Riprendiamo da L’Osservatore Romano (che ne detiene il copyright) del 2-3 gennaio 2008
questa recensione al volume di Martina Saltamacchia sulla costruzione del duomo di Milano. Restiamo a disposizione
per l’immediata rimozione se la presenza on-line di questo testo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno
degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Dinanzi a
questa ricerca tornano in mente le parole che il grande regista Ingmar Bergman pronunciò durante una
conferenza: «Secondo un’antica leggenda, la cattedrale di Chartres fu colpita dal fulmine e interamente
bruciata. Migliaia di persone giunsero allora da tutte le parti della terra, come una gigantesca processione di
formiche; e tutti insieme – architetti, artisti, operai, contadini, nobili, preti, borghesi – si misero a
ricostruire la cattedrale dov’era prima, e lavorarono finché la costruzione non fu ultimata. Ma tutti
rimasero anonimi, e oggi nessuno sa chi costruì la cattedrale di Chartres.
A parte le mie credenze e i miei dubbi personali, che a questo proposito sono irrilevanti, è mia opinione
che l’arte perse il suo impulso creativo fondamentale al momento in cui fu separata dalla fede. Fu il taglio
del cordone ombelicale, ed oggi essa vive la sua sterile vita, generandosi e degenerandosi. In altri tempi
l’artista rimaneva sconosciuto, e la sua opera era dedicata alla gloria di Dio. Egli viveva e moriva senza
essere né più né meno importante di altri artigiani; “valori eterni”,
“immortalità”, “capolavoro” erano termini non applicabili al suo caso. La
capacità di creare era un dono. In un mondo come quello fioriva una sicurezza invulnerabile e una naturale
umiltà.
Oggi l’individuo è divenuto la forma più alta e la più grande rovina della creazione
artistica. La più piccola offesa o il più piccolo odore dell’io vengono esaminati al microscopio
come se fossero di un’importanza eterna. L’artista considera il suo isolamento, la sua
soggettività, il suo individualismo, come cose quasi sacre. E così finiamo per ammassarci in un grande
ovile, dove ce ne stiamo a belare sulla nostra solitudine, senza ascoltarci l’un l’altro, e senza
renderci conto di soffocarci a vicenda. Gli individualisti si guardano negli occhi tra loro, e intanto negano la loro
reciproca esistenza. Ci muoviamo in circolo, limitati a tal punto dalle nostre ansietà che non riusciamo
più a distinguere il vero dal falso, il capriccio del gangster dal più puro ideale.
Così, se mi si chiede quale vorrei che fosse il fine generale dei miei film, risponderei che vorrei essere
uno degli artisti della cattedrale di Chartres. Voglio trarre dalla pietra la testa di un drago, di un angelo, di un
diavolo – o magari di un santo. Non importa che cosa; è il senso di soddisfazione che conta.
Indipendentemente dal fatto che io creda o no, che io sia o no un cristiano, farei la mia parte nella costruzione
collettiva della cattedrale».
Per una presentazione a bambini e ragazzi del lungo processo di costruzione di una cattedrale gotica, vedi
D.Macaulay, La cattedrale, Nuove Edizioni Romane, Roma, 2006.
Il Centro culturale Gli scritti (21/1/2008)
Furono le piccole offerte, donate dalla popolazione meno abbiente, la parte più cospicua
delle entrate per l'edificazione della cattedrale milanese. È questa la rivelazione sorprendente che emerge da
una ricerca di Martina Saltamacchia, della Rutgers University (New Jersey, Usa), che ha esaminato con attenzione
i Registri delle offerte del Duomo di Milano. Davvero centrato, quindi, il titolo del volume scritto dalla studiosa:
Milano, un popolo e il suo Duomo (Genova-Milano, Marietti, pagine 192, euro 56).
E davvero la chiesa dedicata a Santa Maria Nascente fu l'opera di un popolo: principi, mercanti, uomini d'arme, ma
anche, appunto, la folta schiera degli anonimi, con le loro offerte modeste ma frutto di sacrifici. Di questo
popolo facevano parte anche strozzini e briganti e prostitute, che al termine dei loro giri notturni versavano una
parte dei loro guadagni offrendoli alla Madonna (sui registri è annotato il loro nome
elaloroprofessione).
"Un pomeriggio di due anni fa sento don Stefano Alberto esclamare: "La tua vita è fatta per fare cose
grandi, come gli uomini del Medioevo che vivevano nelle catapecchie e costruivano le cattedrali".
"L'entusiasmo sorto in me per quell'augurio è tale che la mattina successiva mi precipito dal mio professore
di Storia economica, chiedendogli di poter fare una tesi a partire da quella frase. Così, inaspettatamente,
è cominciato un viaggio di 18 mesi nella storia del Duomo di Milano e della sua Fabbrica nei primi 15 anni
dalla sua fondazione (1387)" racconta Martina Saltamacchia sul mensile "Tracce".
Prima ancora che maestoso esempio di architettura gotica lombarda, agli occhi del visitatore attento il Duomo di
Milano appare innanzitutto come testimonianza di una devozione spettacolare, segno tangibile di una
mentalità religiosa che nel Medioevo permeava profondamente la vita degli uomini: "Senza differenza di
classe, tutti accorrevano - annotano gli Annali della Fabbrica del Duomo - a portare il proprio obolo per la grande
impresa, con le materiali offerte di denaro e robe".
Immediato, per chi si accosta a queste pietre con semplicità e sincera curiosità, porsi molteplici
interrogativi: come e chi lo costruì? Chi lo finanziò? Quali motivazioni spinsero povera gente a
innalzare un'imponente cattedrale di marmo, la più grande, per lunghezza, del mondo allora conosciuto? La
mancanza di uno studio completo a partire dalla trascrizione e analisi della mole di manoscritti, registri e carteggi
conservati nell'Archivio della Fabbrica del Duomo di Milano ha aperto la strada a svariate interpretazioni storiche e
suscitato numerosi dibattiti: mausoleo dinastico voluto da Gian Galeazzo Visconti per la sua stirpe o cattedrale
cristiana voluta dal popolo? Progetto finanziato dai lasciti dei ricchi mercanti per celebrare il loro prestigio
sociale o simbolo dell'orgoglio cittadino che ambiva a primeggiare sugli altri comuni italiani edificando una chiesa
di proporzioni mai viste?
Dopo la lettura di opere di autorevoli storici che attribuivano arbitrariamente la paternità della
costruzione al principe piuttosto che a nobili e ricchi mercanti, senza mai comprovare, però, le loro tesi con
un riscontro effettivo numerico sulle fonti, la Saltamacchia ha intrapreso un'analisi quantitativa puntuale, mai
effettuata prima, di manoscritti inediti dell'Archivio del Duomo, in modo da presentare un quadro
dell'identità dei donatori e dell'entità delle donazioni in denaro e in natura, fonte principale di
finanziamento del Duomo, e fornire al dibattito sul finanziamento della cattedrale un contributo originale,
strettamente aderente ai contenuti numerici delle fonti. Particolarmente ricchi di notizie e informazioni si sono
rivelati, da una parte, i Registri delle Oblazioni, in cui quotidianamente veniva annotata la descrizione di
ciascun dono e del suo valore, insieme ad alcune note sintetiche sul suo offerente; dall'altra, è negli Annali
che la studiosa ha potuto ritrovare, minuziosamente tratteggiati, i fatti, i personaggi e gli avvenimenti di
un'immane costruzione durata ben sei secoli.
Il lavoro non è stato facile, ma "lo scoraggiamento iniziale per l'incomprensibilità delle scritture
(in caratteri gotico lombardi) e la lunga e ripetitiva trascrizione di cifre (in lire-soldi-denari, ed espresse in
sistemi differenti dal nostro, metrico decimale) si è presto trasformato in commozione man mano che da quegli
inchiostri sbiaditi cominciavano a far capolino innumerevoli storie di uomini e donne mossi quotidianamente a piccoli
grandi atti di carità". È una full immersion documentaria in una mentalità molto lontana
dalla nostra. "All'uomo medioevale è ben chiaro come tutto concorra alla Costruzione - spiega Saltamacchia -
come ogni gesto, per quanto banale o umile, nell'offerta acquista un valore eterno, così ogni bene, anche
il più insignificante, serve all'edificazione della cattedrale. Ogni cosa, dentro questa prospettiva,
diventava occasione di dono: il fiorino d'oro come la monetina di rame, l'anello di diamanti come il bottone in
madreperla, la botte di vino come il sacco di biada, la tovaglia ricamata come il drappo logoro. Ogni dono
trovava poi prontamente il suo utilizzo nel cantiere (calce, ferro, utensili), nella chiesa (paramenti sacri,
arazzi e cere), tra gli operai (pane e vino) o, ancora, veniva trasformato in denaro tramite vendita all'incanto, una
pubblica asta organizzata ogni giorno presso il palazzo comune nella piazza adiacente al cantiere".
Ogni circostanza partecipava di quest'opera, persino la morte. "Quando le epidemie di peste serpeggiavano per la
città - continua la storica - deputati della Fabbrica si recavano presso i lazzaretti per spogliare i defunti
delle loro vesti, che venivano rivendute dopo un anno di deposito precauzionale in un apposito magazzino, oppure, se
eccessivamente deteriorate, se ne ricavavano bottoni e fili intessuti d'oro e d'argento da porre separatamente in
commercio. Ciascuno, col suo tanto o col suo niente, concorreva alle necessità della costruzione. Notai,
speziali, pescatori, orefici, fornai, mugnai, macellai prestavano gratuitamente le loro braccia per scavare le
fondamenta. Ingegneri ed operai del cantiere devolvevano talvolta in offerta il loro salario, o vi rinunciavano in
cambio di un'indulgenza per i loro peccati. Le prostitute, terminato il loro giro notturno, deponevano una parte del
ricavato sull'altare. Lì, il vicario dell'Arcivescovo doveva provvedere affinché rimanesse sempre
acceso un lume, così che a qualsiasi ora gli offerenti potessero versare il proprio obolo; la fioca luce della
lampada permetteva all'incaricato, detto ebdomadale, di ricevere l'offerta mantenendo nella penombra il volto del
donatore".
Quando non era il fedele a recarsi alla Chiesa, era la Chiesa a bussare alla porta del fedele.
"Tutti desideravano partecipare alla costruzione della cattedrale, chi sgrossando un blocco di marmo, chi versando
una moneta, chi mettendo da parte un po' del suo raccolto per gli operai del cantiere, ma non sempre era possibile
alla gente giungere nel centro di Milano dalle città e dalle campagne, assentandosi dalla bottega o dal campo
per percorrere a piedi strade che il freddo, i briganti o le frequenti guerriglie rendevano spesso impervie. Per
questo la Fabbrica, negli anni, aveva perfezionato, con notevole successo, un sistema capillare di raccolta delle
offerte che raggiungesse ogni angolo del contado. Cassette e ceppi - tronconi di legno vuoto dove versare
l'elemosina - venivano collocati in tutti i punti nevralgici e di maggior passaggio: presso le porte urbane, ai
crocicchi delle strade principali, nelle chiese, nei palazzi comunali. Schiere di ragazze vestite di bianco sfilavano
danzando e cantando nelle piazze e nei carrobi, chiedendo ai passanti offerte per la cattedrale. Sacerdoti, frati
mendicanti e volontari laici venivano inviati, in squadre ordinate, nei villaggi più lontani. Lì
celebravano la messa mattutina a cui tutto il popolo accorreva, e dopo una sentita omelia sulla virtù della
carità veniva dato annuncio della grande impresa di costruzione. Quindi, il gruppo dei questuanti bussava a
ogni porta per chiedere alle famiglie donazioni di qualunque forma".
Anche il divertimento e il desiderio di far festa insieme erano vissuti per la cattedrale. "Spettacolari
processioni, dette "trionfi", venivano organizzate annualmente dalle sei porte di Milano per portare solennemente in
Duomo la propria offerta" spiega l'autrice dello studio, "ciascuna porta gareggiava per essere la più
sfarzosa, inscenando drammi sacri o mitologici su carri allestiti da tutta la popolazione. All'arrivo sul sagrato, i
cortei erano accolti da una folla capeggiata da duchi, cavalieri e dame, e a ciascuno veniva offerto un boccale di
vino".
"L'aspetto più impressionante di questa storia per me - ci tiene a precisare la Saltamacchia - è
tuttavia da ricercarsi nei lunghi elenchi di cifre contenuti nei registri di donazioni. Se al nostro sguardo
distratto appare uno stuolo di svettanti santi di marmo a ricordarci il Cielo, se l'abbraccio della Madonna ci
coglie, alta sopra il caos delle nostre giornate, perché non dimentichiamo mai quanto siamo preferiti e amati,
è per lo spettacolo della carità che, in anni segnati da guerre, vessazioni, carestie ed epidemie, si
inscenò silenzioso per le strade e i vicoli di questa città. Solo nell'anno 1400 sono circa
8.000 le donazioni raccolte, in denaro o in natura, per un valore totale di oltre 42.000 lire dell'epoca. Cifra
assai ragguardevole, se si pensa che, oltre a costituire poco meno di un terzo delle entrate (tra le altre forme di
ricavo c'erano, ad esempio, eredità e possessi immobiliari), copre la quasi totalità delle ingenti
spese per il gigantesco cantiere (pari a più di 49.000 lire per quell'anno), in cui gli operai ricevevano in
media 3 lire al mese. L'entità delle singole donazioni varia, nell'anno 1400, da un minimo di qualche denaro
(la 240 parte della lira) a un massimo di 1.500 lire, corrisposte da un anonimo benefattore che chiede di esser
annotato sui registri come un devoto della Beatissima Vergine Maria, che dona i suoi cospicui averi perché
sotto il suo nome sia riedificata la chiesa della città.
"Tra le offerte spicca il contributo del principe Gian Galeazzo Visconti, che corrisponde mensilmente alla
Fabbrica 700-800 lire, somma davvero esorbitante rapportata alle 4-5 lire versate in media dal popolo. E
ciononostante, il denaro principesco rappresenta solo il 16% della somma raccolta quell'anno, mentre l'ammontare
complessivo di elemosine e doni del popolo corrisponde all'84%; in particolare, le donazioni più povere, di
valore compreso tra 1 denaro e 10 lire, ne costituiscono ben il 28%".
È dunque a una folla di gente comune che si deve l'edificazione del Duomo di Milano, uomini e donne ben lieti
di dare tutto ciò che avevano per un'opera che, ben sapevano, mai i loro occhi avrebbero potuto contemplare
ultimata. Uomini e donne ricchi soltanto di un'incrollabile fede, certi soltanto di dove fissare il proprio
cuore. Come Caterina di Abbiateguazzone, una pauperrima, poverissima vecchietta che da tempo si adoperava per
aiutare gli operai del cantiere, trasportando i materiali da costruzione nella gerla che portava sulle spalle. In
una fredda mattina del novembre 1387 va a deporre come offerta, sull'altare, la sua unica, logora pelliccetta con cui
si riparava dal gelo. Sopraggiunge di lì a poco un uomo, Manuele, che riconoscendo la pelliccia subito
l'acquista, per poi deporgliela nuovamente sulle spalle. E l'amministrazione della Fabbrica, venuta a conoscenza
del gesto di quella povera donna, la premia, dopo qualche mese, pagandolel'affittodellacasupolaincuiviveva.
(© L'Osservatore Romano - 2-3 gennaio 2008)