Vogliamo con queste poche righe fornire alcune chiavi di lettura ormai saldamente stabilite negli studi sull'Apocalisse di S.Giovanni. Lo faremo anche commentando la trasposizione pittorica che dell'Apocalisse ha dato l'autore degli affreschi medioevali della cripta della cattedrale di Anagni [1] . Riteniamo che queste chiavi di lettura siano tali da permettere poi una successiva analisi personale anche degli aspetti del testo che, per la sua complessità, lasciano divisi i diversi studiosi del Nuovo Testamento. Ringraziamo Paolo Galosi per averci permesso di utilizzare le foto da lui scattate per il servizio pubblicato sul numero 3/2002 di 30Giorni a corredo dell'articolo di don Lorenzo Cappelletti, Ecce crucem Domini: fugite partes adversae.
Come l'Anticristo non può essere inteso in un contesto non cristiano - eppure pochi rammentano che il
termine Anticristo è stato coniato dall'evangelista Giovanni nelle sue lettere e che con esso vuole
designare il male in quanto rifiuto e contraddizione del fatto che il Figlio di Dio abbia preso carne nel mondo
in Gesù, il Cristo appunto [2] - così
l'Apocalisse (testo nel quale, peraltro, mai compare, invece, il termine Anticristo) di Giovanni altro
significato non ha, essenzialmente, che l'annuncio della definitiva vittoria del Cristo sul male nel mondo.
Questa semplice affermazione è già decisiva per addentrarci nella lettura dell'ultimo libro della
Bibbia: l'Apocalisse è un testo cristiano, redatto perché l'uomo si rivolga al Cristo.
E' libro che tende ad incoraggiare, non a spaventare l'uomo. Vuole confermare i cristiani perché non si
scoraggino soprattutto dinanzi all'avversità di chi li combatte. Ogni lettura dell'Apocalisse che affermi
il contrario o che, anche, semplicemente, trascuri queste affermazioni è, chiaramente, come vedremo, una
lettura ideologica e non fondata sul testo stesso.
Ben a ragione gli affreschi della cripta di Anagni pongono al centro del nostro sguardo un brano dell'Apocalisse che è decisivo per l'interpretazione complessiva di tutto il libro. E' il brano di Ap 5, 1-14:
"Vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno
e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi
è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». Ma nessuno né in cielo, né in
terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro e di leggerlo. Io piangevo molto perché non
si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo. Uno dei vegliardi mi disse: «Non piangere
più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i
suoi sette sigilli». Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi
un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su
tutta la terra. E l'Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. E quando
l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello, avendo
ciascuno un'arpa e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi. Cantavano un canto
nuovo:
«Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio con il tuo sangue
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione
e li hai costituiti per il nostro Dio
un regno di sacerdoti
e regneranno sopra la terra».
Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il
loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:
«L'Agnello che fu immolato
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione».
Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che
dicevano:
«A Colui che siede sul trono e all'Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli».
E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E i vegliardi si prostrarono in adorazione".
La cripta di Anagni evidenzia questo testo ponendo la sua raffigurazione nell'abside, là dove si fissa lo
sguardo di chi si reca per celebrare la santa eucarestia; l'autore stesso dell'Apocalisse evidenzia questa
pericope ponendola all'inizio della sezione dei sette sigilli che saranno via via aperti, all'inizio cioè
di tutta la lotta tra il Cristo ed il male.
Ap 5, 1-14 non solo è posto letterariamente prima del dispiegarsi della lotta che si consumerà fino
alla battaglia finale che segnerà la definitiva sconfitta del male ad opera di Cristo, ma vuole fornire al
lettore, fin dall'inizio, le connotazioni decisive di ciò che sarà descritto successivamente.
Procediamo con ordine. Al centro del testo e dell'affresco sta l'Agnello. L'Agnello ha in mano un libro. Il libro
è, appunto, il libro del dispiegarsi della storia. Esso è sigillato con sette sigilli. "Nessuno
né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di leggerlo" (Ap 5, 3). E' la chiara
affermazione che nessuna creatura capisce, da sola, il senso della storia. Nessuno sa dire il perché del
nascere, del morire, dell'amare, del soffrire. Nessuno lo sa, senza la presenza della grazia di Dio. L'uomo e la
sua storia sono un enigma, un mistero che attende una chiave di interpretazione che divenga poi anche
orientamento per scegliere il bene, ciò che vale, una volta conosciuta la verità. Giovanni
"piangeva molto perché non si trovava nessuno in grado di leggere il libro" (Ap 5, 4), finché uno
dei vegliardi disse: "Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di
Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli". E' proprio la frase che il pittore di Anagni sceglie
per trascriverla sul libro dell'Agnello: "Ecce vicit leo de tribu Iuda radix David aperire librum".
Il pianto dell'evangelista è il pianto dell'intera umanità che non comprende fino in fondo il senso
ed il mistero della vita umana, il dramma dell'umanità che vuole comprendere la storia e la vita, ma ne
è impossibilitata.
Ma ecco lo sciogliersi del dramma, appunto. Uno è capace di farlo! E' l'Agnello che è anche il
Leone di Giuda e il Germoglio di Davide. E' Cristo stesso che è, da un lato, compimento della profezia
dell'Antico Testamento. E', infatti, Figlio di Davide, il discendente del re Davide, che i profeti avevano
annunziato come Messia, come Cristo. Il canto dell'Osanna al Figlio di Davide che accoglie Gesù
nell'ingresso nella città santa è il corrispettivo della sua appartenenza alla tribù di
Davide e della sua nascita a Betlemme, la città, appunto, del "santo re". E, insieme Gesù è
anche il "leone della tribù di Giuda" che, come la benedizione del patriarca Giacobbe aveva annunziato,
avrebbe avuto lo scettro eterno del potere di Dio sul mondo. “Un giovane leone è Giuda… Non
sarà tolto lo scettro da Giuda, né il bastone del comando dai suoi piedi, finché
verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli” (Gen 49,
9-10).
L'Agnello, dice il nostro testo, è "ritto e… come immolato" (Ap 5, 6). Gli affreschi di Anagni lo
rappresentano come immolato, come vedremo subito, nella parete sinistra dell'abside, sgozzato e sull'altare -
segni della crocifissione!
Nell'abside, invece, esso è "ritto". E' il Cristo risorto che è di nuovo in piedi dopo essere stato
adagiato, disteso nel letto della morte. E' la sua "vittoria", la vittoria sulla morte, sul peccato, sul male
della storia, che lo rende capace di interpretare la storia. Proprio nella sconfitta del male, attraverso la sua
venuta, la morte e la resurrezione - e nella conseguente nascita della Chiesa - sta tutto il segreto della
storia. E' "l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo" (Gv 1, 29).
Così p.Ugo Vanni, gesuita, massimo studioso vivente dell'Apocalisse, commenta i simboli particolari
relativi all'Agnello nel nostro brano [3] :
Un Agnello: l'autore prendendo lo spunto dall'Agnello pasquale dell'Esodo (Es 12-13), come pure dal Servitore di Jahweh del Deuteroisaia (Is 53,7), ci presenta in quattro quadri successivi Cristo che ha dato la vita in sacrificio per la moltitudine (Agnello come sgozzato), che è risorto (ritto in piedi), che ha totalità dell'energia messianica (sette corna) e la pienezza dello Spirito in azione (sette occhi).
L'Agnello è detto, nel presente, in grado (degno) (5,9) di appropriarsi il libro perché, in passato, Egli è stato immolato, mettendo così le premesse e i fondamenti di una salvezza completa la quale, in futuro, si realizzerà col regno di Dio, dell'Agnello e dei salvati nella terra rinnovata.
“Hai riscattato per Dio con il tuo sangue” (5,9) l'opera salvifica di Cristo viene espressa mediante la metafora di una compera: dando la sua vita Cristo ha fatto sì che gli uomini fossero tolti dalla loro situazione di alienazione nei riguardi di Dio e divenissero sua appartenenza. Un aspetto di questa appartenenza a Dio è dato dal fatto che il nuovo popolo è introdotto nell'ambito della sacralità cultuale divina, è un regno di sacerdoti (cfr 5,10).
Quando l'Agnello prese il libro, “i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello” (Ap 5, 8). L'Apocalisse aveva già descritto i quattro esseri viventi ed i ventiquattro vegliardi che sono intorno al "trono" di Dio:
"Subito fui rapito in estasi. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. Colui
che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il
trono. Attorno al trono, poi, c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi
avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo. Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese
ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. Davanti al trono vi era come un mare trasparente
simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e
di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il
terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola. I quattro esseri
viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di
ripetere:
Santo, santo, santo
il Signore Dio, l'Onnipotente,
Colui che era, che è e che viene!
E ogni volta che questi esseri viventi rendevano gloria, onore e grazie a Colui che è seduto sul trono
e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro vegliardi si prostravano davanti a Colui che siede sul trono e
adoravano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettavano le loro corone davanti al trono, dicendo: «Tu
sei degno, o Signore e Dio nostro,
di ricevere la gloria, l'onore e la potenza,
perché tu hai creato tutte le cose,
e per la tua volontà furono create e sussistono»" (Ap 4, 2-11).
Ma ora questi quattro esseri ed i ventiquattro vegliardi sono intorno all'Agnello. E' l'adorazione al Figlio che
è adorato e conglorificato con il Padre:
E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E i vegliardi si prostrarono in adorazione" (Ap 5,
14).
Di nuovo la lettura di p.Vanni ci aiuta nella comprensione del testo [4] :
Ventiquattro vegliardi (4,4): questi “personaggi” misteriosi si trovano in uno stato di salvezza definitiva (vestiti di bianco), hanno già adesso il premio della loro attività (corone d'oro), e prendono parte autorevolmente allo svolgimento della salvezza (seduti sul trono). E' discussa la loro identificazione. In essi l'autore ha concentrato un complesso di simboli che esprimono la radicazione trascendente del popolo di Dio. I vegliardi sono dodici e dodici, come le tribù di Israele e gli apostoli uniti insieme; sono la base, il fondamento celeste di tutto il popolo di Dio. Ma, già in uno stato di salvezza, sono anche l'espressione del traguardo a cui il popolo di Dio tende: ed essi lo aiutano nel raggiungimento.
Quattro esseri viventi: ispirandosi a Ezechiele 1,5 – 10 e a Isaia 6,2 l'autore ci dice anzitutto che
questi viventi sono pieni di occhi, ciò che nell'Apocalisse simboleggia l'azione molteplice dello Spirito
cfr 5,6). Una loro seconda caratteristica è la molteplicità degli aspetti che possono assumere:
aquila, uomo, vitello, leone, proprio come i viventi di Ezechiele. Una terza caratteristica è la lode che,
come i Serafini di Isaia, esprimono continuamente a Dio. Nel decorso del libro i viventi partecipano insieme ai
vegliardi alla lode divina e intervengono attivamente nello sviluppo dell'azione salvifica. Più che
personaggi veri e propri – angeli, rappresentanti della creazione, ecc. – sono degli schemi simbolici
che esprimono a livello celeste il punto di incontro tra l'iniziativa salvifica di Dio e la risposta di tutto il
creato.
Gli affreschi di Anagni commentano la presenza dei 24 vegliardi con l'iscrizione latina: "Qui laudant Agnum
seniores bis duodeni/ hos Vetus et Nova lex doctores contulit evi" che tradotta vuole dire: “La legge
Antica e Nuova ha riunito questi due gruppi di dodici vegliardi che lodano l'Agnello, in quanto dottori della
vita eterna" (per la traduzione del termine medioevale "aevum" con "vita eterna" ci rifacciamo a L.Cappelletti
[5] che cita Onorio di Autun: "L'aevum viene prima del
mondo, col mondo e dopo il mondo. Dunque pertiene solo a Dio, che non fu, e non sarà, ma sempre
è"). Sono realmente l'immagine di tutto il popolo di Dio, cresciuto dall'Antica alla Nuova Alleanza, fino
al compimento definitivo celeste, che loda il Cristo.
Negli affreschi e nel testo sacro hanno una cetra nella mano – simbolo della loro lode all'Agnello - e
nell'altra le “coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi” (Ap 5, 8).
L'intercessione dei santi sale a Dio come un profumo, a maggior lode di Dio e come realtà efficace di
benedizione che ridonda poi sulla storia.
“Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo” (Ap 4, 6) che vediamo dipinto
ad Anagni sotto i 24 vegliardi [6] .
I 4 esseri viventi hanno origine nell'immagine - definita “barocca” da E.Charpentier - della visione della “gloria di Dio” nel profeta Ezechiele. Lì il carro della Gloria di Dio veniva contemplato nella sua mobilità. Quattro esseri animati con le loro ali indicavano in quella visione il movimento della Gloria di Dio, della Presenza stessa di Dio, che seguiva l'esilio del suo popolo:
Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra, ognuno dei quattro, fattezze d'aquila; ciascuno aveva due ali che si toccavano e due che coprivano il corpo. Ciascuno si muoveva davanti a sé; andavano dove lo spirito li dirigeva e, muovendosi, non si voltavano indietro (Ez 1, 10-12).
La Gloria di Dio usciva così dal Tempio di Gerusalemme, si fermava sul monte degli Ulivi, giungeva fin
nell'esilio del popolo, in Mesopotamia, proprio ad indicare che Dio era onnipresente, non confinato alla terra di
Israele, capace di seguire il popolo anche in terra straniera. Come la Gloria si spostava nel deserto dell'Esodo,
precedendo e guidando il cammino, così il profeta Ezechiele la contemplava a Babilonia. L'Apocalisse
riprende questa immagine tetramorfa veterotestamentaria – le fattezze d'uomo, di leone, di toro, di aquila
- proprio ad indicare che l'onnipotenza e l'onnipresenza di Dio sono tali da generare adorazione in tutto il
creato, in tutta la terra.
La tradizione cristiana successiva, a ragione, proprio in forza di una profonda comprensione della Scrittura,
vedrà nei 4 esseri i simboli dei 4 evangelisti, risposta dell'uomo alla rivelazione definitiva di Dio,
risposta che diviene proclamazione evangelica ai 4 punti cardinali, ovunque, tramite i santi evangelisti e la
predicazione apostolica [7] . Sempre nella tradizione
verrà continuamente sottolineata la corrispondenza dei 4 punti cardinali, Nord, Sud, Est, Ovest e degli
evangelisti Matteo, Marco, Luca, Giovanni. E' in ogni direzione, ogni dove, che il vangelo risuona e produce vita
e frutto.
Alla presentazione del cuore della storia, del fine cui tutto converge, l'adorazione dell'Agnello vittorioso -
fine già anticipata qui nell'Apocalisse dell'esito della storia - segue, al capitolo 6, la descrizione
della lotta che porta alla vittoria di Cristo.
Intravediamo già qui come l'Apocalisse (come anche gli altri scritti giovannei) non sia un testo da
leggere come una successione cronologica, ma come un libro a spirale, che ritorna sempre, in maniera ogni volta
più approfondita, sulla realtà che è già stata annunziata.
I primi 4 sigilli che debbono essere sciolti sono rappresentati da altrettanti cavalieri – i sigilli sono
così anche il contenuto stesso del libro che viene dissigillato! Nel testo di Ap 6, 1-8 ogni cavaliere
è connotato con simboli caratteristici. Giovanni ci mostra la negatività del secondo, del terzo e
del quarto, che ci appaiono come nemici dell'uomo, mentre ci fa intuire che nel primo ha voluto simbolizzare,
nuovamente, lo stesso Cristo. Di nuovo non di una successione cronologica, semplicemente, si tratta, ma anche di
una compresenza. Mentre i nemici dell'uomo lo insidiano, il Cristo stesso li insidia, presenza di sicura speranza
e vittoria di Dio, pur nelle oscure vicende storiche. Questo il nostro testo:
Quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni». Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora. Quando l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada. Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati». Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra (Ap 6, 1-8).
Così p.Vanni commenta il simbolismo dei quattro cavalieri:
Uno sguardo alla situazione di fatto dell'umanità, alla storia degli uomini, permette subito di
individuare alcune componenti che la attraversano: la violenza, l'ingiustizia sociale, la morte col suo corteggio
di mali. Espresse simbolicamente da cavalli dai colori caratteristici e da dei cavalieri, esse acquistano il
rilievo di forze impetuose (cavalli), che invadono il campo della storia, travolgendo tutto. Ma una lettura
adeguata non si ferma qui. Accanto alle forze di segno negativo ce n'è una di segno positivo, contrapposta
ad esse: è la forza messianica di Cristo, simboleggiata dal cavaliere del cavallo bianco. Secondo
un'interpretazione probabile basata su un confronto con Ap 19,11, è Cristo stesso. Appartenente alla sfera
divina (cavallo bianco), con la qualifica permanente di vittorioso che poi metterà in atto definitivamente
nel momento conclusivo della storia, dotato di armi micidiali (l'arco), Cristo è presentato qui come
un'energia viva, vittoriosa di tutte le forze negative [8] .
Di nuovo Anagni ci mostra come il Medioevo abbia pienamente e correttamente compreso il senso profondo
dell'Apocalisse.
Subito alla destra dell'abside ecco, infatti, i nostri quattro cavalieri. La scritta sottostante - Has per
picturas bis binas disce figuras, “Con l'aiuto di questi dipinti impara ad esaminare le immagini a due a
due” – ci aiuta in una corretta lettura iconografica.
Non a caso il quarto cavallo è al galoppo (come il secondo) e colui che lo cavalca si volge e fugge
come il secondo cavaliere. Il primo cavaliere insegue il secondo come fa il terzo col quarto, ma il primo
cavaliere non è analogo al terzo che nel movimento, perché in realtà il primo insegue e
combatte tutti e tre gli altri: guerra, inferno e morte [9] .
Il primo cavaliere è l'unico con l'aureola, segno evidente della corretta interpretazione cristologica
data dal pittore al primo sigillo. Il suo colore è il bianco, proprio come in Ap 19, 11 – “Poi
vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele” e
“Verace”: egli giudica e combatte con giustizia”. Al bianco del cavallo e del cavaliere, segno
identificativi di Colui che solo è fedele e verace, dell'Agnello, si sovrappone il mantello rosso, simbolo
del sacrificio di sangue della croce di Cristo. Mentre gli altri cavalieri versano il sangue degli uomini,
desiderando la loro fine, il primo versa il suo sangue per la salvezza, desiderando la loro vita.
Il primo cavaliere insegue il secondo, vestito di rosso. Restano solo poche tracce del color rosso del secondo,
nella condizione attuale dell'affresco, ma lasciano intuire la resa coloristica originaria. E' la
“guerra” con lo spadone sguainato, ma è in fuga dinanzi all'arco vittorioso del Cristo.
Il terzo cavaliere è tenebroso, scuro – “niger” nel latino. E' l'unico dei tre in fuga
ad essere alato, rappresentando il demonio, il maligno, a cavallo dell'inferno. Ha una bilancia in mano ed
insegue il quarto, la morte dal colore cianotico.
I tre cavalieri non potranno trionfare: Cristo li mette in fuga
Sebbene l'esegesi moderna dia una interpretazione più precisa dei tre cavalieri nemici del Cristo, non di
meno la comprensione medioevale globale è acutissima, nella presentazione della vittoria di Cristo sulla
malvagità dell'uomo, sul maligno e sulla morte. Questa comunque la decodificazione simbolica secondo
p.U.Vanni [10] :
Nella storia si trova la violenza, nelle sue forme vistose e drastiche e in quelle più sottili e insidiose: gli uomini tendono a odiarsi, a uccidersi (secondo sigillo: 6, 3-4). Non solo. Gli uomini, nei loro rapporti reciproci, non rispettano le leggi che si sono date: si conculcano a vicenda nei loro diritti e doveri, si fanno tutti i soprusi. Accanto alla violenza imperversa l'ingiustizia (terzo sigillo: 6, 5-6). Ai mali che gli uomini si procurano da soli, se ne aggiunge una serie che essi devono subire: la morte, la fame, le malattie, ecc. Tutte queste realtà negative e più grandi dell'uomo interessano sempre almeno una parte dell'umanità (quarto sigillo: 6, 7-8).
Similmente a quanto già visto il quinto sigillo non ci presenta tanto un elemento cronologicamente successivo ai primi quattro, ma un altro aspetto sincronico della storia vittoriosa del Cristo. Ecco il testo:
Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a
causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce:
«Fino a quando, Sovrano,
tu che sei santo e verace,
non farai giustizia
e non vendicherai il nostro sangue
sopra gli abitanti della terra?».
Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco,
finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere
uccisi come loro (Ap 6, 9-11).
U.Vanni sintetizza così tale sigillo:
Vengono presentati – nel quinto sigillo – le insistenze dei martiri che fanno pressione su Dio
perché si ristabilisca l'equilibrio turbato in senso negativo con la loro uccisione. L'impazienza dei
martiri non dispiace a Dio. Viene loro detto di attendere che il numero dei loro fratelli si compia
definitivamente [11] .
L'Apocalisse non può descrivere la vittoria di Cristo, senza mostrare anche la presenza della chiesa al
suo fianco, tanto il Cristo ed il suo corpo, la Chiesa, sono indissolubilmente legati nella mente degli autori
neotestamentari. Il riferimento particolare ai martiri si interseca con il simbolismo ecclesiale dei quattro
esseri viventi e dei ventiquattro vegliardi. I martiri, coloro che sono stati uccisi perché cristiani, per
la testimonianza data a Cristo e rifiutata dal mondo, sono protagonisti attivi dal cielo della storia che in
terra continua a svolgersi. Non solo il Cristo, non solo i tre cavalieri maligni sono attivi: anche le insistenze
dei martiri sono efficaci nello svilupparsi della storia.
I martiri sembrano non preoccuparsi di sé stessi, ma solo del bene da ristabilire: Dio, però, che non è un fabbricatore automatico di bene, si preoccupa di loro personalmente: a ciascuno viene data una “veste bianca” (6, 11ss.), simbolo qui di una condizione soprannaturale positiva e gioiosa, ormai acquisita irreversibilmente e personalmente. Nella “veste bianca” qualche studioso ha voluto vedere addirittura l'immagine del corpo risuscitato [12] .
Il decorso successivo della storia ancora conoscerà, dice l'Apocalisse, testimoni nel sangue del Signore
finché “il numero dei loro fratelli si compia definitivamente” (Ap 6, 11). Il testo vuole
confermare i cristiani perseguitati e a rischio di morte per la persecuzione romana – e per la persecuzione
di ogni tempo contro la Chiesa – che ciò non è condizione inusuale e imprevista, ma
conosciuta da Dio e fonte di vita eterna [13] .
Il quinto sigillo è affrescato, in maniera simmetrica ai primi quattro, alla sinistra dell'abside della
cripta di Anagni. Abbiamo già visto sopra il raddoppiarsi del simbolo dell'Agnello, qui sgozzato –
chiaro il segno del collo che lascia intravedere il sangue – qui posto sull'altare, ma ritto in piedi
nuovamente e non prostrato nella polvere. La presenza dell'Agnello è duplicata, inoltre, nella presenza
dell'immagine del Cristo che distribuisce le vesti bianche (qui rappresentate da stole bianche) ai martiri
radunati intorno all'altare. La scritta sotto l'altare è ripresa dal nostro brano: Vindica Domine
sanguinem nostrum, “Vendica, o Signore, il nostro sangue”, mentre in basso è scritto: Christe
Deus presto vindex tu noster adesto, “O Cristo Dio, sii tu presto il nostro vindice”. Alla scena si
aggiunge in alto a destra un angelo con il turibolo. Il pittore degli affreschi di Anagni anticipa le conclusioni
scientifiche dell'esegesi moderna che unisce al quinto sigillo proprio l'azione dell'angelo con l'incensiere, con
il turibolo, descritta nel secondo settenario, quello delle sette trombe, in Ap 8, 1-5:
Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora. Vidi che ai
sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe.
Poi venne un altro angelo e si fermò all'altare, reggendo un incensiere d'oro. Gli furono dati molti
profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull'altare d'oro, posto
davanti al trono. E dalla mano dell'angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le
preghiere dei santi.
Già in 5, 8 (“Le coppe sono le preghiere dei santi”) avevamo incontrato l'importanza nella
storia delle preghiere dei santi. Le coppe erano tenute in mano dai ventiquattro vegliardi. La Chiesa, nel suo
essere insieme temporale ed eterna, è efficace nella sua preghiera. Non solo le preghiere dei martiri che
sono già nella gloria, nel quinto sigillo, ma la preghiera di tutti i santi che sono nella storia
contribuisce alla distruzione del male. L'incensiere, se da un lato è segno dell'aroma delle preghiere che
sale, è anche segno dell'effetto inverso, del discendere della risposta di Dio all'invocazione
perché cessi il male. Ap 5, 6 esprime questo secondo aspetto:
Poi l'angelo prese l'incensiere, lo riempì del fuoco preso dall'altare e lo gettò sulla terra:
ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto.
Così p.Vanni esplicita il senso del simbolismo:
E' il movimento di ritorno. Dopo che le preghiere sono salite, perfezionate, fino al cospetto di Dio, si ha la
risposta da parte di Dio, che viene indicata – secondo immagini usuali e simboliche dell'AT – sotto
la forma di fenomeni naturali e di sconvolgimenti cosmici. Quando poi nell'Apocalisse ci si avvierà alla
sezione conclusiva, ritroveremo sottolineato questo effetto risolutivo delle preghiere dei santi negli interventi
di Dio: i martiri nel quinto sigillo chiedevano la distruzione del male, l'equilibrio che Dio saprà
ristabilire andrà, oltre l'immaginabile, al di là della loro richiesta: “Uno dei quattro
viventi diede ai sette angeli sette coppe d'oro ripiene dell'ira del Dio vivente nei secoli… E udii una
voce potente che usciva dal tempio e diceva: Andate e versate sulla terra le sette coppe dell'ira di Dio!”
(Ap 15, 7; 16, 1).
Le stesse coppe d'oro ripiene prima delle preghiere dei santi hanno ora come contenuto una forza distruttiva
del male propria di Dio. Questa forza è detta “ira”: Dio non annulla il male meccanicamente.
Il male lo irrita, ed egli si sente impegnato personalmente nella sua distruzione. Lo hanno spinto a questo
coinvolgimento appassionato proprio le preghiere dei santi, che hanno fatto presa su di lui [14] .
L'affresco nell'arco alla sinistra dell'abside ci mostra il sesto sigillo. E' la trascrizione pittorica di Ap 6,
12-17:
Quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come
sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra,
come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un
volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i
grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne
e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di
Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e
chi vi può resistere?
Vediamo,infatti, gli astri che vengono giù, il sole e la luna che mutano. Così ancora p.Vanni sintetizza la scena:
Gli sconvolgimenti descritti in 6, 12-17 sono simbolici di una presenza divina speciale. La natura, nel suo
corso normale, manifesta indirettamente la presenza della gloria di Dio. La situazione abnorme che si determina
esprime un intervento di Dio che, proprio mediante il confronto spontaneo con la situazione normale, si rivela
come diretto e immediato. Si ha in definitiva il segno di una presenza di azione da parte di Dio, ma non si sa
ancora quale effetto reale e concreto la presenza di Dio così simboleggiata assumerà [15] .
Nell'arco a destra dell'abside, simmetricamente al sesto sigillo, ecco l'angelo con un cartiglio che recita:
Nolite nocere terrae et mari neque arboribus quoadusque signemus servos Dei nostri frontibus eorum, “Non
devastate né la terra né il mare, né le piante finché non abbiamo impresso il sigillo
del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi” (solo alcune lettere di questo testo si sono conservate).
E' il testo di Ap 7, 1-3:
Dopo ciò, vidi quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra, e trattenevano i quattro
venti, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta.
Vidi poi un altro angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran
voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: «Non
devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il
sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi».
Quale che sia nello specifico il segno preciso indicato – il tau di Ez 9, 4, la croce, il nome di Dio o il
battesimo – è evidente comunque il senso: la storia attende che la grazia di Dio faccia diventare
cristiani! E' questo il vero senso del prolungarsi dei tempi, prima della fine, ed è questa la vera difesa
dall'insignificanza apparente della storia.
L'angelo ha la croce astile con la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco, l'alfa e l'omega, che, in Ap 1,
8 e 22, 13, esprimono che Cristo è l'inizio, l'origine ed il fine di tutto.
In una delle volte della cripta ecco gli angeli che trattengono i 4 diavoli o i 4 venti di distruzione (Ap 7, 1),
proprio perché avvenga l'unica vera novità della storia: il diventare cristiani, l'essere segnati
dalla grazia con il santo nome che da Cristo discende. Il tempo deve come arrestarsi –ma, sempre
nell'assommarsi sincronico dei simboli, deve continuare a scorrere - perché questo possa compiersi,
perché avvenga l'opera della grazia.
A fianco dei quattro esseri viventi e dei ventiquattro vegliardi appaiono per lodare Dio i segnati con il sigillo. Il loro numero è centoquarantaquattromila. La decodificazione è una delle più semplici dell'Apocalisse. Ritroviamo, infatti, nella visione della Gerusalemme celeste che discende dal cielo alla fine del libro, il numero delle 12 tribù d'Israele, come il numero dei 12 apostoli.
La città è cinta con da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli di Israele… Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i nomi dei dodici apostoli dell'Agnello (Ap 21, 12-14).
Dodici per dodici è uguale a centoquarantaquattro. Esprime il popolo preparato dall'antica alleanza (le dodici tribù) e compiuto nella nuova, tramite la predicazione degli apostoli. Ma il numero centoquarantaquattro è moltiplicato per mille, il numero che, come vedremo più in là esprime la pienezza, contrapposta al “breve tempo” del male (Ap 20, 1-3). Centoquarantaquattromila è, insomma, il numero della Chiesa. Sono tutti i credenti in Cristo nella loro proiezione escatologica, nati dall'antica e dalla nuova alleanza donata a tutti coloro che vengono segnato con il sigillo nel corso della storia. Così il testo di Ap 7, 4-8:
Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni
tribù dei figli d'Israele:
dalla tribù di Giuda dodicimila;
dalla tribù di Ruben dodicimila;
dalla tribù di Gad dodicimila;
dalla tribù di Aser dodicimila;
dalla tribù di Nèftali dodicimila;
dalla tribù di Manàsse dodicimila;
dalla tribù di Simeone dodicimila;
dalla tribù di Levi dodicimila;
dalla tribù di Issacar dodicimila;
dalla tribù di Zàbulon dodicimila;
dalla tribù di Giuseppe dodicimila;
dalla tribù di Beniamino dodicimila.
Ma ecco subito apparire un secondo gruppo, in Ap 7, 9-17:
Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e
lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano
palme nelle mani. E gridavano a gran voce:
«La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello».
Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono
profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo:
«Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei
secoli. Amen».
Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: «Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde
vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Essi sono coloro che sono
passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue
dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario;
e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno più fame,
né avranno più sete,
né li colpirà il sole,
né arsura di sorta,
perché l'Agnello che sta in mezzo al trono
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi».
Qui è il testo stesso a darci le indicazioni del simbolismo: sono coloro che sono passati attraverso la
grande tribolazione, rendendo candide le loro vesti con il sangue dell'Agnello. Sono, cioè, i martiri,
coloro che hanno testimoniato Cristo fino al martirio. Le palme che hanno nelle mani diverranno,
nell'iconografia, l'attributo di tutti i martiri, proprio a partire da questo testo.
Di nuovo vediamo come il simbolismo dell'Apocalisse sia sincronico, ridondante, non diacronico. Già i
ventiquattro vegliardi rappresentavano “il fondamento celeste di tutto il popolo di Dio” ed i quattro
esseri viventi erano il “punto di incontro fra l'opera salvifica di Dio e la risposta di tutto il
creato” (U.Vanni). I centoquarantaquattromila e la immensa moltitudine dei martiri - che è insieme a
parte dai centoquarantaquattromila, ma anche parte eletta di essi - esplicitano ancor più la risposta
della Chiesa che loda Dio all'apertura dei sigilli. Insomma tutta la Chiesa è lì, intorno al Trono
di Dio e dell'Agnello. L'Apocalisse non solo ci chiede di diventare cristiani, ma ci chiede di accorgerci che
è la Chiesa il luogo di questo diventarlo, il luogo della salvezza.
Lettura totalmente distorta di questo brano è, allora, quella letteralista dei testimoni di Geova che non
solo non si accorgono che il numero dei centoquarantaquattromila è, nel simbolo, ben più grande di
quello della “immensa moltitudine” (la loro lettura pretende, a torto, che ci siano due diverse
condizioni di salvezza, un Paradiso celeste per i centoquarantaquattromila privilegiati ed un Paradiso terrestre
per l'immensa moltitudine), ma soprattutto non riescono a comprendere, per la loro posizione ideologica, che
l'Apocalisse sta parlando semplicemente della Chiesa. La profondità della lettura ecclesiale di Apocalisse
ci mostra la vittoria della Chiesa insieme a quella dell'Agnello. Accenniamo solo al fatto che tutta la
tradizione cristiana rilegge a ragione, anche a partire da questo brano, tutti i testi veterotestamentari sulla
Città Santa, su Gerusalemme, su Sion, come testi tipologici, prefigurativi della Santa Chiesa della Nuova
Alleanza.
Negli affreschi di Anagni la Chiesa nella sua totalità è, invece, raffigurata a partire dai
capitoli dell'Apocalisse che precedono i brani che abbiamo fin qui visto. E', infatti, in Ap 1, 9-20 che troviamo
i seguenti versetti:
Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù,
mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù.
Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: Quello
che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne, a Pèrgamo, a
Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa. Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui
che mi parlava, vidi sette candelabri d'oro e in mezzo ai candelabri c'era uno simile a figlio di uomo, con un
abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro. I capelli della testa erano candidi, simili a
lana candida, come neve. Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi avevano l'aspetto del bronzo
splendente purificato nel crogiuolo. La voce era simile al fragore di grandi acque. Nella destra teneva sette
stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio e il suo volto somigliava al sole quando
splende in tutta la sua forza.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io
sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra
gli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo. Questo è il
senso recondito delle sette stelle che hai visto nella mia destra e dei sette candelabri d'oro, eccolo: le sette
stelle sono gli angeli delle sette Chiese e le sette lampade sono le sette Chiese.
E gli fa eco il versetto successivo, Ap 2, 1:
All'angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e
cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro:
E' Cristo stesso che ci appare circondato da 7 angeli (gli angeli delle 7 chiese); essi rappresentano la
dimensione terrestre e trascendente di ogni Chiesa e di tutta la Chiesa. I sette candelabri (di nuovo un simbolo
che raddoppia l'altro) rappresentano le 7 chiese in preghiera sulla terra. Le 7 chiese – rappresentate da 7
stelle - sono inoltre tenute in mano da Cristo stesso. Cristo è, insomma, il Signore della Chiesa, la
tiene – e le tiene – in mano; insieme appare in mezzo ad essa – e non altrove!
Così, più dettagliatamente, ci guida ancora p.Vanni nella comprensione dei simboli:
La visione stessa ha due parti. In un primo momento Cristo si presenta in termini simbolici e sconvolgenti,
desunti in generale dall'AT (vv. 12-16): essi ci danno delle indicazioni grezze che vanno interpretate e poi
messe da parte subito, ritenendo il concetto ricavato. Cristo viene indicato come presente e attivo nella sua
chiesa in preghiera (i sette candelabri d'oro); è il Messia che prende possesso del suo regno (simile a
figlio d'uomo, cfr. Dan 7, 13); il suo abbigliamento indica probabilmente una funzione sacerdotale (abito lungo
fino ai piedi, fascia d'oro); appartiene alla sfera celeste e le prerogative di Dio sono attribuite a lui
(capelli candidi, ecc.). Come Messia a livello divino tiene in mano tutta la sua chiesa assicurandole
l'immortalità (sette stelle che poi, al v. 20, saranno identificate con gli angeli delle chiese: una
designazione enigmatica, sembra delle chiese stesse nella loro dimensione terrestre e trascendente) e, intanto,
rivolge ad essa la sua parola che ha una forza di penetrazione irresistibile (spada... a doppio taglio). E', in
sintesi, il Cristo glorioso della trasfigurazione (il suo volto assomigliava al sole).
Cristo viene poi presentato, più realisticamente (vv. 17-20), come il Cristo del mistero pasquale.
Morto e risorto, Egli possiede ora tutte le prerogative per realizzare la salvezza con tutte le sue implicazioni
(ha potere sopra la morte e sopra gli inferi) [16] .
Nella cripta anagnina tutto questo simbolismo è come condensato nella volta che precede proprio l'abside che abbiamo già commentato. Cristo è dipinto al centro, nella mandorla, segno di gloria, con gli attributi divini (i capelli bianchi), con la veste sacerdotale (come insegna la lettera agli Ebrei, Cristo è il vero e sommo sacerdote che offrì una volta per tutte se stesso, ponendo termine ai sacrifici antichi che non avevano il potere di santificare per sempre), con la spada della sua parola potente che esce dalla sua bocca, con la mano destra che tiene le sette stelle, la chiesa nella sua eternità, e nella mano sinistra una chiave bianca ed una scura, il potere sul Paradiso e gli Inferi (novità iconografica, rispetto al testo di Apocalisse, ma in piena continuità con esso). A fianco della mandorla ecco i sette angeli delle sette chiese, i sette candelabri, ed, infine, sette edifici che le rappresentano ancora una volta. In basso è rappresentato anche Giovanni l'evangelista, colui che ha la visione del Cristo e della Chiesa a lui indissolubilmente unita.
La cripta anagnina non rappresenta tutte le visioni dell'Apocalisse. Ma, in ciò che in essa troviamo,
già tutto è racchiuso. Se il male si scatena contro il Cristo e la Chiesa, la sua sconfitta
è comunque già segnata. La sofferenza degli uomini, dei credenti, dei martiri è l'ultima
prova, prima della gioia finale per la definitiva distruzione del male.
L'Apocalisse racconta come il dispiegarsi del male diventi massimo proprio dinanzi alla presenza di Cristo e
della Chiesa. Il male non aveva, precedentemente, rivelato tutta la sua insensatezza e la sua cattiveria, fino
alla venuta del Figlio di Dio. Proprio opponendosi al Cristo mostra la sua incapacità di cogliere il segno
dei tempi: ecco allora il suo rifiuto caparbio, la sua totale stoltezza. E' dalla venuta del Signore in poi che
il male si rivela proprio come il nemico di Dio e della vita, come il nemico di Cristo, l'antiCristo, anche se
questo termine, come già abbiamo visto, non viene mai adoperato dall'Apocalisse. E' dall'incarnazione in
poi che il male pretende di essere adorato come l'unico signore, negando assolutamente la sua obbedienza alla
rivelazione di Dio nel Figlio.
L'Apocalisse afferma chiaramente la natura demoniaca del male, rappresentata dal drago del cap. 12, ma subito le
affianca l'aspetto umano, rappresentata dalle due bestie, una che comanda e l'altra che invita ad adorare la
prima (cap. 13). Il drago si serve delle realizzazioni storiche dello stato dispotico e della propaganda che lo
sostiene, che si contrappongono al Cristo ed alla sua Chiesa.
Questo il commento di p.Vanni che precisa i dettagli:
Tutto questo capitolo è dominato dalle vicende della donna (v. 1) e del drago (v.3). L'autore sfrutta
forse qualche racconto popolare di origine mitologica; ma il simbolismo complesso che egli esprime è tutto
attinto all'AT. La donna rappresenta il popolo di Dio, il drago le forse demoniache; la loro vicenda esprime
momenti e aspetti dello scontro fra bene e male, nel quale si articola e si sviluppa la storia della
salvezza.
Un segno grandioso (12, 1): è un fatto straordinario, portentoso, che appartiene di per sè alla
trascendenza (nel cielo) ma che deve essere interpretato dagli uomini.
Una donna vestita di sole: la donna simboleggia l'unico popolo di Dio, quello dell'AT che ora è
conosciuto nel Nuovo. La fedeltà divina alle promesse – cfr. Sal 89, 37-38) – lo avvolge e lo
riveste (sole); esso poggiando stabilmente sulle promesse divine è superiore alle vicende del tempo
(luna); le dodici tribù di Israele sono la prima radice del popolo di Dio, radice che poi si sviluppa, nel
NT, nei dodici apostoli: le dodici stelle simboleggiano questo fatto.
Un enorme drago rosso (13, 3-4): il drago è “il serpente antico, colui che chiamiamo diavolo e
satana” (12, 9) ci viene presentato come una forza immane di natura ostile e sanguinaria (rosso), tende ad
immettersi nella storia dell'uomo specialmente nei centri di potere (sette teste e sette diademi) ha un carattere
dissacratore (stelle gettate sulla terra). Questa forza mostruosa insidia il popolo di Dio.
12, 5. Un figlio: la citazione del Salmo 2, 9 applicata a Cristo in tutto il contesto della chiesa primitiva,
ci dice che il Figlio della Donna è Cristo stesso. Egli nasce di fatto: la comunità ecclesiale
“dà alla luce”, realizza storicamente – in ogni epoca – il suo Cristo, fino a
raggiungere, alla fine della storia della salvezza, il Cristo completo (cfr. Ef 4, 14). Questo risultato della
comunità, anche se teme, confrontato con le forze ostili antitetiche (drago), viene garantito e messo al
sicuro contro la forza del drago dall'intervento della potenza divina (fu subito rapito verso Dio e verso il suo
trono, v. 5) [17] .
E ancora:
Tutto il capitolo 13 è dominato dalla vicenda di due mostri che si succedono l'uno all'altro lungo lo
stesso filo narrativo. L'autore ci presenta nel suo linguaggio simbolico due complesse formule di
intelligibilità teologica: la prima riguarda lo stato che si autodivinizza, la seconda coloro che lo
appoggiano con tutte le forme possibili di propaganda. Le immagini seguenti formeranno ulteriori
precisazioni.
13, 1-2. Una bestia: secondo il simbolico valore tipico di quel simbolismo che fa intervenire gli animali come
protagonisti, si indica qui una forza superumana, che viene subito caratterizzata in senso negativo (dal mare,
come dall'abisso). La grande potenza della bestia si concretizzerà storicamente in una qualche forza
terrena, ostile a Dio, sintesi unitaria delle quattro bestie indicate in Dan 7, 2-7, alle quali il nostro testo
si riferisce.
13, 3. Una delle sue teste: per avviare la formula simbolica presentata prima verso una interpretazione e
applicazione concreta, che la comunità dovrà fare, l'autore allude probabilmente alla leggenda di
Nerone che, ucciso, sarebbe poi risorto a capo dei parti contro Roma.
13, 4-6. Sommando queste indicazioni a quelle precedenti abbiamo un risultato chiaro; l'autore ci presenta una
forza storica, collegata o identificata col potere politico, che, usurpando i diritti divini e contrapponendosi a
Dio, giunge a farsi adorare. E' lo stato inteso come un arbitro assoluto, di tutto, al di sopra del bene e del
male...
13, 11-15. Un'altra bestia: è il secondo mostro che sarà in seguito qualificato esplicitamente
come il falso profeta (cfr. 16, 13; 19, 20; 20, 10), esercita una attività complessa di propaganda in
favore del primo. La sua attività assume una falsa natura religiosa; fatti riguardanti la vita del mostro
sono presentati in una luce di prodigio; il risultato finale è che si forma del primo mostro un'immagine
divinizzata, falsa in se stessa, ma resa vera nella mente della gente ingannata dal falso profeta [18] .
La visione delle due bestie ci fa incontrare proprio le realtà storiche di segno negativo che si oppongono
al bene:
Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna
testa un titolo blasfemo. La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e
la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande.
Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita.
Allora la terra intera presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia e gli uomini adorarono il drago
perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla
bestia e chi può combattere con essa?».
Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d'orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per
quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per proferire bestemmie
contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. Le fu
permesso di far guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e
nazione. L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del
mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato.
Chi ha orecchi, ascolti:
Colui che deve andare in prigionia,
andrà in prigionia;
colui che deve essere ucciso di spada
di spada sia ucciso.
In questo sta la costanza e la fede dei santi.
Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che
però parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe
la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Operava grandi prodigi,
fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi, che le era
permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una
statua alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. Le fu anche concesso di animare la statua
della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non
adorassero la statua della bestia. Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e
schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza
avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha
intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è
seicentosessantasei (13, 1-18).
E' evidente che il numero cifrato 666 viene usato per coprire un nome reale che sarebbe stato troppo pericoloso
per l'autore dell'Apocalisse indicare esplicitamente. E' assolutamente senza senso e fuorviante cercare in altre
epoche, ad esempio nella nostra, la coincidenza di quel numero. Piuttosto, ciò che può ripetersi
nella storia non è tanto la sequenza dei tre sei, ma la dinamica di chi sostiene l'ingiusto potere
anticristiano con ogni mezzo. Ma, nei secoli, per grazia di Dio, si ripete di questa bestia anche ciò che
Ap dice al v 13, 18: “essa rappresenta un nome d'uomo”, cioè non è destinata a durare,
passerà come passa la vita di ogni uomo. Sembrerà trionfare, per un istante, ma dovrà cedere
dinanzi alla vittoria di Cristo.
Così, in un diverso studio, p.Vanni spiega l'interpretazione numerica più comune nei commentari:
La bibliografia copiosissima riguardate questo versetto ne sottolinea la difficoltà. L'equivalente
più diffuso è quello di Nerone Cesare che si ottiene sommando insieme i valori numerici delle
lettere ebraiche che lo esprimono (NRWN QSR: n=50+r=200+w=6+n=50+q=100+s=60+r=200: totale 666). Ma ha importanza
oltre al risultato che si ottiene, il processo mentale coinvolgente con cui si ottiene [19] .
Proprio questo processo mentale invita a fare attenzione, perché in ogni epoca si ripresentano in forma
diversa i caratteri di questa seconda bestia, come anche della prima, nelle forme sempre cangianti che le da il
drago.
Un ultimo aspetto vogliamo affrontare [20] , prima
di una conclusione sul simbolismo apocalittico: quale visione ci consegna l'Apocalisse della temporalità,
del passare dei giorni dell'uomo, nella prova e nell'attesa della piena salvezza?
L'uomo di ogni tempo, dinanzi alla brevità della vita, spesso – forse sempre – si è
posto la domanda: perché il tempo della vita è così breve, perché “gli anni
passano presto e noi ci dileguiamo?”. La fede cristiana – e ciò è evidente ancor
più nella prima generazione cristiana, quella del nostro libro e del Nuovo Testamento – sa porsi
anche la domanda simmetricamente opposta: “Perché la vita continua, se la vittoria del Cristo
è già compiuta? Perché non si spalancano subito le porte del Paradiso e non termina
così la nostra lotta terrena contro il male, dal momento che Cristo è già
venuto?”.
Abbiamo già incontrato una prima risposta: il tempo continua perché siano segnati col sigillo tutti
coloro che il Signore vuole, perché nascano nuove creature e ricevano nel battesimo l'incorporazione a
Cristo nella Chiesa.
I capitoli finali di Ap ci fanno fare un ulteriore passo: il male ha ancora “poco tempo”, ma il tempo
dei credenti, pur nella prova, è già pienezza. E', ancora una volta, in maniera simbolica che
ciò viene detto, al cap. 20:
Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell'Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico - cioè il diavolo, satana - e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po' di tempo. Poi vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. Vidi anche le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non ne avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni (Ap 20, 1-6).
La tradizione cristiana, ben comprendendo il senso del testo, ne ha, ancora una volta, rifiutato
l'interpretazione diacronica, come se ci dovessero essere mille anni di pace e poi la ripresa della lotta, come
se, al passare dei mille anni, dovesse accadere una catastrofe indicibile – detto per inciso, qualsiasi
serio storico del periodo medioevale sa che si tratta di pura leggenda la presunta paura del compiersi dell'anno
mille, quando, invece, esso rappresenta proprio il passaggio dall'Alto al Basso Medioevo, al periodo cioè
del pieno splendore medioevale, al fiorire delle città, del pensiero, della teologia, dell'arte, della
coscienza dell'Europa di tornare ad essere, in un rinnovato protagonismo, dopo anni di indietreggiamento, un
punto di riferimento del mondo di allora.
L'autore dell'Apocalisse, usando l'espressione “mille anni” non intende un periodo cronologico, ma
vuole indicare la qualità del tempo di chi è stato redento dal sangue dell'Agnello [21] . E' un tempo pieno, che è già vissuto nella
comunione con Dio e con l'Agnello, è un tempo che è già caparra di eternità.
Contrapposto a questa qualità del tempo, il “breve tempo” del male, “contemporaneo ai
mille anni” dei credenti, è un tempo senza qualità, è un essere nel tempo fuori tempo,
superati dagli eventi dell'Incarnazione e della Redenzione. Il male, che sempre farà molto strepito,
è in realtà piccola cosa, realtà superata e non più significante, poiché
l'Agnello ha vinto.
Così ancora p.Vanni:
L'autore riflette sul modo e sul tempo della sconfitta del drago. Sul modo ci dice che alla vittoria di Cristo
contribuiscono attivamente tutti coloro che mediante una misteriosa resurrezione anticipata, sono chiamati da
Cristo ad una collaborazione speciale con lui. Tra costoro i martiri occupano senz'altro il primo posto. Per
quanto riguarda il rapporto dei tempi nel confronto fra Satana e Cristo, ci sono periodi in cui prevalgono,
momentaneamente, l'una o l'altra delle due forze. Queste vicende alterne sono riportate schematicamente a due
tipi: i mille anni, propri del trionfo di Cristo, e il tempo breve proprio dell'attività di
Satana.
Sono indicazioni che hanno un valore qualitativo non cronologico. questo è il loro significato: il
tempo di Dio, che non è commensurabile con il nostro tempo (cfr. 2 Pt 3, 8), risulta misterioso e
incomprensibile, ma ha la sua pienezza che lo qualifica. In confronto, il tempo proprio di Satana, ugualmente
misterioso se riferito a qualunque parametro cronologico umano, è qualitativamente trascurabile, una
piccola cosa di fronte alla pienezza del tempo di Dio [22] .
Il percorso fin qui realizzato mostra a sufficienza come comprendere l'Apocalisse voglia dire pronunciarsi sul
simbolismo adoperato da questo libro, in una chiave mai letteralista, ma, al contempo, non spiritualoide. La
decodificazione dei simboli spinge nella direzione di una chiara interpretazione cristiana ed ecclesiologica di
essi.
In un importantissimo articolo, dal titolo Il simbolismo dell'Apocalisse, p.Vanni raggruppa le tipologie dei
differenti simboli in 5 grandi categorie: i simboli cosmici (con l'ampliamento degli sconvolgimenti cosmici),
quelli teriomorfi, quelli antropologici, quelli cromatici ed, infine, quelli aritmetici.
Presentiamo le conclusioni generali relative ad ognuno dei gruppi, per la loro sinteticità e chiarezza,
cominciando dall'uso dei simboli relativi allo sconvolgimento degli elementi cosmici ed alla presenza, più
in generale di termini cosmici:
Le trasformazioni violente al di là di ogni riferimento e di ogni coordinazione esprimono la trasformazione radicale della storia dell'uomo e dell'ambiente in cui essa si svolge. La presenza attiva di Dio che esse indicano porta il mondo verso la meta di una novità sconosciuta. Il mondo deve cambiare, cambierà, sta già cambiando sotto l'influsso di Dio che si coinvolge nella storia umana. Ecco quanto l'autore – in termini realistici - dice, insegnando, rievocando, alludendo, tutte le volte che usa la costante espressiva simbolica degli sconvolgimenti cosmici [23] .
Allargando la prospettiva e studiando da vicino lo sviluppo di altri termini cosmici, come ad esempio
“sole”, “mare”, “nube”, ecc. giungiamo puntualmente alla stessa conclusione
per quanto riguarda l'equivalente realistico generico: lo spostamento di significato ci dice che c'è nel
cosmo come lo sente l'autore un fremito di novità, una forza propulsiva che tende a oltrepassare il
livello attuale di realtà, coinvolgendo in qualche modo la trascendenza divina [24] .
Le metafore animali sono anch'esse frequenti (i quattro esseri viventi, i quattro cavalli dei primi quattro
sigilli, il drago, le due bestie, ecc...):
Ogni espressione simbolica teriomorfa ci riporta allo svolgimento, al vivo della storia, ma non ce ne
dà una chiave di lettura al minuto. L'animale protagonista dice che c'è, proprio nell'ambito della
storia, un complesso di forze in atto, una vitalità inarrestabile che il contesto immediato potrà
specificare ulteriormente, ma che sfuggirà a una piena verifica dell'uomo. Si avrà spesso la
sensazione dell'incomprensibilità opaca della potenza del male, come pure dell'inafferrabilità
vittoriosa del bene.
E' la percezione acuta dello sviluppo in avanti e di tipo dialettico che assume la storia, con la
varietà molteplice dei suoi elementi, con gli interrogativi che pone e i vuoti a livello di comprensione
umana che lascia, ma che è sempre dominata dalla logica di Dio, guidata, portata alla pienezza e mantenuta
dall' áñíßïí, a suggerire all'autore dell'Apocalisse un uso cos ì
ampio e differenziato del simbolismo di tipo teriomorfo [25] .
Più frequentemente ancora è la presenza del simbolismo umano a dover essere decodificata (i
ventiquattro vegliardi, i centoquarantaquattromila, la grande moltitudine, l'indossare vesti bianche, ecc.):
Si intravede, al di là delle singole situazioni rilevate, lo specifico della costante antropologica.
L'autore, attento all'uomo e a tutto il quadro che lo riguarda, lo vede e lo sente, senza farsi mai illusioni nei
suoi riguardi e senza accettare i suoi limiti, nella completezza che raggiungerà. C'è un di
più, un meglio che preme e incalza, passando per tutti i dettagli del quadro antropologico. Ne deriva
un'indicazione interpretativa: per comprendere la spinta creativa che porta l'autore a formulare il suo
simbolismo antropologico, occorre condividere la sua passione per l'uomo. E' come se l'autore ci dicesse: di
fronte all'uomo che gioisce, che ama, che soffre, che lavora, che organizza la sua convivenza, che progredisce o
degenera come impegnato nella storia, ricordate che è sempre, questo stesso uomo, portatore di una
novità che lo supera e gli compete: la novità escatologica di Cristo risorto [26] .
L'Apocalisse è anche un testo “colorato” a forti tinte (il bianco del primo cavaliere e del
primo sigillo che è Cristo, il rosso del suo sangue versato, il color grigio funereo della morte, ecc.):
Le equivalenze realistiche e qualitative... sia per il bianco come per gli altri colori, non devono far dimenticare un fatto fondamentale. Anche quando il colore diventa simbolo, il nuovo significato che esso esprime gradualmente rimane sempre sulla linea del colore. E' come un colore sovraccarico che deve essere guardato e riguardato. Ciò che il simbolismo cromatico dice di più rispetto alla semplice sensazione visuale deve essere in qualche modo visto, avvertito e percepito quasi a livello di impressione e di sensibilità, con quella presa immediata che hanno i colori reali [27] .
I numeri intriganti dell'Apocalisse sono un'altra forma di espressione linguistica e significativa adoperata dall'autore (i ventiquattro vegliardi, i centoquarantaquattromila, l'immensa moltitudine, i mille anni ed il breve tempo, il seicentosessantasei che è un nome d'uomo, ecc.)
Appare, con chiarezza sufficiente, il tipo di costante simbolica intesa ed espressa dall'autore mediante il
simbolismo aritmetico. Le variazioni, le alterazioni della quantità per indicare delle qualità sono
senza dubbio artificiose. Ma l'autore riesce ad esprimere anche qui un suo tipo di creatività. La
pressione verso un meglio e un di più si fa sentire e incide proprio sul rapporto tra l'autore e queste
dimensioni precise. Il nuovo, il di più che egli si aspetta e in base al quale accetta e crea le
variazioni di significato proprie del simbolismo aritmetico, hanno per lui l'evidenza indiscutibile della
chiarezza aritmetica [28] .
Se è preclusa la via di una lettura letteralistica ed anche semplicemente realistica dei simboli,
ciò è anche perché ogni generazione cristiana, in ogni epoca, dovrà vivere una
rilettura di ciò che è annunciato dall'Apocalisse, per comprendere che cosa è in quel tempo,
figura, sempre cangiante, assunta dal male, dal drago e dalle sue bestie, che cosa è presenza dei segnati
con il sigillo e testimoni fino al martirio dell'Agnello, nelle costanti sempre presenti dell'opposizione del
male alla Chiesa ed ai cristiani e nelle infinite – ma in realtà finite – varianti che questa
lotta assume nei secoli, fino alla fine del tempo ed all'ingresso nell'eternità:
Un'ultima osservazione: il simbolo nell'Apocalisse, confrontato con un linguaggio realistico, presenta una frangia di indeterminatezza. Ci sarà sempre qualche cosa di nuovo, un di più che aggiungerà il soggetto interpretante. La storia dell'esegesi ci mostra quanto sia ampia, varia e anche contraddittoria in molti dettagli la gamma interpretativa dell'Apocalisse.Si è percepito il dinamismo del simbolo, ma – ed è stato questo il limite – la spinta creativa che esso contiene e comunica non si è sviluppata sempre nella linea che il simbolo stesso esaminato più da vicino avrebbe indicato. Ma proprio una determinatezza rigida sarebbe limitante: lo sviluppo da parte del soggetto proprio per quel nuovo e quel di più che richiede e che suscita, permette al simbolo di avere un'aderenza continuata alle situazioni sempre nuove della storia [29] .
Nell'Apocalisse, così, l'Agnello spiega la storia, ma non intellettualisticamente, come dall'esterno, come
in una gnosi, in una conoscenza di una realtà già data, piuttosto invece vincendo il male,
affrontandolo nella realtà storica della Pasqua, della passione e della resurrezione. Cristo imprime il
suo nome e la sua salvezza alla storia intera, attraverso la presenza viva della Chiesa, che è segno e
pegno della Gerusalemme celeste che “discende dal cielo, da Dio” (Ap 21, 10), poiché la Chiesa
non ha solo natura umana, ma natura divina, per il dono, in Cristo, dello Spirito.
Così decade anche la lettura ispirata ad una non corretta lettura dei testi di Gioacchino da Fiore, che
pretenderebbero l'esistenza di una nuova età, dopo quelle presunte del Padre e del Figlio, quella dello
Spirito Santo, differente dalle prime due.
L'esperienza ecclesiale è, invece, esattamente la realtà generata dal Padre e dal Figlio e dallo
Spirito Santo, sempre tesa al compimento celeste, ma già pienamente ricolma della pienezza di grazia per
la vittoria dell'Agnello. “A Lui sia gloria, nei secoli dei secoli. Amen”.
Per altri articoli e studi di d.Andrea Lonardo o sul libro dell'Apocalisse presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici
[Nota 1] Come è noto agli studiosi, la questione della paternità e della datazione del ciclo pittorico, è discussa. Punto di riferimento resta il fondamentale studio di Pietro Toesca, che ipotizzò nel 1902 la presenza di tre diversi maestri, all'opera nella cripta di Anagni. Lorenzo Cappelletti, autore del recente studio che sarà più volte citato nel corso di questo articolo, stabilisce all'anno 1231, anno della traslazione delle reliquie di S.Magno nell'altare al centro della cripta, il terminus ante quem degli affreschi ed ipotizza che le tre diverse botteghe abbiamo lavorato sotto i diversi pontificati di Innocenzo III, di Onorio III e di Gregorio IX..
[Nota 2] Cfr. ad es. 2 Gv 7-9: Poiché molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo! Fate attenzione a voi stessi, perché non abbiate a perdere quello che avete conseguito, ma possiate ricevere una ricompensa piena. Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio.
[Nota 3] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, pp.38-39.
[Nota 4] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 37.
[Nota 5] L.Cappelletti, Gli affreschi della cripta anagnina. Iconologia, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Miscellanea Historiae Pontificiae 65, Roma, 2002, p.181.
[Nota 6] “Il mare nell'Apocalisse simboleggia una forza ostile a Dio (13, 1) di tipo demoniaco e abissale (13, 1) , che come tale deve scomparire (21, 1). Dio intervenendo nella storia della salvezza neutralizza questa forza ostile cambiandone la natura – come già aveva fatto nell'Esodo – a favore del suo popolo”. Così ancora U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 37.
[Nota 7] Così, ad esempio, Gregorio Magno commenta i 4
animali nella sua Omelia IV su Ezechiele:
Gli esseri viventi alati vengono definiti con esattezza per mezzo dello Spirito Santo della profezia,
affinché l'esattezza medesima della definizione ci riveli per mezzo di essi le persone degli Evangelisti,
e la parola di Dio non lasci alcun dubbio alla nostra interpretazione. Ecco infatti che cosa si dice: I loro
volti assomigliavano a una faccia d'uomo; tutti e quattro avevano, a destra una faccia di leone, a sinistra una
faccia di toro, e tutti e quattro avevano una faccia d'aquila. Che questi quattro esseri viventi alati
simboleggino i santi quattro Evangelisti, lo attestano le introduzioni stesse dei singoli libri del Vangelo.
Matteo giustamente viene simboleggiato da una figura d'uomo perché si rifà all'origine umana di
Gesù; Marco dal leone a motivo del grido nel deserto; Luca dal vitello perché prende le mosse da un
sacrificio; Giovanni è simboleggiato dall'aquila perché egli esordisce con la divinità del
Verbo. Egli dicendo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio, mentre fissa lo
sguardo nella sostanza stessa della divinità, quasi come l'aquila fissa gli occhi nel sole. Ma
poiché tutti gli eletti sono membra del nostro Redentore, e il nostro Redentore è il capo di tutti
gli eletti, per il fatto che sono adombrate le sue membra, niente impedisce che anch'egli sia raffigurato in
esse. Egli infatti, il Figlio unigenito di Dio, si è fatto veramente uomo, egli si è degnato morire
come vitello nel sacrificio della nostra redenzione, egli è risuscitato come leone in virtù della
sua forza. Al leone non è consentito di dormire con gli occhi aperti, perché nella morte stessa in
cui come uomo il nostro Redentore poté addormentarsi, come Dio, rimanendo immortale, rimase sveglio. Egli,
ascendendo al cielo dopo la sua risurrezione, fu elevato in alto come aquila. Egli dunque è per noi tutto
questo insieme: uomo per la sua nascita, vitello per la sua morte, leone nella sua risurrezione, aquila nella sua
ascensione al cielo. Ma siccome, come abbiam già detto sopra, i quattro esseri viventi simboleggiano i
quattro Evangelisti e questi, con le loro figure tutti gli uomini perfetti, ci rimane da far vedere come ciascun
eletto venga adombrato nella visione degli esseri viventi.
Ciascun eletto ed ogni uomo maturo nella via di Dio, è insieme uomo, vitello, leone e aquila. L'uomo
è un animale ragionevole. Il vitello di solito viene immolato nel sacrificio. Il leone è un animale
forte, come sta scritto: Il leone, il più forte degli animali, non teme l'incontro di nessuno. L'aquila
vola in alto e fissa, senza batter ciglio, i raggi del sole. Così chi è maturo nella ragione,
è un uomo. E se mortifica se stesso da ogni piacere mondano, è un vitello; e poiché, per
questa sua mortificazione spontanea, possiede la forza della sicurezza, per cui sta scritto: Il giusto è
sicuro come il leone che non ha paura di nulla, egli è un leone; siccome, poi, contempla in modo sublime
le realtà celesti ed eterne, è un'aquila. Perciò, se ogni giusto diventa uomo in
virtù della ragione, vitello in virtù del sacrificio della sua mortificazione, leone per la forza
della sicurezza, aquila per la contemplazione, giustamente questi esseri viventi possono essere il simbolo di
ogni uomo perfetto. Ecco perché ci proponiamo di dimostrare che quanto è stato detto dei quattro
esseri viventi, può essere applicato ai singoli uomini perfetti.
[Nota 8] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 39-40.
[Nota 9] L.Cappelletti, Gli affreschi della cripta anagnina. Iconologia, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Miscellanea Historiae Pontificiae 65, Roma, 2002, p.185.
[Nota 10] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 93.
[Nota 11] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 40.
[Nota 12] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 40.
[Nota 13] Possiamo qui citare il testo di 1 Pt 4, 12-16, che fa
eco alle parole di Gesù sulla persecuzione dei suoi discepoli:
“Carissimi, non siate sorpresi per l'incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per
provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo,
rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi,
se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di
voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come
cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome”.
[Nota 14] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 102.
[Nota 15] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 40-41.
[Nota 16] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 30-31.
[Nota 17] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 47-48.
[Nota 18] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 48-49.
[Nota 19] U.Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna, 1988, p. 52.
[Nota 20] Ci preme ricordare ancora una volta che nel presente breve articolo di introduzione all'Apocalisse, con l'ausilio iconografico della cripta anagnina, non abbiamo potuto analizzare aspetti di enorme importanza del testo giovanneo, ad esempio, l'assenza del Tempio nella Gerusalemme celeste, al momento del pieno compimento della Chiesa, poiché “il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo Tempio” (Ap 21, 22) e la presenza “di un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese e le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni” (Ap 22, 2), chiaro richiamo, in prospettiva nuovamente di compimento, dell'albero della vita di Gen 2-3.
[Nota 21] La tradizione cattolica ha, fin all'inizio, rifiutato la lettura millenaristica. Un Decreto del S.Ufficio del 21 luglio 1944 esprime ulteriori riserve anche sul cosiddetto “millenarismo mitigato” sostenuto da taluni esegeti. Secondo la dottrina del millenarismo mitigato “Cristo Signore, prima del giudizio finale, preceduto o no dalla resurrezione di molti giusti, deve venire a regnare visibilmente sulla terra”. Il Decreto del S.Ufficio afferma che tale sistema “non può essere insegnato con certezza” (AAS 36 (1944), 212, anche in Enchiridion Biblicum, 570. In effetti, la lettura simbolica orienta in altra direzione.
[Nota 22] U.Vanni, Apocalisse, Queriniana, Brescia, 1982, p. 55.
[Nota 23] U.Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna, 1988, p. 37.
[Nota 24] U.Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna, 1988, p. 35.
[Nota 25] U.Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna, 1988, p. 40.
[Nota 26] U.Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna, 1988, p. 49.
[Nota 27] U.Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna, 1988, p. 52.
[Nota 28] U.Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna, 1988, p. 54.
[Nota 29] U.Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna, 1988, p. 61.
Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e fede presenti su questo sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici