Riprendiamo dalla rivista 30GIORNI dell’aprile 1999,
pp. 74-75, l’articolo Il salotto buono di Donna Olimpia, scritto
da Serena Ravaglioli. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di
facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata
rimozione se la presenza on-line sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno
degli aventi diritto. Per uno studio del simbolismo proprio dell’iconografia
barocca, vedi su questo stesso sito l’articolo di Olivier de la Brosse
O.P. Lo spirito del barocco.
Per l’iconografia della Fontana dei Quattro fiumi del Bernini vedi
Gian Lorenzo Bernini, la Fontana dei
Quattro Fiumi a piazza Navona.
Il Centro culturale Gli scritti (8/2/2009)
Protagonista dell'Anno Santo 1650 fu senza dubbio la cognata del Papa, la temibile Donna Olimpia Maidalchini
Pamphili, alla quale il Giubileo offrì l'occasione di esplicare al massimo i tratti che più
contraddistinguevano la sua personalità: capacità organizzativa, desiderio di protagonismo,
avidità di denaro.
Donna Olimpia era di origine viterbese. Molto giovane, aveva sposato un ricco proprietario terriero, di cui era
rimasta vedova a vent'anni, ereditandone un cospicuo patrimonio. Ambiziosa di un ruolo di primo piano
nella società romana, aveva allora sposato un nobile più anziano di lei, non particolarmente
ricco ma ben introdotto, Pamphilio Pamphili.
Da quel momento si dedicò interamente ad accrescere le ricchezze e il prestigio della famiglia Pamphili,
mettendo la sua indubbia scaltrezza e la sua impareggiabile capacità di intrallazzi a servizio
soprattutto dell'avanzamento in "carriera" del promettente fratello del marito, monsignor Giovanni
Battista.
E, sia per meriti suoi sia per le trame della cognata, monsignor Pamphili di carriera ne fece effettivamente
parecchia: fu nominato prima nunzio a Napoli, poi cardinale e legato presso la corte di Francia, e infine,
nel 1644, papa, con il nome di Innocenzo X. Pochi giorni dopo designò la cognata, nel frattempo rimasta di
nuovo vedova, sua erede universale.
Donna Olimpia diventò la figura più potente di Roma: affari, riconoscimenti, nomine, appalti, si
diceva che tutto venisse deciso nel suo salotto. Il popolo non la poteva vedere e il malanimo si rifletteva in
frequenti pasquinate che la avevano per oggetto. Per esempio: «Chi dice donna dice danno, chi dice femmina
dice malanno, chi dice Olimpia Maidalchina dice donna, danno e rovina»; o il gioco di parole in
latino: «olim pia, nunc impia» (un tempo pia, ora empia); o ancora il dialogo fra Pasquino e
Marforio, altra celebre statua parlante, nel quale il primo chiedeva come si facesse a trovare la porta di Donna
Olimpia e l'altro rispondeva: «Chi porta trova la porta, chi non porta non trova la porta».
Certamente non riguardoso né affettuoso era poi il soprannome attribuito alla nobildonna:
«Pimpaccia». Da Innocenzo X Donna Olimpia ottenne anche la nomina a cardinale per il figlio
Camillo. Ma due anni dopo questi preferì deporre la porpora per sposare, contro la volontà di sua
madre, la giovane Olimpia Aldobrandini.
Donna Olimpia fece allora nominare cardinale un suo nipote diciassettenne, Francesco Maidalchini, che ancora non
aveva ricevuto gli ordini sacri. Fu proprio costui ad avere l'incarico di delegato all'apertura della Porta
Santa nella Basilica di Santa Maria Maggiore e a rendersi protagonista del primo fatto increscioso di
quell'Anno Santo.
Appena aperta la Porta Santa, infatti, cercò di impadronirsi della cassetta contenente le medaglie e le
monete d'oro e d'argento del Giubileo precedente, che come voleva la tradizione era stata racchiusa nel muro, e
venne per questo violentemente a lite con i canonici della Basilica, che ne rivendicavano la proprietà.
Per risolvere la questione, mettendo a tacere lo scandalo, si risolse di inviare in omaggio a Donna Olimpia
l'analoga cassetta che era stata murata a San Giovanni.
Voci insistenti sostenevano altresì che in tasca a Donna Olimpia finisse anche parte delle somme
raccolte da un comitato di nobildonne da lei costituito con il fine di organizzare l'accoglienza ai
pellegrini. Le signore erano suddivise a tre a tre in quattordici gruppi, uno per ciascuno dei rioni in cui
era divisa la città: giravano per le case e facevano raccolta di offerte in denaro, viveri e
indumenti.
Qualunque sia la fondatezza delle voci di indebite appropriazioni, non pare comunque che l'attività di
questo comitato riuscisse a procurare introiti significativi. Molto più valido fu il servizio di
accoglienza prestato, come ormai era consuetudine, dalle confraternite romane, prima fra tutte quella della
Trinità dei Pellegrini.
Maggior successo Donna Olimpia ebbe con le predicazioni che faceva tenere nel suo palazzo a piazza Navona e che
divennero un'occasione mondana assai ricercata da tutti i nobili della città. Riferisce un contemporaneo:
«Si va alla predica come a un passatempo da teatro; Donna Olimpia chiama a sermoneggiare
l'applauditissimo gesuita padre Oliva ed invita ad ascoltarlo dame e cavalieri, che vi accorrono come a un
sollazzo».
Solo in un caso l'ambizione mondana di Donna Olimpia fallì. Fu quando giunse in pellegrinaggio a Roma
l'infanta Margherita di Savoia, figlia di Carlo Emanuele e di Caterina d'Austria. Essa in qualità di
terziaria francescana prese alloggio nel convento di Tor de' Specchi. Donna Olimpia brigò molto per essere
ricevuta in udienza. Margherita per un po' non volle vederla, adducendo come scusa la sordità che
l'affliggeva, e quando finalmente il privilegio fu concesso, la trattò con semplicità e modestia
appunto conventuali, del tutto diverse dallo sfarzoso cerimoniale che l'altra si aspettava e giudicava confacente
al suo rango. E, come se non bastasse, Margherita si dimostrò così insofferente dei vanagloriosi
discorsi che la Pamphili le teneva da levarsi con ostentazione il cornetto acustico.
Un merito grande a Donna Olimpia va però riconosciuto: fu lei a promuovere il nuovo assetto
architettonico e monumentale di piazza Navona, con i lavori di ristrutturazione del palazzo di famiglia, la
costruzione della attigua chiesa di Sant'Agnese e la sistemazione al centro della piazza della famosa Fontana dei
Fiumi di Bernini.
E proprio a piazza Navona si svolse la cerimonia più spettacolare di quell'Anno Santo, la
processione tenuta il giorno di Pasqua dalla Confraternita spagnola della Resurrezione. La piazza fu addobbata in
maniera fastosa, con torri, palchi e guglie dipinte in modo da sembrare di marmo. Durante la processione si
alternarono cori, musiche e fuochi artificiali. Un cronista annota, ammirato, che in quell'occasione gli spagnoli
spesero la somma esorbitante di dodicimila scudi.
Ma i romani non intervennero numerosi come al solito, un po' per il timore che suscitavano i fuochi d'artificio e
i razzi, un po' perché era piuttosto diffuso un certo malanimo nei confronti degli spagnoli, tacciati
in genere di tracotanza e rei di aver più volte provocato risse per i soliti futili motivi di
precedenze. Tale ostilità si era immancabilmente espressa in una pasquinata: “Anche a Roma nascono i
Masanielli”, allusione alla rivolta antispagnola scoppiata a Napoli nel 1647.
Per tornare a Donna Olimpia, alla fine del 1650 il suo strapotere finì per essere giudicato eccessivo
persino da Innocenzo X, che decise di allontanarla da Roma inviandola nel castello di San Martino al Cimino.
Anche in questa occasione Donna Olimpia non mancò di suscitare il risentimento dei romani, in quanto
pretese di portarsi dietro come reliquia la spalla di santa Francesca Romana.
Due anni dopo riuscì a farsi richiamare in città e riprese a spadroneggiare fino alla morte del
cognato, avvenuta all'inizio del 1655. Le solite voci riferirono che, poco prima che l'anziano Pontefice
spirasse, Donna Olimpia gli sottrasse due casse di monete d'oro e d'argento che erano nascoste sotto il suo
letto. Ed è tenendo strette quelle casse che, secondo la leggenda, il fantasma di Donna Olimpia appare
ogni notte a piazza Navona a bordo di una carrozza che poi si dirige a gran velocità verso il Gianicolo,
fino alla Villa Pamphili, per scomparire infine in una voragine di fuoco.