Riprendiamo da Civiltà Cattolica 117 (1966), pp. 214-231, l’articolo che il gesuita p. Giovanni
Caprile scrisse a commento della storia della Dei Verbum, con il titolo originale Tre emendamenti allo schema
sulla rivelazione. Appunti per la storia del testo.
Per una informazione più precisa accludiamo anche i testi originali
della Lettera scritta a nome del papa Paolo VI dal cardinal Cicognani (da Acta
Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, v. V, pars III, pp. 459-461),
della risposta del cardinal Ottaviani con gli Adnexa del Philips (da Acta Synodalia
Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, v. V, pars III, pp. 464-466), delle
Risposte della Commissione dottrinale ai Modi dei Padri e del passaggio della
relazione del vescovo van Dodewaard relativi alla storicità dei vangeli
(da Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, v. IV, pars
V, p. 723 e 745). Su questo stesso sito, per un commento divulgativo in chiave
catechistica della Dei Verbum, vedi Teologia
fondamentale. Una introduzione alla Dei Verbum. “In religioso ascolto
della Parola di Dio” di d.Andrea Lonardo
Il Centro culturale Gli scritti (15/4/2009)
In un articolo apparso recentemente su Études (genn. 1966, pp. 99-113), il rev. Pierre Grelot, noto
per i suoi lavori di teologia biblica, ha tracciato un sereno panorama circa le vicende della preparazione dello
schema De divina revelatione. Concludendo la sua pregevole esposizione con i dati delle votazioni
effettuate
tra il 20 e 22 settembre 1965, egli affermava:
«Fu questa l’ultima tappa del lavoro compiuto dalla Commissione teologica prima del voto finale.
Per i futuri storici, che avranno a loro disposizione gli archivi completi del Concilio, sarà interessante
paragonare tra loro i 4 o 5 stadi successivi dello schema ed analizzare i rapporti che spiegavano il significato
delle modifiche apportate o i motivi di certi rifiuti. A me non è stato possibile addentrarmi, qui, in
tali questioni che appartengono ormai alla storia della Chiesa».
Lungi dal voler atteggiarci ad immediati eredi di queste consegne storiche, stimiamo tuttavia non del tutto
superfluo compiere qualche passo innanzi, in tale direzione, per lumeggiare alcune vicende poco note circa gli
ultimi ritocchi apportati allo schema De divina revelatione. Tanto più che altri, con
superficialità proporzionata alla scarsa conoscenza delle cose, hanno già messo in giro una
versione dei fatti assolutamente non rispondente a realtà, insinuando, con trasparentissime allusioni, che
nell'elaborare il testo della costituzione Dei Verbum, e specialmente in alcuni punti di cui ci
occuperemo, si sarebbe fatto ricorso all'ambiguità e al compromesso, preoccupati di cercare un accordo
qualsiasi tra progressisti e conservatori. E sarebbe dannoso se, per mancanza di informazioni più esatte,
tali dicerie passassero in patrimonio comune.
Per orientare il lettore, sarà bene dare anzitutto le grandi linee delle precedenti vicende conciliari del
documento di cui ci occupiamo. Uno schema De fontibus revelationis venne proposto al Concilio il 14
novembre 1962 (19ª congr. gen.) e discusso fino al 21 novembre. Messo ai voti il quesito: se si ritenesse
opportuno procedere all'esame dei singoli capitoli, 1.368 Padri espressero parere negativo, 822 furono per il
sì, 19 voti furono nulli. Non essendo stati raggiunti i due terzi, giuridicamente il dibattito sarebbe
dovuto continuare, anche se di fatto la maggioranza era contraria. Giovanni XXIII sciolse la
questione[1] disponendo che il
testo fosse ritirato per essere rielaborato da una speciale Commissione mista, presieduta dai cardd. Ottaviani e
Bea, e composta di 6 cardinali nominati dal Papa, da tutti i membri della Comm. dottrinale e da tutti i Padri
conciliari che erano anche membri o consultori del Segretariato per l'unione dei cristiani. Questa Commissione
mista mise a punto il nuovo schema De divina revelatione, del quale il 23 aprile 1963 Giovanni XXIII
autorizzò l’invio ai Padri. Da questo momento, in pratica, la Commissione mista non si occupò
più dello schema, lasciandone ogni cura alla sola Comm. dottrinale. Paolo VI lasciò che il Concilio
discutesse ampiamente il nuovo testo, dal 30 settembre al 6 ottobre 1964; la Commissione dottrinale lo
ritoccò sulla scorta delle osservazioni ricevute per iscritto o fatte in aula, ed alla vigilia della
chiusura del terzo periodo conciliare i Padri ebbero per le mani il textus emendatus. Per mancanza di
tempo le relative votazioni vennero rimandate all'anno successivo, cioè al quarto periodo dei lavori del
Concilio.
Intanto, fin dall’inizio del cammino conciliare del nostro schema, tre punti si erano rivelati
particolarmente difficili e delicati, a motivo delle diversità delle scuole teologiche,
dell’atteggiamento assunto o da assumere di fronte alla moderna esegesi biblica, delle implicazioni
ecumeniche derivanti dall'una o dall'altra presa di posizione: tali punti riguardavano i rapporti tra Scrittura e
Tradizione (n. 9), l’inerranza biblica (n. 11) e la storicità dei vangeli (n. 19).
Il textus emendatus venne, sottoposto a 20 votazioni, punto per punto, dal 20 al 22 settembre 1965.
Risultò che proprio i tre paragrafi predetti avevano raccolto un numero relativamente notevole di voti
negativi, ed ancor più numerose proposte di emendamenti. Segno che essi non erano ancora giunti ad una
soddisfacente formulazione, e che ancora molto restava da fare in tal senso.
A questo delicato lavoro si accinse la Commissione dottrinale nel periodo di cui appunto ci proponiamo di
lumeggiare le vicende, cioè fra la fine di settembre e la fine di ottobre 1965. Il Santo Padre, come
diremo più ampiamente in seguito, volle
che all'ultimo esame di questi tre punti fosse presente anche il Card Bea; personalmente poi seguì questi
lavori con discretissima sollecitudine, desideroso, come Pastore ed arbitro supremo, di apportare un effettivo
contributo di collaborazione alla chiarezza ed al perfezionamento del testo specialmente in tali questioni di
fondamentale importanza.
Né il Papa volle limitarsi a questo, giacché anche nei mesi precedenti a Roma e a Castelgandolfo,
aveva letto e fatto esaminare osservazioni, proposte, note e suggerimenti giuntigli da varie parti, e si era
documentato anche su recentissime pubblicazioni.
Ciò gli era richiesto, dinanzi alla Chiesa intera ed al giudizio della propria coscienza, dalla
necessità di raggiungere quel grado di certezza e di sicurezza sufficienti per poter dare il via ad un
testo che fosse degno della comune approvazione.
Un raffronto tra il textus emendatus e quello definitivamente approvato e promulgato il 18 novembre 1965, ci
farà subito vedere un'importante aggiunta che compare in quest'ultimo, e di cui appunto vogliamo dire
qualcosa.
Testo emendato
«...S. Scriptura est locutio Dei, quatenus divino afflante Spiritu, scripto consignata, S. autem Traditio
verbum Dei, a Christo Domino et a Spiritu Sancto Apostolis concreditum, successoribus eorum integre trasmittit,
ut illud, praelucente Spiritu Veritatis, praeconio suo fideliter servent, exponant atque diffundant. Quapropter
etc...» (n. 9).
Testo definitivo
«...S. Scriptura est locutio Dei quatenus divino afflante Spiritu scripto consignatur; Sacra autem Traditio
verbum Dei, a Christo Domino et a Spiritu Sancto Apostolis concreditum, successoribus eorum integre trasmittit,
ut illud, praelucente Spiritu veritatis, praeconio suo fideliter servent, exponant atque diffundant; quo fit
ut Ecclesia certitudinem suam de omnibus revelatis non per solam Sacram Scripturam
hauriat. Quapropter etc…»
Senza entrare in merito alla questione se la Tradizione debba considerarsi solo interpretativa o anche
costitutiva, l'aggiunta sottolinea lo stretto legame di essa con la Scrittura e la sua importanza come mezzo
indispensabile per ottenere la piena certezza su alcune verità rivelate.
Nella votazione del 21 settembre 1965, il paragrafo n. 9, abbinato col seguente, aveva raccolto 2.214
placet e 34 non placet. Però, quando s'era votato sul capitolo nel suo insieme, 354 Padri
avevano presentato emendamenti, 111 dei quali proponevano, differenziandosi talvolta nella formulazione, la
seguente aggiunta:
«quo fit ut non omnis doctrina catholica ex (sola) Scriptura (directe) probari queat». Altri 3
Padri proponevano un emendamento quasi identico, da inserirsi, però, verso la fine del n. 10, che riguarda
i rapporti tra Scrittura e Tradizione da un lato e Magistero ecclesiastico dall'altro.
A questa seconda proposta parve accedere, negli ultimi giorni di settembre, la Commissio parva advisoria -
cioè la Sottocommissione deputata al primo esame dei modi per darne poi parere alla Commissione plenaria -
accordandosi sul seguente
inserimento al n. 10: «Quod quidem Magisterium... ea omnia ex hoc uno fidei deposito haurit quae tamquam
divinitus revelata credenda proponit; non autem ex S. Scriptura omnis doctrina catholica directe demonstrari
potest. Patet igitur etc.».
Una nota avrebbe spiegato il senso di directe, e cioè: «in oppositione ad indirecte, quia
in ipsa S. Scriptura docetur Sacrum Magisterium Ecclesiae». In tal modo s'intendeva assicurare il
valore costitutivo della Tradizione, apparendo chiaro, dai termini usati, che il deposito della fede non si
riteneva contenuto nella sola Scrittura.
In un secondo momento, si stimò meglio che l'aggiunta venisse fatta al n. 9, ed in tal senso, infatti, si
provvide nel preparare il testo dattiloscritto dell'expensio modorum da sottoporre alla Commissione
dottrinale in adunata plenaria. L'aggiunta, presentata come sostanzialmente concordante con la proposta dei 111
Padri, diceva: «quo fit ut non omnis doctrina catholica ex Sacra Scriptura directe probari
queat»; ed era giustificata: «proponitur ut admittatur praedicta additio de qua omnes
concordant, et in qua subtiliores quaestiones vitantur. Omnia autem indirecte ex
Scriptura demonstrari possunt, in quantum Scriptura aperte docet existentiam Magisterii et indefectibilitatis
Ecclesiae».
Nelle adunanze plenarie della Commissione dottrinale, svoltesi, il 1°, il 4 ed il 6 ottobre, la discussione
su questo punto dovette essere piuttosto intricata e, qualche volta, accalorata. Ciò per la
diversità dei pareri, specialmente su tre punti fondamentali: cosa dire, dove e come dirlo.
Come prima cosa non fu approvato il ritocco suggerito per il n. 9; probabilmente non dovette sfuggire che esso
presentava l'inconveniente di optare per una soluzione: o per quella secondo cui tutto, almeno indirecte,
si può provare dalla Scrittura; o per la sentenza opposta, in quanto la spiegazione data in nota alla
parola indirecte (nel senso che tutto può essere provato dalla Scrittura in quanto questa
apertamente insegna l’esistenza del Magistero e l’indefettibilità della Chiesa) sembrerebbe
insinuare esserci delle verità contenute esclusivamente nella Tradizione, senza alcun fondamento vero e
proprio nella Scrittura.
Non più felice fu il tentativo di inserire un’aggiunta chiarificatrice al paragrafo seguente (n.
10). Il 4 ottobre, è vero, la Commissione si era pronunziata favorevolmente, con voto, circa la
opportunità dell’aggiunta, anzi con una seconda votazione ne aveva prescelto, fra quattro, anche la
formulazione che sembrava migliore:
«Sacrae Scripturae complexum mysterii christiani referunt, quin omnes veritates revelatae in eis
expresse enuntientur»[2]. Ma due giorni dopo la formula venne respinta. Pare doversi collocare a questo
punto - e si spiegherebbe, così, l’atteggiamento della Commissione - la richiesta di qualcuno che,
dopo aver trovato poco chiara la formula già approvata, sostenne energicamente doversi inserire fin dal
principio, cioè fin dal n. 9, la chiara affermazione della dottrina sulla duplice fonte. Lo stato di
tensione creatosi in seguito a tale richiesta avrebbe facilitato la decisione di accantonare ogni mutamento.
Tanto più che, già in antecedenza, c’erano in proposito due tendenze nella Commissione.
Mentre alcuni, cioè, facendo appello al discorso pontificio del 21 novembre 1964[3], estendevano soprattutto a questo caso
l’accenno fatto dal Papa ai dubbi esistenti in materia, altri affermavano che il testo della costituzione,
così come stava, era stato approvato in congregazione generale a forte maggioranza, e che quindi la
Commissione non aveva il potere di cambiarlo. In altre parole, costoro, non volevano turbare
quell’equilibrio domandato fin dal principio dai Padri conciliari e raggiunto così faticosamente
riconoscendo l’importanza ed il valore della Tradizione, ma astenendosi dall'affermare che la sua maggiore
ampiezza di contenuto rispetto alla Scrittura si riferisse alla quantità numerica della realtà
trasmessa: mai, infatti, nel testo la Scrittura era presentata come la codificazione di tutta la rivelazione, e
si era anche evitato di presentare la Tradizione come un supplemento quantitativo della Scrittura, ad eccezione
di quanto riguarda il canone dei libri sacri. Meglio, perciò, non turbare l'equilibrio.
Ecco perché, nelle prime bozze a stampa della expensio modorum, troviamo che, quanto all'aggiunta
al n. 9, si risponde: «Additio non admittitur»; ed a quella proposta per il n. 10 si dice
parimente: «Post longiorem disceptationem Commissio statuit nihil huiusmodi addendum esse in
textu». E si spiegava: «Cum Commissio nostra a praecedenti et iam notissima positione
nullatenus recedere intenderit, textum substantialiter immutatum censuit esse servandum». E così
il testo precedente, nonostante i modi suggeriti, non venne toccato.
Tutto ciò provocò non piccolo disappunto specialmente in quelli che, dentro o fuori della
Commissione, non erano riusciti ad ottenere che nei due paragrafi qui ricordati fosse più chiaramente ed
esplicitamente messo in evidenza il ruolo anche «costitutivo» della Tradizione nel complesso del
deposito della rivelazione. Forse proprio in questi momenti si cominciò a pensare, ed in certo modo anche
a richiedere, un qualche intervento personale del Papa, per correggere quelli che si giudicavano gravi difetti
nella stesura del testo, ma che pure erano stati approvati dalla maggioranza della Commissione, con voto, al
termine di serie discussioni. Ci si dichiarava pronti a ritornare sull'argomento convocando di nuovo la
Commissione, la quale avrebbe potuto far propri i suggerimenti ricevuti e come tali proporli ai Padri conciliari.
Si prospettò pure, discretamente, sebbene in forma ipotetica, la possibilità di un documento
analogo alla Nota praevia, da far pervenire direttamente alla Commissione per metterla in grado di
presentare in aula un testo già perfezionato.
Personalmente, anche il S. Padre parve inclinare alla convenienza che, nella maniera e nel punto più
adatto dello schema, si dicesse chiaramente e più esplicitamente qualcosa della natura costitutiva della
Tradizione, quale fonte della rivelazione. Almeno Così sembrava discretamente insinuare una citazione
tratta da sant'Agostino[4], da
lui fatta trasmettere, il 24 settembre, alla Commissione. Ma può darsi anche che la cosa non eccedesse la
portata di un semplice invito - com’era accaduto in altri casi ed in circostanze analoghe - a considerare
la questione tenendo presente anche l’autorità del testo che veniva segnalato in spirito di
collaborazione e non d’imposizione. Ad ogni modo, puntualmente trasmesso a chi di dovere, questo testo -
non si comprende bene il perché - non venne mai mostrato e notificato alla Commissione.
In quei giorni intanto (siamo già a cavallo tra la prima e la seconda settimana d’ottobre), e poi
ancora in quelli successivi, voci diverse giungevano al Santo Padre. Alcuni si lagnavano dell’atteggiamento
assunto dalla Commissione; altri si facevano portavoce delle ansietà provocate dal modo insoddisfacente
con cui
la Commissione dottrinale avrebbe trattato alcuni punti, ed invocava un intervento autoritario e chiarificatore
del Papa. C’era, invece, chi lo rassicurava che il testo del 2° capitolo, in cui appunto si conteneva
il n. 9; era buono, senza rischio di interpretazioni nocive. Un porporato, particolarmente competente in materia,
suggeriva una via, che sarà poi quella effettivamente seguita. Egli proponeva di riconsiderare con ogni
attenzione la necessità o almeno l’opportunità di dire esplicitamente, accedendo alla
motivata richiesta di un notevole numero di Padri, che non ogni dottrina cattolica si può provare dalla
sola Scrittura. Si sarebbe trattato, in fin dei conti, di ulteriormente precisare - lasciata da parte la
questione della quantità numerica - che la Tradizione ci dà una più esplicita e completa
manifestazione della rivelazione divina, fino al punto che essa può, in alcuni casi, essere determinante
per averne l’esatta conoscenza e comprensione. Un’affermazione del genere, si faceva pure notare, era
del tutto in armonia col testo, a cui, senza intaccare la sostanza, avrebbe portato un utile completamento.
Inoltre, la formula proposta (quo fit ut non omnis doctrina catholica ex sola S. Scriptura probari queat) aveva
il vantaggio d’essere in linea con il Concilio di Trento,
secondo l’interpretazione da tutti ammessa e convalidata dalla prassi costante della Chiesa[5]; e finalmente, mentre affermava
l’insufficienza della S. Scrittura sul piano gnoseologico, lasciava aperta la questione
dell’insufficienza della medesima sul piano propriamente costitutivo: in altre parole, si sarebbe
espressamente affermato con essa che non ogni dottrina cattolica si può provare dalla sola Scrittura e,
quindi, che bisogna ricorrere anche alla Tradizione, ma non si sarebbe escluso che qualche dottrina cattolica sia
contenuta soltanto nella Tradizione.
Prima di stabilire se riconvocare o no la Commissione dottrinale, magari allargandola con l'apporto di nuovi
pareri, il Santo Padre andava maturando la propria decisione. Volle, per esempio, sapere quale fosse stata, in
concreto, l'attività della speciale Commissione mista (Comm. dottrinale, Segret. per l'unione e altri 6
membri) istituita da Giovanni XXIII per riesaminare e rielaborare congiuntamente il testo dello schema sulla
rivelazione. Seppe, così, che ufficialmente là competenza della revisione era rimasta mista e che
lo schema discusso in aula nel1964 aveva ricevuto anche l'approvazione del Segretariato, al quale la Segreteria
generale non aveva mai mancato di far pervenire le osservazioni dei Padri,così com'era stato fatto con la
Commissione dottrinale. In seguito, però, col tacito consenso del Segretariato, che non aveva mai
sollevato eccezione alcuna, dell'ulteriore revisione s'era interessata unicamente la Commissione dottrinale.
Il 12 ottobre 1965, le questioni concernenti lo schema De divina revelatione formarono oggetto di un
colloquio fra il Papa e i cardinali Moderatori. Qualche giorno dopo, il 14 ottobre, uno di essi esponeva anche
per iscritto al Santo Padre il proprio avviso, mettendo in luce i diversi motivi che inducevano a giudicare
favorevolmente la soluzione di equilibrio tenuta dallo schema e adottata dalla Commissione, la quale aveva agito
nella misura del mandato ricevuto da una preponderante maggioranza conciliare. Se, per tranquillizzare ogni
ansietà, si ritenesse ancora necessario dire qualcosa di più nel testo, si potrebbe aggiungere
che, indubbiamente, non tutta la verità cattolica si può con certezza attingere dalla sola
Scrittura senza l'aiuto della Tradizione e del Magistero. Questa soluzione avrebbe sostanzialmente ribadito la
posizione cattolica di fronte a quella protestante, senza toccare questioni ancora discusse tra i cattolici ed in
cui il Concilio non aveva voluto addentrarsi; avrebbe lasciato la via aperta ad ulteriori indagini; senza mettere
in minoranza, per così dire, nessuna delle sentenze tenute dagli studiosi, ma senza imporre neppure un
peso non necessario alla difesa della verità cattolica e dell'importanza della Tradizione.
È probabile che questo nuovo parere, che coincideva con quello dell'altro cardinale, abbia rassicurato il
Santo Padre a procedere sulla via che gia riteneva doversi intraprendere, anche perché, nel frattempo,
aveva fatto consultare altri teologi[6], ricevendone parere favorevole sia circa la convenienza di una qualche aggiunta al
testo, sia circa, la bontà delle formule proposte[7]. Il 14 ottobre, il Papa dispose che fosse recapitato alla Commissione un appunto,
già preparato il giorno 12, contenente i suggerimenti fatti dal primo dei due cardinali di cui
s’è detto. Il 17 ottobre fu presa la decisione definitiva e ne venne subito data comunicazione al
Presidente della Commissione dottrinale con lettera del Segretariato di Stato (18 ottobre): pur riconoscendo, con
gratitudine e apprezzamento il lavoro compiuto, il Santo Padre disponeva che la Commissione fosse ancora una
volta convocata per un nuovo riesame dello Schema De divina rivelazione. Con le osservazioni che venivano
accluse, non si intendeva alterare sostanzialmente né lo schema stesso né l’opera della
Commissione, sì bene perfezionarla in alcuni punti di grande importanza dottrinale, in modo da poter
tranquillamente procedere, in tema di tanta responsabilità davanti alla Chiesa e alla propria coscienza,
all’approvazione richiesta per la promulgazione del relativo decreto. Il Santo Padre desiderava
altresì, che alla prossima riunione della Commissione fosse invitato anche il Card. Bea, presidente del
Segretariato per l’unione dei cristiani che già faceva parte, in qualità di co-presidente,
della speciale Commissione mista istituita da Giovanni XXIII.
Circa il punto specifico di cui ci occupiamo, il Santo Padre chiedeva alla Commissione di voler
benevolmente, ma liberamente considerare l’opportunità di perfezionare il testo
relativo alla Tradizione, senza però alterarlo, integrandolo con l’aggiunta di una delle 7 formule
proposte o di altra equipollente, le quali, oltretutto, sembravano incontrare l'approvazione anche di
rappresentanti qualificati della cosiddetta maggioranza.
La commissione si riunì nel pomeriggio del 19 ottobre, alle 16.30, nella sala delle congregazioni, in
Vaticano, per essere messa a conoscenza della lettera del Segretario di Stato al Cardinale Presidente Ottaviani,
e per redigere i testi dei passi controversi da sottoporre all'approvazione del Papa prima di trasmetterli, per
la stampa, alla Segreteria Generale.
Data lettura del documento pontificio, di cui, per altro, ciascuno aveva avuto copia, si passò ad
esaminare il quesito circa i rapporti tra Scrittura e Tradizione. Prese la parola il card Bea, il quale, a titolo
personale, non avendo prima consultato i membri del Segretariato, illustrò brevemente
l’opportunità di completare il testo del n. 9 con una delle formule proposte, tra le quali disse di
preferire la terza.
Venuti ad una prima votazione indicativa delle preferenze, i 28 voti dei presenti si divisero così tra le
7 formule proposte[8]: 5 alla
prima; nessuno alla seconda; 16 alla terza; 1 alla quarta; 2 alla quinta; 1 alla sesta; 2 alla settima. La
seconda votazione di ballottaggio tra la 1ª e la 3ª formula, diede a quest'ultima 19 voti, cioè
esattamente i due terzi; 8 alla prima, e 1 voto alla quinta.
Questo fu il cammino, attraverso il quale l'emendamento da noi esaminato si inserì nello schema, a
maggiore chiarificazione di questo.
Il secondo punto che suscitò fra i Padri riserve maggiori fu quello in cui si toccava la delicata
questione dell’inerranza biblica o, come si dice oggi abbastanza comunemente, della
«verità» della Bibbia. Ecco a raffronto, il testo di partenza e quello di arrivo:
Testo emendato
«Cum ergo omne id, quod auctor inspiratus seu hagiographus asserit,
retineri debeat assertum a Spiritu Sancto, inde Scripturae libri integri cum omnibus suis partibus veritatem
salutarem inconcusse et fideliter, integre et sine errore docere profitendi sunt» (n. 11):
Testo definitivo
«Cum ergo omne id, quod auctores inspirati seu hagiographi asserunt,
retineri debeat assertum a Spiritu Sancto, inde Scripturae libri veritatem, quam Deus nostrae salutis causa
Litteris Sacris consignari voluit, firmiter, fideliter et sine errore docere profitendi sunt ».
Alla prima votazione sul n. 11 del testo emendato, il 21 settembre 1965, i non placet furono 56,
classificando così al secondo posto nell’ordine dei suffragi negativi il paragrafo ch’era
stato oggetto della votazione. Dei 324 placet iuxta modum collezionati dall’intero capitolo, circa
200 e forse più si appuntavano sulla espressione «veritatem salutarem»: 184 Padri
proponevano di eliminare l’aggettivo «salutare»; 76 lo volevano sostituito dall’una o
l’altra espressione giacché, così come stava, sembrava restringere l’inerranza della
Scrittura alle sole cose di fede e di morale. Altri, infine, approvavano l’espressione, ma chiedevano che
ne fosse ben determinato il senso, apponendovi, in nota, il riferimento a quei documenti pontifici in cui si
ritrovano le stesse parole e nel giusto senso, aggiungendovi pure le seguenti parole di sant’Agostino,
secondo cui «Spiritum Dei qui per illos loquebatur, noluisse ista (scilicet intimam adspectabilium rerum
constitutionem) docere homines, nulli saluti profutura» (De Gen. ad litt. 2, 9; PL 34,
270).
Tutti questi Padri, in fondo, non trovavano l’espressione sufficientemente precisa, nonostante che la
Commissione, prevenendo la difficoltà, si fosse premurata di spiegarla ampiamente: «È
sembrato alla Commissione di dover aggiungere l’aggettivo salutarem alla parola veritatem,
perché con esso s’intendono pure i fatti che nella Scrittura sono connessi con la storia
della salvezza». Con tutto ciò più d’uno, nel criticare questo punto, vi scorgeva
senz’altro un’eco di quelle veritates salutares (al plurale), di cui in realtà il testo
non parlava, essendo l’espressione ben diversa da quella di fatto usata, al singolare.
Discusse le proposte di emendamenti, queste non vennero accettate né dall’apposita sottocommissione
né dalla Commissione, dandosene questa motivazione inserita nella expensio modorum (bozze) e,
sostanzialmente, anche nella Relazione che doveva accompagnarla in aula: «Voce “salutaris”
nullo modo suggeritur S. Scripturam non esse integraliter inspiratam et verbum Dei... Haec expressio
nullam inducit materialem limitationem veritatis Scripturae, sed indicat eius specificationem
formalem, cuius ratio habeatur in diiudicando quo sensu non tantum res fidei et morum atque facta cum
historia salutis coniuncta… sed omnia quae in Scriptura asseruntur sunt vera. Unde statuit
Commissio expressionem esse servandam». Nello stesso tempo, in nota, si aggiungevano citazioni di
sant’Agostino, di san Tommaso e del Tridentino alle due già esistenti di Leone XIII (enc.
Providentissimus) e di Pio XII (enc. Divino afflante)[9].
Al Santo Padre vennero trasmessi, il 12 ottobre, un appunto in proposito, ed il giorno 14 tutto il fascicolo, in
bozze, della expensio modorum. Ma la decisione della sottocommissione e della Commissione doveva essere
già largamente trapelata, perché fin dall’8 ottobre, per tramite di un eminentissimo
cardinale, un gruppo di Padri, probabilmente quegli stessi che avevano proposto di espungere l’espressione
discussa, faceva giungere al Pontefice un memoriale. Il documento affermava che la formula «veritas
salutaris» era stata volutamente introdotta per restringere l’inerranza alle sole cose
soprannaturali, riguardanti la fede e i costumi; che essa contrastava apertamente con l’insegnamento
costante della Chiesa; che avrebbe aperto il campo all’audacia degli esegeti; che, se ammessa, avrebbe
inferto un colpo gravissimo alla vita della Chiesa, ecc. Anche la condotta e l’operato della
sottocommissione vi veniva duramente giudicato: essa non avrebbe tenuto in debito conto le osservazioni dei
Padri; non avrebbe detto chiaramente il numero degli oppositori; avrebbe risposto in maniera confusa alle
argomentazioni contrarie; non aveva introdotto, nella nota, i testi più importanti del Magistero
pontificio, che pure erano stati inseriti nel modo presentato dai 184 Padri, ecc.
Altre voci giunte al Papa per vie diverse, spontaneamente o sollecitate, presentavano tutta la gamma degli
apprezzamenti: alcuni avanzavano numerose riserve sull’uso della formula, sulla sua fondatezza, sulla sua
concordanza col Magistero ecclesiastico, sulla leggerezza con cui avrebbero potuto servirsene gli esegeti di
fronte alle difficoltà, sulla validità dei motivi addotti per il mantenimento di quelle parole nel
testo. Qualcuno diceva di guardare con apprensione alla formula, soprattutto per l’interpretazione che
poteva esserne data, anche se a torto; al contrario, altri la ritenevano accettabile, specialmente alla luce dei
riferimenti all’insegnamento di Leone XIII contenuti in nota. C’era chi, rifacendosi pure ad un
parere dell’Istituto Biblico ed all’avviso di quasi tutti gli esegeti della Commissione dottrinale,
trovava che la formula era opportuna, in accordo con le precedenti decisioni del Magistero, tale da segnare un
progresso nell’esposizione teologica del problema e da rasserenare la coscienza degli esegeti. Altri,
infine, ritenevano che la formula non fosse da respingere, ma da spiegare, tanto più che essa, introdotta
nel testo dopo la discussione pubblica dell’anno precedente (1964), non era stata adeguatamente proposta ed
esaminata dai Padri.
Dopo avere ancora riflettuto per qualche giorno, il 17 ottobre 1965 Paolo VI faceva scrivere dal Segretario di Stato al Presidente della Commissione dottrinale la lettera sopra ricordata, che reca la data del giorno seguente. A proposito della «veritas salutaris», la Commissione era invitata a voler «considerare con nuova e grave riflessione la convenienza di omettere nel testo l’espressione veritas salutaris, espressione relativa all’inerranza della Sacra Scrittura. La perplessità del Santo Padre, a questo riguardo, è maggiore che per l’osservazione precedente [rapporti tra Scrittura e Tradizione], sia perché si tratta di dottrina ancora non comune nell’insegnamento biblico teologico della Chiesa, sia perché non pare che la formula sia stata abbastanza discussa nell’aula conciliare, e sia perché, a giudizio di autorevolissime persone competenti, tale formula non è scevra dal pericolo di cattiva interpretazione. Sembra prematuro che il Concilio si pronunci sopra questo problema tanto delicato. I Padri ora non sarebbero forse in grado di giudicarne la portata e la possibile abusiva interpretazione. Non si preclude, con l’omissione, lo studio successivo della questione».
La Commissione a cui era lasciato di formulare un testo più appropriato, si riunì, come
s’è detto, il 19 ottobre. Anche su questo punto il card. Ottaviani diede la parola al card. Bea.
Questi espose la propria opinione sulla inopportunità della formula «veritas
salutaris», adducendo molti argomenti specialmente dal Magistero ecclesiastico, e mostrando come alcuni
avrebbero potuto abusare dell’espressione per restringere l’inerranza alle sole cose di fede e di
morale, in contrasto con la verità e nonostante le esplicite spiegazioni fornite dalla Commissione. Il
card. Bea fece proprie anche le ragioni addotte nella lettera pontificia, notando, inoltre, che la formula in
questione non era stata neanche decisa nella riunione della speciale Commissione mista per lo schema De divina
revelatione, ma era stata aggiunta dopo.
Terminata l’esposizione del card. Bea, si passò subito alle operazioni di voto, sul duplice quesito:
«an formula omittatur, an maneat textus». I presenti erano 28, e perciò la maggioranza
richiesta dei due terzi era 19. Per tre votazioni successive, a motivo di alcune astensioni o schede bianche,
nessuno dei due quesiti raggiunse la maggioranza richiesta:
1ª vot. omittatur 17 maneat 7 astenuti 4
2ª vot. omittatur 18 maneat 7 astenuti 3
3ª vot. omittatur 17 maneat 8 astenuti 3
Dopo la prima votazione fu sollevato un dubbio sul modo di computare la maggioranza: ci si doveva basare sul
numero dei voti validamente espressi (secondo quanto stabilisce il diritto canonico, can. 101, § 1) o sul
numero dei presenti, come stabilisce il Regolamento[10]? Con il presupposto, rivelatosi poi esatto, che bisognava stare al Regolamento,
si ritenne di dover procedere alle altre votazioni, nelle quali la proposta favorevole al mantenimento del testo
guadagnò, anzi, leggermente terreno. Stabilizzatesi, però, le rispettive posizioni in seno alla
Commissione, si tentò di uscire dalla strettoia proponendo una formula conciliativa: sostituire,
cioè, la parola «salutarem» con un’espressione equivalente, ma che asserisse
senza possibilità di equivoco essere infallibilmente vero tutto ciò che, mediante la Scrittura,
Iddio ha voluto insegnarci per la nostra salvezza[11]: «veritatem, quam Deus nostrae salutis causa litteris sacris consignari
voluit».
Esaminata e ritenuta accettabile, la formula venne votata, riscotendo il favore di 19 placet contro 9
non placet, cioè la richiesta maggioranza di due terzi. A questo punto, però, fu di nuovo
sollevata la questione sul modo, secondo cui si sarebbe dovuto computare la maggioranza: se si fosse seguita la
norma del diritto canonico, doveva ritenersi valida la prima votazione, quella cioè in cui la maggioranza
dei votanti aveva respinto la parola «salutarem» senza optare per qualcosa di
equivalente: di conseguenza, in questa ipotesi, tutte le altre votazioni, compresa l’ultima, erano da
considerarsi nulle. Secondo altri, invece, le prime tre votazioni non avevano raggiunto la maggioranza dei due
terzi dei presenti, secondo quanto prescrive il Regolamento; tale maggioranza, invece, s’era avuta
nella quarta votazione, che perciò doveva considerarsi l’unica valida. Non essendo la cosa del tutto
chiara, si decise, lì per lì, di deferirla al Tribunale Amministrativo, ma poi non si diede seguito
al ricorso.
In tal modo anche quest’emendamento entrò senza altre contestazioni, nel testo definitivo, approvato
poi dal Concilio.
Il terzo emendamento apportato in extremis al testo della costituzione dommatica sulla rivelazione (cap.
v, n. 19) riguardava un altro punto molto delicato: quello della storicità dei Vangeli. Ecco, al solito,
il confronto fra i due testi:
Testo emendato
«Evangeliorum indoles historica,
«Sancta Mater Ecclesia firmiter et costantissime tenuit ac tenet quattuor recensita Evangelia vere tradere
quae Iesus, Dei Filius, vitam inter homines degens, ad aeternam eorum salutem reapse et fecit et docuit.
«...Auctores autem sacri quattuor Evangelia conscripserunt… ita semper ut vera et sincera de
Iesu nobis communicarent» (n. 19).
Testo definitivo
«Sancta Mater Ecclesia firmiter et costantissime tenuit ac tenet quattuor recensita Evangelia, quorum
historicitatem incunctanter affirmat, fideliter tradere quae Iesus, Dei Filius, vitam inter homines degens,
ad aeternam eorum salutem reapse fecit et docuit, usque in diem qua assumptus est.
«...Auctores autem sacri, quattuor Evangelia conscripserunt... ita semper ut vera et sincera de Iesu nobis
communicarent ».
Nelle votazioni del 22 settembre 1965, il n. 19 riportò, fra tutti, il numero più alto di non
placet: 61; mentre l’intero Cap. V, nel suo insieme, assommò 313 placet iuxta modum. Le
più numerose proposte di emendamento riguardavano appunto il n. 19, verso la fine, là dove si
diceva «ut vera et sincera». L’espressione era ritenuta insufficiente giacché, si
argomentava, secondo un altro punto dello schema (n. 12), in cui era detto «veritas seu id quod auctor
asserere voluit», davasi ansa a concludere potersi dir vera anche una cosa non reale, che
l’autore intendesse asserire; ed anche la sincerità denotava solo l’assenza di dolo in
una narrazione che, per sé, potrebbe essere perfino fantastica. In altre parole, secondo questi Padri, non
si affermava inequivocabilmente il carattere storico dei Vangeli. Si suggerivano, perciò, delle
precisazioni.
Anche in questo caso, la Commissione non ritenne di dover accedere alle richieste, dandone queste
giustificazioni: a) l’aggiunta della parola «storica» qui non otterrebbe l’effetto
sperato; b) si dicono vere quelle cose che concordano con la realtà del fatto; c) la confusione che
poteva derivare dall’espressione «veritas seu id quod auctor asserere voluit» era stata
eliminata, modificando tale frase; d) infine, la parola «sincera» completava l’altra
(vera), come elemento soggettivo che completa quello oggettivo.
Questa decisione e la sua motivazione vennero portate a conoscenza del Santo Padre intorno al 14 ottobre, ma a
tale data il Papa già divisava doversi di nuovo far presente alla Commissione la necessità di
riesaminare quel punto del testo, sembrando insufficienti le sole affermazioni di esso, giacché,
nonostante tutte le spiegazioni, la parola «sincera» avrebbe potuto essere interpretata con
qualche indeterminatezza (sincerità può attribuirsi, soggettivamente, ad ogni onesto), mentre
quando si dice che un racconto è degno di fede storica, ben altro valore, più preciso ed
esplicito, si attribuisce alla sua testimonianza.
Il 17 ottobre il Papa faceva preparare la lettera a cui s’è più volte accennato, chiedendo
che la veridicità storica dei Vangeli fosse espressamente difesa mediante la formula: «vera seu
historica fide digna» invece dell’altra «vera et sincera». «Sembra
infatti – si leggeva nella lettera suddetta – che la prima non garantisca la storicità reale
dei Vangeli; e su questo punto, com’è ovvio, il Santo Padre non potrebbe approvare una formula che
lasciasse dubitare della storicità di questi santissimi Libri».
Nella riunione della Commissione, il 19 ottobre, il card. Bea venne ascoltato anche su questo punto, ribadendo la
inopportunità della formula «vera et sincera» e sostenendo quella proposta dal
Pontefice. Da altri, però, fu fatto notare che, in quei termini ed in quel contesto, neppure la nuova
formula avrebbe eliminato la difficoltà, poiché molti protestanti, specialmente il Bultmann ed i
suoi seguaci, intendono a modo loro la fides historica, identificandola con l’atto del credente che
proietta la sua esperienza esistenziale su una narrazione fittizia, da cui, poi, è compito del dotto
esegeta espungere ogni elemento mitico. Perciò, a riaffermare senza equivoci la storicità dei
Vangeli, alla cui luce, quindi, avrebbero dovuto anche intendersi il «vera et sincera», si
proponeva di inserire nello stesso paragrafo, ma poco più sopra, una chiara attestazione in proposito.
Questa soluzione, che racchiudeva la sostanza e lo scopo dell’emendamento proposto dal Pontefice, fu
approvata con 26 voti favorevoli e 2 contrari. E così è passata nel testo definitivo.
I fatti sopra riportati suggeriscono alcune riflessioni.
La prima riguarda la Commissione dottrinale, al cui lavoro paziente e diuturno si deve un testo veramente
importante, nel quale saggiamente si contemperano la sicurezza della dottrina, il dosato equilibrio tra il certo
e l’opinabile, la sollecitudine di non dirimere questioni ancora legittimamente discusse, il rispetto per
la libera ricerca da parte degli esegeti[12]. La Commissione ha lavorato con serenità, senza indebite pressioni,
avvalendosi rispettosamente fino all’ultimo della libertà ad essa lasciata nella scelta, nelle
decisioni, nelle votazioni.
A confortare il lavoro della Commissione – è questa la seconda cosa da notare – ha grandemente
giovato il costante e fattivo interessamento del Santo Padre, che ha voluto seguire con attenzione i lavori,
specie negli ultimi momenti particolarmente delicati e risolutivi. L’azione del Papa nei riguardi della
Commissione è stata, anzitutto, sommamente rispettosa e delicata, informandola e facendo in modo che
tenesse presente anche le osservazioni che a lui pervenivano. Proponendo ad ulteriore esame alcuni emendamenti,
non mancava di far rilevare che non intendeva «alterare sostanzialmente né lo schema stesso
né l’opera della Commissione, sì bene perfezionarla in alcuni punti di grande importanza
dottrinale».
Nelle missive inviate, in suo nome, alla Commissione, ritornano continuamente espressioni come queste: «Il
S. Padre ritiene opportuno…; la Commissione voglia benevolmente, ma liberamente considerare
l’opportunità…; voglia considerare con nuova e grave riflessione la convenienza…; il
Santo Padre crede di dover pregare che l’espressione…; il Santo Padre confida d’incontrare
nella Commissione la comprensione ch’essa ha riservato ad ogni altro autorevole suggerimento dei Padri del
Concilio…» ecc. Se invita la Commissione a riunirsi nuovamente, lo fa sembrandogli ciò
«il modo anche più chiaro e deferente per mettere la Commissione stessa a conoscenza di tutti gli
elementi utili al lavoro che le è assegnato».
La delicatezza del Santo Padre si manifesta altresì nelle lodi attribuite al lavoro della Commissione,
come pure nelle parole di ringraziamento espresse, a volte anche personalmente, per lettera a quanti gli facevano
pervenire note e suggerimenti.
Gli interventi pontifici – ed è questa la terza osservazione – furono sempre improntati a
grande prudenza. Questa gli suggeriva di rendersi personalmente conto delle questioni, studiando, consultando o
facendo interrogare persone competenti, leggendo e spesso postillando le carte pervenutegli. In tal modo i suoi
interventi furono ben ponderati, alieni dal voler risolvere d’autorità questioni ancora immature,
pronunziandosi per l’una o per l’altra parte; furono interventi studiati ed abbondantemente motivati.
E tra questi motivi, di ordine eminentemente dottrinale e pastorale, non si scorge la preoccupazione di cercare
una conciliazione ad ogni costo fra maggioranza e minoranza. La maggiore vastità possibile di consensi la
si ricerca, ma intorno alla solidità e chiarezza della dottrina.
Nel compiere questi passi, il Santo Padre era pure guidato da un vivo senso di responsabilità
«davanti a Dio e alla sua coscienza», impostogli dall’alto ufficio affidatogli. Tra i Padri
conciliari, faceva scrivere nella citata lettera del 18 ottobre alla Commissione dottrinale, il Papa
«anch’egli si considera non solo chiamato a ratificare o disapprovare le loro deliberazioni, ma
altresì a collaborare, affinché siano degne della comune approvazione». Nello stesso senso
aveva scritto, in pari data, ad un insigne personaggio fattosi portavoce di un certo allarmismo diffusosi circa
gli interventi pontifici, e di alcuni timori secondo i quali questi passi, gratuitamente ritenuti una forma di
coercizione morale sul Concilio e sulla Commissione, avrebbero recato grave danno al prestigio della Chiesa e del
Concilio, specialmente nei paesi anglosassoni ed in America, dove gli animi – si diceva ancora – sono
particolarmente sensibili ad ogni violazione di Regolamento.
«…Desideriamo subito farle sapere – scriveva il Papa – che è davvero nostra
intenzione di invitare la Commissione conciliare de doctrina fidei et morum a voler considerare
l’opportunità di perfezionare alcuni punti dello schema de divina revelatione, stimando
nostro dovere raggiungere un grado di sicurezza dottrinale, che ci consenta di associare la nostra approvazione a
quella dei Padri conciliari.
«E pensiamo anche che questo nostro intervento presso la Commissione conciliare sia perfettamente regolare,
essendo nostro ufficio non solo ratificare o respingere il testo in questione, ma quello altresì, come
ogni altro Padre conciliare, di collaborare al suo perfezionamento con opportuni suggerimenti… Sembra
questo il modo anche più chiaro e deferente per mettere la Commissione stessa a conoscenza di tutti gli
elementi utili al lavoro che le è assegnato. Ci consenta, pertanto, di rilevare che nessuna offesa
è recata all’autorità del Concilio, come Ella invece sospetta, ma piuttosto doveroso
contributo all’esercizio delle sue funzioni.
«Quanto, poi, al rispetto alla libertà del Concilio e all’osservanza della norma stabilita,
nulla può far più piacere a noi quanto veder richiamati questi principi, cari non meno agli
anglosassoni che ai romani. Essi hanno avuto nel Concilio la più rigorosa osservanza».
Valgono queste note a farci apprezzare, una volta di più, l’azione moderatrice, forte e soave nello
stesso tempo, esercitata da Paolo VI. Insieme coi Padri conciliari, al loro fianco e come loro guida,
nell’esercizio delicato del confirma fratres tuos (Lc. 22, 32), egli è stato lo strumento
dello Spirito Santo per assicurare alla Chiesa una fioritura di testi conciliari ricchi di saggezza e di dottrina
sicura.
E valgono pure queste pagine a far comprendere quanta doverosa cautela deve guidare la penna di chi affronta
certi argomenti.
Em.mus HAMLETUS IOANNES Card. CICOGNANI
Secretarius Status
Segreteria di Stato
di Sua Santità
N. 56256
Ex Aedibus Vaticanis, die 18 octobris 1965
Em.me ac Rev.me Domine,
Omni qua par est sedulitate tecum communico, Augustum Pontificem summopere exoptare, ut ista Commissio «De
doctrina fidei et morum» iterum convocetur ad Schema «De divina Revelatione» denuo
accuratiusque examinandum.
Qua data occasione, Beatissimus Pater de peracto ad hunc diem labore gratum animum Suum cupit, atque ob exitus,
qui exinde consecuti sunt, eandem Commissionem merita laude et gratulatione prosequitur; neque Eidem est
voluntas, ut per animadversiones quae infra enumerantur, vel ipsum Schema re penitus immutetur vel Commissionis
opera minuatur, sed potius ut ipsa ad perfectiorem formam reducantur in aliquibus partibus, quae maximi momenti
sunt ad doctrinam quod attinet: ita ut, in tantae gravitati quaestione, ut Ipse eam arbitratur sive coram
universa Ecclesia sive coram propriae conscientiae iudicio, Christi Vicarius certo existimet Concilii Patres
probationem daturos esse, quae ad Decretum promulgandum requiritur.
Quam ob rem Sanctitati Suae videtur, ut Commissio benevolenti sed libero animo consideret, nonne magis opportunum
existimetur, ut textus de Traditione perpoliatur: et hac quidam ratione, ut Schematis textui (ad paginam 16
lineam 13, post verba: atque diffundant) una e formulis, quae in adiuncta pagina proponuntur, vel alia
idem significans formula adiciatur. His enim formulis ii etiam assensum ac suffragium praestaturi esse censentur,
qui in maiore Concilii parte pollent.
Matura quoque atque impensa cogitatione Commissio consideret, nonne oporteat, in textu verba veritas
salutaris omittantur, quae ad Bibliorum Sacrorum inerrantiam attinent. Hac in re Augustus Pontifex magis
dubitans haeret quam in praecedenti animadversione, sive quia de doctrina agitur, quae in biblico et theologico
Ecclesiae magisterio nondum communis existimatur, sive quia de commemorata formula in Concilii Aula haud satis
disputatum esse videtur, sive denique quia – virorum etiam iudicio, qui et auctoritate et rerum
intellegentia valent - ex eiusdem formulae interpretatione controversia oriri potest. Quam ob causam prematurum
esse videtur, de tam dubia quaestione Concilium agere; nam in praesens Patres iudicium ferre forsitan nequeunt de
eiusdem rei gravitate, deque eius haud recto usu, qui ex interpretatione proficiscatur. Quod si quaestio nunc
omittitur, id prorsus minime prohibet, quominus ea postea attentius acriusque perpendatur.
Postremo, Beatissimus Pater aequum esse iudicat, a Commissione postulare ut verba (ad p. 33, lineam 19) ita ut
semper vera et sincera… hisce, quae sequuntur verbis, mutentur: ita ut semper vera seu historica
fide digna… Etenim in priore formula Evangeliorum historica fides non satis constare videtur; ideoque,
ut patet, Sanctitas Sua in hoc doctrinae capite talem formulam probare nequit, quae historicam sanctissimorum
illorum Librorum auctoritatem in dubio ponat.
Beatissimus Pater spem alit, hasce animadversiones eadem facilitate et comitate a Commissione acceptum iri,
quibus omnia alia consilia, auctoritate a Concilii Patribus data, ipsa suscepit: quos inter Patres Augustus
Pontifex Sese allectum esse existimat, non modo ut eorum consulta vel rata habeat vel dissuadeat, sed etiam ut
ipsis auxiliatricem operam ferat ut Concilii placita omnium probatione censeantur digna.
Denique Sanctitati Suae cordi est, ad proximus Commissionis conventum etiam Em.mus Cardinalis Augustinus Bea
advocari, qui mixtae illi Commissioni iam interfuit, a v.m. Decessore Suo Ioanne XXIII eo consilio institutae, ut
commemoratum Schema in novam et omnibus acceptam rationem redigeretur.
Quibus tecum communicatis, omni cum veneratione et observantis me profiteor
Eminentiae Tuae
addictissimum et deditissimum
H. I. Card. Cicognani
Em.mo ac. Rev.mo Domino
D.no Alfredo Card. Ottaviani
Praesidi Commissionis de doctrina fidei et morum
Concilii Oecumenici Vaticani II
N.d.R.: Seguono gli ADNEXA con le formule proponibili per il testo del cap. II: n. 9, riportati
nell’articolo del Caprile.
Em.mus ALFREDUS Card. OTTAVIANI
Praeses commissionis de doctrina fidei et morum
Dal Palazzo del S. Offizio, 20/X/1965
Beatissimo Padre,
Qui unito rimetto a Vostra Santità un breve resoconto dei risultati dell’Adunanza della Commissione
Dottrinale, tenuta ieri nel pomeriggio, per redigere i testi dei tre passi controversi, da sottoporsi
all’approvazione di Vostra Santità, prima di trasmetterli alla Segreteria Generale del Concilio.
La breve Relazione è stata compilata da Mons. Philips; per ulteriori informazioni sono a disposizione di
Vostra Santità, in attesa della prossima Udienza, per le cose del S. Offizio.
Intanto chiedo se posso mandare i tre testi proposti alla Segreteria Generale del Concilio che li aspetta con
urgenza.
Chinato al bacio del S. Piede, imploro l’Apostolica Benedizione.
Della Santità Vostra
umil.mo obb.mo dev.mo figlio
Alfredo Card. Cicognani
ADNEXA
I
NOTULAE
de illis quae peracta sunt in Commissione Doctrinali
die 19 octobris 1965
Adunatio Commissionis Doctrinalis facta est die 19 octobris, hora 16,30, in Aula Congregationum in Vaticano,
praesente etiam Em.mo Card. Bea, ad audiendam Epistolam ab Em.mo Card. Cicognani, a secretis Status S.S. missam,
nomine Summi Pontificis, atque ad responsionem ei preparandam.
Epistula, quae a Secretario, P. Tromp, praelecta est, tres emendationes proponebat pro textu Schematis de Divina
Revelatione.
1° Prima aliquam additionem de Traditione postulabat, inserendam pag. 16, lin. 13. Septem
formulae possibiles praesentabantur, quas Em. Bea, nomine suo personali, paululum commentavit, cum aliqua
propensione versus formulam tertiam, quae sic sonabat: «quo fit ut Ecclesia certitudinem suam de omnibus
revelatis non per solam Sacram Scripturam hauriat».
Haec formula post duas suffragationes numerum requisitum suffragiorum (nempe 2/3 praesentium) obtinuit.
Exitus primae suffragationis fuit: pro formula prima: 5; pro secunda: 0; pro tertia: 16; pro quarta: 1;
pro quinta: 2; pro sexta: 1; pro septima: 2.
Exitus secundae suffragationis: pro formula prima: 8; pro formula tertia: 19, (pro formula quinta: 1).
2° Secunda observatio difficultatem opponebat contra expressionem «veritatem
salutarem», pag. 21, lin. 19-20. Hic etiam Em. Bea, suam opinionem exprimens, notavit quod quidam
hac expressione abuti possent ut merrantiam Scripturae ad solas res fidei et morum restringerent; quod tum
veritati, tum etiam menti S. Augustini contradiceret. Hic abusus ceterum tunc Textui tunc explicationi in
Expensione Modorum esplicite additae contradiceret.
Factis tribus suffragationibus, suppressio vocis “salutaris” non obtinuit suffragium 2/3 praesentium,
ad normam art. 39 § 1, Ordinis Concilii celebrandi.
Exitus fuit:pro omissionemaneatabstinentes
1a suffr.:17 7 4
2a suffr.:18 7 3
3a suffr.:17 8 3
Proposita est deinde suggestion facta in Modis a 73 Patribus, qui vocem «salutarem» delent, sed in
decursu phraseos dicunt Deum Sacram Scripturam ad nostrum salutem consignari voluisse.
Phrasis pag. 21, lin. 16 ss. tunc ita sonaret:
«Cum ergo omne id, quod auctores inspirati seu hagiographi asserunt, retineri debeat assertum a Spiritu
Sancto, inde Scripturae libri veritatem, quam Deus nostrae salutis causa litteris sacris consignari
voluit, firmiter, fideliter et sine errore docere profitendi sunt» .
Quam propositionem Em. Bea pro sua parte declaravit sibi admissibile videri.
Facta suffragatione, proposito admissa est a 19 membris contra 9.
3° Tertia observatio insistebat super necessitatem clare affirmandi historicitatem
Evangeliorum. Ad illam autem exprimendam locutio «semper vera seu historica fide digna», visa
est non convenire, quia plurimi protestantes, praesertim Bultmann eiusque sequaces, per «fidem
historicam» intelligunt actum hominis credentis, qui experientiam suam existentialem super narrationem
fictam proicit; quae narratio postea est demythizanda. Quapropter suggestum est, ut in textu n. 19, pag. 33, lin.
3 ss. dicatur:
«Sancta Mater Ecclesia firmiter et constantissime tenuit ac tenet quattuor recensita Evangelia, quorum
historicitatem incunctanter affirmat, fideliter tradere quae Iesus Dei Filius, vitam inter homines degens ad
aeternam eorum salutem reapse fecit et docuit usque in diem qua assumptus est (cf. Act. 1,
1-2)…».
Quae formula admissa est 26 suffragiis, 2 contrariis.
Quibus statutis Commissio Doctrinalis sibi visa est suggestiones ex parte Summi Pontifici factas reverenter
admisisse. Si autem haec solutio Suae Sanctitati placet, textus modo praedicto correctus statim in Expensione
Modorum consignari poterit, ita ut documentum tempestive Patribus distribui possit.
Omni qua par est reverentia, subsigno
G. Philips
secr. adi. Comm. Doctrinalis
(Dalle risposte della Commissione dottrinale ai Modi)
a) Commissio scripsit «tenuit ac tenet», quia sic melio exprimitur hanc historicitatem teneri
fide et ratione, et non tantum fide.
b) Evangelia plura alia contineri patet: omnia autem summatim continentur in verbis Act. 1, 1-2. Quapropter
compleatur haec citatio in hunc modum: «…fecit et docuit usque in diem qua assumptus est (cf. Act.
1, 1-2)». His verbis ipse Lucas indicat totum contentum sui Evangelii.
c) De uso vocis historicum, certum est quod saepius ab anterioribus Magisterii documentis adhibita est, v.
g. EB 560. Hodie tamen vox «historia» a pluribus sensu multo latiore adhibetur, v. g. etiam pro rebus
«supramundanis», quae «fide» apprehenduntur. Vox «historia» vel per
«Geschichte», vel per «Histoire» verti posset. Quapropter praeferendum
visum est realitatem factorum seu eventuum modo concreto affirmare, addendo in lin. 5 vocem
«historicitatis», quae ambiguitati non exponitur: «Sancta Mater Ecclesia firmiter et
constantissime tenuit ac tenet quattuor recensita Evangelia, quorum historicitatem incunctanter affirmat,
fideliter tradere…». Additio iuxta proprium modum scribendi singulorum Evangelistarum non
videtur necessaria, spectatis etiam quae dicuntur lineis 16-20.
(Dalla Relazione di S. Ecc. Ioannes van Dodewaard)
Num. 19
Pag. 33 lin. 5. post «quattuor recensita Evangelia» iuxta quaesitum multorum Patrum addatur:
«…quorum historicitatem incunctanter affirmat, fideliter tradere…»
[1] Il card. Bea così scriveva in proposito: «La maggioranza nel Concilio desiderava un nuovo schema, ma essa non ottenne i due terzi richiesti dai regolamenti di procedura. Intervenne il Papa e nominò una nuova Commissione mista per proporre un altro schema al riguardo; ma si prese tutta la più sollecita cura per procurare che la sua nuova Commissione speciale includesse rappresentanze di tutte le principali correnti di opinioni, rappresentate in Concilio. Infranse la lettera delle regole di procedura; egli, però, agi in questo modo solo dopo che i Padri conciliari avevano discusso liberamente e a lungo, e intervenne per render più effettiva la libera espressione di opinioni» (Unità nella libertà, Brescia 1965, p. 66).
[2] Ecco le diverse proposte: 1) «non autem omnis doctrina catholica ex sola S. Scriptura demonstrari potest»; 2) «Sacrae Scripturae complexum mysterii christani referunt, quin omnes veritates revelatae in eis expresse enuntientur»; 3) «quo fit ut Ecclesia certitudinem suam de veritatibus revelatis non per solam Sacram Scripturam haurit »; 4) «quamvis invicem plane distinctis».
[3] «Tale è, ad esempio, la questione sulla divina rivelazione, alla quale il Concilio darà risposta difensiva, ad un tempo, del sacro deposito delle divine verità, contro gli errori, gli abusi e i dubbi che ne compromettono la soggettiva validità...» (Alloc. per la chiusura della 2ª sess.).
[4] «Sunt multa quae universa tenet Ecclesia, et ob hoc ab Apostolis praecepta bene creduntur, quamquam scripta non reperiantur» (De baptismo contra donatistas, V 23, 31; P.L. 43, 192).
[5] Se non risulta con assoluta certezza - continuava il Promemoria - che il Tridentino abbia voluto, per alcune verità, opporre alla dottrina protestante della Scriptura sola la Traditio sola, è fuori di ogni contestazione che esso abbia sanzionato il principio cattolico della Scriptura et Traditio, contro il principio protestante ricordato.
[6] In seguito, il Santo Padre non fu alieno dall'accettare il suggerimento di estendere la consultazione anche a qualche osservatore ortodosso.
[7] Abbiamo detto «formule proposte» giacché nel frattempo le varianti suggerite da varie parti erano salite a 9. Alla Commissione, però, ne vennero inviate 7.
[8] 1) «quo fit ut non omnis doctrina catholica ex sola Sacra Scriptura probari queat»; 2) «quo fit ut non omnis doctrina catholica ex Sacra Scriptura directe probari queat»; 3) «quo fit ut Ecclesia certitudinem suam de omnibus revelatis non per solam Sacram Scripturam hauriat»; 4) «quo fit ut Ecclesia certitudinem suam non de omnibus veritatibus revelatis per solam Sacram Scripturam hauriat» ; 5) «Sacrae Scripturae complexum mysterii christiani referunt, quin omnes veritates revelatae in eis expresse enuntientur»; 6) «Sacrae Scripturae complexum misteri christiani continent, quin omnes veritates revelatae ex ipsis solis probari queant» ; 7) «non omnem veritatem catholicam ex sola Scriptura sine adiutorioTraditionis et Magisterii certo hauriri posse».
[9] Nella prima redazione dattiloscritta della expensio modorum si dava questa giustificazione: «Addita est vox “salutaris”, ut exprimatur scopus inspirationis, non ut inspiratio ad res fidei et morum restringatur… Expressio ergo intelligenda est sensu assertivo, non exclusivo». Per evitare ogni abusiva interpretazione veniva arricchita la nota 5 con altre citazioni, fra cui quella di alcuni brani dell’enc. Providentissimus (EB 121, 126-127) e Divino afflante (EB 539), con l’intenzione di sottolineare soprattutto la continuità tra la formulazione alquanto nuova del testo conciliare e l’insegnamento pontificio più recente su tale argomento. Nella redazione definitiva, il testo è stato però cambiato come s’è detto e la nota è rimasta.
[10] «Nisi aliud espresse
iure communi aut particulari statutum fuerit, id vim iuris habet, quod, demptis suffragiis nullis, placuerit
parti absolute maiori eorum qui suffragium ferunt» (CJC, can. 11, 1, n. 1).
Il Regolamento, invece, dice: «… In Commissionibus, ad ad probanda schemata vel schematum partes vel
emendationes requiruntur duae tertiae partes suffragiorum Patrum praesentium, etc.» (art. 39, 1).
[11] Come risulta dalla expensio modorum, l’emendamento era già stato proposto, in forma quasi identica, da 73 Padri. Da tutto l’insieme della discussione si deduce senza equivoci che quel «causa» introdotto nel testo è un ablativo che regge le due parole precedenti e perciò l’espressione va tradotta: «a motivo della nostra salvezza». Incorsero quindi in una svista i traduttori che cambiarono quel causa per un nominativo, attributo di Deus, e resero in italiano: «… Dio, causa della nostra salvezza» (cfr. Oss. Rom., 22-23 nov. 1965).
[12] «Le schéma sur la Révélation – ha scritto R. Rouquette in Études (dic. 1965, p. 680) – dans sa forme définitive reste un grande texte libérateur qui ne ferme aucune porte; il consacre le travail si considérable de l’exégèse catholique contemporaine; il laisse la voie libre à la recherche. Les romains qui avaient été si violemment et si injustement attaqués il y a quelques année, expriment unanimement leur satisfaction».