Islam e Occidente (tpfs*)



Islam e Occidente, due diverse concezioni della libertà religiosa a confronto.

Ogni volta che, in incontri con cristiani che abitano in Medio Oriente, si tocca il tema della costruzione della moschea di Roma (opera di grande valore artistico dell’architetto Paolo Portoghesi) e della sua opportunità, gli animi si infiammano.

Padre Christian W.Troll in un articolo della rivista dei gesuiti italiani, La Civiltà Cattolica, fa il punto della nuova situazione che si è venuta a creare in Europa con il crescere dell’immigrazione islamica. La sua riflessione parte dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del 1948.

"Ogni uomo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Questo diritto comprende la libertà di mutare la propria religione o le proprie idee, come pure la libertà di manifestare la propria religione o le proprie idee da solo o in comunione con altri, in pubblico o in privato, mediante l’insegnamento, l’esercizio, il culto e l’osservanza delle pratiche religiose".

Secondo il suo autorevole punto di vista le democrazie occidentali sono chiamate ad un duplice compito. Da un lato l’accoglienza e l’integrazione dei musulmani deve garantire loro le condizioni per poter coltivare la loro fede religiosa, come appunto riconosce la Dichiarazione dei diritti su cui si basano le Costituzioni delle democrazie occidentali. Dall’altra, proprio la richiesta islamica di presenza in tali democrazie deve passare tramite la piena accettazione delle Costituzioni ed il chiaro rifiuto di ciò che è contrario ad esse.

Per quel che riguarda il primo punto si pone il problema della costruzione delle moschee, della sepoltura dei defunti (che deve poter avvenire secondo le prescrizioni coraniche), delle norme alimentari (soprattutto sulla macellazione), dell’insegnamento della religione islamica. Padre Troll propone che si arrivi alla creazione di un organismo rappresentativo islamico che rappresenti i musulmani dinanzi allo Stato e che possa accordarsi con esso su tali temi, con accordi vincolanti per tutta la comunità.

D’altro canto queste legittime richieste islamiche devono essere controbilanciate - è l’altro corno del problema - dalla piena accoglienza dei diritti umani.

Innanzitutto l’accettazione della libertà religiosa. Libertà di confessione significa, nella Dichiarazione universale dei diritti anche "libertà di mutare la propria religione o la propria opinione". Nella tradizione islamica la libertà di culto è ammessa solo per cristiani ed ebrei, detti i "popoli del Libro", mentre non vale per le altre religioni. I "popoli del Libro" sono soggetti ad una tassa supplementare che consente loro di permanere in uno Stato islamico (nei secoli tristemente questo gravame economico è stato motivo di molti abbandoni del cristianesimo, in vista di una vita più economicamente più facile e libera). Ma soprattutto la differente concezione della libertà religiosa si esprime nel fatto che non è ammesso alcun passaggio dalla fede islamica al cristianesimo o ad altre religioni, mentre è permesso, anzi incoraggiato il contrario.

Da ciò consegue, in primo luogo, il divieto dell’evangelizzazione (il cristianesimo può essere approfondito nella catechesi solo con chi è già battezzato) e della spiegazione della fede cristiana a chi, musulmano, ne faccia pubblica richiesta. La preparazione al battesimo di persone provenienti dall’Islam avviene in paesi a maggioranza islamica in gran segreto. Nelle scuole cattoliche è proibito, dalla legislazione degli Stati a maggioranza islamica, l’insegnamento del Cristianesimo a chi non è di famiglia cristiana, mentre è consentita la partecipazione a tutte le altre lezioni ed attività.

In secondo luogo, ne deriva l’impossibilità per una donna musulmana di sposare un uomo cristiano. Così si esprime padre Troll sulla salvaguardia della libertà religiosa in particolare nei confronti della donna: "E’ particolarmente vistosa la disparità tra uomo e donna per quanto riguarda l’ammissione di matrimoni misti. Mentre gli uomini musulmani possono sposare senza alcuna difficoltà una donna non musulmana, alle donne musulmane viene proibito di sposare un uomo non musulmano. Con questo in pratica si nega non solo la parità tra uomo e donna, ma anche la libertà religiosa della donna e la sua libertà di contrarre matrimonio con un uomo di sua scelta, come viene stabilito dall’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948)."

Nel dibattito sorto recentemente, dopo la nota dei vescovi italiani che sconsigliava il matrimonio fra donne cristiane ed uomini musulmani non è apparsa in tutta la sua luce la profonda diversità attuale di posizioni. L’opposizione ad una unione fra un musulmano ed una cristiana da parte della Chiesa è relativa ed è dettata dall’esperienza dei numerosi fallimenti e delle conseguenze per i figli (infatti, secondo il diritto classico islamico, in caso di separazione i figli cadono necessariamente sotto la tutela del padre che può portarli con sé, senza necessario consenso della madre, nel paese islamico d’origine, anche se essi sono nati nel paese della madre). Invece l’opposizione islamica al matrimonio fra una donna musulmana ed un uomo cristiano è assoluta, perché si ritiene che così la donna esca dalla tutela islamica, mentre è possibile che una donna cristiana sposi un uomo musulmano, perché, in questo secondo caso, essa, pur restando cristiana, sottomette sé ed i figli alla tutela dell’Islam attraverso il marito.

In conclusione l’accettazione delle Costituzioni occidentali chiede anche l’accoglienza della libertà religiosa interpretata nel senso forte di libertà per tutti anche di annunciare la propria fede e di cambiare, se la coscienza fosse convinta, la propria fede. Questo viene contestato vivamente dai giuristi e dai teologi musulmani. Il passaggio a un’altra religione viene da loro considerato un tradimento non tollerabile fino all’affermazione che l’apostata è soggetto alla pena di morte.

Si pone infine il problema della reciprocità fra diritti richiesti in Occidente e concessione di analoghi diritti nei paesi di provenienza. "Dobbiamo infine accennare al principio della cosiddetta reciprocità, che viene sempre più invocato da parte europea e cristiana. Si tratta in pratica della "regola d’oro", che viene esaltata nelle grandi letterature scritte nella lingua dell’islàm (arabo, persiano, turco, urdu). I musulmani non sono attendibili quando rivendicano per sé quei diritti e quelle libertà che loro stessi non garantiscono né in Germania, né nelle loro terre di origine... D’altra parte vale anche il fatto che i cristiani non possono far dipendere il loro agire soltanto dall’osservanza del principio di reciprocità da parte musulmana."

L’articolo citato nel corso del testo è: C.W.Troll, Per una convivenza fruttuosa tra cristiani e musulmani in Germania, CC 1998 III 365-378.

Un caso emblematico per comprendere l’Islam oggi ed i suoi dilemmi: la vicenda della condanna del professor Abu Zeid in Egitto

Negli anni 1993-94 il nome di Abu Zeid sale agli onori della cronaca, al momento della sua promozione a titolare della cattedra, nella Facoltà di Lettere arabe, nel corso di "Scienze del Corano". Accusato di essere kafer "apostata", viene condannato nel luglio 1995 in un processo "hisba" o di "resa dei conti". Un cittadino accusato "ridda", cioè di apostasia, perde i suoi diritti come cittadino islamico, in particolare quello di essere sposato con una donna musulmana. "In forza stessa della legge, la moglie di un apostata si trova – senza che sia necessario il minimo consenso da parte sua – in una situazione di scioglimento del matrimonio. In quanto musulmana, infatti, e secondo la legge musulmana, ella non può sposare o – nel nostro caso – continuare a rimanere la sposa se non di un musulmano… Di colpo Ibtihal Younès, la moglie di Nasr Abu Zeid, viene dichiarata separata d’ufficio dal proprio consorte, benché non sia d’accordo con tale soluzione e benché condivida le idee del marito. La sua opinione personale poco importa in ciò: se vuole essere una buona musulmana deve sottomettersi".

Conosciamo troppo poco le culture differenti dalla nostra. L’ignoranza diventa drammatica dinanzi al mondo arabo e musulmano in genere. E’ importante sottolineare che l’Islam, nato presso gli arabi, ha avuto successivamente uno sviluppo tale che attualmente gli arabi non sono più maggioranza all’interno dell’Islam (il popolo turco, ad esempio, di ceppo ugro-finnico, non è un popolo arabo e molti avvertono quasi come fosse un’offesa, comunque un grave misconoscimento quando un turista inavvertito dice loro: "Voi arabi").

Quale evoluzione sta avvenendo oggi nel mondo islamico credente? E’ possibile un rinnovamento del pensiero islamico? Questo si chiedono i gesuiti della Civiltà Cattolica nel presentare il caso del professore egiziano Abu Zeid, musulmano credente, che tanto scalpore ha destato in Egitto, ignorato invece dalla stampa italiana. Il caso viene, giustamente, analizzato in profondità come termometro non tanto del rapporto fra Islam e Occidente o fra Islamismo e Cristianesimo, ma per valutare se si stia facendo strada all’interno dell’Islam credente una differenziazione di posizioni che permetta, nei secoli, una evoluzione positiva dell’Islam stesso.

I gesuiti proseguono la storia di questo caso egiziano. Il 29 gennaio 1996 viene modificato il processo "hisba" ed una nuova legge afferma che nessun soggetto può intentare un processo di questo tipo "se non è direttamente leso" (nel caso Abu Zeid gli avvocati non sono direttamente lesi, ma sono intervenuti solo in nome dei valori islamici da difendere e la moglie non ha sporto alcuna denuncia). La nuova legge non ha valore retroattivo. Abu Zeid replica di essere un buon musulmano e di voler rimanere tale e che le sue posizioni intellettuali (che fra poco esamineremo) non smentiscono questa realtà. Il 5 agosto 1996 viene emesso il verdetto: Nasr Abu Zeid è condannato come apostata e non può rimanere ufficialmente sposato a sua moglie. Alcune voci si levano a difesa dell’innocenza di Abu Zeid. Ad esempio lo scrittore Nagui Mahfouz, premio Nobel per la letteratura afferma il 10 settembre: "Alle idee non si rispone validamente che con le idee". Viene presentato appello ed il 25 settembre 1996 viene sospesa l’esecuzione del verdetto di separazione fra i due coniugi. "Quanto è avvenuto non modifica in nulla lo statuto del docente universitario in quanto tale: egli rimane un "kafir", un apostata, ma la condanna al divorzio non si applica più". Il professor Abu Zeid e sua moglie si rifugeranno poi nei Paesi Bassi. I gesuiti si augurano che sia possibile "ritrovare quanto prima la calma, affinché lontani dalle passioni, si possa proseguire un lavoro serio. Ancora una volta, si è forse voluto precipitare troppo le cose, perdendo così tempo, anziché guadagnarlo".

Quali i punti problematici sollevati dall’insegnamento del professore egiziano? Innanzitutto egli solleva delle questioni sull’"Islam politico": "Egli mostra… come negli anni Sessanta il discorso religioso islamico sia stato strumentalizzato dal discorso politico per giustificare il socialismo e la lotta (jihad) contro l’imperialismo e il sionismo. Negli anni Settanta, invece, lo stesso discorso politico ha fatto dell’Islam "una religione di pace" e della tutela della proprietà individuale… teme che ora il "nuovo" discorso sull’Islam trasformi quest’ultimo in una specie di "combustibile" da usarsi nella lotta contro gli avversari politici per "anatematizzare" o almeno squalificare con tale mezzo quanti la pensano diversamente… L’Islam non è mai stato monolitico, come la storia dimostra; ha conosciuto orientamenti filosofici, teologici e giuridici diversi lungo i secoli; tali differenze non vanno cancellate; anzi, è questo pluralismo che occorre ritrovare… Con un tale approccio vuole sbarrare la strada a quanti tentano la via dell’"opportunismo utilitarista".

Ma il punto fondamentale della riflessione critica, seppure credente, di Abu Zeid, riguarda la stessa rivelazione. Egli propone infatti una riflessione sui fondamenti della fede islamica ed uno studio critico delle sue origini, delle sue fonti e della sua tradizione.

Nella sua opera fondamentale "Il significato del testo" Abu Zeid riflette sul fatto che il testo coranico afferma che Dio può parlare all’uomo in tre modi: 1/ attraverso il wahy, la rivelazione 2/ "da dietro un velo" 3/ inviando un "rasul", un messaggero. Il Corano sarebbe stato trasmesso attraverso la terza forma. Così si ritiene abitualmente nel mondo islamico. Dio avrebbe trasmesso il Corano all’angelo Gabriele, attraverso l’ilqa’ (l’enunciazione) e l’angelo Gabriele lo avrebbe trasmesso a Maometto attraverso il tanzil, la discesa. Ma come l’infinito si trasmette al finito? Secondo la teoria classica il Corano è sceso sull’angelo Gabriele in un solo istante, poi è stato rivelato a Maometto nell’arco di circa 22 anni. Abu Zeid afferma che sarebbe, invece, meglio descrivere la genesi del Corano attraverso il primo modo di trasmissione: "Gabriele avrebbe trasmesso i significati a Maometto e costui avrebbe riferito i medesimi significati in lingua araba, e ci si si riferirebbe in questo alla surat al Shu’ara’ (vv. 193-194: L’angelo ruh fedele lo ha fatto discendere sul tuo cuore". Se l’angelo avesse trasmesso già il Corano in arabo, ipotizza Abu Zeid ciò presupporrebbe "che gli angeli adoperino un sistema linguistico e che tale sistema sia la lingua araba, supposizione questa, infondata". Insomma la rivelazione sarebbe sì data da Allah a Gabriele e poi da Gabriele a Maometto, ma non attraverso l’enunciazione di tutte e singole le parole in arabo. Responsabile del testo sarebbe allora, insieme ad Allah, lo stesso Maometto che avrebbe riferito la rivelazione servendosi delle categorie culturali del suo tempo. Questo permetterebbe poi una ermeneutica più aperta e libera delle singole affermazioni.

E’ evidente come il professore egiziano applichi le categorie dell’interpretazione, dell’ermeneutica al testo coranico, pur continuando ad affermarne l’origine divina, spingendo fra i primi la riflessione islamica su questi temi (La Civiltà Cattolica ricorda anche i nomi di alcuni maestri riconosciuti da Abu Zeid e precisamente Taha Hussein che nel 1926 scrisse "Della poesia islamica", interrogandosi sul testo coranico e sulle sue fonti, Muhammad Ahmed Khalaf Allah che nel 1947 sostenne una tesi su "L’arte narrativa del Corano" e Mohammed Arkoun, professore algerino che ha insegnato all’Università Paris III).

Anche nel valutare l’apporto della tradizione islamica successiva al Corano il professor Abu Zeid propone di riaprire vie di ricerca. La "dialettica tra rivelazione e realtà, operante all’inizio dell’Islam, si è presto interrotta, senza che nulla di simile sia più avvenuto da allora. Qual è stata la causa di questo fenomeno? Per Abu Zeid si tratta dell’opera di un uomo, ovvero dell’imam al Shafei (767-820), uno dei quattro grandi giuristi dell’Islam… Con quell’imam, infatti, la riflessione personale (igtihad) praticamente scompare. Come? Con l’operazione da lui condotta, consistita nel canonizzare la "sunna", la "tradizione del Profeta", e non solo il testo del Corano stesso. Così tutto ciò che nella tradizione riguardava l’umanità di Maometto, il profeta dell’Islam, e che si presentava quindi come limitato e condizionato, è stato rivestito del carattere assoluto del Corano. In tal modo al-Shafei ha chiuso logicamente il sistema e ha impedito la via e l’evoluzione dell’Islam per i secoli futuri".

Questa la conclusione della Civiltà cattolica che sottoscriviamo: "Anche se tutto ciò che sostiene non può essere accettato senza discussioni, senza riserve e senza critiche dai musulmani e dagli altri, il suo tentativo merita di essere preso in considerazione e dibattuto seriamente".

I due articoli da cui abbiamo tratto il contenuto e le citazioni di questa recensione sono: C.Van Nispen-E.Farahian, E’ possibile un rinnovamento del pensiero islamico?, CC 1994 I 220-232 e E.Farahian, Il caso del prof.Nasr Abu Zeid in Egitto, CC 1997 I 344-356.

Quale autocoscienza ha di sé l’Islam ed in che cosa si differenzia dal cristianesimo?

Nel valutare le possibilità ed i modi di un dialogo teologico con l’Islam, oltre a considerare la prospettiva propria della fede cattolica, riespressa nel documento Dominus Iesus, bisogna conoscere la peculiare autocomprensione che l’Islam ha di se stesso. Ci facciamo aiutare in questo da due articoli dei padri gesuiti della Civiltà Cattolica C.Van Nispen-E.Farahian: "L’Islam non è una religione come l’induismo o il buddismo o qualsiasi altra religione asiatica, che nulla hanno a che vedere con il cristianesimo, poiché sono nate e si sono sviluppate in mondi totalmente diversi e in epoche anteriori ad esso; lo stesso vale anche per le religioni africane di tradizione orale o scritta. Queste religioni non si definiscono in funzione del cristianesimo e i loro testi o le loro tradizioni non interferiscono in nessun modo con i testi della tradizione cristiana… Rispetto alle due grandi categorie di religioni - giudaismo e religioni asiatiche o africane - , l’Islam presenta come caratteristica di essere l’unica religione mondiale che sia apparsa nella storia dopo il cristianesimo e che si situi in rapporto ad esso (e al giudaismo) sin dalla sua nascita e nei suoi tesi fondanti".

Nel passato e nel presente si è tentato di interpretare l’Islam come preparazione al cristianesimo o come eresia. Entrambi i tentativi sono, giustamente, da considerarsi ingenui e fuorvianti, secondo i due gesuiti. Parlare dell’islamismo come di "una preparazione remota al cristianesimo non può che urtare contro il fattore cronologico… Se si dice che si tratta di una priorità logica, non si fornisce una soluzione migliore, poiché non si rispetta l’originalità dell’Islam, che si presenta come l’ultima parola di Dio che viene dopo la Torah e dopo il vangelo". D’altronde "l’approccio all’Islam come eresia – l’altro tentativo, dopo quello che vede l’Islam come preparazione - - che fu avanzato moltissimo tempo fa da Giovanni Damasceno, si rivela poco pratico, visto che con l’Islam si giunge in realtà a un risultato finale ben lontano dal cristianesimo e profondamente differente da esso".

La Civiltà cattolica rifiuta con diritto l’espressione del Corano, come di "una parola di Dio diversa". "Non può esserci per noi una parola di Dio diversa da quella che Dio ha fatto conoscere e che si è compiuta in Gesù Cristo, morto e risorto". E’ possibile invece dire che "l’Islam è una religione che racchiude una parte della tradizione biblica".

Non si deve però trascurare il fatto che il Corano non solo addìta, oltre a Maometto, personaggi – tutti chiamati col nome di profeti – non conosciuti dalla rivelazione biblica, come Hud, Salih, Shu‘aib, non solo tace della maggior parte dei personaggi biblici, ma soprattutto dà una lettura profondamente diversa dei "profeti" (questa la dizione islamica anche per Abramo, Mosè, Gesù e gli altri) presenti in entrambe le religioni.

Nel Corano, Abramo "rappresenta il vero musulmano, hanif, di fronte agli ebrei e ai cristiani, per rimproverare loro di averlo voluto monopolizzare per loro stessi. Per il Corano, infatti, Abramo non fu né ebreo, né cristiano (Sura 3, 67). Inoltre è stato lui, con il figlio Ismaele a istituire il culto monoteistico alla Mecca nel santuario della Càaba (sura 14, 37 e 22, 26). Secondo tale logica, che rappresenta Abramo come il vero musulmano ante litteram, gli ebrei e i cristiani, se fossero stati discepoli fedeli di Abramo, avrebbero accettato la rivelazione coranica e la missione di Maometto".

Ci permettiamo di riprendere qui l’essenziale delle credenze islamiche su Abramo e la Mecca. La Moschea della Mecca, ha all’interno la Ka‘ba (=edificio cubico) e la fonte di Zamzam; nel lato orientale è murata la Pietra Nera detta la mano di Dio; è ricoperta da un velario nero. Poco distante è il maqam Ibrahim (luogo di Abramo), con le supposte impronte dei piedi di Abramo. Furono gli angeli che portarono la Ka‘ba dal cielo. Le fondamenta della Ka‘ba furono poste da Adamo. Scomparsa dopo il diluvio fu ricostruita da Abramo, con l’aiuto di Ismaele. Abramo per primo, secondo la fede islamica, eseguì le cerimonie del pellegrinaggio. Maometto riportò il culto alla sua primitiva forma, dopo che era stato profanato dai pagani. Un’altra leggenda dice che la corsa che i pellegrini debbono compiere verso la fonte di Zamzam ripete la corsa di Agar e Ismaele, cacciati da Abramo. Agar corse, assetata fra le due località, finché zampillò la sorgente di Zamzam. La pietra nera ai tempi di Adamo era bianca. Divenne nera per i peccati degli uomini.

La tradizione islamica vuole che Abramo, a differenza del racconto evangelico, sia nato ad Urfa nell’odierna Turchia. I pesci sacri della moschea di Urfa sarebbero frutto di un miracolo. Abramo doveva essere bruciato vivo perché attaccava il politeismo dei suoi concittadini e di suo padre stesso. La catasta di legno infuocato si mutò in piscina e i tronchi di legno in pesci.

Abramo lotta con il politeismo del padre Azar (il cui nome è diverso dal padre biblico di Abramo). Abramo intercede per il padre che non vuole diventare monoteista, ma la preghiera di intercessione di Abramo è condannata e si invita a non prenderla come esempio: "Non s’addice al Profeta e ai credenti di chiedere perdono per gli idolatri, anche se prossimi parenti, dopo che è apparso chiaro che sono gente d’inferno. E il perdono che Abramo implorò per suo padre non fu che in seguito ad una promessa che gli aveva fatta; ma quando gli apparve chiaro che egli era un nemico di Dio, si sciolse da ogni responsabilità: eppure Abramo era pietoso e mite" (9, 113-114). La richiesta di perdono è in 26, 86: "E perdona a mio padre, che fu tra gli erranti". Ancora esplicitamente la condanna dell’intercessione in 60, 3-4: "Già ne aveste esempio bello in Abramo…allorché disse: In verità noi siamo innocenti di voi… noi vi rinneghiamo… v’è ormai, chiara, fra voi e noi inimicizia e odio, per sempre, finché non crederete in Dio, in Dio solo! Ma non prendete ad esempio il dire di Abramo a suo padre: Io implorerò perdono per te…"

L’Islam accoglie l’episodio del sacrificio del figlio di Abramo, ma con modifiche sostanziali. Innanzitutto non si dice il nome del figlio e la tradizione islamica preferisce pensare che sia Ismaele e non Isacco. Nel dialogo fra il padre Abramo e il figlio il Corano tace le parole sulla fiducia in Dio, che ridarà il figlio ad Abramo ("Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio") mentre si accentua la sottomissione: "Figlio mio, una visione di sogno mi dice che debbo immolarti al Signore: che cosa credi tu che io debba fare? Padre mio, fa quello che ti è ordinato: tu mi troverai, a Dio piacendo, paziente! Ora quando si furono rassegnati al volere di Dio…" (37, 101-108).

Riprendendo la trama degli articoli della Civiltà Cattolica incontriamo l’autocoscienza che l’Islam ha di sé "come "din al-fitra", la religione dell’uomo così come esce dalla mano di Dio. In tal senso, secondo l’Islam, è la religione "naturale"… l’uomo è creato da Dio "musulmano", vale a dire "muslim", che significa "sottomesso" a Dio… l’Islam diventa innanzitutto l’espressione del culto a Dio innato in ogni uomo".

Tre elementi positivi sono certamente presenti. Innanzitutto "il senso di Dio, della sua trascendenza e del suo assoluto. Nel suo approccio alla creazione esso esprime la distinzione radicale tra creatura e Creatore, e il fatto che le creature devono tutto a Dio. Comporta dunque la possibilità di un’apertura radicale del cuore a Dio".

In secondo luogo il Corano "sviluppa un certo senso dell’uomo che si può percepire, da un lato, attraverso ciò che viene detto del primo uomo, Adamo, che è il vicario di Dio sulla Terra e che è l’unico al quale Dio insegna i nomi delle creature, mentre gli angeli devono prostrasi di fronte ad Adamo ed informarsi da lui circa quei nomi (2, 30-34); e dall’altro, parlando di un delitto di omicidio senza giusta causa, il Corano sottolinea che con tale delitto è come se l’assassino avesse ucciso tutta l’umanità (5, 32); in altre parole come se l’omicida non avesse rispettato l’uomo nella persona della sua vittima".

In terzo luogo, "dal punto di vista morale l’Islam offre una serie di valori importanti per permettere all’uomo una vita virtuosa sotto lo sguardo di Dio. Ritroviamo anche l’equivalente della regola aurea del comportamento (cfr. Mt 7, 12) nel 13° degli hadith di Al-Nawawi, che dice: "Non si è veramente credenti finché non si desidera per il proprio fratello ciò che si desidera per se stesso", sebbene taluni dicano che per "fratello" si deve intendere solo il confratello musulmano e altri che ciò che bisogna desiderare maggiormente è che l’altro diventi musulmano.

Nella concezione del rapporto con Dio l’Islam sottolinea la trascendenza assoluta: "Se cristiani e musulmani concordano pienamente sul fatto che esista un abisso tra le creature e li Creatore e che tale abisso non possa essere superato dall’azione personale della creatura, i testi coranici danno l’impressione che Dio stesso non cerchi e, per così dire, neppure possa superare tale abisso al punto di farsi solidale con l’uomo e di essere radicalmente con lui. In tale contesto né incarnazione di Dio, né "divinizzazione" dell’uomo sono concepibili". Ci permettiamo di ricordare ciò che ci ha riferito p.Jean-Jacques Pérennès sul vescovo di Orano Pierre Claverie in Algeria, ucciso in un attentato, che al grido del muezzin "Dio è il più grande" aggiungeva, pregando nel suo cuore, "ma si è fatto piccolo". E’ per questo che "nella logica del Corano troviamo difficilmente posto per un uomo che leva la voce di fronte a Dio, per un Giobbe che lotta e che proclama la propria innocenza davanti a lui, o per un Geremia che si lamenta per essere stato sedotto da lui, o ancora per Gesù, nel Getsemani o sulla croce che esclama con il salmista: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27, 46).

Fra le differenze sostanziali sulla figura di Gesù non possiamo non accennare innanzitutto al rifiuto della morte in croce. Essendo Gesù giusto, la tradizione islamica rifiuta che sia morto in croce; piuttosto un altro è morto al posto suo (con buona pace della storia!), mentre egli è stato assunto in cielo, prima della crocifissione. "Si ha la netta sensazione che una tale apparenza di fallimento sia inaccettabile per il Corano". Inoltre "per i musulmani si tratta di sfuggire ad un giudizio di condanna di Dio e non, ovviamente, di "redenzione" in senso proprio". Per quel che riguarda la figliolanza divina l’Islam afferma che "dare associati a Dio" è il peccato per eccellenza contro l’unità e l’unicità di Dio. "Molti musulmani, anche se riconoscono che i cristiani tengono a confessare l’unità e l’unicità di Dio, reputano che ci sia una profonda incoerenza tra le due affermazioni, cioè l’unicità di Dio, da una parte e, dall’altra, la divinità di Gesù Cristo". Il Corano ha espressioni chiaramente rivolte contro i cristiani, ma che non esprimono la fede cristiana, negando che "Dio ha adottato un figlio", che "non è terzo di tre", che "non ha preso Gesù e sua madre per due divinità inferiori a Dio". I passi sul Consolatore, che verrà e guiderà alla pienezza della verità sono interpretati come profezie della venuta di Maometto. Di Gesù si afferma non solo che non è l’ultimo dei profeti, ma soprattutto che non è la pienezza della rivelazione personale di Dio. E’ Maometto l’ultimo non solo in senso cronologico, ma anche nel senso dell’approfondimento; a lui spetta il titolo di "sigillo dei profeti" ed è la chiave della verità di ciò che è stato detto prima di lui. Ciò che è contrario a lui, nei profeti precedenti e in Cristo, lo è perché falsificato dagli ebrei e dai cristiani. "Il libro di Dio ha trovato la sua espressione perfetta e definitiva nel Corano, che, in tal modo, diventa il criterio per giudicare l’autenticità di tutti gli altri scritti. D’altronde il Corano è supposto inglobare tutti gli scritti precedenti e, per ciò stesso, il musulmano ritiene di credere a tutti quegli scritti anteriori, cioè la Torah e il Vangelo, semplicemente perché crede al Corano, anche se non ha fatto mai ricorso a quei testi. Inoltre, ebrei e cristiani sono accusati di avere "alterato" i loro libri, ciò che, per la maggioranza degli interpreti, significa che essi hanno falsificato quei tesi, anche se una minoranza di loro – in passato e al presente – ritiene che tale "alterazione" concerna unicamente il senso dato a quei libri senza cambiare la lettera dei testi".

Da ultimo i due gesuiti si pongono il problema degli aspetti salvifici presenti nell’Islam e così rispondono: "Nella misura in cui rappresenta delle chiusure verso l’amore di Dio, esso può costituire un ostacolo per il cammino verso la salvezza, ma nella misura in cui il credente musulmano è orientato maggiormente sulle aperture che la sua fede permette, egli si dispone così all’azione della grazia divina e può trovare allora in alcuni aspetti della sua religione supporti nel proprio cammino".

Le citazioni sono tratte dagli articoli: C.Van Nispen-E.Farahian, Note sullo statuto teologico dell’Islam I e II, CC 1996 I 327-336 e CC 1996 I 541-551.

Il Testamento spirituale di frère Christian, priore dell’Abbazia di Tibhirine, ucciso con 6 fratelli monaci trappisti, da fondamentalisti islamici in Algeria, probabilmente il 21 maggio 1996

Quando si profila un AD-DIO
Se mi capitasse un giorno - e potrebbe essere oggi
di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora
tutti gli stranieri che vivono in Algeria,
vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia
si ricordassero che la mia vita era "donata" a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita
non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale.
Che pregassero per me:
come essere trovato degno di una tale offerta?
Che sapessero associare questa morte a tante altre
ugualmente violente,
lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha valore più di un’altra.
Non ne ha neanche meno.
In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia.
Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male
che sembra, ahimè prevalere nel mondo,
e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.
Venuto il momento vorrei poter avere quell’attimo di lucidità
che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio
e quello dei miei fratelli in umanità,
e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore
chi mi avesse colpito.
Non potrei augurarmi una tale morte.
Mi sembra importante dichiararlo.
Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi
del fatto che questo popolo che io amo
venisse indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto
ciò che verrebbe chiamata, forse, la "grazia del martirio",
doverla a un Algerino, chiunque sia,
soprattutto se egli dice di agire in fedeltà
a ciò che crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini,
globalmente presi,
e conosco anche quali caricature dell’Islam
incoraggia un certo islamismo.
E’ troppo facile mettersi la coscienza a posto
identificando questa via religiosa
con gli integrismi dei suoi estremismi.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa,
sono un corpo e un anima.
L’ho proclamato abbastanza, mi sembra,
in base a quanto ho visto e appreso per esperienza,
ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo
appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa
proprio in Algeria, e già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
l mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione
a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista:
"Dica adesso, quello che ne pensa!".
Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata
la mia curiosità più lancinante.
Ecco potrò, se a Dio piace,
immergere il mio sguardo in quello del Padre
per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam
così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo,
frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito,
la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro,
io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera
per questa gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo "grazie" in cui tutto è detto, ormai della mia vita,
includo certamente voi, amici di ieri e di oggi,
e voi, amici di qui,
insieme a mio padre e a mia madre,
alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro,
centuplo regalato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto
che non avrai saputo quel che facevi.
Sì, anche per te voglio questo "grazie", e questo "ad-Dio" nel cui volto ti contemplo.
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati,
in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen! Inch’Allah.

Algeri, 1 dicembre 1993
Tibhrine, 1 gennaio 1994


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