Ho la gioia di presentarvi l'archeologo Antongiulio Granelli. L'abbiamo
conosciuto ed imparato ad apprezzare perché spesso guida le visite archeologiche in Roma
della nostra parrocchia di S.Melania. Mi è sempre piaciuta di lui la capacità di
rispondere alle domande più disparate, una grande padronanza della materia che gli
permette di spaziare dalla storia, alla letteratura, all'archeologia.
Avremo, fra poco, le due visite by night di Roma per conoscere meglio la storia della Chiesa e
gli abbiamo chiesto di aiutarci a ricostruire a grandi linee la storia dell'Impero Romano nel
periodo che riguarda gli autori della Chiesa che incontreremo in queste due escursioni, da
Cesare Augusto fino alla caduta dell'Impero Romano d'occidente.
Lo facciamo anche come atto di amore alla nostra città, al tesoro di storia ed anche di
storia cristiana che questa città ci consegna. Sono le nostre radici. Anche ai bambini
cerchiamo di far amare la nostra città, ricostruendone la storia. Abbiamo, soprattutto,
come cristiani questo legame grandissimo con Roma. A me piace sempre chiedere ai vostri
bambini: “Sapete sotto quale imperatore è nato Gesù? Sotto quale imperatore
è morto e risorto?” E' un modo di provocare ad una conoscenza maggiore della
propria fede, di stimolare le persone che si dicono cristiane, ma non sono in grado di
collocarne gli eventi fondamentali nel tempo! Sapete che già nel Vangelo di Luca, ogni
volta che si racconta qualcosa, si dà una collocazione storica. Si dice per esempio:
“La parola di Dio scese su Giovanni Battista nell'anno..., sotto l'imperatore...” e
lascio a voi, se la conoscete, la continuazione. O ancora: “Si compirono per Maria i
giorni del parto nei giorni nei quali un decreto di... ordinò che si facesse il
censimento di tutto l'Impero”. Quindi Gesù nacque sotto l'imperatore...? Luca ci
dice chi era l'imperatore, chi il governatore della Giudea dell'epoca e così via,
mostrando così il radicamento del cristianesimo in quella storia concreta. Ringraziamo
perciò fin da ora Antongiulio Granelli per essere venuto a guidarci in queste due
lezioni di storia romana.
Faremo un discorso per chiarire a grandi linee la cronologia imperiale e soprattutto le dinamiche politiche all'interno del potere imperiale ed i riflessi che si hanno nella struttura urbanistica di Roma che è quasi sempre stata una palestra ed uno sfogo per la politica dell'imperatore e l'affermazione del potere da parte dello stesso.
Direi di partire dal passaggio cruciale che è appunto quello dalla Repubblica all'Impero. Un passaggio che per noi, che abbiamo studiato la storia a scuola e sui libri, è un passaggio piuttosto netto e chiaro. Cesare viene ucciso perché si riteneva che volesse farsi re - e quindi formalmente siamo ancora nella Repubblica. Con Augusto nasce l'Impero. Quindi Cesare e tutto quello che c'è prima è Repubblica, Augusto e tutto quello che viene dopo è Impero. In realtà invece, nella situazione politica di allora a Roma, le cose sono molto più sfumate e la grandezza di Augusto è stata proprio quella di riuscire in una vera e propria rivoluzione politica epocale per la storia di Roma, facendola praticamente passare, da un punto di vista ufficiale, sotto silenzio. Fu una trasformazione enorme, ma se uno avesse voluto non vederla non l'avrebbe vista. Era una trasformazione politica fatta passare addirittura come una restaurazione delle antiche libertà. Augusto raggiunse definitivamente il potere, dopo avere combattuto dapprima contro Bruto e Cassio, gli uccisori di Cesare, poi contro Marco Antonio che dopo essere stato suo alleato gli si era opposto con la nota alleanza con Cleopatra d'Egitto.
Alla fine di questi scontri Ottaviano, o meglio Gaio Ottavio, riuscì vincitore e quindi rimase unico padrone del dominio romano, al termine di un secolo nel quale il dominio romano era stato travagliato da guerre civili che lo avevano dissanguato, a cominciare da Mario e Silla, 60 anni prima, continuando con Cesare e Pompeo e, ancora dopo, con tutte le battaglie tra Cesare e i seguaci di Pompeo, anche dopo la morte di questo, e, ancora dopo, con le guerre civili che aveva dovuto affrontare Gaio Ottavio, contro Bruto e Cassio prima, e contro Marco Antonio dopo. Guerre civili che non significavano soltanto battaglie con conseguenti carneficine di soldati, ma anche liste di proscrizione, e quindi decimazione della classe dirigente e dei proprietari terrieri, perché, già a partire da Mario e Silla, a seconda di chi prevaleva, tutti i nobili amici dell'uno o dell'altro, venivano fatti fuori e le loro terre venivano confiscate e ridistribuite ai soldati dell'esercito vincitore. Il I secolo a.C. fu veramente un periodo traumatico per l'Italia e, come spesso avviene in questi casi, in periodi di grande confusione e grande conflitto, innanzitutto ben venga la pace e chiunque riesca a garantire la pace. La trasformazione politica di Augusto fu quindi innanzitutto un ritorno alla pace. Indubbiamente iniziava un'ennesima dittatura, perché alla fine a comandare era sempre una sola persona, però questa trasformazione in senso monarchico dello Stato romano fu intanto ben accolta perché riportava finalmente alla pace. Con una sola persona a comandare, poneva termine alle guerre civili, alle campagne svuotate di uomini che andavano a combattere, alle liste di proscrizione tra i senatori e i cavalieri, ossia tra le classi dirigenti dello Stato. In più, la grande abilità di Augusto fu quella di fare passare questa trasformazione in senso monarchico come se si trattasse invece della restaurazione, del ritorno alle antiche libertà della Repubblica che erano state sconvolte e minacciate dai successivi tentativi di vari personaggi di scavalcare le antiche magistrature repubblicane, appunto Mario, Silla, Cesare e Pompeo, Marco Antonio. Augusto apparentemente restituiva una repubblica, che era morente, a nuova vita.
Augusto fu celebrato dopo la sua morte, ricevette onori divini, perché era considerato il nuovo fondatore di Roma, colui che le aveva restituito la pace, padre della patria, come poi venne celebrato in uno dei monumenti più smaccatamente propagandistici realizzati nel periodo del suo potere, l'Ara pacis, questo altare eretto alla pace restituita a Roma da Augusto, al quale ora si sta lavorando (sul lungotevere) per risistemare tutto l'allestimento conservativo. Augusto formalmente non era nessuno, era semplicemente un princeps, una persona di prestigio tra le tante, perché formalmente restavano in vigore tutte le magistrature repubblicane. Quindi, apparentemente, nulla cambiava rispetto al periodo della repubblica: restavano i consoli, restavano tutti i vari magistrati dell'ordinamento repubblicano. Restava ovviamente il Senato. Però tutto questo era una facciata, perché a reggere le fila era una persona sola, attraverso due magistrature che Augusto assunse per giustificare la posizione assolutamente anomala e anormale che lui manteneva nello Stato Romano. Queste due magistrature erano la potestà tribunizia (tribunicia potestas), che era una magistratura repubblicana, cioè quella dei tribuni della plebe, una istituzione antichissima, che risaliva agli inizi della Repubblica e permetteva ai rappresentanti (tribuni) della plebe di contrapporre il loro punto di vista all'aristocrazia. L'altra magistratura fondamentale che Augusto si vide attribuita, perché tutti volentieri gliela riconobbero, era l'imperium proconsolare, cioè, sostanzialmente, il comando dell'esercito. Il comando straordinario dell'esercito nelle province non pacificate, quelle di confine, dove risiedevano le legioni, veniva attribuito ad Augusto in quanto gli veniva riconosciuto come necessità. Augusto, colui che aveva restituito la pace, doveva controllare il maggior numero delle legioni che si trovavano appunto nelle province in cui era necessaria la presenza dell'esercito. L'imperio proconsolare era un comando straordinario delle truppe che derivava dal comando degli eserciti che, in età repubblicana, avevano appunto i consoli. Quando i romani andavano in guerra, soprattutto quando il dominio romano non si era ancora esteso nelle province di tutto il Mediterraneo, erano i consoli che guidavano l'esercito. La somma di queste due magistrature, la tribunicia potestas e l'imperio proconsolare, consentiva ad Augusto di mantenere una posizione di potere eccezionale, del tutto anomala, senza una giustificazione istituzionale nell'ordinamento, che, appunto, formalmente restava quello repubblicano, e gli permettevano di comandare senza darlo a vedere. Lui inoltre si curò particolarmente di mantenere buoni rapporti con il Senato che poi era quello che nominava, ad esempio, i governatori delle province e i consoli, era quello dal quale erano estratte le magistrature che erano elette ogni anno nell'ordinamento romano. Ovviamente però, difficilmente il Senato faceva qualcosa che potesse andare contro la volontà politica di Ottaviano Augusto. Quindi questa rivoluzione è praticamente indolore, trasforma la repubblica in impero senza darlo a vedere. Questa operazione fu facilitata dai consigli di uno staff veramente all'altezza, nel quale spiccavano, per esempio, Mecenate e Marco Vipsanio Agrippa. Mecenate favorì quello che potremmo definire un vero battage culturale, una propaganda politica e culturale che tendeva a presentare Augusto come il salvatore della patria, l'uomo atteso da generazioni e generazioni, travagliate dalla guerra civile. Formò un circolo di letterati tra i quali spiccavano Virgilio ed Orazio, tanto per citarne due, che avevano il compito di elogiare l'opera di Augusto, ovviamente non in maniera smaccata e palese, ma attraverso le loro opere - che poi grazie alla capacità dei loro autori sono rimaste come dei capolavori - ma nelle quali si leggeva, tra le righe, che si era finalmente giunti ad una nuova età dell'oro, grazie all'avvento di un nuovo Romolo, un nuovo fondatore di Roma, una persona da sempre attesa per porre fine alla tragedia delle guerre civili. Quando infatti le guerre civili durano 60, 70, 80 anni - considerata anche la durata della vita media di allora, tutti erano praticamente nati in un contesto in cui la guerra civile era la normalità – è quindi ovvio che la pace sia vista come una meta idilliaca da raggiungere. Chi era stato in grado di garantire questo ritorno alla pace era equiparabile ad un dio. Nel 14 d.C. infatti, quando Augusto morì, gli vennero tributati onori divini e dopo di lui a gran parte degli imperatori. Noi li chiamiamo imperatori, ma loro non si chiamavano così. Era un attributo che loro avevano e che poi è diventato un modo di definirli successivamente. Era l'imperator, un'acclamazione militare che l'esercito rivolgeva al comandante vittorioso, e quindi imperator veniva definito il capo dell'esercito vittorioso, ma Augusto era un privato cittadino, un princeps, un po' al di sopra degli altri per prestigio, ma non ricopriva, a parte queste due magistrature straordinarie che gli venivano rinnovate di anno in anno, la tribunicia potestas e l'imperio proconsolare, una carica istituzionale nello Stato.
La propaganda, che aveva il compito di far accettare nel modo più
indolore possibile questa trasformazione, si esplicava non solo attraverso la cultura, ma anche
attraverso l'urbanistica. I Fori imperiali sono la manifestazione più esplicita di
questo aspetto, la realizzazione di una serie di grandi piazze monumentali, sempre dominate da
un tempio che manifestava in maniera esplicita, a tutta la popolazione, la grandezza di chi
aveva favorito queste costruzioni e rappresentava al contempo un gigantesco cantiere che dava
lavoro a tantissime persone - quindi anche ben accetto dal punto di vista sociale - dando
l'immagine concreta della preminenza dell'imperatore nell'ambito dello Stato romano.
Già Cesare si era messo su questa strada, perché il primo dei fori imperiali
è il suo. Cesare aveva affidato addirittura a Cicerone il compito di espropriare una
parte dei terreni compresi tra il Campidoglio e il Quirinale - terreni tra l'altro costruiti,
per cui le case vennero demolite. Al loro posto fu costruita una piazza porticata in cui
dominava il tempio di Venere genitrice, cioè della dea alla quale la propaganda di
Cesare faceva risalire l'origine della gens Iulia, della sua famiglia. Questo modo di
monumentalizzare la propaganda politica era già iniziato con Cesare, e forse in modo
ancora più clamoroso perché il foro di Cesare era in realtà la prima nuova
piazza monumentale che veniva aggiunta all'unica vera piazza monumentale che esisteva fino a
quel momento, il foro romano, l'antico foro repubblicano, già abbellito da una grande
Basilica, la Basilica Giulia e da altri interventi come la ripavimentazione stessa della
piazza. Addirittura ora viene aggiunta una nuova piazza. E quindi la prima di queste, il foro
di Cesare, divenne un fatto importantissimo, perché fino a quel momento il centro
dell'attività politica e dell'attività, potremmo dire, sociale, era il foro
romano. Il fatto che venga aggiunta un'appendice al foro romano era sicuramente un evento
urbanisticamente rilevante.
Augusto segue questa strada, occupando un altro settore della valle che si stendeva tra il
Palatino, a sud, e il Quirinale e il Viminale, a nord, realizzando il suo foro, il foro di
Augusto, dominato dal tempio di Marte Ultore, cioè Marte vendicatore. E qui subito un
aspetto di propaganda politica: Marte vendicatore di chi? Di Cesare, mediante la celebrazione
della vittoria su Bruto e Cassio che a Filippi erano stati sconfitti. Per cui l'uccisione di
Cesare veniva vendicata e Augusto, pronipote di Giulio Cesare, si proponeva di portare avanti
la sua opera, che era stata, ed è proprio il caso di dirlo, brutalmente interrotta.
Attorno al tempio di Marte vendicatore, venne costruita una piazza contornata di colonne e di
statue, che da un lato erano quelle degli antenati anche mitologici e divini della gens Iulia,
e da un lato erano quelle dei personaggi più illustri di tutta la storia regia e
repubblicana di Roma. In questa piazza si riassumeva tutta la storia più bella,
più illustre, più positiva di Roma. Si trattava di un monumento alla storia di
Roma che culminava nel tempio di Marte vendicatore della morte di Cesare. Il tutto promosso da
Augusto, la celebrazione quindi dell'autorità politica che si era conquistato.
Possediamo anche statue di Augusto in veste di Pontefice, perché naturalmente un aspetto fondamentale della propaganda politica era quello di legarsi alle più antiche, genuine e sane tradizioni dello Stato romano, cioè quelle religiose. Augusto interpretava la carica di Pontefice Massimo, potremmo dire di gran sacerdote, e si faceva ritrarre in statue in atto di sacrificare con libagioni, garantendo quindi la piena adesione alla religione tradizionale dello Stato. Tale adesione fu un motivo ricorrente dell'Impero fino, praticamente, a Costantino, nel senso che i Romani furono sempre più che tolleranti nei confronti di tutte le religioni, ognuno poteva professare la religione che voleva, però era necessario comunque aderire anche alla religione tradizionale degli avi, quella di Giove, Giunone, Minerva e degli imperatori divinizzati, perché questo significava esattamente aderire allo Stato. Lo Stato era per certi aspetti uno Stato religioso. Si poteva, quindi, professare qualsiasi religione, ma si aveva comunque l'obbligo di rendere omaggio alle antiche divinità patrie, perché non farlo significava non essere in pratica cittadini. Questo è un discorso che avrà una grande importanza nei rapporti con il cristianesimo. La tradizione religiosa aveva un ruolo importantissimo nella propaganda politica di Augusto.
Grande sviluppo ebbe, con Augusto, il Palazzo sul colle Palatino. Al di là del Circo Massimo vediamo anche oggi la facciata del palazzo imperiale che nasce e si sviluppa dalla casa privata di Augusto che si trovava proprio sulle pendici meridionali del Palatino. Poi successivi imperatori procederanno a nuove costruzioni e ampliamenti, basti pensare alla Domus tiberiana. Tiberio costruì un palazzo su tutta la parte oggi occupata dagli orti farnesiani, la parte verso il Velabro e il Foro romano. Nerone e più di lui gli imperatori Flavi, Vespasiano, Tito e Domiziano, amplieranno molto la parte verso il Celio e ulteriori ampliamenti verranno fatti all'epoca di Settimio Severo fino a che il palazzo imperiale, tra ali vecchie e padiglioni nuovi raggiunse una dimensione tale da occupare tutto il Palatino. Ed ecco che - la radice del termine palazzo, il palatium , dal colle Palatino - praticamente il colle Palatino corrispondeva in tutta la sua estensione alla residenza imperiale.
Un aspetto fondamentale nella rivoluzione politica di Augusto fu quella di
rassicurare il popolo romano sul fatto che dal momento in cui aveva sconfitto Marco Antonio,
avrebbe assicurato al popolo pace, stabilità e posizione preminente nell'ambito del
mondo romano. La propaganda di Ottaviano Augusto contro Marco Antonio aveva giocato molto sul
fatto che Antonio si era alleato per vari motivi, politici e sentimentali, con Cleopatra regina
d'Egitto e minacciava, forse, di voler in qualche modo spostare il cuore pulsante del dominio
romano nelle province orientali e creare una specie di Stato egizio-romano di stampo
ellenistico, grecizzato, che avrebbe messo in secondo piano Roma. Che poi Marco Antonio volesse
veramente realizzare questo è tutto da vedere, ma sicuramente la propaganda di Ottaviano
contro di lui metteva in risalto questo ambiguo rapporto tra Marco Antonio e Cleopatra.
Ottaviano, appena dopo la battaglia di Azio, nella quale risultò vincitore,
iniziò a costruirsi la tomba, una tomba dinastica. Scelse un'area ovviamente fuori dalle
mura, le mura non erano quelle che conosciamo noi, quelle aureliane che verranno molto
più tardi, ma le antiche mura repubblicane che noi oggi chiamiamo mura serviane, da
Servio Tullio, ma in realtà erano le mura costruite dopo l'episodio dei Galli di Brenno,
agli inizi del IV secolo, in età repubblicana. Queste mura che racchiudono una parte
molto più piccola della città rispetto alle successive mura aureliane, oggi le
possiamo vedere in alcuni brevi tratti che si sono conservati. Uno dei più lunghi si
trova a piazza dei Cinquecento, poi ve ne sono dei tratti a piazza Albania, tra viale Aventino
e via della Piramide Cestia. Alcune zone della città conservano le porte che si aprivano
nelle mura serviane, come ad esempio tra via Merulana e via Principe Amedeo, c'è l'arco
di Gallieno, vicino a piazza Vittorio. Questo arco è dedicato ad un imperatore, ma in
realtà è l'abbellimento di un precedente arco che corrispondeva ad una porta
aperta nel giro delle mura repubblicane. Anche l'arco di Dolabella, di fronte all'ospedale
militare del Celio, su cui poi è passato anche un acquedotto che andava verso il
Palatino, era una porta delle mura serviane. Quindi il Campo Marzio cioè la zona di
piazza di Augusto imperatore, dove si trova il Mausoleo di Augusto, era una zona al di fuori
delle mura repubblicane, e quindi adibita a zona funeraria, perché i romani per
antichissima legge non potevano seppellire all'interno delle mura. C'era una separazione netta
tra spazio dei vivi e spazio dei morti.
Se consideriamo l'aspetto attuale del mausoleo di Augusto, vediamo tutto intorno i sono i
palazzi piacentiniani di piazza Augusto imperatore, per cui il mausoleo è oggi inserito
all'interno del progetto urbanistico fatto durante il ventennio fascista per valorizzare il
monumento anche qui nell'ambito di un'operazione culturale e propagandistica di richiamo alla
romanità. Paralleli a distanza di 2000 anni nell'associazione tra urbanistica, edilizia
e propaganda.
Torniamo ad Augusto. Augusto aveva trent'anni quando iniziò questo progetto di
costruzione del mausoleo, della sua tomba. Fu la prima cosa che fece appena risultò
padrone del mondo romano. Decidendo di costruirsi una tomba dinastica diceva in pratica al
popolo romano: “Io stabilisco una continuità nel potere, lascerò
un'eredità. Io sono il pacificatore di Roma, dopo di me verranno altri della mia
famiglia - addirittura discendente dalla dea Venere e quindi una famiglia DOC - che
continueranno dopo di me a garantire la pace al mondo romano e la sede del potere
resterà sempre Roma perché sia io che i miei discendenti verremo sepolti in
questo mausoleo che viene costruito a Roma”. Era una garanzia di preminenza del popolo
romano rispetto a tutto il resto del mondo mediterraneo che era venuto in potere di Roma. La
risposta più evidente alla minaccia di impero romano-egizio con Cleopatra e Marco
Antonio. Tra l'altro questa tomba rientrava in un complesso urbanistico molto più
articolato e complicato, con dei significati ancora più raffinati, quasi esoterici
potremmo dire, in cui rientravano non soltanto l'Ara pacis, questo altare alla pace che Augusto
aveva donato di nuovo a Roma, ma anche e soprattutto la meridiana, cioè l'obelisco fatto
portare dall'Egitto che diventava lo gnomone, l'ago della meridiana che si trovava in
prossimità del mausoleo di Augusto. Per cui c'era un gioco di ombre ed il calendario che
metteva in risalto il giorno della nascita di Augusto e quindi l'avvento di una nuova era di
pace e di gloria per Roma. L'obelisco venne ritrovato in età rinascimentale, caduto a
non molta distanza dal mausoleo, e poi spostato di poco per essere infine eretto nella piazza
di Montecitorio, dove tuttora si trova. In una cantina di una casa del campo Marzio si conserva
ancora una piccola parte della meridiana che appunto si giovava dell'ombra dell'obelisco
nell'ambito di questo progetto minutamente studiato a tavolino dallo staff di esperti di cui
Augusto si avvaleva.
Ma come funzionava la propaganda? Possiamo approfondire ora ulteriormente questo aspetto. Naturalmente il circolo letterario produceva per un establishement, per le classi dirigenti, gli unici alfabetizzati, in grado di comprendere e apprezzare queste opere. Intorno ad essi ruotava una massa di “clientes”, persone che dipendevano socialmente da senatori, da cavalieri, dall'aristocrazia romana e questi clientes, di riflesso, anche nei discorsi politici, nelle riunioni politiche o sociali, riflettevano e rimbalzavano i concetti della propaganda augustea. Augusto si guardava bene dall'intervenire per celebrare se stesso, lo faceva sempre tramite altri. I monumenti, anche lo stesso foro di Augusto, venivano dedicati ad Augusto. Ma poi erano personaggi dell'aristocrazia senatoria che si occupavano materialmente di costruire, di finanziare, di pubblicizzare le varie opere dell'edilizia imperiale. Viene costruito un nuovo teatro in muratura? Ovviamente tutto rientra nel gioco culturale di Augusto, però il teatro lo costruisce un tale Balbo nella zona delle Botteghe Oscure. Un nuovo tempio dedicato ad Apollo? Lo costruisce un tale Gaio Sosio. Si costruisce un ennesimo e più grande teatro nella zona del rione Sant'Angelo? Il teatro è dedicato a Marcello che fa parte della famiglia Giulia, ma non è Augusto direttamente. Augusto non compare quasi mai ufficialmente, ma comunica a partire dal circolo culturale, dall'influenza un po' mafiosa che ha sui principali membri dell'aristocrazia romana, a cascata, i suoi concetti di propaganda sia urbanistica che culturale che poi si diffondono in tutta la popolazione. L'ultimo terminale è la plebe del proletariato e sottoproletariato che va a teatro gratuitamente ed è contenta di andare a godersi gli spettacoli in un nuovo edificio costruito da qualcuno che lo ha dedicato ad Augusto e quindi a lui gradito. E' un modo, forse non facilissimo da comprendere, per diffondere la propaganda attraverso la complessità dei rapporti sociali che legava le classi più alte alle classi più basse.
La prima delle nuove piazze è il foro di Cesare. Possiamo vedere
tuttora la Basilica Emilia, una delle due grandi basiliche repubblicane che si trovavano sui
lati lunghi del foro romano. Cesare fa allora espropriare una zona adiacente al Foro Romano ed
alle sue due basiliche, fa demolire il quartiere ed al suo posto ecco una bellissima piazza
monumentale, il tempio di Venere genitrice e la Basilica Argentaria dove c'erano botteghe,
attività commerciali che in qualche modo si affacciavano sulla piazza del foro di
Cesare.
Al Foro di Cesare si aggiunge il Foro di Augusto, nuovamente una piazza porticata, con due
esedre e al centro il grande tempio di Marte vendicatore. Alle spalle del tempio un gigantesco
muro in blocchi di tufo peperino lungo la salita del Grillo che ancora oggi si vede
perfettamente e che stava a separare nettamente il foro di Augusto dalla retrostante suburra e
delle pendici del Quirinale. Nel foro si entrava da un arco - oggi c'è invece un grosso
dislivello – da cui non è più possibile passare, ma in origine era uno
degli ingressi, quasi di servizio al foro di Augusto.
Andiamo avanti nel tempo e si aggiunge, ai primi due, il Foro della Pace. Siamo ora all'epoca
degli imperatori Flavi, all'epoca di Vespasiano. Nel Foro della Pace, un Tempio della pace, una
piazza porticata, giardini e probabilmente anche una specie di museo, di galleria di arte
classica all'aperto, delle biblioteche. All'interno del Tempio, era conservata, fra le altre
cose, la menorah, il candelabro a sette braccia del Tempio di Gerusalemme che il figlio di
Vespasiano, Tito, aveva portato via nel 70 d.C. dopo aver distrutto Gerusalemme e aver sedato
la prima grande rivolta giudaica. Successivamente qui gli spazi cominciavano a scarseggiare e
allora Domiziano, altro figlio di Vespasiano, si trovò a riempire lo spazio che si
trovava tra il Foro di Augusto e il Foro della Pace. Ecco allora che abbiamo il Foro
transitorio. Transitorio perché era una piazza molto stretta, perché era appunto
di passaggio sia tra il Foro della Pace e il Foro di Augusto, sia tra la suburra e il Foro
romano. Era una via colonnata, monumentale, che permetteva di passare dal quartiere della
suburra al foro romano. La piazza era dominata dal tempio dedicato a Minerva, dea
particolarmente onorata da Domiziano, e lo spazio era così stretto che ai lati della
piazza non c'era un vero portico, ma le colonne erano direttamente unite al muro perimetrale
con una breve architrave - quindi non c'era un vero tetto. Le famose Colonnacce sono le
superstiti di questo portico a largo Corrado Ricci e si vede bene come erano direttamente
collegate con il muro senza una zona di porticato. In realtà il Foro transitorio noi lo
conosciamo meglio come Foro di Nerva, perché Domiziano morì in odio al Senato e
gli successe proprio un senatore - uno dei rari casi in cui un imperatore fu scelto dal Senato.
Questo imperatore era Nerva che, come primo gesto, attribuì a sé il nuovo Foro
costruito da Domiziano. Ultimo passo: l'aggiunta del complesso del Foro di Traiano. Qui lo
spazio era praticamente finito, tanto è vero che per realizzare questo gigantesco
complesso che comprendeva la piazza, la Basilica, due biblioteche, un tempio che non si trovava
dove lo pone il famoso plastico di Roma che è al Museo della Civiltà Romana
all'EUR, ma probabilmente nella parte opposta, in base agli scavi più recenti, e tutto
il fabbricato dei mercati di Traiano, si dovettero sbancare le pendici del Quirinale che
originariamente formavano una sella che le collegava al Campidoglio. Abbassando il terreno in
questa zona si riuscì a creare lo spazio necessario a completare questo grande complesso
costruito per celebrare l'ultima grande conquista dell'impero romano, la Dacia (Transilvania),
ricchissima di miniere d'oro, che permise di reperire le risorse finanziarie necessarie per
questo monumento di celebrazione dell'autorità imperiale.
Augusto riuscì a fondare una dinastia, anche se tutti gli eredi che
lui aveva scelto fecero una brutta fine. Lui aveva una sola figlia, Giulia, che non poteva
essere erede del nuovo Stato che Augusto aveva creato. Inoltre, mentre Augusto, sempre per
motivi di richiamo alla tradizione, di recupero dei sani principi dei bei tempi della
Repubblica, promuoveva una campagna di moralizzazione dei costumi, la prima che contravveniva a
questa campagna era proprio la figlia che lui infatti si trovò costretto ad esiliare.
Tutti i suoi nipoti che, uno dopo l'altro, gli erano sembrati adatti a raccogliere la sua
eredità, fecero una brutta fine, a cominciare da Marcello, quello a cui fu dedicato il
teatro, per proseguire poi con Lucio e Gaio che morirono nel 4 a.C. e nel 2 d.C. Alla fine
Augusto si trovò con l'unica possibilità di designare Tiberio, da lui adottato,
figlio di sua moglie e del precedente marito. La moglie di Augusto, Livia, aveva avuto due
figli, Tiberio e Druso, dal precedente marito. Druso morì abbastanza giovane dopo una
caduta da cavallo mentre combatteva in Germania. Tiberio che aveva anche lui combattuto a lungo
in Germania e in Pannonia (l'Ungheria più o meno), riuscì tra varie
vicissitudini, a proporsi come l'unica persona adatta a raccogliere l'eredità
dell'Impero.
Quindi nel 14 d.C. quando Augusto morì, l'Impero passò a Tiberio. Tiberio
allargò il palazzo imperiale sul Palatino. Sotto Tiberio avvenne la passione di
Gesù.
A Tiberio successe Caligola. Caligola era in realtà un soprannome che derivava da un
calzare militare, il suo vero nome era Gaio. Era nato in Germania, potremmo dire “al
fronte”, aveva frequentato fin da piccolo i militari e amava indossare queste calzature
dalle quali deriva il suo soprannome. Apparteneva alla famiglia Giulio-Claudia, in quanto
discendente della famiglia Giulia e, tramite Tiberio, anche della famiglia Claudia alla quale
apparteneva il primo marito di Livia.
Caligola era probabilmente un po' squilibrato, stando a quello che ci raccontano le cronache e
le storie che ci sono rimaste da parte di Tacito e Svetonio, sempre da prendere con beneficio
di inventario, perché gli storici ai quali noi ci rifacciamo sono spesso senatori e
quindi influenzati dalla qualità dei rapporti che ogni singolo imperatore manteneva con
il Senato. In ogni caso Caligola fu ucciso dopo solo quattro anni di regno, probabilmente
nell'ambito di una congiura di palazzo. Dopo Caligola (37-41), abbiamo Claudio, zio di Caligola
(41-54), un intellettuale, sicuramente una persona non aitante - gli storici ci dicono che era
claudicante e balbettava, aveva dei tic, ma era uomo di cultura, era uno dei primi etruscologi.
A Claudio dobbiamo un acquedotto. Sicuramente dobbiamo Porta Maggiore, che è divenuta
porta quando sono state costruite le mura aureliane, ma in origine era semplicemente un
attraversamento da parte dell'acquedotto della via Labicana e della via Prenestina, nel punto
in cui si biforcavano. Poi, per riferirci al territorio in cui viviamo, a Claudio dobbiamo il
progetto del primo porto imperiale che doveva risolvere il problema dell'approvvigionamento
delle merci che arrivavano a Roma che non potevano più essere sbarcate solo sulle
banchine fluviali di Ostia. Claudio ordinò ai suoi ingegneri di progettare un nuovo
grande porto, un progetto che si rivelò poi sbagliato perché questo porto si
insabbiava continuamente ed era praticamente inutilizzabile. Con Traiano si salvò questo
porto attraverso lo scavo di un bacino più interno che ne permise l'utilizzo.
A Claudio successe infine Nerone (54-68). Nerone era figlio della seconda moglie di Claudio,
da un precedente suo matrimonio con Gneo Domizio Enobarbo. A quel che sembra ebbe due distinte
fasi politiche. Il suo vero nome era Lucio Domizio Enobarbo, cambiato poi in Nerone Claudio
Cesare, dopo che fu adottato da Claudio. Divenne imperatore a diciassette anni. Nei primi tempi
fu sotto la tutela della madre, Agrippina minore e, in questa fase fu filosenatorio, sia per
l'influenza della madre, sia per quella culturale di Seneca e del prefetto del Pretorio Sesto
Afranio Burro. L'aristocrazia senatoria cercò insomma di pilotare il giovane Nerone. In
una seconda fase del suo regno Nerone fa di testa propria, fa uccidere sua madre, induce al
suicidio vari personaggi che avevano avuto influenza su di lui e si lancia in grandi progetti
sia edilizi che sociali. Nerone infatti, che è passato alla storia come quello che ha
perseguitato i cristiani (ed è vero che sotto Nerone c'è stata la prima
persecuzione dei cristiani, ma sicuramente non è stato il momento saliente del suo
regno), è passato alla storia come quello che ha bruciato Roma (ma probabilmente non
è stato lui a incendiare Roma; incendi scoppiavano di continuo e i vigiles erano sempre
in azione per spegnerli, la città era caotica, fatta in gran parte di legno e con fiamme
libere ad ogni angolo). Nerone è passato alla storia per la sua megalomania, ma questo
aspetto va visto attraverso i due interventi che maggiormente qualificarono il suo regno. Uno
è di natura economica, il più importante e forse il più sconosciuto: per
sua volontà venne modificato il rapporto di cambio tra la moneta d'oro e quella
d'argento, a favore della moneta d'argento. Nerone entrando in contrasto con l'aristocrazia
senatoria tendeva ad appoggiarsi al popolo e alle classi medie, la piccola borghesia e la plebe
potremmo dire. Questo ceto medio-basso difficilmente possedeva monete d'oro ma possedeva monete
d'argento. Quindi un cambio più favorevole all'argento contribuì alla crescita
economica delle classi sociali meno abbienti. Questo fatto fu di grandissima rilevanza per
l'economia romana. Intanto contribuì ad inasprire i rapporti tra il Senato e Nerone,
fino a condurre alla rivoluzione e al colpo di Stato che portò alla morte di Nerone. I
suoi successori compresero però il risultato positivo che questa riforma monetaria aveva
prodotto e la difesero sempre, finché fu possibile, nonostante la sempre maggiore crisi
economica generale dell'Impero. Anche quando, alla fine del II e nel III secolo diventò
evidente la crisi economica dell'Impero romano, l'inflazione che cresceva, gli imperatori
cercarono in ogni modo di mantenere inalterato questo rapporto tra l'oro e l'argento fino a
Costantino che tornò ad avvantaggiare la moneta d'oro, penalizzando fortemente le classi
meno abbienti. Questo causò la sparizione dei ceti medi che caratterizzò la fine
dell'antichità romana e gli inizi del Medio Evo, con aristocratici ricchissimi e la gran
massa della popolazione poverissima, senza un ceto intermedio.
Nerone, grazie a questa riforma, aveva aiutato le classi popolari alle quali si appoggiava, ma
così facendo favorì anche l'economia romana e lo sviluppo che nel secolo
successivo portò ad un rinnovamento sociale dell'Impero, all'arricchimento di tante
persone di umili origini, basti pensare a tutti gli ex-schiavi che nel II secolo si
arricchirono. La popolazione di Ostia e quella di Portus nel II secolo d.C. erano formate
perlopiù da ex-schiavi che si erano arricchiti grazie ai commerci ed al nuovo cambio. I
senatori ne erano danneggiati in un certo senso. E' vero che i ricchi restavano ricchi, ma non
potendo diventare ulteriormente ricchi, entrarono in attrito con l'imperatore e questo
portò al colpo di Stato e alla fine di Nerone.
L'altro grande intervento di Nerone, urbanistico, è la costruzione della Domus Aurea
che comporterà l'occupazione di una spropositata parte di suolo pubblico per la
costruzione di quella che è una sorta di Villa Adriana, piazzata nel cuore della
città.
Mi permetto di aggiungere, al termine di questa prima lezione, alcuni raffronti cronologici con il cristianesimo.
Riprendiamo il discorso da dove l'avevamo lasciato.
Nerone ha lasciato un segno per due cose particolari: una grande riforma monetaria ed un
importante intervento urbanistico in città. La riforma economica ha avuto un'importanza
capitale nella storia di buona parte dell'Impero, perché era una riforma che veniva
incontro ad un rinnovamento sociale dell'Impero. Il periodo di pace, che all'epoca di Nerone
aveva ormai raggiunto la durata di circa un secolo da quando Augusto aveva posto fine alle
guerre civili, questo periodo di pace aveva cominciato a favorire una crescita economica
nell'Impero e quindi anche l'emergere di nuovo classi sociali che si contrapponevano sempre di
più all'aristocrazia senatoria, che era portatrice di un'economia non produttiva,
perché l'aristocrazia senatoria era latifondista, sfruttava sostanzialmente la terra per
far pascolare i propri greggi. Invece le nuove classi sociali erano quelle che potremmo
definire la “borghesia”, quindi mercanti e piccoli proprietari, soprattutto
mercanti e artigiani, che si arricchiscono rapidamente. Spesso si trattava di persone di umili
origini, in particolare liberti. Già con il predecessore di Nerone, Claudio, alcuni
liberti (ex-schiavi), erano saliti alle più alte magistrature burocratiche dell'Impero.
Callisto, Narciso e Pallante, tre liberti, erano in pratica i veri controllori dell'Impero al
tempo di Claudio. Erano l'espressione di una spinta sociale che veniva dal basso. Questa spinta
sociale venne favorita ancor di più dall'intervento di Nerone che assecondò
questa spinta. Dopo i primi anni in cui Nerone, sotto il controllo di Seneca, aveva cercato di
mantenere buoni rapporti con il senato e di favorire l'aristocrazia senatoria, poi piano piano
cambia radicalmente rotta, fa uccidere la madre, allontana Seneca che, coinvolto in una
congiura di palazzo, si suiciderà. In questo secondo momento Nerone rifiuta i suoi
tutori e comincia a fare di testa sua, appoggiandosi alla plebe di Roma e appoggiandosi alle
classi inferiori. La riforma economica va in questa direzione: diminuisce il peso sia della
moneta d'oro che di quella d'argento, mantenendone invariato il rapporto di cambio. In questo
modo, come abbiamo già detto, si favorisce chi possiede molte monete d'argento, le
classi inferiori, e si contribuisce all'ascesa di una cosiddetta “borghesia” che
assurgerà addirittura al potere imperiale. Perché, dopo la morte di Nerone e un
anno e mezzo di guerre civili nel periodo 68-69, Vespasiano, iniziatore della dinastia Flavia
sarà proprio un uomo proveniente da questa “borghesia mercantile”.
Sarà sì un senatore, ma non di antica aristocrazia, bensì un “uomo
nuovo”, proveniente dalla classe equestre. Questa riforma di Nerone, un segno dei tempi,
fu mantenuta per due secoli e mezzo, fino a Costantino, finché fu possibile mantenerla,
cioè fino a che le condizioni economiche dell'Impero furono in grado di mantenere questo
rapporto tra la moneta d'oro e quella d'argento. All'epoca di Costantino la situazione è
completamente mutata. Per la continua mancanza di risorse, lo Stato è costretto ad
emettere monete che sono soltanto verniciate d'argento, perché in realtà sono di
bronzo con una minima copertura. La gente sapeva che le monete d'argento avevano un valore
nominale molto superiore al valore reale. All'epoca di Costantino la gente e lo Stato stesso
ricorrevano sempre più spesso a pagamenti in natura, perché un bue è
sempre un bue, ma una moneta non più d'argento non vale quasi nulla.
Diocleziano è l'ultimo strenuo difensore della riforma di Nerone; cerca di porre un
calmiere ai prezzi, frenando così l'inflazione dovuta al fatto che queste monete
valevano pochissimo. Ne occorrevano sempre di più ed i prezzi salivano a dismisura.
Costantino invece, di fronte alla situazione completamente diversa che si trova a
fronteggiare, prende atto delle mutate condizioni e torna ad emettere una moneta d'oro
(“solidus”, da cui verrà poi la parola moderna “soldo”) che ha
un rapporto di cambio favorevole rispetto a quella d'argento, favorendo così i molto
ricchi possessori d'oro.
Anche la riforma di Costantino sarà un momento epocale, perché darà il
colpo di grazia alle classi medie e ancora una volta favorirà gli scambi in natura
rispetto ai pagamenti in contanti. Inizia un processo che potremmo definire medievale, la
sparizione delle classi medie e l'abisso che viene a crearsi tra i molto ricchi e i servi della
gleba, la plebe. E' appunto l'inizio, dal punto di vista economico, del Medio Evo.
Nerone, oltre a questa riforma monetaria, realizza un importante intervento urbanistico.
Approfittando del fatto che nel 64 un incendio devastante aveva distrutto i due terzi della
città, Nerone pensò di ristrutturare completamente il palazzo imperiale, che
già allora constava della primitiva casa di Augusto, sul Palatino, della Domus tiberiana
(il palazzo di Tiberio, ingrandito da Caligola, Claudio e dallo stesso Nerone, oggi occupato
dagli Horti farnesiani). Nerone, visto che questi palazzi erano stati danneggiati
dall'incendio, decise di rinnovare tutto e creare la Domus Aurea, più che un palazzo
imperiale, una villa sul genere di quella che sarà poi Villa Adriana, un'area vastissima
all'interno della quale c'erano edifici residenziali, zone a verde, un lago, parchi e giardini.
La Domus Aurea si estendeva dal Palatino, comprendeva il Colle Oppio (dove ancora oggi si
può visitare una parte della struttura), la zona del Celio con il tempio di Claudio, il
lacus, un bacino alimentato soprattutto da un ruscello che scorreva nella valle di via Labicana
e che ancora oggi scorre sotto il livello più basso della basilica di S.Clemente. Una
villa gigantesca, tanto è vero che gli storici successivi a Nerone ironizzavano su
questo dicendo ai Romani: “Fuggite fino a Veio, se la casa di Nerone non è
già arrivata fino a lì”. Una grande parte della città era stata
occupata dalla Domus Aurea. Nerone entra in conflitto con i senatori, ma anche con i
governatori di province, soprattutto militari, che si facevano portavoce della protesta delle
province per la pressione fiscale che andava aumentando, anche a causa di questi giganteschi
lavori oltre che per la riforma monetaria. Nel 68 la situazione degenera con un paio di rivolte
militari lungo il Reno. Il Senato dichiara Nerone nemico pubblico e lui si fa uccidere dal suo
schiavo.
C'è il regno molto breve di Servio Sulpicio Galba proveniente dal
Senato. Poi c'è la guerra, viene deposto anche lui e a quel punto non c'è
più nessuno, la dinastia Giulio-Claudia è estinta. I comandanti più
importanti dell'Impero cominciano così a disputarsi la successione. Otone, comandante
delle truppe sul Reno, Vitellio, comandante delle truppe sul Danubio, Vespasiano, comandante
delle truppe in Oriente. Vitellio vince Otone, Vespasiano vince Vitellio e nel 69 inizia la
dinastia Flavia. Dopo Vespasiano verranno, infatti, i suoi due figli Tito e Domiziano. E' una
fase in cui è ascesa al potere una borghesia mercantile cittadina, una classe equestre,
diversa dall'antica aristocrazia senatoria. Forse proprio per questo i Flavi, consapevoli di
non appartenere alla classe senatoria, cercano di avere buoni rapporti con il Senato. E' un
periodo di intesa tra l'imperatore e il senato, salvo una rottura che si verificherà
verso la fine del regno di Domiziano.
Con la dinastia Flavia abbiamo nuovi interventi monumentali, in modo particolare nei Fori
imperiali. Nella valle adiacente alla valle del Foro, come già abbiamo visto, c'erano
ormai il Foro di Cesare, poi il Foro di Augusto. Con i Flavi viene costruito il Foro della
pace, adiacente alla basilica di Massenzio, dove c'è ora la Chiesa dei SS.Cosma e
Damiano. Il Foro della pace, con il porticato ed il tempio della pace, è il luogo nel
quale venne portata la menorah, cioè il candelabro proveniente dal Tempio di Gerusalemme
che nel 70, con la fine della rivolta giudaica, Tito aveva portato a Roma.
Questo candelabro non era in realtà un oggetto importante. Era solo
un arredo del Tempio. Nell'ebraismo non aveva un ruolo particolare, ma poiché era famoso
divenne come un simbolo.
Il 70, anno in cui viene presa Gerusalemme, è un anno decisivo per la datazione degli
scritti del Nuovo Testamento, perché Tito, oltre a prendere Gerusalemme, rase al suolo
il Tempio e, da quel momento in poi, non si fanno più sacrifici in Israele. Pensate che,
fino a quel momento, gli Ebrei, come tutti gli altri popoli antichi, praticavano il sacrificio
di agnelli o di altri animali per ricevere il perdono di Dio. Dal 70 in poi comincia, al posto
del giudaismo del Tempio, il giudaismo rabbinico. Questa data è importante così
anche per le datazioni neotestamentarie. Se uno scritto parla del Tempio ancora in
attività è evidentemente precedente al 70. Per esempio nella lettera agli Ebrei
si dice: “Quando il sommo sacerdote fa questo e questo...” Allora la lettera agli
Ebrei è precedente al 70. Gesù aveva detto che Gerusalemme sarebbe stata rasa al
suolo, ma solo quando i testi raccontano l'evento in modo circostanziato sono evidentemente
successivi al 70. Nel Vangelo di Luca per esempio si dice: “Quando vedrete Gerusalemme
circondata da eserciti”. Non solo si annuncia cioè un evento, ma lo si descrive
anche: gli eserciti cingeranno Gerusalemme e ci sarà l'assedio”. Gli storici
dicono allora che l'evangelista non conosce solo l'avvenimento come profezia, ma sa esattamente
come è avvenuto. Quindi l'ultima redazione del Vangelo di Luca è successiva al
70. Lui ricollega la profezia al fatto di cui è stato realmente testimone.
All'interno del Foro della Pace dovevano esserci giardini con un museo all'aperto, come è stato appurato da scavi recenti, con originali e copie di capolavori della Grecia classica, che dovevano costituire la maggiore attrattiva di questa piazza monumentale. Con i Flavi arriva anche il riempimento dello spazio rimasto vuoto, con Domiziano (tra l'81 e il 96 d.C.). Questo stretto spazio che era rimasto tra il Foro della pace, il Foro di Augusto e il Foro di Cesare, era in realtà uno spazio occupato da una strada, l'Argiletum, che collegava la zona della Suburra, con il Foro romano. Domiziano monumentalizza questa strada con un tempio dedicato a Minerva e due porticati molto stretti, visto il poco spazio disponibile. In realtà si tratta di un colonnato le cui colonne sono unite da brevi architravi per dare l'idea del portico, ma in realtà non è un portico. C'è un fregio ornamentale con immagini di Minerva.
Il Colosseo è un altro importante intervento Flavio. Già iniziato da Vespasiano nell'ambito di un'operazione che comportava l'unione di edilizia e propaganda. Vespasiano è arrivato al potere al termine di una sanguinosa guerra civile. Non era neanche un nobile, ma un cavaliere, quindi doveva instaurare da subito buoni rapporti con tutti, con il Senato ma anche e soprattutto con il popolo, che era rimasto legato alla figura di Nerone che aveva favorito, come abbiamo detto, i ceti più bassi. Vespasiano allora inizia a demolire la Domus Aurea e restituire al popolo lo spazio pubblico che Nerone aveva occupato con la sua casa. Fa di più. Non solo lo restituisce al popolo, ma costruisce proprio lì il più grande, il più spettacolare edificio adibito a giochi e spettacoli che a Roma era mai esistito. Anzi il primo in assoluto, perché a Roma anfiteatri in muratura non ce n'erano mai stati. Erano sempre stati fatti di legno, eventualmente poi smontati dopo i giochi, anche con i rischi del caso, perché un anfiteatro di legno a Fidene, costruito all'epoca di Tiberio, crollò mentre c'erano gli spettatori dentro, uccidendo molte persone, come ci racconta Tacito negli Annali. Quindi iniziò la costruzione dell'anfiteatro Flavio e fu una grande opera propagandistica. Si restituiva alla città uno spazio che Nerone aveva occupato per sé e si usava questo spazio per il divertimento del popolo con la realizzazione di questo edificio che doveva stupire Roma e il mondo romano intero. Si prosciugò così il lago, si riempì con un deposito di calcestruzzo e sopra questa area si costruì l'anfiteatro.
La dinastia Flavia finisce tragicamente perché Domiziano, negli ultimi tempi, rompe con il Senato e con un certo circolo intellettuale che aveva al suo interno anche una componente cristiana che era quella del console Flavio Clemente. Si isola e finisce per morire in una congiura di palazzo.
A Domiziano succede per due anni un vecchio senatore, Marco Cocceio Nerva
che pensa al futuro e chiama a collaborare al governo, adottandolo e nominandolo come
successore Traiano. Traiano è nato in Spagna, ad Italica, ed è discendente di una
famiglia che era andata a vivere in Spagna ed era arrivata a far parte dell'aristocrazia
senatoria. L'ascesa al trono di Traiano, quindi del primo imperatore non italico, significa un
ulteriore passo avanti nel processo di rinnovamento sociale dell'Impero. Un rinnovamento che ha
portato alla trasformazione della composizione del Senato, dove ormai la maggior parte dei
senatori fa parte della nuova aristocrazia, in parte proveniente dalla borghesia e in gran
parte dalle province di antica romanizzazione come appunto la Spagna. Alcuni membri di questo
nuovo Senato cominciano ad affacciarsi alla vita politica ed uno spagnolo diventa addirittura
imperatore. Tra l'altro questo significa anche un altro fatto importantissimo: diventa sempre
più evidente la perdita del predominio economico dell'Italia sul resto dell'Impero. La
generale pacificazione del mondo romano e la progressiva romanizzazione delle province
conquistate dai romani fa sì che l'economia di queste province – le odierne
Spagna, Tunisia, Egitto, Turchia, Grecia, la Gallia, ecc. - diventino sempre più ricche
e competitive rispetto all'Italia che invece si impoverisce, dove i contadini e i piccoli
artigiani abbandonano le loro attività per spostarsi a Roma che si ingrossa sempre di
più. Queste persone poi a Roma non svolgevano più le loro originarie
attività, ma affluivano nel proletariato urbano che, sempre più frequentemente,
veniva assistito dallo Stato. Quindi l'economia italica si isterilisce sempre di più e
questo è documentato dall'archeologia in quanto mentre, fino ad Augusto e alla prima
parte della dinastia Giulio-Claudia, le anfore che trasportavano il vino italiano si trovano un
po' in tutto il Mediterraneo (soprattutto occidentale), a partire dal II secolo le anfore
italiche non si trovano quasi più, il vasellame pregiato che veniva dalla Toscana
sparisce e al suo posto compare sul mercato una produzione che imita quella di Arezzo ma viene
dall'Africa, dalla Tunisia. Arrivavano contenitori di grano, di olio, ecc. ecc. che venivano da
Cartagine, dalla Spagna e così via.
In questa fase il predominio delle province è solo economico, ma successivamente
diventerà anche politico, fino ad arrivare al momento in cui addirittura Roma non
sarà più la capitale effettiva politica dell'Impero. Le capitali saranno altre:
Costantinopoli, Nicomedia, Treviri, ecc.
Traiano sale al potere nel 98. Resta sul trono per diciannove anni, durante i quali anche lui
cerca di mantenere questo trend di crescita sociale nelle classi meno abbienti e quindi
mantiene il cambio tra moneta d'oro e d'argento favorevole a queste classi. Questo risultato si
ottiene solo se c'è tanto oro, perché in questo caso l'oro vale di meno. Occorre
conquistare nuove province ricche di miniere d'oro, perciò l'interesse si concentra
sulla Dacia (l'odierna Transilvania), quindi due guerre daciche, nel 101-102 e nel 105-106, che
comporteranno la definitiva conquista di queste terre. D'altra parte le risorse acquisite con
le guerre daciche verranno impiegate per l'ultima manifestazione della propaganda edilizia
imperiale, nella valle dei Fori con la costruzione del Foro di Traiano, l'ultimo, il più
imponente, il più spettacolare, con un complesso monumentale in cui la storia delle
guerre daciche era ampiamente celebrata e rappresentata.
Traiano, come continuatore dell'opera di Vespasiano, volle restituire anche lui lo spazio pubblico al popolo. Fa seppellire la Domus Aurea di Nerone e sopra di essa fa costruire il gigantesco impianto delle Terme di Traiano che è il primo dei tre grandi impianti termali imperiali equidistanti tra loro e posti in modo da servire tutte le zone della città. Naturalmente si pensa prima di tutto alla zona centrale di Roma dove appunto sorgono le terme di Traiano. Successivamente saranno costruite le terme di Caracalla e quelle di Diocleziano. Lo schema è sempre lo stesso, con qualche modifica: un grandioso recinto perimetrale con vari ambienti usati come auditori, sale di lettura, di massaggio, teatri, una esedra usata per spettacoli di ginnastica e recitazione, giardino e, al centro, il vero e proprio impianto termale con il calidarium, le saune e poi il frigidarium, due palestre e, all'interno del porticato, la piscina.
Veniamo ad accennare ancora allo sviluppo del Foro di Traiano.
I mercati di Traiano erano un complesso polifunzionale, in parte commerciale, in parte di
rappresentanza, in parte di gestione dell'organizzazione annonaria che era servito da strade
interne. Un progetto dunque anche architettonicamente molto ardito, che si legava al complesso
del Foro, ma ne era nettamente separato grazie ad un muro. Il Foro era costituito dalla piazza
monumentale, la basilica Ulpia, le due biblioteche, in mezzo il cortiletto dove si trovava la
colonna traiana con le raffigurazioni della guerra dacica, e il tempio al divo Traiano (Traiano
divinizzato dopo la morte e, quindi, completato dal suo successore Adriano). Gli scavi
più recenti effettuati in occasione del Giubileo hanno un po' rivoluzionato la
concezione precedente della sistemazione di questa area, sembra che in realtà la
disposizione fosse diversa da come si pensava.
Il Foro doveva avere la statua equestre dell'imperatore, nella basilica
Ulpia (dalla gens Ulpia, la famiglia di Traiano), le statue dei prigionieri daci alcune delle
quali sono finite sull'arco di Costantino molto tempo dopo. Dentro la colonna di Traiano fu
sepolto, dopo la morte, lo stesso imperatore, un fatto eccezionale perché contravveniva
alle leggi antiche per le quali non si poteva seppellire all'interno della città, anche
se la colonna traiana era in realtà in una zona ai limiti del circuito delle antiche
mura.
Il Foro doveva avere due biblioteche che stavano ai lati della colonna traiana, delle quali
non resta nulla se non, sotto i giardini attuali, i muri perimetrali e le nicchie dove c'erano
gli armadi per i libri. Oggi c'è un magazzino di marmi della sovrintendenza.
Traiano muore dopo aver fallito in qualche modo il colpo decisivo contro il grande nemico dei romani, il regno dei Parti. Nel 115 organizza una spedizione in Oriente che arriva fino all'odierna Baghdad, potremmo dire. Traiano giunge fino all'antica Ctesifonte, capitale del regno dei Parti, ma gli ebrei iniziano diverse rivolte ad Alessandria d'Egitto, a Cipro, nella stessa Palestina. I romani sono costretti a tornare indietro per sedare queste rivolte. Traiano poi muore e il suo successore Adriano rinuncia ad occupare stabilmente la provincia mesopotamica. Adriano viene adottato da Traiano, così come questo era stato a sua volta adottato da Nerva, anche se era imparentato solo molto alla lontana con Traiano. Siamo nel periodo del cosiddetto principato elettivo: non c'è una dinastia, ma l'imperatore in carica sceglie nella cerchia di persone di sua fiducia colui che sembra più adatto a succedergli. Gli imperatori che salgono al trono in questo modo - Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio - regnano una media di 19-20 anni, nel periodo di maggior stabilità dell'impero e mantenendo un quasi pieno accordo con il Senato (tranne Adriano nell'ultimo periodo). Appena finito questo circolo virtuoso ricominciano le guerre civili e ci sarà poi una crisi militare ed economica nel secolo successivo.
Nel 70 Tito è in Oriente e Vespasiano imperatore a Roma.
Dopo di loro, sotto Domiziano, è ancora vivo, secondo la tradizione, l'ultimo degli
apostoli, san Giovanni. San Giovanni sarebbe stato portato addirittura prigioniero a Roma. La
tradizione vuole che sia stato condotto nel luogo dove è ora la chiesa di S.Giovanni a
Porta Latina, che ha vicino la Chiesetta appunto di S.Giovanni in Oleo, sorta dove Giovanni
sarebbe stato messo nell'olio bollente. Da questo “martirio” però si sarebbe
salvato. In conseguenza di questo episodio, la tradizione pone talvolta l'esilio a Patmos. E di
sicuro l'Apocalisse è stata scritta durante un esilio a Patmos (“Io, Giovanni...
vostro compagno nella tribolazione... mi trovavo a Patmos, a causa della testimonianza resa al
Signore Gesù”).
Nerva, sempre secondo la tradizione, è quello che libera S.Giovanni evangelista, che
poi muore molto vecchio.
Con Traiano abbiamo il primo documento giuridico sulla persecuzione dei cristiani, il famoso
“Rescritto di Traiano”. Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, nella attuale
Turchia, sta perseguitando i cristiani e vuole sapere da Traiano se fa bene. Traiano risponde
che i cristiani sono pericolosi, ma che lui non deve cercarli; può, anzi deve
perseguitarli solo se esiste a loro carico una denuncia scritta e non anonima.
Questo che dice don Andrea è in realtà la situazione normale dei rapporti dei Romani con il cristianesimo. Ufficialmente i cristiani sono perseguibili, perché si rifiutano di sacrificare all'imperatore e agli dei della tradizione e sono considerati perciò atei - e in questo sembrano rifiutare l'appartenenza allo Stato romano, pur essendo romani a tutti gli effetti. Questo loro rifiutare l'adesione alla religione tradizionale, che è un fatto di militanza politica, quindi di adesione politica all'impero, fa dimenticare ai romani tutta la loro tolleranza religiosa. Nella realtà dei fatti succede quello che dice Traiano: si procede solo a seguito di denunce firmate, altrimenti c'è tolleranza. Succede che, in qualche provincia, alcuni governatori particolarmente zelanti, tenendo conto di problemi locali per i quali la comunità cristiana è malvista dalla popolazione per qualsivoglia motivo, fanno scattare la persecuzione. E' il caso di Lione dove c'è un episodio piuttosto grave di persecuzione nel II secolo, o del martirio di S.Policarpo. Poi ci sono nel corso della storia dell'impero romano dei singoli momenti di persecuzione generalizzata, ma sono periodi circoscritti. Il primo è quello di Nerone, poi c'è questo rescritto di Traiano che però, come abbiamo visto, limita le possibilità di perseguire i cristiani. Dobbiamo poi arrivare a Decio, metà del III secolo, per avere una vera forte persecuzione nei confronti dei cristiani, peraltro rivolta soprattutto ai capi delle comunità. Dopo Decio nuovo episodio sotto Valeriano, poi ancora con Diocleziano e Galerio, ma siamo già agli inizi del IV secolo. In due secoli e mezzo di storia cristiana all'interno dell'Impero, gli episodi di persecuzione generalizzata su precisa iniziativa dell'imperatore si contano sulle dita di una mano. Adriano tra l'altro ha un atteggiamento ancora più morbido di quello di Traiano nei confronti dei cristiani.
Veniamo ad Adriano ed ai suoi interventi urbanistici. Ormai nel mausoleo di
Augusto non c'era più spazio, l'ultimo ad esservi stato seppellito era Nerva. Traiano,
come abbiamo visto, era stato sepolto nel basamento della colonna trionfale del suo Foro,
quindi Adriano aveva bisogno di una nuova tomba, che poi diverrà anche la tomba di
diversi suoi successori. Viene costruita nella zona periferica della città, sulla sponda
trasteverina e veniva messa in collegamento diretto con la città tramite un ponte.
Vediamo oggi Castel S.Angelo al termine di tutte le trasformazioni medievali e rinascimentali
che ne hanno fatto la fortezza dei papi. Tuttora possiamo percorrere la rampa elicoidale che
portava dalla base alla camera funeraria del mausoleo.
Nel Foro romano, invece, è ancora visibile il grande monumento realizzato da Adriano,
il tempio dedicato a Venere e Roma. Oggi ne sono rimasti il basamento, alcune colonne, le celle
del tempio (era composto da due templi che si davano le spalle). Una parte è divenuta la
chiesa di S.Francesca Romana, l'altra cella è ancora visibile ed è quella
dell'abside nella quale viene posta la croce fiammeggiante durante la via crucis del Papa il
venerdì santo. Siamo vicinissimi al “colosso”, la statua di Nerone poi
trasformata nella statua del dio Sole.
Nel campo Marzio Adriano si occupa della ricostruzione del Pantheon, monumento eretto da Marco
Vipsanio Agrippa già al tempo di Augusto, distrutto poi nell'incendio dell'anno 80.
Viene così costruito questo tempio che è completamente diverso da quello
originario, tranne la facciata. La cupola del Pantheon, con un diametro di 42 metri, rimase la
più ampia mai realizzata fino all'avvento del cemento armato.
Adriano nomina suo successore, adottandolo, Tito Aurelio Antonino, italico, anche se di origini galliche per parte di madre. Quindi continua questo avvento di provinciali al trono imperiale. Antonino Pio regna in un periodo di pace pressoché completa come Adriano (sotto il quale c'era anzi stata l'ultima gravissima rivolta giudaica che si conclude nel 135 con la distruzione di Gerusalemme e l'inizio della diaspora). Sotto il regno di Antonino Pio c'è anche un periodo di relativa stasi dal punto di vista edilizio. Non costruisce grandi monumenti tranne il tempio dedicato al suo predecessore.
Nel Foro romano c'è anche il tempio dedicato inizialmente alla moglie Faustina, che morì quasi subito, e poi dedicato anche a lui, dopo la sua morte, avvenuta nel 161. Il tempio di Antonino Pio è stato poi riutilizzato dalla chiesa di S.Lorenzo in Miranda. E' un monumento significativo per vedere l'evoluzione edilizia di Roma con queste chiese che utilizzano i monumenti antichi. Il livello della porta della chiesa è rimasto altissimo; è quello al quale si camminava nel 1400, quando venne costruita la facciata. In un edificio come questo c'è tutta la storia millenaria di Roma.
Il periodo di pace di Antonino Pio termina con Marco Aurelio che è costretto a fare il soldato. Lui interrompe la tradizione del principato elettivo e nomina suo successore il figlio Commodo, che era personaggio diverso dal padre. Commodo si giova del fatto che, terminate le guerre intraprese dal padre, non ci sono pericoli imminenti, ma pensa più ai propri interessi che alla cura dello Stato. Commodo viene ucciso e si scatenano di nuovo le guerre civili.
Alla fine di una serie di personaggi, emerge Settimio Severo, un africano
addirittura. Inizia una nuova dinastia che cerca di porsi il più possibile in
continuità con il periodo precedente. Settimio Severo si proclama nipote di Marco
Aurelio, pronipote di Antonino Pio, artifizio utile per far capire che lui rappresenta la
continuità con le epoche precedenti. In realtà lui era un militare, un senatore
che si era guadagnato il potere al termine di sanguinose guerre civili.
Al tempo di Settimio Severo però si acuisce la crisi economica dell'Impero, dovuta in
primo luogo alla crisi economica dell'Italia e in secondo luogo all'aumento dei prezzi, alla
fatica dello Stato a reperire nuove risorse, perché le continue guerre obbligavano ad
aumentare le paghe dei soldati. Le risorse dello Stato vanno sempre di più all'esercito,
così bisognava aumentare le tasse, i prezzi aumentano, le monete d'argento contengono
sempre meno argento, la gente perde fiducia nei pagamenti in contanti ed inizia questo processo
di graduale introduzione di un'economia basata sugli scambi in natura, tanto è vero che,
mentre nel I e nel II secolo c'era un erario militare - quindi per l'esercito si pagavano delle
tasse, l'esercito raccoglieva denaro contante - nel periodo più tardo dell'Impero
l'esercito veniva sostenuto con le requisizioni in natura. Si requisivano mandrie, raccolti di
grano, perché si sapeva che i soldi non valevano più nulla. Questo processo
inizia a farsi sentirsi in tutta la sua gravità durante la dinastia dei Severi: Settimio
Severo, Caracalla e dopo un breve intermezzo con Macrino e poi alcuni parenti di Caracalla,
Eliogabalo e Severo Alessandro. Siamo ormai nel 235, alla morte di Severo Alessandro.
Alla metà del III secolo si aggiunge alla crisi economica anche una
crisi politica e militare che vede lo scoppiare di guerre civili tra generali per la conquista
del potere. Tutte queste guerre comportano spese enormi, aggravamento della crisi finanziaria e
coincidono con un inasprimento delle guerre ai confini. Ad est ai Parti si sono sostituiti i
persiani che sono ancora più pericolosi. Arrivano i Goti dalle steppe della Russia. Si
verifica una vera e propria frammentazione dell'impero in tre segmenti. Alla metà del
III secolo c'è l'oriente che sotto la regina Zenobia si mette per conto suo, la Gallia
che si separa sotto il comando di Postumo, al povero Gallieno era rimasta solo la parte
centrale dell'impero. Il padre di Gallieno, Valeriano, che aveva organizzato una spedizione
contro i persiani era stato fatto addirittura prigioniero.
Lo stesso Gallieno cerca di porre le basi per una ripresa attraverso due provvedimenti: una
riforma militare - la formazione di un corpo di cavalleria mobile, una forza mobile di
intervento - ed un secondo intervento politico, che toglie ai senatori il comando delle
legioni, gli incarichi militari, cercando così di combattere il fenomeno delle
usurpazioni. Un senatore che può pagare delle truppe a lui fedeli può ambire ad
usurpare il trono, mentre un cavaliere che ha minori disponibilità economiche è
più facilmente fedele all'imperatore.
L'impero si riprende poi partendo da queste basi con l'opera di Aureliano e dei suoi
successori fino all'organizzazione tetrarchica.
Aureliano è un grande soldato che si sposta dall'Oriente all'Occidente per ricompattare
l'impero. L'opera di risanamento prosegue poi con il suo successore, Probo, che tra l'altro
completa il progetto delle mura difensive di Roma (mura aureliane) e poi con Diocleziano.
Diocleziano decide di progettare una nuova soluzione per la grande crisi di autorità
politica che c'era stata nel III secolo. L'impero è troppo grande per essere governato
da uno solo, ci vogliono due imperatori, due Augusti, uno per l'Oriente e uno per l'Occidente.
Ogni Augusto ha sotto di sé un Cesare, un sottoimperatore, un assistente
dell'imperatore. Ognuno di questi quattro governa un quarto dell'impero. A Oriente c'è
un Augusto che governa un quarto ed il suo Cesare che governa l'altro quarto; lo stesso succede
per l'Occidente. Se muore un Augusto il suo Cesare diventa Augusto e nomina un altro Cesare.
Questa sistemazione dovrebbe, nel progetto di Diocleziano, garantire continuità: abbiamo
Diocleziano che governa in Oriente e Massimiano in Occidente. Diocleziano ha un suo Cesare,
Galerio. Massimiano ha Costanzo Cloro che governa una parte dell'Occidente. Diocleziano e
Massimiano abdicano, sicuri che questo sistema funzionerà alla perfezione, ma in
realtà dopo un anno uno dei nuovi Augusti, Costanzo Cloro, muore subito e siccome il suo
Cesare non era ben visto dai militari, allora subito spuntano altri personaggi, non a caso
figli naturali dei tetrarchi che subito vengono a usurpare il trono. Massenzio è figlio
di Massimiano, Costantino è figlio di Costanzo Cloro. Nessuno dei due avrebbe diritto
alla successione, ma saranno proprio loro due a combattersi per avere il dominio. Massenzio
regnava in Italia, Costantino in Britannia e Gallia. Costantino prevarrà nella battaglia
di Ponte Milvio. Poi si impadronirà anche dell'Oriente e riunificherà l'Impero.
Costantino, come avevo già accennato, pone termine alla riforma monetaria iniziata da
Nerone. Si torna a privilegiare l'oro, le classi medie praticamente spariscono, si crea un
abisso tra i ricchissimi possessori d'oro e i poverissimi che l'oro non se lo possono
permettere. Inizia così la società medievale. Costantino divide alla sua morte
l'impero tra i suoi figli: Costantino II, Costante e Costanzo II. A Costantino II l'Occidente,
a Costante l'Italia e l'Africa, a Costanzo II l'Oriente. Costantino II cerca di prevaricare il
fratello minore, Costante, invadendo l'Italia, ma rimane ucciso. Dopo pochi anni rimangono
perciò in due. Costante subisce poi un'usurpazione e alla fine rimane solo Costanzo II
padrone di tutto l'Impero, nel 361. Dopo di lui abbiamo due significativi anni di Giuliano
l'Apostata e poi ci avviamo verso la parabola finale con Valentiniano I e soprattutto con
Teodosio, l'ultimo momento in cui l'impero è unificato. In precedenza alcuni avvenimenti
epocali: con Costantino l'editto che permette di praticare il cristianesimo e di conseguenza la
realizzazione di numerose chiese in tutto l'Impero. Costantino fa costruire per Papa Silvestro
la cattedrale di Roma su una sua proprietà, perché Roma è ancora in gran
parte pagana e quindi non si azzarda a trasformare in chiesa una basilica del foro romano.
Nasce così S.Giovanni. Poi Roma si cristianizzerà e le chiese verranno costruite
nel centro monumentale della città. Secondo avvenimento epocale, la battaglia di
Adrianopoli, 378, quando l'imperatore Valente muore. Da quel momento i goti, che erano entrati
nei confini dell'Impero, non possono più essere cacciati. Questi visigoti rimangono
dentro i confini dell'Impero e arriveranno a Roma nel 410, sotto il re Alarico. Terzo
avvenimento epocale, l'editto di Teodosio che capovolge la situazione rispetto al
cristianesimo: lo Stato diventa cristiano, il cristianesimo diventa religione di Stato.
C'è un'ultima reazione dei pagani, da parte della più antica aristocrazia che si
concretizza nell'usurpazione di un certo Eugenio, con una battaglia che Teodosio deve
combattere contro di lui a Lubiana e con questa battaglia si conclude questo estremo tentativo
di reazione pagana contro la svolta in senso cristiano dell'Impero. Teodosio si avvale della
collaborazione di un personaggio, Ambrogio, in un certo senso tutore di Teodosio, in grado di
costringere l'imperatore a chiedere perdono per la strage compiuta a Tessalonica. Inizia un
rapporto un po' ricattatorio che caratterizzerà nel Medio Evo i rapporti tra papa e
imperatore. Il potere viene da Dio, è amministrato in terra dal papa e, quindi, è
il papa che lo concede all'imperatore.
Il V secolo è un periodo nel quale l'Impero romano, soprattutto in Occidente, ormai
è un Impero formale, nel senso che le province vengono occupate da barbari che creano
loro stati, in Gallia, in Africa. E questi regni riconoscono formalmente l'autorità
dell'imperatore, ma in realtà sono indipendenti. Con Onorio e Arcadio si ufficializza la
divisione tra Oriente ed Occidente, una divisione definitiva e molto netta, senza
collaborazione tra i due imperatori e addirittura l'uso di eserciti barbarici per danneggiare
l'altra parte.
Il 476 è una data del tutto formale, è una data casuale nell'ambito del processo
che ormai vedeva una serie di stati pressoché indipendenti. I capi degli eserciti romani
erano gli stessi barbari, gli eserciti romani erano le varie popolazioni barbare che di volta
in volta si dichiaravano fedeli all'imperatore. Quando il re degli Eruli, Odoacre, non si
riconosce più vassallo dell'Imperatore d'Oriente, e non vuole nominare un senatore
romano come imperatore, a quel punto - è il 476 - si dichiara finito l'impero romano
d'Occidente. In realtà questo avvenimento del 476 è un fatto indolore,
perché la situazione ormai era assodata da 20-30 anni.
Per altri articoli e studi su Roma presenti su questo sito, vedi la pagina Roma (itinerari artistici, archeologici, di storia della chiesa e di pellegrinaggio) nella sezione Percorsi tematici