tristi frangenti, e nessuno si
sarebbe sognato di commissionare un quadro di chiesa a quell'uomo austero, assiduo alla Messa
domenicale nella cattedrale Saint Sauveur, incapace di celare il suo malumore per i suoni
sgradevoli che provenivano dall'organo suonato da mani inesperte.
[Nota 1] Philippe-Auguste Cézanne, padre di Paul, aveva fondato nel 1848 una banca ad Aix-en-Provence. La fortuna ereditata dal padre permise al pittore di vivere senza dipendere dalla vendita delle sue opere.
[Nota 2] La mostra, comprendente una sessantina di quadri e una ventina di acquarelli e disegni, ha avuto luogo dal 20 luglio al 14 ottobre 1974.
[Nota 3] In Sens et non sens , Paris, Nagel, 1948, 15-44.
[Nota 4] Ivi, 15.
[Nota 5] Cfr ivi, 19
[Nota 6] Cfr ivi, 20 s.
[Nota 7] Si tratta del cronista Louis Leroy; il suo intervento destinato a passare alla storia, apparve nel giornale satirico Charivari del 25 aprile 1874.
[Nota 8] Lo scrittore Zola fu tra i primi sostenitori dell'impressionismo fin dal 1866. Intervenne in quell'anno con una serie di articoli in favore del movimento, firmati con lo pseudonimo Claude, pubblicati dal giornale L'Evénement. L'interpretazione “naturalista”, che Zola forniva di quel nuovo modo di dipingere, oggi risulta criticamente superata.
[Nota 9] Cfr A. MARTINET, É léments de linguistique générale, Paris, Colin, 1970, 11 s.
[Nota 10] Cfr L.VENTURI, La pittura
da Giotto a Chagall, Roma, Capriotti, 1947, 175.
Nell'illustrare la differenza che c'è tra un paesaggio di Cézanne e la
riproduzione fotografica del luogo che ha fornito al pittore il “motivo”,
René Berger osserva: “La composizione, che è un riordinamento dei mezzi
plastici, stabilisce i rapporti fondamentali dell'opera, quelli che si riferiscono alla
ripartizione della superficie, alla disposizione delle forme, alle loro proporzioni. Risponde
ad una delle necessità essenziali della mente: la coerenza; è connessa con una
aspirazione profonda del nostro essere, quello di costituire una realtà di cui l'uomo
sia l'autore' (Scoperta della pittura, Milano, Il Saggiatore, 1960, 220).
[Nota 11] M.MERLEAU-PONTY, op. cit., 21 s.
[Nota 12] P.CÉZANNE, Correspondence , Paris, Rewald, 1937, 259.
[Nota 13] Ivi, 348.
[Nota 14] Cfr Gli Impressionisti francesi , 1956.
[Nota 15] Cfr. MERLEAU-PONTY, op. cit. 21 s.
[Nota 16] Ivi, 26.
[Nota 17] Cfr. ivi, 21.
[Nota 18] Op. cit., 178.
[Nota 19] Scoperte e massacri , Firenze, Vallecchi, 1919, 52.
[Nota 20] Cfr op. cit., 173.
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