Prima di affrontare nello specifico la Messa in si minore BWV 232, è bene prendere in considerazione una serie di fattori che permettano di comprendere meglio, non solo le scelte formali, compositive e strutturali che Bach adotta per la Messa, ma anche per gustare più a fondo la grandezza di questa opera considerata il testamento spirituale del compositore.
Al termine del XII secolo con il pontificato di Sergio I, si stabilisce
l'assetto definitivo del rito eucaristico; intorno alla liturgia della Parola si sviluppa il
più grande numero di canti con varie e specifiche funzioni, suddivisibili in due
sezioni: il Proprium missae e l' Ordinarium missae.
Al primo, il Proprium Missae, appartengono un insieme di canti il cui testo sottolinea
profondamente le tematiche della celebrazione per cui sono stati scelti, questi canti rimangono
così legati a festività particolari, ad esempio la celebrazione delle
festività dei Santi, la Pasqua ecc.
Abbiamo così i seguenti canti:
Introito: Canto d'ingresso, che introduce l'assemblea liturgica nel contesto celebrativo, sottolineando le tematiche di fondo del giorno.
Canti del responsorio graduale (Graduale)
Canto salmodico meditativo (Tractus) nel periodo quaresimale
Acclamazione (prima del canto del Vangelo)
Questi tre canti sono frutto dell'esperienza gregoriana sviluppatasi tra il VI-VIII
Offertorio (rito della presentazione del pane e del vino)
Liturgia sacrificale (comunione)
Alla seconda sezione, l'Ordinarium Missae, appartengono cinque canti: Kyrie Eleison, Gloria
in excelsis Deo, Sanctus, Agnus Dei, Credo. Il testo di questi rimane invariato per ogni
celebrazione e da modo ai compositori di musicarlo ogni volta in modo diverso.
Tale fenomeno ha fatto sì che nella produzione musicale liturgica si accogliessero pian
piano stilemi melodici propri di vari contesti culturali, implicando sperimentazioni
compositive, influenze da parte della musica profana, prassi esecutive diverse.
Questa origine e specificità dei canti del Proprium e dell' Ordinarium, ha fatto si che
per praticità il primo rimanesse legato ad una tradizione gregoriana, mentre il secondo,
in contrapposizione, facesse capo ad una tradizione polifonica.
Non bisogna dimenticare, prima di analizzare la Messa in si min, le esperienze di pratica
musicale che si verificano nella storia della musica sacra e profana prima di arrivare a
Bach.
Lo sviluppo tecnico-compositivo e la sensibilità estetica del primo
'600 favoriscono tuttavia nuovi generi e nuovi stili di musica sacra che attirano maggiormente
l'attenzione e l'interesse di compositori.
Nuove esplorazioni delle ripercussioni sonore nello spazio architettonico favoriscono fenomeni
come quello dei cori spezzati in Italia settentrionale o della policoralità tipica della
scuola romana (organico: 4 cori, da 4/16 voci).
Lo stile concertistico strumentale si introduce anche nelle composizioni liturgiche e grazie
alla maestria dei musicisti napoletani si hanno presto ouvertures e sinfonie orchestrali quali
parti integranti della Messa.
Concludendo, si può dire che la Messa si prepara a divenire una realtà
estremamente complessa. Ogni sua realizzazione dovrà trovare l'equilibrio tra
l'espressione autentica della fede e la manifestazione di una genuina opera d'arte.
Nell'accostarsi a Bach e nel prendere coscienza del mondo spirituale e
culturale che lo circonda è indispensabile sottolineare la funzione esercitata
dall'organizzazione del culto, che è diversa da luogo a luogo, poiché Lutero, nel
fissare le regole fondamentali del servizio liturgico non aveva inteso rendere obbligatorio una
determinata forma liturgica, ma aveva concesso alle singole comunità di organizzare il
culto secondo le modalità a esse meglio confacenti, nel rispetto dello schema tipico
dell'ufficiatura cattolica e facendo del momento del Sermone, comunque, il punto forza della
celebrazione liturgica.
Non è però soltanto la disposizione liturgica che risente della Riforma, ma
è piuttosto la civiltà musicale intera che acquista una nuova dimensione, quella
dimensione che in ambito cattolico prende il nome del Palestrina e in campo protestante prende
le mosse e il nome stesso da Lutero.
Lutero non rappresenta tanto la visione d'un rinnovamento del senso
religioso e dell'organizzazione in questo senso, quanto piuttosto la radicale tendenza
conservatrice e restauratrice che riporta alle sue origini medievali il concetto di
cristianità e la sua osservanza.
L'azione di Lutero in campo musicale si esplica interamente secondo il precetto agostiniano
del doppelt betet wer singt: il canto come preghiera due volte detta.
Il progetto luterano si articola lungo due sezioni: il rinnovamento formale e sostanziale
della Messa, e l'introduzione del canto in lingua volgare.
Per ciò che concerne la prima sezione i cambiamenti più radicali furono:
Per quanto riguarda invece l'introduzione della lingua volgare nella
celebrazione delle Messa la data importante è quella del 1525, anno in cui Lutero
celebra la Messa in tedesco a Wittenberg.
Con lo scritto “Deutsche Messe und Ordnung
Gottesdienst” del 1526, Lutero propone e impone una sostanziale modifica
del servizio liturgico praticato sino a quel tempo, coinvolgendo nella riforma anche la parte
riservata alla musica. Si può notare come la tendenza generale, il concetto informatore,
sia quello di concedere alla comunità, il più possibile, un ruolo di preminenza e
di diretta partecipazione al culto.
Così le parti che erano tradizionalmente affidate all'esecuzione del coro, e
cioè Introitus, Graduale, Pater, Santus, Agnus, tendono a diventare una riserva
dell'intera comunità.
Il culto introdotto da Lutero, non più seguendo il concetto cattolico del rinnovamento
del sacrificio e della immolazione, ma operando in modo che fra creatura e creatore si
realizzasse una perfetta comunione, doveva consentire il conseguimento dei fini spirituali
attraverso i due elementi della predicazione e del canto, l'uno e l'altro uniti da saldi
vincoli: identico era il fine, diverso il mezzo. Il canto dei Lieder presenta la parola del
Signore in espressioni verbali obbligate, motti, sentenze che penetrano nel cuore del fedele
attraverso il senso dell'udito e che conservando sempre l'identica forma e sostanza finiscono
con l'aver efficacia maggiore.
Anche se con la Messa in si min ci troviamo di fronte ad un esempio di messa
cattolica, quanto sopra detto non deve essere tralasciato poiché per intendere la reale
dimensione storica di Bach si dovrà procedere partendo non soltanto dagli elementi della
biografia personale, ma anche dall'ambiente in cui quegli elementi si collocano.
Dopo aver toccato sommariamente i punti basilari dell'espressione liturgica del luteranesimo e
le manifestazioni formali della musica evangelica, sino al momento in cui Bach vi si aggancia
per trarne il sostentamento e per darle slancio e vita, occorre ora spiare nell'organizzazione
sociale della musica, individuare i parametri sui quali si misura l'esperienza musicale al
tempo di Bach.
Non può sfuggire ad un occhio attento che quasi tutte le espressioni sociali in cui si
articolava in quel tempo la professione musicale sono presenti nella biografia bachiana:
Hofmusikus, Stadtorganist, Hoforganist, Konzertmeister, Kappelmeister, Kantor, Director
musices, una progressione di carriera che da funzioni modeste si sviluppa a gradi di
massima responsabilità con un riscontro di un progressivo miglioramento del trattamento
economico. La musica trattata da Bach è presente nelle sue principali manifestazioni con
la sola eccezione di quelle legate al teatro; per il resto, Hausmusik, Stadtmusik, Hofmusik,
Kammermusik, Kirchenmusik, sono punti fermi della sua concezione musicale.
La carica affidata al compositore che interessa a noi più da vicino è quella di
Kantor, ufficio già previsto nella sua duplice funzione pedagogica e direttoriale dalla
chiesa primitiva. Il Kantor rappresenta una delle componenti fondamentali dell'organizzazione
ecclesiastica e civile luterana e, nel sistema scolastico, s'inserisce al centro della
gerarchia dei valori.
Al Kantor, che generalmente era fornito di un titolo superiore di studio, di grado
universitario, competevano varie attività. In primo luogo quella pedagogica, che si
esplicava nell'insegnamento di discipline scientifiche, del latino, del catechismo, e nozioni
fondamentali della musica. Inoltre la direzione del coro della scuola, con pratica prima
monofonica poi polifonica, e l'insegnamento della composizione.
Quanto sopra detto può aiutarci a comprendere meglio la convinzione radicata in molti
che la Messa rappresenti un genere musicale specificatamente legato alla confessione cattolica
e che pertanto anche le Messe bachiane rappresentino un omaggio alla tradizione
“romana” e costituiscano una deviazione dallo spirito e dalla liturgia luterana.
Affermazioni del genere sono a tal punto lontane dalla verità storica che non varrebbe
neppure la pena prenderle in considerazione se esse non fossero troppo diffuse e non formassero
la colonna portante di valutazioni critiche imprudenti, sulle quali si sono esercitate schiere
di improvvisati interpreti del pensiero bachiano.
In realtà, è sin troppo evidente la constatazione, alla luce delle
considerazioni precedentemente fatte, che il culto luterano è esemplato su quello
cattolico e di questo accetta i formalismi essenziali e principali.
Per effetto della particolare situazione politico-religiosa del ducato di Sassonia, a Dresda,
capitale, regnava un sovrano che, essendo stato eletto al trono di Polonia, aveva abbracciato
la fede cattolica pur trovandosi nella circostanza di governare sudditi luterani.
La duplicità della confessione aveva portato alla creazione di due distinte cappelle di
corte, quella cattolica operante all'esterno del palazzo reale e quella luterana all'interno
della reggia. E' possibile che le Messe bachiane abbiano avuto una duplice destinazione -
luterana e cattolica - tanto più che una di esse, costituente la prima parte
(Kyrie-Gloria) della cosiddetta Messa in si minore, venne inviata e dedicata al duca
August II appena salito al trono sollecitando una nomina nella cappella di corte (1733), mentre
le altre restanti tre parti di quella monumentale partitura devono essere intese in un senso
diverso da quello che può avere una Missa solemnis cattolica. Tali pagine ebbero
un'utilizzazione nel rito luterano, come è dimostrato ad esempio dal fatto che sono
attestate esecuzione del Sanctus nelle chiese principali di Lipsia sin dal 1724, e
cioè una quindicina di anni prima del suo inserimento nel corpus della Messa in si
minore.
Da circa un secolo e mezzo si è convenuto chiamare questa monumentale opera con
l'espressione “Die hohe Messe in H-moll” o “Grande Messa
in si minore”, un titolo che non compare nell'originale bachiano e nelle copie
coeve, ma che venne attribuito all'opera da chi per primo ne propose l'edizione a stampa. Si
deve ritenere basilare l'affermazione che l'opera non dovette conoscere, al tempo di Bach,
un'esecuzione globale, e la constatazione che l'opera raccogliesse in sé gli elementi
sparsi di un discorso che venne affrontato non unitariamente, ma a sezioni ed in tempi
diversi.
La nuova cronologia, frutto di un accurato studio filologico e di critica del testo, fissa al
1724 la composizione del Sanctus come brano a sé stante: a quella data
risalgono l'autografo della partitura e le parti separate originali. La prima esecuzione fu il
25 dicembre dello stesso anno, ma la pagina venne più volte riutilizzata.
Per la Missa (Kyrie-Gloria) non è accertata in concreto alcuna
esecuzione, ma sappiamo che le 21 parti vennero inviate nel 1733 al nuovo duca August II.
Più complessa è la definizione dei termini di tempo delle restanti sezioni
(Symbolum Nicenum, Osanna, Benedictus, Agnus Dei et Dona nobis pacem). Le pagine in
questione vengono datate agli ultimi anni di Bach (1747-1749), tempo al quale risalirebbe anche
la definitiva sistemazione del manoscritto con la congiunzione in un unico corpo di due
tronconi separati (Missa, restanti parti, più aggiunta Sanctus 1724).
Quello della “confessionalità” è uno dei problemi
centrali dell'esegesi cui è stato sottoposto il corpo dei brani formanti la Messa
bachiana.
Per un verso l'adozione del testo dell'Ordinarium nella sua totalità depone a favore
della “cattolicità” dell'opera; per un altro verso il fatto che singoli
brani siano stati utilizzati in un contesto rituale evangelico (come per il Sanctus, e
probabilmente per il Symbolum Nicenum) confermerebbe l'idea di una composizione pensata
più per il culto luterano, a maggior ragione se si considera che tutta la produzione
vocale sacra di Bach è stata scritta per le chiese di Lipsia e che è quasi
impensabile l'idea di una composizione sacra rimasta ineseguita.
C'è, naturalmente, la questione della dedica della Missa al duca di Sassonia, che
avrebbe abbracciato il cattolicesimo. Bisogna però ricordare che alla corte di Dresda
erano presenti due cappelle, una cattolica (la principale) e una luterana. Sembrerebbe strano
immaginare Bach in preda ad una sorta di “abiura” improvvisa, o ad un semplice
adeguamento alla confessione del sovrano, il quale l'aveva accolta per opportunismo
politico.
D'altro canto bisogna sottolineare che la tradizione liturgica cattolica non aveva mai
conosciuto prima uffici liturgici musicali di quella portata (Mozart, K 427 e Beethoven, Missa
Solemnis verranno dopo).
Con ogni riguardo deve essere poi osservato il fatto che la dedica al sovrano si riferisce
esclusivamente alla Missa costituita da quelle parti che il servizio liturgico luterano ancora
considerava proponibili, immaginando la sostituzione di corrispettivi tedeschi per la restante
parte.
Negli anni poi tra il 1747-1749, in cui è databile la composizione delle ultime parti
della messa e la definitiva sistemazione in un corpus organico, non si trovano tracce di una
intestazione dell'intera opera al sovrano della corte di Dresda.
La materia, come si vede, offre spunti e argomentazioni per sostenere tanto la tesi
“cattolica” quanto la tesi “luterana” e consente anche di intendere
l'opera in termini di ambivalenza. La sua natura cattolica emergerà quando si
vorrà considerarla nei termini di un corpo unitario, elaborato lungo un ampio intervallo
di tempo, svincolato dalla realtà storica e quasi isolato in mondo astratto anche se
agganciato alla tradizione della Messa concertata.
Al contrario essa apparirà come una manifestazione del pensiero musicale luterano
quando la si interpreterà a segmenti separati, ciascuno dei quali destinato a non
ricoprire un unico servizio liturgico, bensì a soddisfare esigenze specifiche delle
grandi festività in cui era consentito praticare la polifonia applicata ai testi latini
dell'Ordinarium.
Prima di analizzare più da vicino alcune delle parti della Messa in
si minore, è bene spendere due parole sulla tecnica compositiva e formale che Bach
adotta.
Non è eccessivamente imprudente sostenere che quasi tutti i 25 numeri di cui consta la
partitura non sono pagine originali, ma parodie o adattamenti più o meno rilevanti da
opere precedenti. Tenendo conto di ciò, tanto più appare mirabile l'opera
bachiana, se si considera che essa è tutta o in gran parte il frutto di un montaggio
razionale e perfettamente equilibrato che sul piano dei risultati musicali s'impone come
creazione originale e unica. L'opera è di quelle che più apertamente manifestano,
nella sua quasi esasperata monumentalità e nella sua irripetibile polivalenza, la
concordia delle idee, l'armonia dei gesti, il razionale patto di alleanza che compone ogni
interna contraddizione.
Dando uno sguardo al prospetto si può notare che il peso maggiore è sostenuto
dal coro, al quale sono affidati interventi stilistici molto differenziati, ma sempre sostenuti
dal concerto degli strumenti realizzato spesso in modo trionfalistico.
ORGANICO: soprano I e II, contralto, tenore, basso, coro, 2 flauti, 3 oboi, 2 oboi d'amore, 2 fagotti, corno, 3 trombe, timpani, archi, basso continuo.
Veniamo ora all'ascolto di alcuni brani della Messa. E' il numero BWV 232
dell'elenco delle opere bachiane. La ascolteremo nell'esecuzione del 1998 diretta dal maestro
Diego Fasolis, con l'Orchestra dei Sonatori de la Gioiosa Marca ed il Coro della Radio Svizzera
(voci soliste: Roberta Invernizzi, Lynne Dawson, Gloria Banditelli, Christoph
Prégardien, Klaus Mertens). La registrazione è stata diffusa dalla rivista
Amadeus.
Traccia 1: 9'11
Kyrie eleison (coro)
La Messa si apre con l'esecuzione da parte del coro a 5 voci ed orchestra,
con una delle pagine più imponenti dell'intera composizione. Caratterizzata da grave
solennità propone il motto di 4 battute eseguite dal coro con la triplice enunciazione
del testo liturgico “Kyrie eleison”, in blocchi sonori compatti, ma connessi allo
stesso tempo dallo sfasamento contrappuntistico delle voci (i soprani portano avanti
l'enunciazione).
Significativa la mancanza delle solenni trombe, utilizzate in questa messa in occasioni di
glorificazione a Dio.
Il sentimento di cordoglio funebre anima l'interludio orchestrale che segue, guidato dai
legni. Questo sta quasi a rappresentare simbolicamente il peccato (momento di riflessione).
Bach esprime la schiavitù del peccato con la combinazione della tonalità minore,
del timbro scuro del flauto e dell'oboe d'amore e dell'uso di intervalli dissonanti e
cromatici.
Il tema proposto dall'interludio strumentale diviene poi cellula melodica del Kyrie eseguito
da tenori e bassi.
Il procedere delle parti è solenne, tortuoso e professionale, in costante progressione
verso l'alto, caratterizzato in modo evidente dal timbro chiaro ed acuto dei soprani, i quali
hanno un ruolo da protagonisti in quanto a loro sono affidate 2 delle 5 voci corali, che
introducono i momenti più intensi in un'atmosfera che potrebbe sembrare sin troppo
monotona e quieta.
Si passa poi ad un secondo interludio strumentale riservato ai 2 oboi d'amore accompagnati da
BC, fagotti e archi.
La seconda enunciazione è questa volta svolta da bassi e non dai tenori, seguiti poi
dalle voci femminili.
Traccia 2: 5'05
Christe eleison (Duetto: soprano I e II)
Questo secondo brano è in forma di duetto affidato ai due soprani,
per contrasto ai due blocchi; è un brano luminoso, trasparente. Tale forma musicale
nelle altre parti della messa è richiamata in coincidenza di testi che riguardano la
secondo persona della Trinità.
Le voci procedono a distanza di terza con l'unisono dei violini; il micro testo è
intonato ogni volta in diverse tonalità, introdotte da un ritornello orchestrale. Le
tonalità in cui si modula sono tutte prevedibili, ma ciò non rende meno efficace
l'espediente espressivo che Bach adotta.
Segue poi il secondo Kyrie, con coro a 4 voci, nella tonalità di fa # minore, in stile
fugato.
Per quanto riguarda il Gloria è possibile suddividerlo in otto
episodi (4 coro, 4 solisti), come appare dal prospetto. Parrebbe difficile riconoscere a prima
vista un progetto organico prestabilito, eppure l'analisi a cui è stato sottoposto il
corpo, lo mostra risolto come tale.
Analizzando il testo è possibile dividerlo in 2 parti; la prima (dal Gloria al
Domine Deus) che consiste in una serie di lodi al Padre e al Figlio; la seconda invoca
l'intervento misericordioso del Figlio e si conclude con la riaffermazione del principio
trinitario. La forma musicale che caratterizza l'intero Gloria è quella dell'inno.
Ascoltiamo allora alcuni brani dal Gloria.
Traccia 4 e 5: 5'60
Gloria in excelsis Deo (coro)
Et in terra pax (coro)
La temperatura è elevata nel tripudiante Gloria d'apertura a 5
voci, introdotto dalle inneggianti trombe, seguito poi dall'eterea fuga dell' Et in terra
pax. La tonalità è re maggiore, la cui relativa è la tonalità
d'impianto della Messa. Tale pezzo sinfonico/corale è un imponente spiegamento di forze,
tutto l'organico al completo con il concertante della prima tromba. Tale parte venne utilizzata
da Bach nella Cantata 191 del 1725 e in origine concepito come un tempo veloce di un
concerto.
Timpani e trombe interrompono la loro esecuzione per il Et in terra pax, guidando
l'atmosfera musicale verso un disegno più disteso e tranquillo, sottolineato
dall'insieme di appoggiature eseguite dal coro, che il I soprano trasformerà in fuga.
L'appoggiatura evidenzia un'accentuazione particolare della frase musicale dall'efficacia
espressiva.
Traccia 6: 4'20
Laudamus te (Aria: Soprano II)
Tre sono le arie del Gloria, tutte affidate ad una voce solista che duetta
con uno strumento; nel primo caso un violino, nel secondo con l'aria Qui sedes ed dextram
Patris un oboe d'amore, nel terzo con l'aria Quoniam tu solus sanctus con il corno
da caccia. In tutti i casi c'è sempre l'orchestra che svolge il compito
d'accompagnamento.
L'aria del Laudamus è aperta da un vasto a solo concertante del violino,
di evidente virtuosismo strumentale che anticipa la complessità vocale (33 note 5
trilli); la tonalità è di la maggiore.
Traccia 8: 5'35
Domine Deus (Duetto: soprano I e tenore)
Un ampio duetto che riporta il discorso musicale ad un clima di suggestiva
intimità, esaltata dalla raffinatezza timbrica dell'accompagnamento: flauto traverso
obbligato, archi superiori con sordino, bassi in pizzicato. Il flauto espone un
tema semplice e diretto su cui le voci si esibiscono ora in imitazione ora omoritmicamente. Le
due voci – acute - propongono dapprima simultaneamente le proposte dei due testi e
conducendo il discorso in imitazione; sull' Agnus Dei, invece, procedono in perfetto
parallelismo e su un unico testo.
Anche qui, come nel duetto del Christe eleison, vi è l'impiego simbolico dei due
cantanti, a significare il Padre e il Figlio, cui il testo fa riferimento: ai due viene
affidata simultaneamente l'acclamazione a una delle persone della Trinità creando
così un intrigante effetto di politestualità.
Fatto non trascurabile è l'aggiunta della parola altissime all'espressione
Domine Fili unigenite Jesu Christe: la parola non trova riscontro nel Missale
Romanumm, ma figura come tropo nel Graduale della chiesa di San Tommaso di Lipsia.
Ascoltiamo ora dei brani dal Symbolum Nicenum
La distribuzione della materia nel Symbolum Nicenum obbedisce a criteri del tutto diversi al Gloria, essendo dominato da strutture architettoniche rigorose e fra loro corrispondenti.
Tracce 1-2: 2'14
Credo in unum Deum (coro)
Credo in unum Deum Patrem omnipotentem (coro)
Questo brano per coro a cinque voci e 2 violini concertanti corrisponde in
senso vero e proprio alla forma musicale di mottetto a 7 voci (5 vocali, 2 strumentali) con
basso continuo. In senso tecnico la pagina funge da “intonazione”, sostituendo il
celebrante al quale, secondo la liturgia, sono affidate le prime parole del testo (senza
Patrem).
La realizzazione mottettistica bachiana s'ispira a modelli arcaici (Monteverdi) e utilizza un
tema a valori larghi affidato al coro e ai due violini; queste sette parti procedono secondo
uno stile contrappuntistico rigorosissimo, ma all'imitazione che governa le parti vocali si
aggiunge una figurazione ostinata del basso continuo.
La sezione conclusiva viene solennizzata dall'apporto celebrativo di trombe e timpani, stesso
organico utilizzato per il Gloria.
Traccia 4: 2'48
Et incarnatus est (coro)
Capolavoro di intima, sacrale intimità per coro a 5 voci, 2 parti di
violino e basso continuo. Si apre con una piccola introduzione strumentale affidata al continuo
e ai violini, che presentano la tonalità d'impianto di si minore, calandoci così
in una atmosfera ineludibilmente espressiva.
Di grande effetto sono le appoggiature dei violini che accompagnano il coro che si mantiene
sempre su una dinamica che oscilla dal pp al p. Questa atmosfera ci riporta
più indietro allo Stabat Mater di Pergolesi, e più avanti nel tempo al
Lacrimosa del Requiem di Mozart.
Si deve notare come la curva discendente del tema rimandi al mistero dell'incarnazione,
appunto alla discesa di Dio nella carne, con una tragicità patetica che prelude alla
teologia della Croce.
Traccia 6: 3'41
Et resurrexit (coro)
Di spirito completamente contrapposto è il festivo Et
resurrexit, che celebra la resurrezione di Cristo con un tema affidato all'intero coro a 5
voci ed orchestra al completo.
Forse è derivato da un lavoro profano. Il coro si divide, nella sua perentorietà
ritmica, tra esecuzioni omofoniche e contrappuntistiche. Il brano è suddivisibile in due
sezioni intervallate da un ritornello strumentale nel quale sono escluse le trombe; queste si
trovano come protagoniste nella conclusione strumentale, alle quali è affidato un
duetto.
Veniamo ora al Sanctus.
Traccia 10: 4'20
Sanctus (coro)
Come già detto il Kantor ha ripreso senza modifiche un Sanctus composto nel 1724 e più volte eseguito dei giorni del Natale e della Pasqua di anni successivi. La composizione si presenta a 6 voci (2SS 2AA) e dotata di un organico strumentale superiore rispetto alla prima sezione della Messa. Il brano si apre con un incedere solenne e grandioso che contrasta dinamicamente con la fuga del Pleni sunt in coeli. La prima sezione è dominata dalla figurazione ritmica della terzina che permette uno scioglimento tematico più fluido e coinvolgente e si colloca come nuovo elemento di contrasto con la seconda parte guidata da ritmica regolare.
Infine l' Agnus Dei
Tracce 14-15: 9'04
Agnus Dei (alto)
Dona nobis pacem (coro)
Il numero conclusivo dell'Ordinarium viene suddiviso da Bach in due
sezioni rigorosamente separate: un'aria per contralto e una parte corale che intona l'ultimo
versetto del testo liturgico.
L'intensa esecuzione del contralto, nella tonalità di sol minore, procede senza fretta,
appoggiandosi a lungo sulle parole-chiave del testo (Dei; tollis; peccata; mundi).
Strumentalmente ci sono due elementi che sono in contrasto: gli “affetti” dolenti
del basso continuo e le luminosi parti dei violini che procedono all'unisono.
La Messa in si minore si chiude con una sorpresa, a suprema conferma di quel trionfo della parodia. Il Dona nobis pacem consiste infatti nella ripresa di un pezzo preesistente, già impiegato in una Messa del 1733. L'organico grande viene mobilitato, prevedibilmente, per concludere il capolavoro con un fugato mottettistico il cui protagonista è il coro, coadiuvato nella sfolgorante sezione conclusiva dal clamore delle trombe e timpani.
Il necrologio del figlio Carl Philipp Emanuel riferisce che Bach aveva scritto cinque passioni. Di queste, soltanto due sono pervenute intere a noi: la Johannes-Passion, la cui prima esecuzione accertata risale al 1724, e la Matthaus-Passion del 1729; una Markus-Passion, su testo di Picander, è pervenuta ma se ne conosce parte della musica, che venne creata utilizzando anche la cantata BWV 198. Spuria una Lukas-Passion, pervenuta autografa ma sicuramente copiata da un manoscritto di altro autore, forse intorno al 1712. Della quinta passione, nulla si conosce, se non un presunto libretto di Picander. Poiché è logico pensare che Bach, per comporre le cinque passioni, abbia messo in musica i testi della Passione secondo tutti e quattro gli evangelisti, è evidente che uno di quei testi dovette essere preso in considerazione due volte. Friedrich Smend, fondandosi sulla specificazione del Necrologio nella quale è rilevata la presenza di una Passione a due cori, ha supposto che Bach avesse scritto due Matthaus-Passionen, una delle quali - a un coro - scritta durante gli anni di Weimar.
A Lipsia vi era l'abitudine di comporre ed eseguire vari tipi di passione in stile polifonico, ed è grazie all'intensa attività musicale di questa città, specialmente nel campo della musica sacra, che tale forma trova la sua fortuna e il più alto grado di sperimentazione. Abbiamo così la Passione-responsorio con semplici interventi del coro in risposta alla lettura intonata del o dei celebranti; la Passione-mottetto con la realizzazione polifonica dell'intero testo evangelico; la Passione drammatica in cui il recitativo non è quello liturgico tradizionale, bensì risulta liberamente inventato; la Passione-oratorio, cioè come oratorio sul tema della Passione.
Le due passioni a noi giunte, capolavori forse assoluti della musica di
Bach, sono concepite, invece, nella forma della cosiddetta passione oratoriale.
Nella passione oratoriale, che veniva presentata all'interno di una celebrazione liturgica non
diversamente da una cantata sacra in due parti (prima e dopo la predica), il testo evangelico
viene interpolato con testi madrigalistici (arie o cori) e Kirchenlieder (corali).
Strutturalmente la passione si articola nel modo seguente:
Nell'affrontare il tema della passione, che in tutti e quattro i Vangeli
è contenuto in due capitoli, ma con differenze notevoli nel numero dei versetti, Bach
non poteva non tenere conto degli elementi formali che guidano il testo-base, della diversa
distribuzione della materia e della stessa “temperatura” del racconto evangelico,
particolari questi che erano ben presenti anche al poeta e ne condizionavano gli interventi
(tropi). Quindi abbiamo: 82 vv. per Giovanni (da 18,1-40 a 19,1-42), 141 vv. per Matteo (da
26,1-75 a 27,1-66), 119 vv. per Marco (da 14,1-72 a 15,1-47).
Elemento portante e determinante del servizio liturgico è la predica, che trova
collocazione in un momento particolarmente significante della narrazione evangelica ma non
centrale rispetto ad essa, sicchè la distribuzione dei versetti nelle parti in cui si
articolano le passioni bachiane avviene in maniera asimmetrica: parte I Gv. 27, Mt. 56 Mc. 52 ;
parte II Gv. 55, Mt. 85 Mc. 67.
Un'ultima considerazione prima di affrontare il discorso sulla
Matthaus-Passion. All'esecuzione di tali opere erano chiamati complessi vocali e
strumentali di dimensioni maggiori in rapporto a quanto si verificava nelle ordinarie
festività liturgiche. Per la parte corale se ne occupavano la prima e seconda cantoria
(da un minimo di 24 a un massimo di 34 cantori); quanto agli strumentisti, si può
calcolare che essi non superassero la cifra di 34.
Problema assai dibattuto, infine, è quello della prassi esecutiva relativamente alla
parte del basso continuo, campo minato di certa esegesi non sempre attenta a
sottrarsi ad un'interpretazione troppo letterale dei documenti e spesso dimentica che in
quell'età l'adozione di uno strumento in luogo o a fianco di un altro poteva essere
governata dal caso, da una primaria libertà di azione oppure da necessità
contingenti oggi superate con la maggiore preparazione professionale degli esecutori. La
questione principale riguarda il corretto impiego del cembalo, uno strumento che ebbe
corso nelle chiese principali di Lipsia, unitamente o in alternativa all'organo. Una soluzione
radicale e definitiva del problema è impossibile, ma il buon senso dovrebbe suggerire
che, anche quando la presenza del cembalo è indicata in partitura o addirittura
confermata da una specifica parte separata conglobata nel materiale esecutivo originario, non
è detto che l'impiego ne diventi indispensabile e ad esso non si possa rinunciare. E'
possibile, ad esempio, che il cembalo costituisse un semplice sostegno, un ausilio per guidare
le voci, le quali dovevano agire in spazi acusticamente difettosi o angusti, in condizioni
ambientali, dunque, ben diverse da quelle in cui si trova ad operare l'odierna pratica
concertistica.
La Passione secondo S.Matteo, differentemente dalla Passione secondo S.Giovanni, appare più vistosa e spettacolare, meno intima, ma più impressionante, non tanto nelle dimensioni e nell'aspetto formale, quanto piuttosto nella vertiginosa corsa verso atteggiamenti teatrali (un vero e proprio dramma liturgico) di resa immediata. La partitura appare non-uniforme, ma commista di stili disparatissimi difficilmente afferrabili da chi non conosca a fondo i segreti del linguaggio bachiano.
Composta tra l'autunno del 1728 e la Quaresima del 1729, fu eseguita nella chiesa di S. Tommaso di Lipsia il giovedì santo dello stesso anno (altre esecuzioni 1736, 1739, 1745).
Per quanto riguarda la sezione testuale, il testo è
tratto dal vangelo di S.Matteo e intercalato da 28 brani ad opera di Picander, più 14
corali. L'elemento primario della realizzazione drammatica è il recitativo che ha
importanza capitale ed è strettamente legato al significato del testo. A parte
l'arditezza armonica e l'estrema libertà della linea melodica, c'è da rivelare la
sua prodigiosa natura lirica e religiosa, anzi luterana.
All'Evangelista è affidata l'esecuzione di un recitativo secco,
differentemente da quello che accompagna il personaggio di Cristo, sostenuto da un lieve
disegno melodico degli archi. Unica eccezione al costante uso del recitativo
obbligato (strumentale) è il momento in cui Cristo pronuncia, prima della morte,
le parole Eli, Eli, lamma Sabachtani, espressione che anche musicalmente è
appello di agghiacciante efficacia.
Rivestito di figure musicali cariche di significati simbolici e che perciò propongono
un'immediata corrispondenza fra il contenuto del testo e il veicolo della parola, il recitativo
è spesso un messaggio lanciato al fedele e destinato a scavalcare il senso letterale
della narrazione per assumere invece una forma musicale autonoma (es. n. 63a che alle parole
dell'Evangelista, nel momento del terremoto, sottopone il tumultuoso clangore di una parte di
continuo - organo - con effetti sonori che vanno ben oltre i limiti di un puro sostegno
armonico per farsi invece pittura d'ambiente, poesia dell'imitazione della natura).
Altro pilastro fondamentale della passione è il corale,
la tradizionale voce spirituale del popolo tedesco, il cui impiego è determinato da
esigenze espressive (e non solo liturgiche): la formazione di zone di meditazione, la
necessità di realizzare momenti di tensione e di sospensione del dramma, l'esigenza d'un
elemento dialettico che introduca alla purificazione.
Si devono aggiungere, poi, i grandiosi cori di apertura e di chiusura della passione e un
terzo ruolo affidato alla massa corale, quello del popolo, la turba come personaggio dei
Vangeli; per quest'ultimo si tratta di interventi previsti dalla narrazione e concepiti nei
più diversi stili, dal semplice recitativo corale all'ampia struttura polifonica, dal
brevissimo motto alla fuga.
Il momento statico della passione, il monumento alla meditazione e alla contrizione è rappresentato dagli ariosi e dalle arie; in queste pagine la coscienza del credente si risveglia mentre l'azione si ferma. I due elementi stilistici, ariosi e arie, si fondono praticamente in un unico organismo in cui la cantabilità si sposa ad una rigorosa tessitura contrappuntistica realizzata da strumenti obbligati, flauto diritto o traverso, oboe d'amore e da caccia, viola da gamba, liuto (S.Giovanni), violino…, con scelte timbriche di straordinaria puntualità, sottolineando ulteriormente quello che è il risultato finale delle passioni bachiane: commistione di stili e condotta parallela di forme diverse per spirito, destinazione e struttura, per la cui non-uniformità fuoriesce, razionalmente e sentimentalmente coordinata, l'unitarietà dell'opera, poiché è con la purità degli atteggiamenti che Bach conquista il dominio della materia.
Veniamo all'ascolto di alcuni brani dell'opera. Ne ascolteremo l'esecuzione del 1965, diretta da Karl Richter con la Munchener Bach-orchester ed il Munchener Bach-chor (voci soliste: Irmgard Seefried, Antonia Fahberg, Hertha Topper, Ernst Haefliger, Kieth Engen, Dietrich Fischer-Dieskau, Max Proebstl), edizioni Archiv.
Traccia 1: 9'52
Questo brano è in stile mottetistico concertato, eseguito da doppio
coro e corale affidato ad un coro di voci bianche. Il testo è stato probabilmente
scritto da Henrici e una sezione da Decius.
Da questo brano iniziale si comprende la particolare natura del messaggio dell'intera opera,
il simbolismo dell'Agnello.
Richiamandoci all'Apocalisse (14,1; 21,10) “E vidi, ed ecco l'Agnello ritto in piedi sul
Monte Sion. Insieme con lui 144mila che hanno scritto sulle loro fronti il suo nome e il nome
del Padre”. Su quel monte l'Agnello è stato immolato, ma su quello stesso monte
saranno celebrate le sue nozze con la sposa, Gerusalemme. In altre parole, il sacrificio della
croce è inteso come premessa alla redenzione.
La morte di Cristo indica da un lato la vittoria sul male, dall'altro la fondazione della
nuova Gerusalemme. Si apre così la via crucis, il glorioso cammino della croce, come
sottolinea la scelta musicale del Kommt, processionale e solenne, in forma dialogica tra
due cori.
Strutturalmente uno dei due cori interroga l'altro con domande cariche di apprensione, in un
tumulto di passi concitati, mentre il coro di voci bianche si libera in un cantus firmus
sull'Agnello.
Il brano si apre con una solenne introduzione strumentale, che riprende
simbolicamente il carattere processionale. Il procedere delle voci è tortuoso, le
sonorità cupe iniziali vengono rischiarate dall'esecuzione dei violini, e l'atmosfera si
fa più concitata ed intensa con il raddoppio della figurazione ritmica del BC.
L'ingresso del coro è introdotto da una frase melodica dominata dai flauti che termina
con un trillo.
Anche qui, come in alcune parti della Messa in si minore, troviamo un accattivante discorso di
politestualità, che in modo complesso si articola in due momenti.
Il primo è evidenziabile mettendo a confronto i due cori: le voci femminili procedono
per valori larghi, in contrapposizione alle voci maschili che eseguono la frase raddoppiando il
ritmo.
Il secondo momento, quando entra il coro di voci bianche con il corale O Lamm Gottes,
unschulding. Le due parti si incontrano sulle coppie di parole: colpe e peccati, croce
e pietà; sposo e agnello, a voler sottolineare, con forza, la centralità del
messaggio evangelico.
Traccia 17-18: 4'24
Tradimento di Giuda e istituzione dell'Eucaristica.
Si prende ora in considerazione questa sezione della passione per mettere in risalto le
differenze tra i vari tipi di recitativo adottati da Bach, il quale si impegna a sottolineare
la forza del messaggio, che rimanga a noi non con la fredda determinazione di una sentenza, ma
come un sermone ultimo, un testamento spirituale.
Ci troviamo nel momento in cui si consuma l'ultima cena, dove si preannuncia il tradimento di
Giuda e si istituisce il sacramento dell'eucaristia.
Nella narrazione della vicenda abbiamo l'Evangelista che scolpisce il disegno narrativo del
Vangelo di S.Matteo con un recitativo scavato, che mira a sottolineare la veridicità dei
fatti e il loro inquadramento storico-anneddotico.
La figura di Cristo, invece, dovendosi innalzare, trovando collocazione su un piano di
distinzione e di onore rispetto a quello degli altri interlocutori, abbandona il recitativo
secco per quello obbligato.
Così, le parole di Cristo sono sempre pronunciate secondo uno stile declamato, ricco di
mistica fierezza e di profetica verità, accompagnato dagli archi, quasi sempre per
accordi ma talvolta con fregi indipendenti dalla linea di canto, in atmosfere che stanno tra il
triste, il tenero, il celestiale, vagando verso atteggiamenti propri dell'arioso.
è interessante notare che l'evangelista quando introduce gli interventi di Gesù
usa un tono più dolce, di complicità, contrariamente a Giuda.
Traccia 4 del II cd: 5'00
Arresto di Gesù
Aria con coro: eseguita sotto forma di duetto, soprano e contralto.
La concitazione estrema si espleta in corrispondenza di un passo di alta drammaticità e
che stimola la rappresentazione della pietà e della sofferenza. È il momento
dell'arresto di Gesù.
Un tema grave e penoso serpeggia in orchestra, prima dell'entrata delle voci soliste, in cui
risaltano fiati e archi acuti che si muovono per appoggiature. Evidente il basso continuo
realizzato con l'ausilio dei violoncelli.
Le implorazioni del coro sono chiare, imponenti e forti.
Dalle parole pronunciate del coro si capisce che la natura si ribella, il cielo si oscura e le
potenze degli abissi si levano; in questo preciso momento dell'esecuzione il coro si spezza in
due tronconi, che procedono all'unisono, ora in modo antifonale, su un fugato di mirabile
compattezza. La tensione drammatica è al culmine e come uno schianto il discorso
s'interrompe improvvisamente per riprendere, dopo una lunga pausa, sulla immagine
(“Spalanca i tuoi abissi di fuoco, o inferno”) che propone con efficacissimo
realismo il tragico verificarsi di un cataclisma tellurico.
Evidenti sono poi i violoncelli, che con il loro timbro pieno, caldo e corposo procedono
ostinatamente per tutta l'esecuzione.
Traccia 6 del II cd: 6'44
Dopo la cattura
A chiusura della prima parte troviamo il corale “O Mensch, bewein dein Sunde
gros”, brano precedentemente utilizzato per la passione composta a Weimar nel
1725.
Ovviamente eseguito dai due cori, quest'ultima pagina unisce i due cori vocali-strumentali e
dispiega tutto il potenziale bachiano nella tecnica del mottetto su cantus firmus.
Vi è una lunga introduzione orchestrale, dove troviamo i violoncelli ad imitare la
linea melodica in progressione per appoggiature esposta dai fiati. L'appoggiatura, che crea uno
spostamento di accentazione, è l'elemento strutturale di questo brano, e fa procedere la
linea melodica a singhiozzi, come le lacrime che l'uomo versa per i suoi peccati e per
l'umiltà di Dio a noi dimostrata facendosi uomo. La tonalità oscilla tra modo
maggiore e minore. I soprani aggiunti svolgono il compito di ripieno.
Il testo, così come la musica, può essere diviso in due sezioni, la prima anch'
essa bipartita, la seconda caratterizzata da un inizio luminoso, che corrisponde all'atmosfera
e il finale in un accentuato rallentando, sulle parole “morendo sulla croce”.
Traccia 20-21-22 del III cd: 9'17
Wir setzen uns mit Tranen nieder (sepoltura)
Chiudiamo con l'ultima parte della passione con il più ampio esempio di coro della
turba, 24 battute, a cui è affidata la richiesta di vegliare il sepolcro del
Signore.
L'esecuzione corale è in forma mottettistica, polifonia a quattro parti più o
meno contrappuntate.
L'entrata del coro è preceduta da un breve passo di BC che raddoppiando la propria
figurazione ritmica, prepara l'atmosfera concitata che anima il popolo. Il coro che procede
inizialmente vede evidenziata la parte dei soprani, per lasciare poi il campo alle voci
tenorili che conducono una intensa sezione imitativa.
A seguire, prima del corale di chiusura, abbiamo un recitativo che ci
presenta la sepoltura del Cristo. Alle spoglie di Gesù è rivolta l'attenzione
delle affermazioni e delle considerazioni affidate al coro.
Il brano corale è introdotto da un interludio orchestrale dominato dagli archi, nei
quali è possibile ascoltare i registri bassi dei violoncelli e dei contrabbassi, scelti
non casualmente, poiché rendono ancora più intensa l'emozione rappresentata.
Sostanzialmente è strutturato come un'aria col “da capo”, liberamente
inteso, recante alcuni passaggi in cori spezzati (influenza dell'Italia settentrionale sul
corale luterano). Accorato è il tono, perché dolorosa è la circostanza
della sepoltura, ma l'invocazione del riposo e l'augurio, anzi, la certezza di poter chiudere
gli occhi nel sonno celeste, costituiscono un affabile messaggio di fede sublimato da una
scrittura mottettistica essenziale e calda, ariosa e benedetta dalla notte apportatrice di
quiete, quella “buona notte” che nel corso del precedente recitativo obbligato a
quattro il coro aveva dolcemente invocato con quattro brevi cullanti motti diversamente
articolati.
Si possono distinguere dinamicamente due momenti, uno più intenso in cui l'orchestra
d'archi avvolge e sostiene il coro, l'altro più intimo, dove si evidenzia l'oboe
d'amore.
Il motto “riposa in pace” si ripete due volte, dinamicamente e simbolicamente
diverse, la prima pp a rappresentare un dolce augurio, la seconda f che porta in se il dolore
della morte, avvenuta cruentamente del Salvatore, ma anche la solennità e la conferma
che solo la notte può quietare questo momento.
Il coro procede per imitazioni.
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