La chiesa primitiva ha conosciuto diverse tappe della maturazione cristiana? Ha ritenuto cioè che l'iniziazione alla conoscenza del Vangelo e la sua integrazione nella vita non avvenissero in breve tempo, per esempio durante la preparazione al battesimo, ma richiedessero tempi lunghi e momenti successivi di maturazione? Ed è possibile individuare con qualche approssimazione questi diversi momenti, così da determinare se e in quale di essi si possa parlare di una istanza di riflessione sulla esperienza di fede che presenti analogie con alcune istanze tipiche della “teologia fondamentale”?
Non è difficile scoprire nel N.T. la coscienza del carattere graduale
dell'esperienza di fede. Vi si parla di “catecumeni” ( Gal . 6, 6), di
“illuminati” ( Eb . 6, 4; 10, 32), di “perfetti” o
“maturi” (1 Cor . 2, 6; 14, 20). In Ef . 4, 13–14 i
“fanciulli battuti dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di
dottrina” (e che si suppone siano cristiani battezzati, quindi già passati per
l'iniziazione catecumenale) sono contrapposti allo “stato di uomo perfetto nella misura
che conviene alla piena maturità di Cristo”. In Eb . 5, 12 – 14 si
oppone la situazione di chi ha bisogno che qualcuno gli insegni i “primi elementi degli
oracoli di Dio” a quella di coloro che dovrebbero “essere ormai maestri”; la
condizione di coloro che sono “bisognosi di latte” a quella di colui per cui
è invece adatto il “nutrimento solido”, che ha “le facoltà
esercitate a distinguere il buono dal cattivo”. Le preghiere che Paolo fa per le
comunità lasciano intravedere un itinerario che va verso “una conoscenza
piena” della volontà di Dio, “con ogni sapienza e intelligenza
spirituale” ( Col . 1, 9), “crescendo sulla conoscenza di Dio” (
Col . 1, 10).
Oltre a questi riferimenti lessicali alla progressiva maturazione del battezzato, vi sono
pagine del Nuovo Testamento nella quali vengono descritti esplicitamente alcuni momenti
successivi della introduzione nel mistero cristiano. Per esempio il capitolo 2 degli
Atti fa seguire alla prima predica di Pietro (Atti 2, 14 – 36) la dichiarazione di
disponibilità di coloro che hanno ascoltato la parola (2, 37) e l'invito alla penitenza
e al battesimo per ricevere il dono dello Spirito (2, 38). Viene poi la descrizione del
battesimo effettivamente ricevuto (2, 41) e subito dopo si nota che coloro che erano stati
battezzati continuavano ad ascoltare l'insegnamento degli Apostoli (2,42) ed erano assidui
nell' “unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (ib.).
Anche dopo il catecumenato vi è dunque un periodo di istruzione, collegato con una
più intensa partecipazione alla vita comunitaria. La lettera agli Ebrei (6, 1-6)
distingue espressamente un “insegnamento iniziale su Cristo” nel quale si danno le
indicazioni fondamentali sulla vita cristiana, da una istruzione più completa e
approfondita.
Se dunque esisteva nella chiesa primitiva la coscienza di un itinerario cristiano da
percorrere in momenti successivi, ci si può chiedere ulteriormente se nel tempo del
Nuovo Testamento sia esistito qualcosa come uno o più “manuali” atti a
introdurre in queste diverse tappe. E' a questo punto che si colloca un'ipotesi di lavoro
secondo cui i “quattro Evangeli”, nell'ordine Marco – Matteo – Luca -
Giovanni, potrebbero essere considerati come indicativi dello spirito caratteristico dei
diversi momenti di questo itinerario. Pur tenendo conto del fatto che le diversità tra i
vangeli sono dovute a molti motivi, ampiamente messi in luce dalla critica, cioè al
esempio alla molteplicità delle fonti e delle tradizioni soggiacenti, al diverso
pubblico per cui furono composti, alla mentalità teologica dei redattori ecc., sembra
che non sia da trascurare, nella valutazione delle loro diversità, anche l'intenzione
specifica di ciascuno di essi di servire ad un particolare momento della maturazione cristiana.
Ritenendo Marco come il Vangelo più antico si vedrà facilmente che esso
è particolarmente adatto per la prima istruzione catecumenale in preparazione al
battesimo. Sviluppando lo schema della vita di Gesù che ha in comune con i discorsi
kerygmatici degli Atti degli Apostoli , esso offre la materia essenziale per una prima
istruzione sul fatto cristiano incentrata sulla persona e l'opera di Gesù. Matteo
, col rilievo dato al tema della comunità e con l'abbondante raccolta dei detti
parenetici di Gesù, si presta assai bene per la formazione di coloro che hanno ricevuto
il battesimo e debbono iniziarsi ai doveri della vita in comune. L'opera lucana ( Luca e
Atti ) prolunga il racconto della evangelizzazione fatta da Gesù con la narrazione
della testimonianza resa dai suoi inviati ed è particolarmente indicata per preparare il
battezzato a proclamare ad altri la parola di Dio. Infine Giovanni, il Vangelo del
“presbitero”, rappresenta la riflessione matura della coscienza cristiana sul
mistero della Rivelazione, e si presta soprattutto per l'istruzione di coloro che, avendo
percorso i gradi successivi dell'esperienza cristiana, la vogliono contemplare nel suo insieme
unitario nella trasparenza della fede.
Abbiamo così l'ipotesi di quattro momenti successivi della maturazione cristiana:
iniziazione catecumenale, introduzione alla vita comunitaria, avviamento all'evangelizzazione e
maturità contemplativa. Già a questo punto si potrebbe dare una prima risposta
alla domanda di come potessero affiorare, nella diverse tappe, istanze tipiche della teologia
fondamentale, con una riflessione sui diversi prerequisiti all'atto e all'esercizio della fede.
Infatti nella tappa catecumenale viene messa in rilievo per mezzo del Vangelo secondo Marco la
potenza di Gesù taumaturgo e la nuova rivelazione del mistero di Dio che si attua nella
sua vita e nella sua morte. Nella seconda tappa, quella della iniziazione catechetica alla vita
ecclesiale (corrispondente al Vangelo secondo Matteo), si sottolinea la continuità della
comunità con il disegno salvifico di Dio nella storia di salvezza di Israele. Nella
tappa testimoniale ( Luca ) si mostra l'inserzione dell'azione evangelizzatrice nel
disegno provvidenziale di Dio per la salvezza di tutti gli uomini. Nella tappa contemplativa (
Giovanni ) emerge l'unità del piano salvifico e la trasparenza della rivelazione
di Dio nella realtà vissuta dai redenti. Ciascuno di questi aspetti contribuisce a porre
in luce i fondamenti della fede. Essi vengono percepiti a mano a mano che l'esperienza
cristiana si compie e si fa più matura. Non si tratta quindi di una presentazione
astratta, ma di una iniziazione concreta che guida insieme alla realtà da credere (il
“Vangelo”, la rivelazione della misericordia di Dio nel suo Figlio) e ai motivi di
credibilità, che si chiarificano nello svolgersi dell'esperienza. Ma oltre a questa
prima gradualità generica della riflessione sui fondamenti del credere, mi sembra
possibile procedere più oltre indicando un luogo più preciso delle istanze
specifiche della teologia fondamentale.
E' possibile infatti riprendere in mano il Nuovo Testamento e domandarci in
che modo molte indicazioni da esso date su vari aspetti dell'esperienza cristiana si possano
intendere meglio collocandole nella dinamica progressiva di maturazione che abbiamo sopra
esposto. Le domande da farsi ai testi sarebbero, a mio avviso, soprattutto le seguenti: quale
tipo di preghiera corrisponde più specificamente a ciascuna delle singole tappe? Quale
esperienza sacramentale è caratteristica di ciascuna? Quali “carismi” e
“diaconìe” si collocano preferibilmente nell'una o nell'altra di esse? Quale
tipo di riflessione culturale sull'esperienza religiosa vissuta dal singolo e dalla
comunità è tipica di ciascuna di queste tappe, costituendo l'oggetto di
un'appropriata “didascalia”?
Non è possibile rispondere qui alle singole domande, anche se esse sono tra loro
connesse. Ci concentreremo sull'ultima.
a) L'esperienza catecumenale (Marco). E' la tappa della conversione. Si esige che il
catecumeno arrivi ad un capovolgimento di idee, ad un cambiamento di orizzonte, alla
“conversione”. Ci si attende una vera trasformazione del soggetto e del suo mondo.
Chi era prima centrato in se stesso o fissato in una serie di pseudo-valori anche di tipo
religioso, deve ora prendere chiaramente posizione per il Dio rivelato in Gesù Cristo.
La riflessione tipica di questa tappa mi sembra quella descritta in Mc. 7, 21-23:
“Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzione cattive:
fornicazioni, furti [...] superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di
dentro e contaminano l'uomo”. Si tratta di una considerazione psicologico-morale sulle
connivenze pagane del cuore. Essa è basata sul principio dell'interiorità:
“Dal cuore nascono le intenzioni cattive”. Non è quindi il comportamento
esterno quello su cui va posta l'attenzione come avveniva nella religiosità pagana, ma
la disposizione interiore. Mc 7, 22 fa un elenco delle complicità malvagie che
ogni uomo può riconoscere in sé, e dalle quali egli ha la speranza di liberarsi
soltanto mediante il battesimo. Nasce di qui il riconoscimento del bisogno di salvezza, e, dopo
che il catecumeno è stato educato alla scuola della vita pubblica del Maestro,
l'invocazione battesimale: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”
(Mc. 10, 47). Essa prepara al riconoscimento del mistero di Dio operante nella morte di Cristo:
“Veramente quest'uomo era il Figlio di Dio” ( Mc . 15, 39).
b) La seconda tappa è quella della introduzione alle diverse esperienze ecclesiali
(Matteo) . La riflessione intellettuale di questa tappa sembra essere quella di una
catechesi formativa, che comprenda una iniziazione alla realtà della vita comunitaria.
Il battezzato deve imparare che cosa significa vivere da figlio di Dio nella chiesa visibile.
Gli deve venire spiegato più a fondo che cosa è il regno di Dio, come vi si
entra, come esso si espande, quali difficoltà deve superare, ecc. Sono gli argomenti
trattati nei cinque grandi discorsi di Matteo (capitoli 5-7; 10; 13; 18; 25). Matteo,
come Vangelo del catechista, contiene in ordine tematico tutti quei detti e fatti del
Signore che servono per completare l'istruzione del battezzato. In conformità con le
parole conclusive di Gesù: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine
del mondo” ( Mt . 28, 20) il neo-battezzato deve imparare a riconoscere che il
Signore non è soltanto Colui che Dio ha inviato, ma anche Colui che egli incontra nella
sua comunità. L'esperienza della comunità è una vera esperienza di Dio: si
deve quindi sapere come ci si comporta nel tessuto comunitario attraverso il perdono, la legge
del valore del più piccolo, della mutua accoglienza. Tipico a questo proposito è
il capitolo 18 del primo Vangelo.
c) La terza tappa ( Luca ) introduce all'intelligenza del mistero del regno nella sua
relazione con la storia . Si tratta qui di rispondere principalmente alla domanda
seguente: qual è il senso e il compito di una comunità cristiana nel mondo? La
comunità che ha ormai ben integrato i suoi membri si sente matura per portare il Vangelo
“a tutti quelli che sono lontani” ( Atti ): “Mi sarete testimoni [...]
fino agli estremi confini della terra” ( Atti 1, 8). Ma come farlo senza definire
chiaramente se stessi di fronte al mondo e alla storia? Per questo bisogna iniziare una
riflessione sistematica sul fenomeno cristiano, considerato non soltanto nelle sue fonti, ma
anche nella sua coerenza interna, nella sua continuità col passato, nel suo significato
per il presente e il futuro della storia e ciò non solo rispetto al mondo giudaico, ma
rispetto a tutte le civiltà e tradizioni religiose “che sono sotto il cielo”
(cfr. Atti 2, 5). E' appunto ciò che Luca fa per Teofilo proponendosi di
mostrargli la “solidità” degli insegnamenti ricevuti ( Lc. 1, 4).
Vediamo di approfondire questo punto. La parola greca “asfáleia”, che
abbiamo tradotto con “solidità” indica la “sicurezza” di chi si
sente tranquillo (per es. 1 Tess . 5, 3), e la solidità propria di quelle cose
che procurano sicurezza. In senso materiale può indicare ad es. ( Atti 5, 23) la
solidità delle sbarre e delle porte di una prigione. In senso morale è ad esempio
la certezza irrefragabile con cui Pietro può proclamare nel discorso dopo la Pentecoste
che “Dio ha costituito Signore e Cristo quello stesso Gesù che era stato
crocifisso” ( Atti 2, 36).
Il contesto in cui appare questa affermazione di Pietro è significativo. Tutto il
discorso ( Atti 2, 14-36) mostra infatti che tale “sicurezza” non dipende
semplicemente da una accurata conoscenza dei fatti pasquali. Essa deriva dal loro inserimento
nel contesto più vasto della storia salvifica, sia di quella immediatamente vissuta (il
fatto della Pentecoste: Atti 2, 1-21) sia di quella passata (Davide: Atti 2,
25-31; 34.35; Gesù: Atti 2, 22-24.32-33.36). E' infatti solo dopo aver collocato
l'evento di Gesù in tale quadro ( Atti 2, 14-35) che Pietro proclama ciò
che tutti devono ritenere con assoluta sicurezza, cioè che Dio ha costituito Gesù
Signore e Messia (2, 36). Luca si propone dunque di condurre il suo lettore a riconoscere la
solidità dei fatti salvifici, e ciò non con una semplice cronistoria, sia pure
accurata, ma facendogli percepire il senso del quadro globale della storia di salvezza da Adamo
a Gesù, e poi fino a Paolo e alle comunità da lui fondate, senza trascurare
l'azione provvidenziale di Dio anche nell'ambito della religiosità pagana ( Atti
17, 22-31). Infatti non solo gli eventi di Gesù sono parte del disegno divino e mostrano
che Dio era con lui. Anche le vicende delle primitive comunità e la loro attività
evangelizzatrice rivelano il piano di Dio in Gesù per la salvezza di tutti (cfr.
Atti 4, 12). Dal loro racconto il lettore vedrà come ciò che è
avvenuto “tra di noi” ( Lc. 1, 1) è parte di un unico disegno divino,
che riguarda anche i pagani. Luca non vuole dunque impartire una prima istruzione al catecumeno
(che egli suppone già ricevuta, cfr. Lc . 1, 4). Egli intende far riflettere sul
significato degli eventi che vanno “dagli inizi” ( Lc. 1, 3) fino alla
fondazione di fiorenti comunità cristiane nel bacino del Mediterraneo. Egli vuol provare
che nel centro della cultura greca e romana la realizzazione ecclesiale dell'ideale evangelico,
particolarmente quella delle comunità etnico-cristiane che si richiamano a Paolo, con la
loro predicazione e il loro modo di vita, è autentica, è conforme al piano di
Dio, è uno sviluppo legittimo delle premesse poste da Gesù e dai dodici. Si
tratta di una esperienza cristiana “solida”, che regge di fronte a un esame
spassionato e penetrante dei fatti.
Mi sembra che si possa vedere in questo atteggiamento, e come istruzione tipica di questa
tappa, l'inizio di quel tipo di riflessione sull'esperienza cristiana nella sua totalità
che prelude agli odierni sviluppi della “teologia”. Per il Vangelo secondo Matteo
era sufficiente domandarsi in quale rapporto la comunità giudeo-cristiana stesse con le
promesse di Dio ad Israele. In Luca la visuale viene allargata alle comunità che
si formano in seno al paganesimo e con una apertura verso l'orizzonte del mondo intero. Queste
comunità desiderano riflettere seriamente sulla solidità dei fondamenti della
loro speranza.
d) L'ultima tappa, quella del Vangelo secondo Giovanni, è un'esperienza di
semplificazione contemplativa , nella quale vengono sottolineati i valori fondamentali
della fede e della carità. Propriamente parlando non si ha qui una vera e propria
riflessione religiosa, ma piuttosto una contemplazione delle trasparenze del mistero del Cristo
storico verso il Padre e verso la chiesa animata dallo Spirito. Non possiamo qui approfondire
ulteriormente questo punto, e passiamo dunque ad alcune conclusioni sul tema che ci
interessa.
Se è possibile così determinare in qualche modo i successivi
momenti della formazione a un cristianesimo vissuto, e il tipo di riflessione culturale che
è più particolarmente proprio di ciascuno di essi, particolarmente del terzo
momento, ne possiamo derivare due conclusioni.
La prima è che la teologia fondamentale non nasce da un bisogno astratto di
speculazione, ma si innesta immediatamente su quell'assunzione progressiva di coscienza del
significato dell'esperienza cristiana che la porta a interrogarsi sulla sua situazione rispetto
al mondo non ancora credente e che si vuole evangelizzare, dandogli “ragione della
speranza che è in noi” (1 Pt. 3, 15). Si noti che quest'ultimo testo,
tipico per l'atteggiamento della teologia fondamentale, è in un contesto di
persecuzione. Ma anche l'opera lucana, tutta volta all'evangelizzazione e alla testimonianza,
dà grande risalto al tema della persecuzione. La teologia fondamentale non nasce
perciò nella situazione di una minoranza timorosa e bisognosa di giustificarsi, ma in
una comunità aperta ed evangelizzatrice, e per ciò stesso sottoposta a prove.
Se l'istanza della teologia fondamentale ha origine da questo vissuto dell'esperienza
cristiana, ne deriva pure una conclusione ovvia per il rinnovamento di tale teologia. Esso
sarà collegato ad una chiara coscienza della missione evangelizzatrice della chiesa, e
non semplicemente ad una situazione “difensiva”, come è avvenuto talora
nella “apologetica” del passato. Per quanto giustificato possa essere in
determinate situazioni un tale atteggiamento di difesa, una rinnovata vitalità della
teologia fondamentale si avrà piuttosto in situazioni di aperto e di coraggioso
confronto con diverse culture e mentalità. E' di fronte ad esse che la necessità
di spiegare a fondo, a se stessi e agli altri, il proprio atteggiamento evangelizzatore porta
ad una riflessione proficua ed illuminante sulla “solidità” dell'esperienza
cristiana.
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da Gesù
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